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 Il settantismo malattia senile del reducismo

di Gigi Roggero

0e99dc 5f072c4d5ba8439598a930a8c954026amv2.jpgUna decina di anni fa affrontavamo la questione della «generazione scomparsa», composta da quei militanti «di movimento» nati negli anni Settanta. Da quel decennio, più ancora che indiscutibili ricchezze, tali militanti hanno ereditato innanzitutto un complesso: «quello dell’essere arrivati tardi». La fonte di ispirazione è diventata mitologia, i rapporti intergenerazionali si sono non di rado trasformati in accettata subalternità pedagogica, la venerazione di una memoria iconica è sfociata nel torcicollo politico, cioè nell’incapacità di guardare alle complessità del presente per fuggire in un passato spesso caricaturale. D’altro canto, molti di coloro che hanno vissuto politicamente quel decennio, con il passare del tempo, sono stati vittime della nostalgia canaglia, in primo luogo quella per la trascorsa gioventù: così, anziché mettere al servizio dell’oggi i limiti della loro esperienza, l’hanno trasfigurata in metro di misura della verità, in memorialistica picaresca, o in uno spaghetti western. Come se bastasse lo spirito d’avventura o l’eroismo combattentistico individuale a cambiare le sorti di un mondo senza tempo, indipendentemente dal contesto storico e dalle composizioni sociali. Questo articolo spiega come la necessità di lottare contro la dominante rimozione degli anni Settanta sia stata sublimata nell’ideologia del «settantismo». E in alcuni ambienti la toppa è stata forse peggiore del buco.

Oggi il problema del settantismo riguarda bolle sempre più residuali e anagraficamente connotate, orfane di quello che fu il Movimento (con la maiuscola, portato dell’anomalia italiana) e nello sfarinamento del «noi», che di epoca in epoca esiste solo come prodotto di un processo collettivo.

Tuttavia, tale problema interroga più complessivamente la produzione editoriale e politica di conoscenza sul passato, la necessità di liberarsi dalla memoria per agire nel presente, le possibilità di riallacciare i fili di una storia lunga senza farsi schiacciare dal peso di ciò che non tornerà mai più. O per dirla ancora con Mahler, lasciando l’adorazione delle ceneri a chi non ha più alcun fuoco da custodire. (G.R.) 

* * * *

Una dozzina di anni fa uscì un formidabile libro di Sergio Luzzatto, Partigia. Lo storico, a partire da un fugace riferimento contenuto in un suo romanzo, indaga la breve esperienza partigiana di Primo Levi in Valle d’Aosta e il «segreto brutto» a cui fa cenno in quelle pagine. Si tratta dell’esecuzione di alcuni partigiani da parte della loro banda, perché colpevoli di aver rubato della farina a contadini del luogo. Il punto di vista di Luzzatto è chiaro, dall’inizio alla fine: è un punto di vista partigiano, che guida il suo rigore di storico, e proprio perciò non accetta una visione del mondo ispirata ai cartoni animati di Walt Disney. In Partigia l’autore ci vuole restituire la tragica grandiosità dell’esperienza partigiana, fino alla necessità di prendere decisioni spietate in fasi in cui il tempo per farlo è poco e gli sbagli possono costare la sconfitta, la cattura, la vita di tante persone. Ancor di più, vuole reincarnare la storia, cioè demitizzarla. Perché, ci dice, proprio la costruzione del mito della Resistenza è servita alla sua depoliticizzazione, ad archiviarla, a porvi fine, a recidere i possibili legami di continuità con quello che è venuto dopo: la pacificazione democratica.

A sinistra, apriti cielo. Il libro è stato condannato, da alcuni addirittura – affermavano tronfi – senza bisogno di leggerlo. Pesante come un macigno è così istantaneamente arrivata la più grande e inappellabile delle scomuniche: revisionismo storico. Come se la conoscenza storica non fosse, in sé, una continua revisione, ovvero un’interminabile ricerca volta a fare nuova luce non solo sul passato ma innanzitutto sul presente. Tuttavia, si sa, quando si rifiuta la discussione nel nome della scomunica, la politica cede il passo alla teologia. In questo campo, dunque, non possono che esistere categorie morali ed edificanti parabole in cui i buoni sono senza peccato, preda di cattivi assetati di sangue. Il punto di vista si riduce a pura ideologia, cioè a vescica gonfia di aria. 

 

Perché abbiamo perso?

 Una sorte analoga è toccata agli anni Settanta. Forse ancora peggiore. Perché quel decennio è stato sottratto al processo storico e stritolato in una tenaglia: dalla parte dei vincitori la condanna, dalla parte dei vinti la mitologia. In entrambi i casi, la rimozione di ciò che è materialmente stato. Icona del male o icona del bene, da maledire o da venerare, gli anni Settanta sono tumulati in una rappresentazione disincarnata e, perciò, politicamente inservibile. Soffermiamoci sulla nostra, di parte, perché quello che fa l’altra possiamo darlo per scontato.

Sia chiaro, a scanso di equivoci. C’è stata una fase in cui probabilmente era importante raccontare gli anni Settanta, sottrarli alla narrazione dominante. Quel racconto, però, è diventato prima discutibile apologia, poi stucchevole nostalgia. Salvo rare eccezioni, ci sono libri scritti da compagni che, dopo averli letti, ti sembra di capire meno di prima. Era tutto bello ed entusiasmante, le cose andavano a gonfie vele, ci si divertiva un sacco ed eravamo fortissimi. E allora, perché abbiamo perso? Di fronte alla complessa durezza della sconfitta, molti hanno preferito imboccare la scorciatoia dell’autogiustificazione: perché il nemico è cattivo, questa resta l’unica risposta. Risposta ancora una volta morale, non politica. Risposta ipocrita, perché l’obiezione è ovvia: perché il nemico avrebbe dovuto essere buono con chi lo voleva distruggere? È come voler vincere la Champions League e lamentarsi se gli avversari te lo impediscono.

