La Tecno-archía - ovvero la Nave dei folli
di Lelio Demichelis
Di Lelio Demichelis è da poco uscito un nuovo saggio di critica radicale dei sistemi tecnici e del capitalismo, della modernità industriale e della sua volontà di onnipotenza che produce nichilismo ed ecocidio - saggio che ha per titolo: Tecno-archía o la Nave dei folli. La banalità digitale del male, pubblicato da DeriveApprodi (p. 294, € 23,00). E se la critica alla modernità non è ovviamente cosa nuova, nuovo è dire che la modernità è diventata una archía, un potere archico – e quindi in conflitto ontologico e teleologico con libertà, democrazia, società e biosfera. Da cui si può/deve uscire quindi solo con un pensiero anti-archico/an-archico (ma in un senso diverso dall'anarchismo classico) e cioè demo-cratico. Ovvero non basta uscire dal capitalismo (ammesso che qualcuno lo pensi ancora...) e dai sistemi tecnici integra(n)ti e totalizzanti se a monte non si esce da ciò che li predetermina. Appunto la tecno-archía.
Per gentile concessione dell’Editore ne pubblichiamo alcuni estratti, presi dall’Introduzione e dall’ultimo capitolo dedicato alla sinistra.
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L’era della tecno-archía – e dei suoi tecno-oligarchi – sembra essere iniziata il 20 gennaio 2025, ma è il nome che qui diamo alla modernità/iper-modernità come combinazione di calcolo, rivoluzione scientifica e industriale; di capitalismo e di sistema tecnico; di positivismo e pragmatismo; e poi di complesso militare-industriale-scientifico; di illibertà mascherata da libertà; di ingiustizia e disuguaglianza come scelta politica; di finzioni di democrazia e di governo reale del mondo da parte di imprenditori autocratici e del capitale; di ecocidio compulsivo; di razionalità strumentale/calcolante-industriale che ha prodotto l’eclisse della ragione (richiamando Max Horkheimer).
Non le oligarchie, non la tecnocrazia, ma la tecno-archía
Nome – tecno-archía – che nasce analizzando la sua ontologia, teleologia, teologia, le forme e i modi del suo potere, la sua nichilistica banalità del male e banalità dell’ecocidio. Per sostenere quindi che oggi non vi è nessuna crisi della modernità, ma modernità alla sua massima potenza – l’iper-modernità digitale e della IA – che è, ma come era già nelle sue premesse e nella sua storia, potere archico autocratico, auto-referenziale, auto-poietico e auto-telico. Che va urgentemente destituito. In nome di libertà, democrazia e biosfera. Ma per destituirlo va prima appunto riconosciuto come potere archico e totalitario.
[…] Ma quel giorno non si è verificato, come si dice, un cambio di paradigma bensì – come cercheremo di dimostrare nelle pagine a seguire – si è compiuto un ulteriore passo verso la realizzazione piena dell’arché/tecno-archía, sempre più autoritaria/repressiva, per una società totalmente e totalitariamente automatizzata, cioè sempre più organizzata-pianificata, amministrata, comandata e controllata-sorvegliata da macchine/algoritmi, oltre che dal capitale. Secondo una razionalità strumentale/calcolante-industriale funzionale all’accrescimento incessante e illimitato della tecno-archía e alla integrazione di tutti e di tutto nel Tutto dell’arché tecno-archía. Che amplia sempre più il proprio spazio vitale (vitale per il profitto capitalistico e per l’accrescimento del sistema tecnico) che si estende sull’intero pianeta, qui applicando il concetto di Lebensraum/spazio vitale che Friedrich Raztel teorizzò a fine Ottocento e che venne poi usato dal nazismo per sostenere il proprio espansionismo. L’arché della modernità colonizzando e valorizzando prima la Terra e gli altri popoli, poi il Lebenswelt/mondo della vita, poi creando un Lebenswelt virtuale […]. Sempre in nome del profitto e della tecnica.
E [quindi] – ecco il punto di novità di questa nostra analisi - il sistema del capitale e il sistema tecnico, non sono anarchici – lo sono solo in apparenza o per la propaganda anarco-capitalista – ma archici e totalitari.
