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L'Europa di Gramsci

di Luca Mozzachiodi

Lelio La Porta e Francesco Marola (eds.): L’Europa di Gramsci. Filosofia, letteratura, traducibilità - “Per Gramsci”, Roma, Bordeaux, 2022, 272 pp.

cover issue 214 en USIl volume L’Europa di Gramsci. Filosofia, letteratura e traducibilità, a cura di Lelio La Porta e Francesco Marola, è il primo volume della nuova serie della collana “Per Gramsci” della International Gramsci Society, che prosegue le sue pubblicazioni con l’editore Bordeaux, peraltro segnalatosi in questi anni per una robusta ripresa delle pubblicazioni di area marxista sia in campo politico che critico-letterario.

Quello degli studi gramsciani a livello mondiale (figurano del resto tra gli autori e autrici nomi di assoluto rilievo come Derek Boothman, Guido Liguori, Giuseppe Guida e Lelio La Porta) non è però il solo contesto in cui si inserisce questa raccolta. Esiste indubbiamente una filiazione diretta con un precedente volume di saggi ispirati al pensatore sardo: Il presente di Gramsci: letteratura e ideologia oggi, edito da Galaad nel 2018; ciò non solo perché nell’e­lenco degli autori ritroviamo, assieme al co-curatore Marola, Paolo Desogus, Lorenzo Mari, Mimmo Cangiano e Marco Gatto (ai contributi da parte dei due gruppi menzionati vanno aggiunti quelli di Pietro Maltese, Noemi Ghet­ti, Lavinia Mannelli e Fortunato Maria Cacciatore per comporre il ricco affre­sco di L’Europa di Gramsci), ma soprattutto perché del libro del 2018 il volume qui recensito fonda criticamente, arricchendole con varietà di riferimenti, una parte delle tesi allora date per presupposte. Se Il presente di Gramsci era nel suo intento un libro di posizionamento, non privo di qualche aspetto che lascia perplessità, inteso a riportare in auge uno sguardo di tipo estetico, critico e politico, questo è un volume scritto per saggiare e approfondire quei nessi politico-estetici e per radicare ulteriormente il pensiero gramsciano nel panorama critico contemporaneo.

In parte (ed è principalmente per questo movimento che l’interesse del libro si estende oltre agli studi specialistici su Gramsci) con una ritirata tattica, una generazione di studiosi formatasi quando Gramsci aveva smesso di essere un riferimento fondante della si­nistra una volta scioltosi il partito che aveva diretto, ingrossa le sue fila e, grazie principalmente all’apporto critico e filologico di altissimo livello che da anni la International Gramsci Society assicura, legata com’è a doppio filo all’edizione nazionale degli scritti gramsciani, rinforza le premesse di un discorso sul metodo mostrando i casi in cui Gramsci stesso lo applica.

I due libri potrebbero dunque essere riletti a sequenza invertita, prima quello del 2022 poi quello del 2018, ma questo è naturalmente uno solo dei possibili modi di leggere questa raccolta di saggi. Si tratta sicuramente di un modo poco scientifico, se per scienza si intende la progressiva accumu­lazione di conoscenze positive intorno a dati di fatto, ma forse di un modo abbastanza gramsciano e dialettico, proprio perché porterebbe a ricercare un’interrelazione tra eventi editoriali, fatti culturali, vita materiale e poli­tica.

Ricreare questi nessi spesso con perizia e con capacità di dettaglia­re il contesto filosofico, politico e letterario europeo dei primi decenni del Novecento è quanto fanno tutti i saggi di L’Europa di Gramsci, come indi­cato dal sottotitolo tripartito. Abbiamo così contributi che si occupano di Gramsci in quanto traduttore dall’inglese di Kipling (Mari) e dal tedesco di Goethe (Marola) e contributi che riprendono le numerose annotazioni di tipo critico letterario nei Quaderni del carcere applicandole al cinema e alla letteratura popolare, come negli studi di Desogus e Gatto (quest’ulti­mo con una suggestiva riflessione su Dostoevskij e Gramsci), o al teatro, campo cui, come noto, Gramsci era profondamente interessato e sul quale ebbe un pensiero politicamente innovativo fin dal periodo giovanile come recensore dell’«Avanti!». Su quegli anni si sofferma Mannelli, che ricostru­isce con precisione e vivacità gli aspetti materiali del mercato teatrale tori­nese degli anni Dieci per presentare una riflessione gramsciana su Ibsen e sul rapporto tra drammaturgia della crisi borghese, pubblico e pedagogia politica.