Gli anni Settanta della sovversione, come altri periodi storici, dovrebbero essere ripercorsi con un metodo simile a quello di Luzzatto. Reincarnandoli in composizioni di forza storicamente determinate, cioè facendone emergere punti di forza e di contraddizione, ricchezze e limiti, avanzamenti e buchi neri, grandezza e tragedia. Domandandosi il perché delle insorgenze e il perché dei «segreti brutti». Partendo dal fatto che si tratta di una fase conclusa e perciò non ripetibile. È quello che abbiamo provato a fare, ormai un quarto di secolo fa, con Futuro anteriore, il cui sottotitolo non a caso recitava Dai «Quaderni rossi» al movimento globale: ricchezze e limiti dell’operaismo italiano. Non sta a noi giudicarne i risultati, certamente possiamo dire che è stata un’esperienza fondamentale, almeno per chi l’ha fatta: si è trattato di un incontro di generazioni militanti e non di subalterna ammirazione, di analisi critica del passato e non di mera trasmissione di memoria, di riflessione comune sulle discontinuità e non di un grottesco tentativo di riesumare un cadavere. 

 

Restituire Peckinpah al cinema

 Nel frattempo dai mitologici Settanta è passato ormai mezzo secolo, lo stesso lasso di tempo che intercorreva dal ’17 al ’68. Se allora la riproposizione del modello di organizzazione bolscevica fu un catastrofico errore, altrettanto possiamo dire oggi di ogni tentativo di riproporre modelli organizzativi che, tra l’altro, al palazzo d’inverno neanche si sono avvicinati. Nel frattempo, soprattutto a partire dagli anni Novanta e con un incremento esponenziale negli ultimi dieci-quindici anni, la letteratura sul leggendario decennio si è moltiplicata. Dal desiderio politico di ripensare e comprendere, si è via via passati alla memorialistica individuale, fino a raccontini grottescamente eroici e picareschi. Insomma, Il mucchio selvaggio è un film straordinario, ma averlo trasformato in un programma politico è stato prima tragico e poi farsesco. E quando la radicalità politica è diventata il folclore del gesto, e la critica delle armi ha cancellato le armi della critica, lì dobbiamo trovare una parte delle ragioni se non della sconfitta, certo del naufragio.

Ecco, tra i limiti di quelle esperienze ci interessano prioritariamente quelli della soggettività. Analizzando, ad esempio, le parabole biografiche dei militanti: da dove vengono e dove sono andati, prima e dopo che quelle parabole si incrociassero in una storia collettiva. Anche in questo caso, è piuttosto inutile cavarsela con giudizi morali, tesi a esaltare la coerenza di chi ha tenuto botta contro il tradimento di chi si è ritirato a vita privata, o ha fatto carriera, oppure – bestemmia delle bestemmie – di coloro che si sono pentiti. Già, perché come è possibile che chi fino a un certo punto veniva ritenuto un affidabile militante di organizzazione, subito dopo sia stato semplicemente liquidato come un debole o un infame, come se nulla avessimo noi a che fare con quella produzione di soggettività? Anche in questo caso vi è all’opera una rimozione, con lo scopo di giustificare le scelte dell’organizzazione, cioè le nostre.

Non vogliamo qui scadere in un becero determinismo, né ripescare sic et simpliciter quel vecchio arnese marxista per cui l’essere determina la coscienza. Però dovremmo partire da una banale constatazione: l’ambiente sociale ha fatto del movimento un polo di attrazione e immaginario. Per consistenti minoranze farne parte è stato come oggi cantare la trap: una cosa figa. Ambiente sociale significa storia, conflitto, processi produttivi e resistenza, dominio e sabotaggio. Allora da questa angolazione sì, sono stati gli anni Settanta a fare i militanti. O meglio, parafrasando qui il Marx del 18 brumaio, i militanti hanno fatto gli anni Settanta, ma non li hanno fatti in modo arbitrario, in condizioni scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi si sono trovati immediatamente davanti. In assenza di tale consapevolezza, quel periodo storico diventa una caricaturale epopea di individui coraggiosi e sprezzanti del pericolo. Ma per i rivoluzionari il coraggio è innanzitutto quello della decisione politica dentro le possibilità di una composizione sociale specifica, non è mai il coraggio dei muscoli, delle armi e delle avventure solitarie. Quando ci si dimentica queste cose, anche chi allora non ne ha fatto parte, o peggio ne ha subito le conseguenze, finisce retrospettivamente per esaltare le funeste gesta dei gruppetti combattenti.

Per farla breve: non è un merito aver vissuto gli anni Settanta, non è un demerito non averlo fatto. È pura casualità. E, detto per inciso, ci vuole molto più fegato a essere militanti oggi che allora. Perché è molto più semplice rischiare la galera in tanti che rischiare il ridicolo da soli.

 

Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia

 Chissà perché molte storie dei reduci su com’era verde la loro valle sono costantemente circondate da aloni di esaltazione adrenalinica, trench di riconoscimento, fumo e alcol, come se la rivoluzione fosse un’eterna gita adolescenziale. Euforia dell’ora, a cui inevitabilmente segue la depressione del poi. E questo poi depresso significa reducismo. Attenzione. Ci riferiamo al reduce come condizione soggettiva e non oggettiva. Non si è reduci, lo si diventa. E quando si diventa reduci, si cessa di essere militanti; più in generale, si smette di pensare e di vivere nel presente. Del resto, quella sindrome si tramanda di generazione in generazione. Il cringe dei discorsi che cominciano con «ai miei tempi» è sempre in agguato: è il rimpianto per la giovinezza perduta, è il livore per chi rivendica la libertà di vivere la propria. Tanto che, negli ultimi anni, la sindrome del centrosocialismo è la piccola continuazione del settantismo con gli stessi mezzi. Non c’è più la nostalgia di una volta, sentenziava Simone Signoret.

La patologia reducista è stata amplificata dai social network. Se un tempo era il bar del paese la sede deputata alle spacconerie dei pescatori sulle dimensioni delle prede, adesso ai settantisti non pare vero di poter combattere la solitudine trasformando facebook in una permanente associazione autogestita combattenti e reduci. Sembra di assistere, quotidianamente, alla piccola riproposizione di un altro gran bel film: Goodbye Lenin. Se lì il protagonista ricostruiva il socialismo in una stanza, qui gli attempati reduci ricostruiscono gli anni Settanta in una bacheca: e avanti di slogan, volantini, foto, ricordi, litigi, polemiche, rotture. Come se nulla fosse cambiato. Come se il tempo si fosse congelato. Anche quando apparentemente parlano o più spesso litigano su ciò che li circonda, altro non è che una proiezione dei fantasmi che abitano le loro menti. E se la realtà se ne infischia, tanto peggio per la realtà. Nel capitalismo delle piattaforme c’è spazio per i terrapiattisti, vuoi che non trovi cittadinanza la bolla dei settantisti?