[…] Per comprendere il processo avvenuto, può sembrare banale e scontato ma è invece necessario ripartire da qui: Uno spettro si aggira per l’Europa – lo spettro del comunismo, scrivevano Marx ed Engels nel 1848 appunto nel Manifesto del partito comunista. E continuavano: «Tutte le potenze della vecchia Europa, il papa e lo zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi si sono alleate in una santa caccia spietata contro questo spettro». E «qual è il partito d’opposizione che non sia stato tacciato di comunista dai suoi avversari che si trovano al potere. […] Questo spettro – il comunismo – oggi però non si aggira più, né in Europa né altrove e il proletariato e le classi medie votano per il tecno-fascismo olig-archico o populista; e il Manifesto è stato dimenticato anche o soprattutto dalle sinistre – ma viene evocato come pericolo anche oggi dai populismi, dalle democrature, dai (neo/Ur)fascismi e soprattutto dalle olig-archíe del tecno-capitale che accusano di comunismo, terrorismo, estremismo, radicalismo, sovversivismo chiunque si opponga al (loro) sistema di potere, alla loro olig-archía (che in realtà è l’archía dell’arché della modernità); e non si fanno scrupoli, rivendicandolo anzi con orgoglio, nell’essere eversori e disruptivi del diritto internazionale e dei diritti umani, della giustizia, della democrazia, della società, della biosfera e della responsabilità. In questo, tra l’Ottocento di Marx ed Engels e oggi, molte sono le somiglianze oltre alle differenze, ma uguale è la coazione a ripetersi, accrescendosi sempre più, del potere archico.
[…] Quello spettro non esiste più, nessuno (o pochissimi) si dice oggi comunista o socialista; ed esiste invece un altro spettro – e lo scriveva Erich Fromm già nel 1968: «Uno spettro si aggira fra noi ma solo pochi lo vedono con chiarezza. […]. È qualcosa di nuovo: una società completamente meccanizzata [oggi, digitalizzata], che ha per scopo la massima produzione materiale e il massimo consumo e che è diretta dai calcolatori. […] Condizionati da una credenza tradizionale, che risale al XIX secolo, secondo la quale la macchina aiuterà l’uomo a sopportare il suo fardello e continuerà a essere un mezzo e non un fine, essi non intuiscono il pericolo che, concedendo alla tecnologia di seguire la sua stessa logica [quella che noi chiamiamo razionalità strumentale/calcolante-industriale, l’ontologia/teleologia/teologia della modernità], questa si svilupperà come un cancro che alla fine minaccerà il sistema strutturato della vita individuale e di quella sociale» e di quella ambientale. […]
E anche per le sinistre dirsi anti-capitaliste e dire rivoluzione è ormai impossibile, avendo da tempo, in realtà dall’inizio della loro storia, introiettato l’epistéme della modernità – epistéme nel suo significato di conoscenza certa e indiscutibile e innegabile delle cause e degli effetti del divenire, una verità che si stabilisce im-ponendosi al di sopra di ogni possibilità di dubbio e di critica (Severino 2023) – che non è più la filosofia dei greci ma appunto la ragione strumentale/calcolante-industriale che si impone sostenendo che non ci sono alternative al neoliberalismo, al capitalismo, alla tecnica, alla crescita sempre e comunque delle forze produttive, a quella che qui appunto chiamiamo tecno-archía della modernità.
[…] E non si esce da questa arché/archía, da questo totalitarismo tecnico e capitalistico, se non si diventa (riprendiamo e sviluppiamo la tesi di Donatella Di Cesare, 2024) an-archici [ma in un senso tutto diverso dall’anarchismo classico]. Quindi demo-cratici, quindi revocando il potere e la potenza del potere archico che invece si crede e si fa credere originario e immutabile; […] perché, di nuovo, il moderno è archico all’ennesima potenza; e se sembrano morte le grandi narrazioni otto-novecentesche, totale e totalitaria/unidimensionale è la grande narrazione dell’arché/modernità-ipermodernità – oggi veicolata dall’IA.
