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economiaepolitica

Trappola della liquidità o trappola del risparmio?

Andrea Terzi*

La difficile e ostinata crisi dell’economia e della politica europea ha conosciuto nelle scorse settimane due passaggi significativi.

L’esito delle elezioni del 25 maggio ha messo all’ordine del giorno la “fine dell’austerità”. Nella consultazione si sono affermate invero due posizioni assai differenti: quella che domanda un indebolimento delle istituzioni europee tout court a beneficio delle singole identità nazionali e quella che invece sollecita un cambio di marcia della politica economica europea. Ma comunque la si guardi, l’attuale mix di politiche strutturali e austerità perde consenso, ed è ragionevole sperare in un cambio di rotta che tuttavia richiede un non facile cambio di prospettiva (tema che ho affrontato in Salviamo l’Europa dall’austerità[1]).

L’altro passaggio rilevante è stato il pacchetto di provvedimenti che la BCE ha annunciato il 5 giugno, accolto con un misto di compiacimento e perplessità. A mio parere, si tratta soltanto del seguito dell’azione che la BCE ha già intrapreso da oltre due anni e con la quale si propone di riportare i tassi del mercato monetario là dove la BCE li vuole (e cioè prossimi allo zero) e di normalizzare il sistema bancario dell’eurozona. La frammentazione del mercato interbancario sta gradualmente regredendo, ma rimane oggetto d’attenzione della BCE. Se l’azione avrà successo, sarà come aver slegato le gambe alle banche: che poi si mettano a correre, a camminare, oppure restino ferme, dipenderà poco o nulla dalla BCE.

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micromega

Marx e Keynes: ritorno al futuro per risolvere la crisi

di Carlo Formenti

Cosa penserebbero Marx e Keynes dell’economia finanziarizzata e marchiata da spaventosi tassi di disuguaglianza che caratterizza questo indigesto inizio di secolo? In quale misura potrebbero utilizzare le categorie analitiche da loro inventate per capire cosa sta succedendo al nostro mondo? Penserebbero di avere sbagliato tutto o troverebbero una qualche conferma, ancorché parziale, alle loro diagnosi e previsioni? Infine, se fosse loro concesso di dialogare, come giudicherebbero le rispettive teorie: le riterrebbero almeno parzialmente confrontabili o del tutto alternative e incompatibili?

Domande oziose, risponderebbe un qualsiasi economista: la scienza – già perché anche l’economia, in barba ai suoi imbarazzanti fallimenti, pretende ancora di essere una scienza – non si fa con i se né con gli esercizi di immaginazione, ma analizzando e interpretando numeri e fatti concreti. Eppure esiste almeno un economista che queste domande ha deciso di porsele e ha pure coraggiosamente tentato di rispondervi. Si chiama Pierangelo Dacrema, insegna Economia degli Intermediari Finanziari all’Università della Calabria ed ha appena pubblicato, per i tipi di Jaca Book, "Marx & Keynes. Un romanzo economico".

Romanzo economico!? Suona strano vero? Del resto, volendo mettere a confronto Marx e Keynes senza trascinare il lettore in una noiosissima successione di dissertazioni astratte sulle rispettive tesi, non restava altra via se non quella dell’immaginazione letteraria.

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coordinamenta

S-VERGOGNAMOCI!!!!!!!!…………………………………………………………

la“campagna” estiva della coordinamenta

La vergogna è un sentimento che si prova quando si pensa di aver commesso qualcosa di sbagliato…e la domanda è: sbagliato rispetto a cosa, rispetto a chi?

Le scale di valori che si assumono a riferimento non sono neutrali, rispondono a scelte precise e, nella nostra società, a scelte di potere che vogliono far rispettare lo stato di cose presente, mantenere lo sfruttamento, la divisione in classi, la divisione in ruoli sessuati, l’autorità, la legalità, la “moralità”….

La sottomissione non si conquista solo con la coercizione e le punizioni, con il monopolio della violenza, con divieti, sanzioni e obblighi, ma passa anche attraverso l’interiorizzazione di questi divieti e di questi obblighi.
Indurre all’obbedienza con l’autocolpevolizzazione è più efficace.
Si spaccia per “normale” e per “naturale” l’esistente.
Veniamo spinte/i fin dalla nascita ad accettare e fare nostra una scala di valori che serve invece soltanto a perpetuare il dominio, in questo momento, inscindibilmente patriarcale e capitalista-neoliberista.