Per farla finita, con l’articolo e soprattutto con questa sindrome. Nel secolo scorso in Italia c’è stata una grande anomalia, radicata nella forza delle lotte operaie e dei movimenti autonomi degli anni Sessanta e Settanta. È questa anomalia che ha portato, fino a tempi recenti, a parlare di Movimento con la lettera maiuscola. Non una mobilitazione temporalmente delimitata, single issue come si dice nel mondo anglosassone, bensì uno spazio permanente di organizzazione autonoma. Andavate fuori dai confini nazionali e non vi potevano capire. Quell’anomalia è finita, e con essa la lettera maiuscola. I movimenti a venire non avranno alcuna continuità con il Movimento. Ed è bene che sia così.

Il punto siamo noi, qualunque confine vogliate indicare con questa parola che è tornata a essere un generico pronome – perché categoria politica lo diviene solo dentro un processo collettivo. Quel noi è stato frantumato non dalle sconfitte, ma dall’incapacità di analizzarle. Il reducismo è proprio l’essenza del pensiero della sconfitta, perché traveste la solitudine nell’accettazione del presente da patetica agiografia dei bei tempi andati. Finché non ci libereremo della sindrome del settantismo, la nostra capacità di capire, e dunque di agire, sarà tumulata in una cappa di piombo. Sotto quella cappa di memoria stantia e ridicolmente nostalgica, giacciono anche le ricchezze di quei «maledetti» anni Settanta. Per liberare loro e noi stessi, dobbiamo allora liberarci dalla memoria settantista. Proprio quei Settanta, nella loro parte migliore, e l’operaismo ancor prima, hanno produttivamente praticato il nietzscheano elogio dell’assenza di quella memoria idolatrica di cui ci parla Luzzatto. Non c’è rottura possibile, dunque, se non si ha il coraggio di rompere con le sacre icone della nostra storia. Liberarci dalla memoria, infatti, significa aprirci allo stupore del presente. Perché ogni tempo ha i propri immaginari, linguaggi, desideri, pratiche, possibilità. E come dice il poeta, chi non sa dimenticare il suo primo amore non potrà mai conoscere l’ultimo. 


Gigi Roggero è il direttore editoriale di DeriveApprodi. Pubblicista militante e curatore, per Machina, della sezione freccia tenda cammello. Ha pubblicato con DeriveApprodi: Elogio della militanza (2016), Il treno contro la Storia (2017), L’operaismo politico italiano. Genealogia, storia e metodo (2019), Per una critica della libertà. Frammenti di pensiero forte (2023); è inoltre co-autore di: Futuro anteriore e Gli operaisti.

 

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Comments

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Mirco
Sunday, 14 September 2025 15:46
https://www.open.online/2025/09/14/matteo-salvini-lacrime-omicidio-charlie-kirk-scuole-universita-ragazzi/

Ecco il vostro amico, sinistrati di tutte le parrocchie! Contenti? Adesso giustificatevi, mi raccomando, denigrando chi agisce e parandovi il sedere come sempre. Non vorrete mica offendere i vostri avversari politici, vero?
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Mirco
Saturday, 13 September 2025 10:34
https://ilmanifesto.it/nessun-opposto-estremismo-la-violenza-politica-e-a-destra