Si aggirava, dunque, quello spettro evocato da Marx ed Engels – forse – allora; ora certamente non più, mentre lo spettro di Fromm è entrato sempre più dentro ciascuno e quindi dimenticata è ogni idea di rivoluzione. Ma perché questa idea è scomparsa dalla scena politica, sociale e intellettuale? Perché nessuno chiede di rivoluzionare questo pessimo modo di produzione e di consumo e di spionaggio di massa – una way of life che sta diventando sempre più una nichilistica ed ecocida way of death? Perché nessuno più ha il coraggio di dirsi anti-capitalista? E perché tutti [oggi con l’IA] si comportano come il maggiore «King» Kong a cavalcioni della bomba atomica appena sganciata dall’aereo nel film del 1964 di Stanley Kubrick Il dottor Stranamore, mentre cade sul bersaglio sovietico, urlando di gioia e agitando il suo cappello da cow-boy come se fosse a cavallo di uno stallone in un rodeo?
Noi siamo nella stessa situazione, il maggiore Kong come personificazione della razionalità strumentale/calcolante-industriale – dell’arché/tecno-archía – a cavallo di se stessa come arché, urlando di gioia e agitando nichilisticamente il suo cappello da cow-boy, puntando contro la biosfera e la vita umana in nome del profitto e oggi dell’intelligenza artificiale.
La Nave dei folli
E perché questa follia collettiva, questa disumana Nave dei folli (riprendendo l’immagine dall’opera del 1494 del pittore fiammingo Hieronymus Bosch), una Nave alla deriva, senza vele e timone, che naviga portando con sé un carico di umanità impazzita e insaziabile? Nave archica, Nave della follia archica quella della modernità; che però, a differenza della Nave di Bosch ha invece un timone ben fermo e vele spiegate chiamate profitto e sfruttamento di uomini e biosfera (la lucida follia/irrazionalità della razionalità strumentale/calcolante-industriale), con una umanità comunque folle o resa folle, intenta (indotta) solo a soddisfare la volontà di pluspotenza dell’arché [insaziabile] e il suo godimento individuale e individualistico.
[…] Rivoluzione permanente [quella imposta dalla tecno-archía, si pensi alle continue rivoluzioni industriali e alla incessante disruption], contro la quale sembra cadere ogni possibilità di rivoluzione o anche di riformismo di segno marxista o democratico o ambientalista, il marxismo credendo (è, lo scriviamo da tempo, un suo tragico errore) che per arrivare alla società socialista si debbano sviluppare al massimo grado le forze produttive, per di più riconoscendo alle macchine un carattere liberatorio (il general intellect) quando è vero esattamente il contrario: le macchine della modernità/arché [tutte diverse dalle macchine precedenti] determinano ed esercitano sempre e comunque, in quanto macchine basate sul calcolo e su una razionalità industriale [e sulla loro crescente convergenza/integrazione in megamacchine] un proprio potere oppressivo, alienante, annichilente e sussumente/totalizzante sugli individui, anche o soprattutto quando si presentano come gioco o come smart – su tutto, come razionalità ed efficienza [quando in realtà sono appunto irrazionali, vedi crisi climatica e sociale]. Ed è la tecno-archía delle macchine, delle forze produttive. E anche Jean Baudrillard riconosceva che «è un errore fantastico di Marx aver creduto, nonostante tutto, all’innocenza delle macchine, della tecnica, della scienza; che tutto questo potrebbe ridiventare lavoro sociale una volta liquidato il sistema del capitale. Mentre è precisamente là che esso si fonda».
[…] Nessuna de-globalizzazione, dunque, neppure nella guerra dei dazi trumpiana. Nessuna sconfitta dell’Occidente (secondo Todd, invece, l’Occidente si sta distruggendo da sé); nessuna crisi del capitalismo e del neoliberalismo; nessuna crisi della modernità, diventata semmai iper-modernità; nessuna «cultura occidentale che ovunque intorno a noi oggi si disfa e dissolve», secondo Agamben): ma il trionfo globale e imperiale/imperialistico/totalitario (l’egemonia) dell’arché/tecno-archía. Perché «l’espansione della megamacchina – il suo regno, la sua potenza, la sua gloria» non è solo «la fissazione ossessiva dell’uomo occidentale» (Mumford 2011), ma è appunto nell’essenza dell’arché/tecno-archía, che ormai accomuna Occidente, Cina, India, Brasile e Brics. Per la integrazione archica di tutte le parti nella (concetto che rielaboriamo da Agamben 2022) macchina ontologica/teleologica/teologica dell’arché della modernità diventata oggi potere archico.