In misura pressoché identica il volume contiene studi dedicati a pro­blemi filosofici e politici come i rapporti tra Gramsci e il comunismo di sinistra a seguito della polemica sull’empiriocriticismo (Ghetti); un dittico (proposto da Giuseppe Guida e Mimmo Cangiano) riguardo ai rapporti di Gramsci con tutta la varia e complessa area del neoidealismo, del pragma­tismo e del vitalismo otto-novecenteschi, in cui Cangiano rintraccia un su­peramento dialettico da parte di Gramsci delle posizioni offerte da Papini, Prezzolini e dalla «Voce» in direzione di un attivismo che non restaurasse il primato della borghesia dopo averne contestato gli istituti culturali; e infine un saggio di Lelio La Porta, specialista anche di Lukacs, con una ori­ginale comparazione delle posizioni sulla dialettica del filosofo ungherese e del marxista sardo.

Un terzo gruppo di saggi (significativamente posti in apertura) tratta ancora di problemi filosofici e politici ma, rispetto agli altri, è forse più incentrato sul laboratorio dei Quaderni invece che sugli scritti precedenti e ha a che vedere con quelli che sono i diretti antecedenti e i classici del mar­xismo: Boothman si occupa di indagare la ricezione di Ricardo e in parti­colare della teoria del valore da parte di Gramsci, Cacciatore si rivolge allo Hegel politico, ribaltandone l’immagine di pensatore conservatore e aral­do dello stato prussiano e mostrando la centralità e la formazione storica della categoria di società civile (centrale per Gramsci nell’intendere il ruolo dell’ideologia e della pedagogia teorica nonché della letteratura in maniera non meccanicistica), Maltese si occupa del rapporto tra Marx e Gramsci in relazione alle traduzioni esistenti, a quelle tentate dallo stesso Gramsci e a quelle utilizzate allora per scopi politici, teorici e per la formazione di quadri: acquisiscono importanza in questo quadro le antologie dell’epoca di scritti marxiani e opere con uno statuto intermedio tra rielaborativo e divulgativo, come Lavoro salariato e capitale. A Fresu spetta poi di tornare su un luogo classico degli studi gramsciani quale il rapporto Gramsci-Lenin. Scrive Fresu:

Secondo Gramsci uno dei temi più caratteristici della teoria della rivoluzione in Lenin è l’esigenza di tradurre nazionalmente i principi del materialismo storico, ossia, rigettare le affermazioni superficiali sul capitalismo e la rivoluzione in generale, per costruire una nuova teoria della trasformazione a partire dalle concrete condizioni di ciascuna formazione economico-sociale. (85)

Questa esigenza di «tradurre nazionalmente», sebbene giustamente assegnata a Lenin, è in fin dei conti, come Fresu dimostra, propria della stessa articolazione della dialettica rivoluzionaria in Gramsci, ed è anzi in questa dimensione nazionale del pensiero gramsciano che la riflessione sull’egemonia ha il suo spazio più produttivo in termini di innovazione della strategia e della politica culturale.

In questo senso poi l’involuzione culturalistica e antigramsciana della sinistra, negli ultimi decenni denunciata da molti, compresi diversi degli autori del presente volume, potrebbe essere letta anche come il rischio im­plicito in un tentativo di egemonia culturale senza rivoluzione, cioè che non si dia più come scopo la mutazione radicale del sistema.

Possiamo andare anche oltre e dire che in tutti i saggi, perché maggio­ri ci sembrano le affinità di stile e impostazione che non le differenze dei singoli oggetti di studio, la traducibilità assume questa funzione e L’Europa di Gramsci ricostruisce anzitutto il complesso e (se si intende la politica culturale di Togliatti come ispirata al pensiero di Gramsci e in sostanziale continuità con esso, ma è una questione aperta e non semplice, questa) in parte riuscito tentativo gramsciano di tradurre dialetticamente le più ricche e aggiornate correnti della cultura europea in strumenti a vantaggio del nascente comunismo italiano.