Perché la sinistra pseudo-radicale, in tutte le sue espressioni, si sforza di rimarcare una distanza rispetto alla violenza politica? Non sono bastati 50 anni di pacificazione democratica con aperitivi, convivialità e divulgazione compulsiva fatta passare per produzione di pensiero critico? È assodato che il contesto pacificato in cui eserciti di Charlie Kirk fanno il loro porco comodo è conseguenza diretta della libertà di parola concessa ai fascisti da parte di altrettanti rivoluzionari da social network, quindi perché l'esigenza di confermarlo a mezzo stampa? Al Manifesto temono di essere scambiati per pericolosi terroristi? Perché è indispensabile sottolineare una diversità che è già nei fatti? La sinistra pseudo-radicale è da molto tempo parte attiva nella normalizzazione del fascismo e del suprematismo in occidente, trattando entrambi da avversari politici anziché da nemici, quindi perché ribadire un'estraneità che è già conclamata? Il fatto è che, quando ciò che sarebbe storicamente necessario viene considerato politicamente sconveniente, si generalizza e si condanna a prescindere da chi viene colpito, sia la presidente progressista della camera del Minnesota o un ultra-reazionario come Kirk. Che differenza c'è tra il Manifesto e il Corriere della sera, se entrambi si chiedono ossessivamente chi è che ha sparato, invece di chiedersi chi è stato giustiziato? La sinistra pseudo-radicale è impegnata da tempo a prendere le distanze da ciò che dovrebbe fare, soltanto per pararsi il sedere. Il punto è che, messo da parte un Charlie Kirk, tutti gli altri se la spassano grazie al tempo che i parrocchiani spendono a fare le anime belle...
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Alfred
Sunday, 14 September 2025 13:34
Esiste un detto: ne uccide piu la penna della spada.
Non ho dubbi che la destra sia un nemico, la domanda e', una volta accertato che e' un nemico, l'unica arma sono le pallottole?
lei li vede i risultati delle pallottole?
No?
Eppure sono li, chiari, si chiamano Santi.
E in questi giorni kirk sta diventando beato, poi sara' santo. Indipendentemente da chi lo ha ucciso, forse uno piu' a destra di lui.
La destra ha aperto i canali di comunicazione e beatificazione, gliene frega se kirk lo ha ucciso uno della loro parte, un arcinemico per la sinistra.
I cannoni sull'etere e sui media stanno facendo il loro sporco lavoro. Quale fucile di precisione potrebbe contrastare questi mezzi? Non si possono annullare queste dinamiche a fucilate, queste dinamiche richiedono studio e contromosse studiate. Confesso che io non fare male a una mosca, ma se dovessi essere dell'avviso che bisogna sparare non mi limiterei a pensare alla precisione e tecnica dello sparo, ma anche all'opportunita' e ad altri dettagli della gestione post. Limitarsi a automatismi sei un nemico, ti sparo, significa regalare Santi perche' morto uno ne verra' un altro, spesso peggiore del primo.
I cinesi nella loro saggezza considerano saggio il grnerale che vince la guerra senza combattere o combattendo al minimo.
Si possono vincere conflitti di classe in quel modo? Non lo so, quel che so e' che l'automatismo del duello wester non ha mai regalato rivoluzioni. Le rivoluzioni sono state fucili e testa, soprattutto la testa per usare i fucili o ... non usarli.
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Mirco
Sunday, 14 September 2025 14:32
No, non vedo i risultati dello scontro radicale perché lo scontro radicale i parrocchiani della sinistra pseudo-radicale non lo vogliono e non lo organizzano. Vedo invece il risultato dell'assenza di scontro radicale, che è il proliferare di fascisti in tutto l'occidente. Poi, quando ogni milione di anni qualcuno decide di agire e toglie di mezzo un Charlie Kirk, cosa fanno i parrocchiani della sinistra pseudo-radicale? Lo insultano definendolo di destra per pararsi il sedere, nonostante le sue dichiarazioni e quelle dei suoi parenti delatori filotrumpiani che lo odiano e lo denunciano! Quando hai definito la sinistra pseudo-radicale una cloaca, le hai fatto un complimento, chiacchierone!
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Alfred
Monday, 15 September 2025 10:29
Scusi, ma lei che proposte fa alla sinistra oltre che insultare? Cosa propone? In una condizione di realta' e considerando cosa oggi e' sul campo. Se i fascisti crescono e' davvero solo colpa della sinistra? Che poi la sinistra sarebbe la gente comune, come gente comune e' quella che si fascistizza. Lei come farebbe con un povero operaio che diventa leghista? Con i pensionati al minimo che da leghisti passano a fratelli d'italia?
Ha soluzioni pratiche? Soldi?
Si, soldi, perche' la destra ne e' piena e usa tutti i mezzi (soprattutto media di tutti i tipi) per diffondere e foraggiare il verbo.
Non credera' che maidan sia nata per generazione spontanea o kirk foraggiasse la sua bella e costosa vita con la paghetta delle offerte.
Questi sono organizzati, nutriti, foraggiati a piene mani e per scopi ben precisi. Se muoiono (di morte innaturale) li santificano e subito sono pronti sostituti e mezzi. Ha visto la tempestivita' dei tromboni Usa che il cadavere di kirk era ancora caldo? ha sentito la madre cristiana?
che a uccidere kirk sia stato uno piu estremista e folle di lui, un groyper.. a chi frega.
Lei come pensa di smontare questa propaganda? con la violenza? A me sembra che armi migliori sarebbero la scaltrezza e la capacita' di impostare e diffondere contro narrazioni con intelligenza, ma anche in modo spregiudicato. Bisogna avere e allevare le teste per farlo e educare le nostre teste a reagire a questo.
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Mirco
Monday, 15 September 2025 18:48
Proposte? Ma siete stupidi o fate finta di non capire? Qui non si tratta di fare i Bernie Sanders o i Fratoianni che dibattono beatamente con quelli che dovrebbero essere i loro nemici! Se qualcuno vota i fascisti, significa che li può votare; e se li può votare, significa che c'è qualcuno che lo permette. E chi lo permette è chi ha l'indecenza di definire "di destra" qualcuno che dichiara di voler fermare Charlie Kirk in quanto seminatore di odio! Perché non ammettete semplicemente che a voi i fascisti piacciono e che non potete farne a meno?
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Alfred
Monday, 15 September 2025 12:57
Ps se poi lei pensa che la propaganda non sia violenza e della peggiore .. ok
Se poi lei pensa che arginare e controbattere alla propaganda e studiare/trovare i mezzi e le forme non sia lotta e della piu feroce ... ok, mi fermo
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Mirco
Monday, 15 September 2025 18:49
Proposte? Ma siete stupidi o fate finta di non capire? Qui non si tratta di fare i Bernie Sanders o i Fratoianni che dibattono beatamente con quelli che dovrebbero essere i loro nemici! Se qualcuno vota i fascisti, significa che li può votare; e se li può votare, significa che c'è qualcuno che lo permette. E chi lo permette è chi ha l'indecenza di definire "di destra" qualcuno che dichiara di voler fermare Charlie Kirk in quanto seminatore di odio! Perché non ammettete semplicemente che a voi i fascisti piacciono e che non potete farne a meno?
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Mirco
Saturday, 13 September 2025 10:44
... è incredibile assistere allo scempio di questi grandi rivoluzionari, antifascisti, comunisti che, anziché dire "la violenza è solo a destra, purtroppo", dicono "la violenza è solo a destra, per fortuna"!!!
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Mirco
Thursday, 11 September 2025 14:25
https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2025/09/11/spari-in-un-campus-in-utah-morto-lattivista-di-destra-charlie-kirk.-trump-martire_71964b11-79a1-46d0-ba79-2044eba168c8.html