[…] Con il consenso di massa dei potenzialmente fascisti (tecno-fascisti) [qui richiamando la ricerca coordinata da Adorno sulla personalità potenzialmente autoritaria negli Usa del 1950] – e davvero sembra [scriveva Adorno] «che l’individuo non soltanto non tenga conto dei propri interessi materiali, ma addirittura vada contro di essi». Perché «il fascismo, per avere successo, deve avere una base di massa; deve garantirsi non soltanto la sottomissione atterrita ma anche la collaborazione attiva della grande maggioranza della popolazione [come oggi nel digitale/i.a. per il tecno-fascismo – N.d.A.]. Dal momento che per sua stessa natura favorisce i pochi a spese dei molti […] deve fare appello soprattutto non all’interesse personale razionale, ma ai bisogni emotivi, spesso ai desideri e ai timori più primitivi e irrazionali» [i migranti, per esemplificare]. E per questo serve appunto la propaganda, capace di attivare il fascista potenziale dei molti. Sfruttando anche l’ignoranza e la confusione politica, favorite «da un sistema educativo che tende a scoraggiare tutto ciò che viene considerato speculativo» – ed è la paidéia dell’ignoranza attraverso una illusione di conoscenza grazie alla rete e oggi con l’IA – «cercando un sostituto alla propria impotenza sociale nella supposta onnipotenza di grandi personalità».
E le sinistre?
[…] Il suicidio della sinistra (e non solo) non sta quindi solo nella sua resa al neoliberalismo e al capitale, quest’ultimo vissuto anche da sinistra come un dato di fatto ormai immodificabile e da accettare come compimento della storia, e se non con entusiasmo messianico certo con positivistica rassegnazione – e ricordiamo che per il positivista Comte l’ordine nella scienza e l’ordine nella società si devono unire in un insieme indivisibile e la meta finale consiste nel giustificare e rinforzare l’ordine sociale, favorendo una saggia rassegnazione. Il suicidio della sinistra (e non solo) sta soprattutto nella sua incomprensione del potere archico della tecnica e del capitale. […] Un potere tecnico sì legato e funzionale a, ma anche distinto da quello del capitale e comunque finalizzato a sovra-ordinare l’ordine della tecnica (e non solo del mercato) a società e Stato. Questo potere archico/autocratico della tecnica le sinistre continuano a non vederlo, da sempre. […] E quindi, la sinistra – in realtà tutti noi – sopra tutto non capisce (eppure dovrebbe essere ormai più-che-evidente) che tra biosfera e società-libertà-demo-crazia e uomo/umanità da un lato e tecno-archía dall’altro, vi è un conflitto strutturale/ontologico/teleologico insanabile e che quindi, se si vuole salvare la biosfera, la società, la libertà e la demo-crazia bisogna essere radicalmente anti-archici, anti-tecno-archía. E quindi nessun compromesso o riformismo, neppure radicale, è possibile, sarebbe solo un imbroglio politico, ontologico, antropologico – per usare Dario Paccino che scriveva di imbroglio ecologico. Conflitto ontologico che può essere risolto solo eliminando il primo termine, cioè la tecno-arché/archía. Unico modo, unica libertà per poi immaginare e costruire un progresso diverso e non ecocida.
Di più: la sinistra – tutti noi – dovrebbe quindi attivare anche una lotta di classe – di tutti noi forza-lavoro – contro la nuova classe delle macchine [in nome del diritto alla nostra libertà cognitiva, cioè libertà di pensare e immaginare, sviluppando una Intelligenza Naturale senza delegare tutto a una stupida, capitalistica e tayloristica Intelligenza Artificiale - che poi è solo tecno-arché/archía in una nuova fase].
[…] Per una rivoluzione «con nessun altro obiettivo che il bene della libertà», scriveva Hannah Arendt a proposito della rivoluzione ungherese del 1956; a cui oggi va aggiunto il bene della Terra. Perché senza la Terra non vi può essere neppure la libertà.