L’unità di fondo del lavoro può essere colta se si considerano i tre es­senziali avversari teorici di Gramsci: il neoidealismo crociano quale vertice di sviluppo del pensiero borghese e quale emanatore dei modelli estetici dominanti (e il lungo duello con Croce è, potremmo dire, la causa filosofica dei Quaderni), l’irrazionalismo di Bergson, Sorel e in generale l’attivismo delle diverse specie di avanguardie come i vociani e i futuristi e infine il ne­opositivismo, particolarmente nelle versioni della Seconda internazionale e bolsceviche (dove i principali obbiettivi del processo di assimilazione e critica sono Bucharin e Bogdanov).

Rileggendo con questa chiave i saggi apparirà evidente allora che, per esempio, l’interesse per Kipling e Dickens è speculare alla necessità di rive­dere la chiave interpretativa del colonialismo non meno che alla riflessione sulla letteratura nazionale-popolare, e che lo stesso elemento si trova più tardi elaborato nella forma di lettura critica di Lenin. Si coglierà allo stesso modo come Gramsci, di formazione crociana, si serva di Croce contro il neopositivismo negli anni della formazione, accolga poi con un qualche favore le posizioni di Bergson e dei vociani nella misura in cui contestano il positivismo riformistico dei socialisti e l’ossificazione dello storicismo, ma le superi presto, ritornando a un nuovo storicismo. In particolare Gramsci replica lo schema del superamento correggendo Croce con una più com­pleta conoscenza di Marx e Lenin e dell’economia neoclassica sul piano te­orico, mentre su quello estetico i canoni che portavano sostanzialmente la borghesia a preferire il classicismo (eventualmente a venature estetizzanti e superomistiche alla D’Annunzio) e il proletariato il melodramma (con i feuilletons criticati nei Quaderni e i film di Maciste analizzati da Desogus) vengono criticati, assieme, come è noto, alla mancata organicità dei lette­rati italiani alle classi popolari. Viene loro contrapposta, in fasi differenti ma con intento simile, la letteratura di Ibsen o Dostoevskij, diversi ma, in virtù del rapporto organico con la loro classe, capaci di produrre grande letteratura sulla crisi della borghesia.

Il movimento di appropriazione dialettica delle posizioni avversarie attraverso la loro critica è la maggiore ragione di lontananza del Gramsci maturo dall’estremismo di sinistra. Anche nei confronti della sinistra co­munista tuttavia (Ghetti lo mostra in particolare in riferimento a Bogda- nov) Gramsci mantiene lo stesso atteggiamento di osservazione e indagine volta al superamento su posizioni più avanzate (si pensi all’attenzione con cui il pensatore sardo segue e commenta le critiche di Lunacarskij a Croce).

È probabilmente questa affinità di Gramsci e Lukacs nel pensiero dia­lettico, unita alla comunanza degli avversari teorici, che ha spinto La Porta a concludere con un parallelismo tra le loro opere. In particolare Storia e coscienza di classe è letto come un tentativo di indicare la chiave di volta del marxismo nella storicizzazione dialettica del movimento rivoluzionario e in generale della società: progetto che i due ebbero in comune, sebbene da Lukacs principalmente enunciato teoricamente e da Gramsci portato avan­ti in maniera frammentaria ma organica.

I due si conobbero poco e male; Lukacs, sostiene La Porta, raggiunge il punto di massima vicinanza con le posizioni di Gramsci quando critica Bucharin (è lo schema di tutti gli accostamenti produttivi gramsciani), ma giustamente lui e gli altri non si sono voluti limitare a ciò e hanno voluto ricercare affinità più sostanziali, vere forse oggi più di quanto lo furono durante la stesura delle loro opere.

Ormai più di sessanta anni fa una piccola rivista, «Ragionamenti», animata da un pioniere della filologia gramsciana come Sergio Caprioglio, si apriva con un articolo sull’«Ordine Nuovo» e si sarebbe chiusa con la traduzione di «Che cos’è il marxismo ortodosso?». Che oggi la critica vo­glia riaprire quell’accostamento su cui nacque il marxismo critico italiano ci pare quantomeno promettente.


* Dottore di ricerca in Culture filologiche e letterarie, ha lavorato come assegnista di ricerca all’università di Bologna e collabora con «L’ospite in­grato» e altre riviste. Si occupa principalmente di letteratura contempora­nea, teoria della letteratura e storia degli intellettuali.
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