La miglior risposta della storia ai livorosi deliri di Roggero, Selmi e delle varie parrocchie della sinistra pseudo-radicale occientale! Chi ha agito ha fatto più per il popolo palestinese e per gli oppressi della terra in qualche secondo, che tutti voi in cento delle vostre vite.
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Alfred
Friday, 12 September 2025 07:14
Non entro nel merito della sua visione generale.
Sul caso particolare le chiedo: sicuro sicuro?
Lei esclude che sia stato un vicino incazzato perche' parcheggiava male?
Uno spasimante (di lui o della moglie) deluso?
Uno a caccia di notorieta' purchessia?
Ma e sopratutto..
Lei esclude chevsia stato uno della sua area di pensiero e azione che lo trovava moderato?
Uno che se potesse (e/o potra') fara' di peggio sia sui palestinesi che gli opressi della terra...
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Mirco
Friday, 12 September 2025 14:18
Alfred,
il tuo è il tipico discorso dietrologico/complottista, che viene propinato ogni volta che le parrocchie della sinistra pseudo-radicale si rendono conto di ciò che sarebbe necessario fare, ma lo avversano perché troppo sconveniente. Ci capiamo?
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Alfred
Friday, 12 September 2025 20:11
E perche'?
Sembra che non sia andata come pensavo, ma il mondo e' pieno di estremisti piu estremisti che hanno fatto fuori i meno estremisti. La sinistra non e' neanche il peggiore esempio. Mi viene in mente un certo Rabin, non certo uno stinco di santo ... fatto fuori da gente che si fila Bibi, una versione piu'... cruda di Rabin
Se mi gira faccio una ricerca e di esempi analoghi (anche se non sempre ad alto livello) e' pieno il mondo. Vedremo questo ventenne venduto dal padre per 100mila dollari come sara' usato, soprattutto a destra, ammesso che sia lui e non lo scambio per l'ammontare monetario. Mai fidarsi dei padri, non di tutti, ma di buona parte.
Non e' che io capisca in toto quello che lei intende, ma c'e' spazio per tutti, non ho nessuna intenzione di limitare il suo pensiero e le sue azioni, solo ricordare che le dinamiche non sempre sono semplici o come sembrano. Saluti
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Mirco
Saturday, 13 September 2025 08:35
Quella che trovo insopportabile è l'abitudine che avete di gettare fango su chi ha il coraggio di agire e di fare ciò che per voi è disdicevole: togliere di mezzo i fascisti. Sul Manifesto è già partita la canea...vergognosi! La faccio io la ricerca, se vuoi, di tutte le occasioni in cui vi siete divertiti a sputtanare chi ha voluto ribadire che non deve esserci spazio per i fascisti! Non c'è nulla di più infame di chi ritiene sconveniente ciò che è necessario.
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Alfred
Saturday, 13 September 2025 15:04
Non so niente di te, non sai niente di me e probabilmente di molti altri. Ribadisco che puoi pensarla come ti pare e non mi preoccupo di farti cambiare idea, neanche rispetto a quello che pensi di me. Una cosa che pero' nella vita dovrebbe accompagnarci (a me succede poco) e' anche ... l'utilita' di quello che facciamo con qualsiasi fine. Capisco sfogare la rabbia, ma prima di farlo chiedersi cosa si vuole ottenere e cosa si rischia di ottenere? Poi uno puo' sempre decidere che sfogare e' meglio. Non discuto la cosa, preferirei sfogare la rabbia in modo tale da ottenere, ma non ho giurisdizione sull'agire altrui. Fare tutte le ricerche del caso e' anche utile a farsi un'idea, non necessariamente la mia idea. Buona ricerca.
Intanto sta saltando fuori che chi ha sparato al destrorso e' un simpatizzante dei Groyper, un gruppo alla destra dei trumpiani che considera troppo moderati. Quindi l'ipotesi che avevo fatto (se confermano queste simpatie) aveva una base di realta'.
Se lei non si annoia troppo le diro' che di queste dinamiche della destra (le giudico anche parecchio di destra) ne vedremo altre, in Usa, in Europa.
Si ricorda la notte dei lunghi coltelli? Il Röhm-Putsch? non sono cose svanite nella memoria storica, sono possibili ancora e si ripeteranno. Quindi se lei vuole fare qualcosa in qualsiasi forma badi al mondo prossimo venturo... ci sara' poco da divertirsi
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Mirco
Saturday, 13 September 2025 17:16
La sinistra pseudo-radicale e pseudo-antifascista concentra l'attenzione sulle affiliazioni del ragazzo per non ammettere di essere inutile, di essere capace soltanto di blandire i fascisti e di garantirgli qualsiasi cosa. È interessante vedere che, quando trump accusa la sinistra pseudo-radicale di essere violenta, anziché considerarlo un titolo di merito, la suddetta si preoccupa di smentirlo, facendo esattamente quello che trump si aspetta: venerare il quieto vivere liberale. Vedi Bernie Sanders

https://m.youtube.com/watch?v=HlIvH6ozvv4
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Alfred
Saturday, 13 September 2025 17:35
Scusa, caro, ma se per te la sinistra e' questa cloaca, tu perche' vuoi riconoscerti a sinistra?
Vuoi una sinistra, ma la vuoi a tua misura, se la sinistra e' una scelta collettiva non esiste in formato pret a porter, esiste come dialettica. Esistono forme di stare insieme che non necessitano di dialettica, si chiamano in altro modo. Bisogna chiedersi se non si vuole stare li, belli intruppati, magari sotto un bel leader che comanda. Magari tu come leader.
La sinistra di cui tu scrivi e' quel coacervo di piddini che se sono rosa sbiadito e' molto? Se cosi forse potresti guardare intorno e trovare di meglio. Se per te la sinistra e' solo violenza e la vuoi esercitare e a sinistra non ti danno retta... caro mio, fai quello che vuoi, che puoi, che ti pare, ma pretendere di essere sostenuto perche' hai tu la pietra filosofale anche no, scusa.
Perche' hai bisogno di dare addosso alla sinistra se non ti piace? Se hai capito che fa cosi schifo il mondo e' pieno di gente che cerca e fonda e fa crescere movimenti di tutti i tipi. Fonda il tuo, coltivalo e fallo crescere. Se son rose fioriranno, ma fioriranno con le loro spine e tutte le altre difficolta', Nessuno spiana tappeti a nessuno e chi pretende di averli lamentandosi come una prefica perche' il mondo non e' di sua misura ... si adatta, proprio perche' il mondo non e' a misura di nessuno. Buona fortuna
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Mirco
Saturday, 13 September 2025 21:22
Io non voglio una sinistra, anche perché come dici tu ce ne sono già tante e - aggiungo io - tutte inutili. A me piacerebbe che chi si autodefinisce comunista, antifascista e rivoluzionario smettesse di considerare i fascisti alla Charlie Kirk e i loro complici come fossero avversari politici, e tornasse a considerarli nemici. Buona fortuna a tutt* voi chiacchieroni se questo cambiamento dovesse verificarsi!
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Paolo Selmi
Monday, 08 September 2025 10:23
Carissimi, chiedo scusa se continuo a citare 'sto maledetto Pendolo, prossima volta prometto non mi faccio più operare di nulla, non sto più in convalescenza e se starò mai in convalescenza guarderò TV dalla mattina alla sera, giurin giurello!

E' un libro "denso", al punto che mi son chiesto più volte se non siano più importanti le digressioni della trama e non il viceversa.

E' un libro "da convalescenza", proprio perché devi metterti nella disposizione di mettere in cantina, ancora una volta, la "trama" e sorbirti un qualche pippone che poi però risulterà determinante ai fini della comprensione della stessa, di alcuni passaggi altrimenti oscuri, in un continuo avanti-indietro di decenni.

E' un libro "furbo", che maschera abilmente le posizioni dell'Autore presentandole de relato come voce dei suoi "figli di carta", come li chiamava un mio amico.

E tra le tante parole in libertà c'è questo dialogo da bar, che si svolge in un bar, meglio, IL bar, all'epoca (inizio anni Settanta) porto franco dove si incontrava di tutto e di più.

Dialogo tra rivoluzionari mancati. Dialogo dove il convitato di pietra è l'Occasione, come la chiamano altrove, mancata. Che l'Autore attribuisce a uno dei due (Belbo) come OSSESSIONE inconscia, ma che in realtà è presente in entrambi. Con la differenza che il più giovane (Casaubon) non la vive come ossessione, anzi, non la vive proprio.

Parlano del Pendolo di Foucault e di cosa sta dietro, metaforicamente, a 'sto affare che mentre gira fa il ghirigoro dimostrando che la Terra non è un corpo immobile. Partono da lì e sbrodolano oltre:

"Sarà l'atmosfera della chiesa (la chiesa sconsacrata dove si trova il Pendolo a Parigi, nota mia), ma le assicuro che si prova una sensazione molto forte. L'i-
dea che tutto scorra e solo là in alto esista l'unico punto fermo dell'universo.... Per chi non ha
fede è un modo di ritrovare Dio, e senza mettere in questione la propria miscredenza, perché si
tratta di un Polo Nulla. Sa, per gente della mia generazione, che ha mangiato delusioni a cola-
zione e a cena, può essere confortevole."

"Ha mangiato più delusioni la mia, di generazione.*

"Presuntuoso. No, per voi è stata solo una stagione, avete cantato la Carmagnola e poi vi
siete ritrovati in Vandea. Passerà presto. Per noi è stato diverso. Prima il fascismo, anche se lo
abbiamo vissuto da ragazzi, come un romanzo di avventure, ma i destini immortali erano un
punto fermo. Poi il punto fermo della resistenza, specie per quelli come me che l'hanno guarda-
ta dal di fuori, e ne han fatto un rito di vegetazione, il ritorno della primavera, un equinozio, o
un solstizio, confondo sempre...

Poi per alcuni Dio e per altri la classe operaia, e per molti entrambi. Era consolante per un
intellettuale pensare che ci fosse l'operaio, bello, sano, forte, pronto a rifare il mondo. E poi, lo
avete visto anche voi, l'operaio c'era ancora, ma la classe no. Debbono averla ammazzata in
Ungheria. E siete arrivati voi. Per lei è stato naturale, forse, ed è stata una festa. Per quelli della
mia età no, era la resa dei conti, il rimorso, il pentimento, la rigenerazione. Noi avevamo man-
cato e voi arrivavate a portare l'entusiasmo, il coraggio, l'autocritica. Per noi che allora aveva-
mo trentacinque o quarantanni è stata una speranza, umiliante, ma speranza. Dovevamo ridi-
ventare come voi, a costo di ricominciare da capo. Non portavamo più la cravatta, buttavamo
via il trench coat per comperarci un eskimo usato, qualcuno ha dato le dimissioni dal lavoro
per non servire i padroni..."

Accese una sigaretta e finse di fingere rancore, per farsi perdonare il suo abbandono.

E avete ceduto su tutti i fronti. Noi, con i nostri pellegrinaggi penitenziali alle catacombe
ardeatine, rifiutavamo di inventare uno slogan per la Coca-Cola, perché eravamo antifascisti.
Ci accontentavamo di quattro soldi alla Garamond perché il libro almeno è democratico. E voi
adesso, per vendicarvi dei borghesi che non siete riusciti a impiccare, gli vendete videocassette
e fanzines, li rimbecillite con lo zen e la manutenzione della motocicletta. Ci avete imposto a
prezzo di sottoscrizione la vostra copia dei pensieri di Mao e coi soldi siete andati a comperarvi
i mortaretti per le feste della nuova creatività. Senza vergogna. Noi abbiamo passato la vita a
vergognarci. Ci avete ingannato, non rappresentavate nessuna purezza, era solo acne giovanile.
Ci avete fatto sentire come vermi perché non avevamo il coraggio di affrontare a faccia aperta
la gendarmeria boliviana, e poi avete sparato nella schiena a disgraziati che passavano lungo i
viali. Dieci anni fa ci è capitato di mentire per tirarvi fuori di prigione, e voi avete mentito per
mandare in prigione i vostri amici. Ecco perché mi piace questa macchina: è stupida, non cre-
de, non mi fa credere, fa quello che le dico, stupido io stupida lei — o lui. E un rapporto one-
sto."

"Io..."

"Lei è innocente, Casaubon. È scappato invece di tirare le pietre, si è laureato, non ha spara-
to. Eppure qualche anno fa io mi sentivo ricattato anche da lei. Badi bene, nulla di personale.
Cicli generazionali. E quando ho visto il Pendolo, l'anno scorso, ho capito tutto."

"Tutto che?"

"Quasi tutto. Veda Casaubon, anche il Pendolo è un falso profeta. Lei lo guarda, crede che
sia l'unico punto fermo nel cosmo, ma se lo stacca dalla volta del Conservatoire e va ad appen-
derlo in un bordello funziona lo stesso. Ci sono altri pendoli, uno è a New York al palazzo del-
l'ONU, un altro a San Francisco al museo della scienza, e chissà quanti ancora. Il pendolo di
Foucault sta fermo con la terra che gli gira sotto in qualsiasi posto si trovi. Ogni punto dell'uni-
verso è un punto fermo, basta attaccarci il Pendolo."

"Dio è in ogni luogo?"

"In un certo senso sì. Per questo il Pendolo mi disturba. Mi promette l'infinito, ma lascia a
me la responsabilità di decidere dove voglio averlo. Così non basta adorare il Pendolo là dove
è, occorre prendere di nuovo una decisione, e cercare il punto migliore. Eppure...."

"Eppure?"

"Eppure - non mi prenderà mica sul serio, vero Casaubon? No, posso stare tranquillo, siamo
gente che non prende sul serio... Eppure, dicevo, la sensazione è che uno nella vita ha attaccato
il Pendolo da tante parti, e non ha mai funzionato, e là, al Conservatoire, funziona così bene...
E se nell'universo ci fossero punti privilegiati? Qui sul soffitto di questa stanza? No, non ci cre-
derebbe nessuno. Ci vuole atmosfera. Non so, forse stiamo sempre cercando il punto giusto,
forse è vicino a noi, ma non lo riconosciamo, e per riconoscerlo bisognerebbe crederci... In-
somma, an-diamo dal signor Garamond."

"Ad attaccare il Pendolo?"

"Oh stoltezza. Andiamo a fare cose serie. Per pagarla ho bisogno che il padrone la veda, la
tocchi, l'annusi, e dica che lei va bene. Venga a farsi toccare dal padrone, il suo tocco guarisce
dalla scrofola."


Furbetto, il buon Eco. Tirare il sasso e nascondere la mano. Non entro nel merito di questa pagina che mi ha fatto incazzare, e non poco, e che per me è opportunismo e qualunquismo puro. Ma non mi nascondo neppure dietro un dito. Questo pezzo mi ha fatto venire in mente questo dialogo immaginario, fra due personaggi che poi, supponendosi "superiori" al resto degli altri personaggi che frequentavano, inventeranno tutta una storia (non a caso fondata su "appuntamenti mancati") che gli altri crederanno vera e e in cui resteranno tragicamente invischiati.

Un dialogo che liquido con gli aggettivi di cui sopra, se non altro perché son vecchio abbastanza da avere memoria diretta di quanto accaduto, nel caso della vicenda impersonata dal personaggio più giovane, e indiretta - ma direttamente da chi l'ha vissuta - nel caso di quella impersonata dal personaggio più vecchio.

Un dialogo, ED E' QUI IL PUNTO, che però mi fa riflettere ora su altro: L'AUTORE DI QUESTO PEZZO PARLA DI SETTANTISMO. NEL BRANO SUMMENZIONATO GLI STESSI STILEMI SONO APPLICATI DALLA GENERAZIONE PRECEDENTE SU QUELLA DEL SETTANTISMO.

A questa stregua un bolscevico e terzinternazionalista avrebbe potuto applicare il tutto sulla generazione del comunista post-bellico! E infatti il buon Belbo si sente a disagio sia di chi c'era PRIMA che di chi è venuto DOPO. "FUORI TEMPO", avrebbe cantato il buon Ligabue. TROPPO VECCHIO PER e TROPPO GIOVANE PER.

Questo, in linea di principio. In un dialogo da bar.

Poi all'atto pratico, le cose non stanno così. Partiamo da un assunto semplice, di quegli anni: "la lotta paga". Io questo assunto l'ho vissuto infinitamente MENO dei miei padri. E i miei padri già molto MENO dei miei nonni.

"E ma c'era ancora l'URSS. E i padroni di fronte a uno sciopero minacciavano la serrata, poi vedevano che ci perdevano troppo e calavano - parzialmente - le braghe. Ora chiudono e riaprono da un'altra parte..."

... e finiamo tutti in un film di Ken Loach a galleggiare sulle nostre miserie, a legnare qualche extracomunitario e votare fascio mentre assistiamo impotenti a fabbriche e miniere che cadono a pezzi in attesa che arrivi qualcuno a "riqualificare" per l'immancabile mega centro commerciale (Alfa Arese rif puramente casuale). Giusto. Mi faccio obiezione da solo.

Però a questo punto dico anche: "troppo comodo!" Cambiano i tempi, cambiano le FORME della lotta, ma non la SOSTANZA. E PER LOTTARE SIAMO SEMPRE IN TEMPO! NON FUORI, TEMPO. NON SFALZATI. SFALZATI SE PENSIAMO CHE CON LE FORME DI VENT'ANNI FA POSSIAMO PORTARE A CASA RISULTATI VINCENTI. POSSIAMO VINCERE. OCCORRONO NUOVE FORME AL PASSO COI TEMPI. OCCORRE UN NUOVO INTERNAZIONALISMO. OCCORRE UN NUOVO MODO DI FARE RETE FRA NOI. DI RISVEGLIARE COSCIENZE SIN TROPPO SOPITE. SENZA RINNEGARE NULLA DEL PASSATO. SENZA DIRE VOI EROI, NOI PIPPE. O IL CONTRARIO: VOI PIPPE, NOI EROI.

Sono e resto comunista, per quel che vuol dire essere comunisti, oggi. "Fedeli alla linea la linea non c'è"... salmodiava ripetutamente, ossessivamente, qualcuno in pieno disincanto punk. Finendo poi ciellino. La frase ha un senso, nel delirio del contesto generale che la produsse: le istanze non muoiono. Gli sfruttati son più sfruttati oggi di allora. Il Capitale oggi è più sfacciatamente spregiudicato, nel suo modus operandi. L'imperialismo, che il buon Bertinotti venticinque anni fa voleva sotterrare come "obsoleto", è vivo e vegeto. E non vorrei che lo si scoprisse tutti tra ottocento miliardi di euro.

E quindi RITARDO RISPETTO A COSA? ANTICIPO RISPETTO A COSA? Mamifacciailpiacere (tuttattaccato) direbbe Totò! Non occupiamo le fabbriche perché Vicenzina sta altrove, non più davanti alla fabbrica? E cazzo, inventiamoci qualcos'altro! Organizziamoci, studiamo, facciamogli venire i sorci verdi! Anche a 52 anni. A 60. A 40. A 30. A 15! A 99! Siamo TUTTI coinvolti, nessuno escluso. Ognuno col suo viaggio ognuno diverso, lungo, corto... ma non ognuno in fondo perso per i cazzi suoi. O nascosto dietro il suo dito, o con la testa sotto terra nel suo buco. Questo no! Non ce lo possiamo permettere.

Concludo, chiedo scusa per la lungaggine. Qualcuno cantava cinquant'anni fa:

"O forse non è qui il problema
E ognuno vive dentro ai suoi egoismi vestiti di sofismi
E ognuno costruisce il suo sistema
Di piccoli rancori irrazionali, di cosmi personali
Scordando che poi infine tutti avremo
Due metri di terreno"

Lo scriveva cinquant'anni fa. Già allora c'era il problema. Oggi è solo AMPLIFICATO. "Zombi col telefono in mano", cantava il buon Ghali. Zombi cantava ancor prima la buona Dolores. E Zombi cantava, più o meno all'epoca del buon Francesco, il buon Fela Kuti (in una canzone da 10 minuti...).

AMPLIFICARE, purtroppo, ha come effetto (VOLUTO da chi ci comanda) TOTALIZZARE. Ci fan sembrare che tutto è così. Che tutto sarà così. Ma non è così. Staccare la spina. Dimenticarsi di mettere sotto carica il pezzo di plastica. Tornare a parlarsi, a confrontarsi, a incazzarsi, a mandarsi a quel paese, a tirarsi pacche sulle spalle de visu. A dire bene, e ora che ce ne siam dette di tutti i colori 'sto problema lo risolviamo o no? E partire dal piccolo. QUI. ORA. IN TEMPO.

Un abbraccio a tutti
Paolo


Chiedo scusa per la lungaggine.
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Alfred
Sunday, 07 September 2025 10:42
i militanti hanno fatto gli anni Settanta, ma non li hanno fatti in modo arbitrario, in condizioni scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi si sono trovati immediatamente davanti. In assenza di tale consapevolezza, quel periodo storico diventa una caricaturale epopea di individui coraggiosi e sprezzanti del pericolo..

Una buona sintesi. A cui seguono tante buone considerazioni.
Non sono su facebook, non seguo reduci, non seguo racconti epici di nostalgici.
Non ho mai sopportato la nostalgia e i nostalgici, ne' quelli che provano nostalgia per il vissuto ne' quelli che la provano anche per il non vissuto. In generale, non solo in relazione a quelli degli anni 70.
Trovo corretto che gli anni 70 siano storicizzati con tutte le lotte, ma anche il lordume, l'eroina e il resto. Nessuna nostalgia, uno sguardo oltre la memoria dei singoli per storicizzare le dinamiche, i fatti. Ovviamente la storia e' in divenire, quindi nessuna Storia definitiva a far da guardia ai santini degli altarini privati o di gruppo.
Forse negli anni 70 non solo si combatteva, ma un po' si pensava di avere gia' vinto.
Senza tenere conto del mondo in cui si era delle dinamiche che sarebbero diventate chiare a posteriori.
Ma non sono uno storico, credo che nel dire
" C’è una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo» Warren Buffett spieghi parecchio della fine degli anni 70 e quasi tutto del presente.

Nell'articolo scrive:
detto per inciso, ci vuole molto più fegato a essere militanti oggi che allora. Perché è molto più semplice rischiare la galera in tanti che rischiare il ridicolo da soli.
Vero, ma il ridicolo non lo rischia chi oggi lotta e lo fa nelle condizioni del presente, il ridicolo vero lo rischiano i nostalgici che vivono di nostalgie e di acrimonia. Loro si che sono condannati al ridicolo anche davanti a chi negli anni 70 c'era e ci e' morto o di lotta o di eroina. Loro non erano nostalgici, guardavano avanti e ottenevano e bagliavano e pagavano nel loro presente. Chi oggi vive di nostalgia e' morto al presente e non ha nessuna utilita' ne' per se, ne' per gli altri. Non ha nessuna esistenza, punto.
Ho trovato l'articolo interessante, meno interessante trovo soffermarsi troppo sui nostalgici e le loro caricature su facebook, non offendono nessuno, offendono se stessi e quello che hanno vissuto allora, vanno lasciati ai loro rimpianti. Non per snobismo, ma perche' la realta', questa realta', il nostro presente, il nostro intorno ci obbligano a vivere e lottare qui e ora. Forse e' piu utile cercare modi, occasioni (anche piccole, in qualsiasi forma) di lotta e aggregazione che perdere tempo cercando di svegliare chi ha deciso di vivere di ricordi in presenza o nel web. Sono scelte che si fanno e da cui non sempre si torna indietro quindi perche' perdere tempo a cercare di correggere chi ha scelto la nostalgia?
Non ha senso farlo neanche pensando che potrebbero essere portatori di esperienza e di suggestioni per il presente. Chi, reduce dei 70, ha questo animo e' gia' presente nelle lotte in corso e senza menarla sul passato, chi vive di nostalgia e' come se fosse fedele a Santa Maria Goretti. Voi pensate che un fedele di qualsiasi santo sia in grado di portare suggerimenti sul presente? Forse suggerimenti di mistica per chi vuole farne esperienza ... per il resto meglio restare con i piedi per terra nell'oggi.. sbagliare, lottare, vivere oggi
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Iván de Chile
Sunday, 07 September 2025 04:20
En Chile, sucedió lo mismo tuvimos dos décadas revolucionarias, la del 70 con Allende y la de los ochentas con la lucha frontal de masas y armada en contra de Pinochet.
Fuimos derrotados las dos veces. Vino una pacificación neoliberal heredada de la dictadura y no supimos entender el nuevo tiempo, entendimos que todo lo heroico de entonces nos bastaría y no fue así. No se puede construir un futuro mirando hacia atrás pero no se puede avanzar hacia donde quieres, sin renunciar a ti, lo que en verdad quieres y esta definido en tu historia.
Lo revolucionario por más épico que sea, no puede reducirse a su épica personal, es siempre colectivo y si no lo es, puede dejar de ser revolucionario aunque parezca que la sola arenga del pasado, le de continuidad.
Disculpen, no se italiano, los leo gracias al traductor del google, gracias por vuestros artículos
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