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sollevazione2

Venghino siori! Venghino!

di Piemme

Sappiamo una cosa per certa, che il neoliberismo è quello stato in cui il capitalismo si manifesta nella forma che gli è più congenita, quella del demone che scatena tutta la sua crudeltà divorando tutto ciò che gli capita a tiro, come Saturno i suoi stessi figli. Credessimo alla filosofia della storia hegeliana, ci piacerebbe pensare che questo sia davvero l'ultimo stadio, il capitolo finale del ciclo biologico della bestia. 
Piegata l'ondata operaia degli anni '60 e '70, posto fine al "ciclo keynesiano", il capitale si è dato ad una caccia sfrenata al profitto (suo impulso vitale), razziando ogni risorsa disponibile. Dal saccheggio di quelle del cosiddetto "terzo mondo" è passato all'estorsione su larga scala delle proprietà pubbliche e dei beni comuni negli stessi paesi imperialistici. Seppure in maniera e con ritmi diseguali a seconda delle nazioni, tutto il privatizzabile è stato privatizzato, a cominciare dalle banche centrali e dalla facoltà di emettere moneta, per sbranare poi ogni sorta di cespite statale, come pure i risparmi dei cittadini, erosi da una crudele politica tributaria .

In Italia questo processo ebbe inizio con il famigerato "divorzio" del 1981 tra Ministero del tesoro e Banca d'Italia, primo atto di quel processo per mezzo del quale lo Stato, se ora voleva spendere più di quanto incassava, doveva indebitarsi, non più solo coi propri cittadini, ma sui mercati finanziari internazionali, preda dunque dello strozzinaggio, più noto come "crisi del debito pubblico".

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alfabeta

Prodotto Interno Legale

Augusto Illuminati

Alberi della legalità, crociere scolastiche anti-mafia, allocuzioni quirinalizie, cerimonie in onore di Falcone e Borsellino a strafottere. È maggio, bellezza, mese mariano e di commemorazioni pelose, nonché di comizi elettorali in cui tutti i candidati si appropriano dei defunti e invocano per i rivali il 41 bis. Virtù e onestà tornano di moda.

A un’incerta primavera segue lo scoppio dell’estate e a giugno arrivano i nuovi episodi corruttivi dissipando le residue nebbie retoriche e additando la verità effettuale della cosa: mafia, camorra e ‘ndrangheta entrano nel calcolo del Pil, sommandosi al giro di tangenti che già ne faceva parte, tolta la parte spostata su conti esteri. Il presidente del Senato Grasso invoca l’applicazione alla corruzione della legge anti-mafia, ratificandone la virtuosa confluenza. Le grida si susseguono come i 22 livelli di controllo interno sull’Expo –più sono i controllori e i declamatori di virtù più alto è il costo della corruzione e più sale il Pil.

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conness precarie

Le ali del sacrificio

La ristrutturazione fredda di Alitalia

Chi pensa che i sacrifici umani abbiano fatto il loro tempo si sbaglia di grosso! Se cambia la forma non vuol dire che la sostanza si modifichi di conseguenza. Perciò, sappiate che il sacrificio umano esiste ancora, negli ultimi decenni è particolarmente in voga e si fa chiamare ristrutturazione aziendale, austerità, flessibilità, snellimento industriale, ricapitalizzazione. La morte non è più immediata, siamo più sadici che in passato e godiamo nel veder lentamente morire le persone. Un esempio? Quanti ne volete. Prendiamone però uno eclatante, il caso di Alitalia.

Il 9 giugno è stato ufficialmente annunciato un accordo che a breve condurrà all’altare Alitalia, compagnia nazionale italiana in deficit dall’inizio dei tempi, per celebrare il suo sposalizio con Etihad, azienda di voli appartenente ai ricchi emirati arabi, forse gli unici che in questi anni di crisi hanno visto aumentare in modo esasperato i loro patrimoni, grazie anche alle promozioni che hanno riguardato gran parte delle aziende occidentali a corto di liquidi. Questa nuova unione, che segue il fallito tentativo di rianimazione portato avanti dalla cordata di investitori nostrani, vedrà la compagnia araba versare ben 560 milioni di euro all’Italia che, nonostante tutto, attraverso la persona di Lupi afferma che Alitalia resterà una compagnia europea.

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contropiano2

L'Unione Europea di fronte a se stessa

di Sergio Cararo

Tra poco meno di un mese si apre il semestre europeo presieduto da Renzi e dall'Italia. Questo rappresenta un test ambivalente sia sul piano della governance che su quello dell'opposizione popolare e delle alternative. Può essere l'occasione per portare più a fondo il confronto su questioni rilevanti abbondantemente rimosse o sottovalutate ma che peseranno come macigni sulle prospettive del mondo reale nel quale ci è toccato di vivere.

La Commissione Europea ha pubblicato in questi giorni un documento sulla Strategia europea di sicurezza energetica. Si tratta per ora solo di una proposta che ha l’obiettivo di definire le linee guida e di proporre azioni per affrontare le principali sfide energetiche che l’UE si troverà ad affrontare nel breve, medio e lungo periodo. L’Unione Europea infatti importa il 53% dei suoi consumi totali, 90% nel caso del petrolio e 66% in quello del gas naturale. E' evidente dunque il livello di “vulnerabilità” di uno dei principali blocchi economici del mondo in termini di risorse energetiche, il che rende l'Unione Europea un anello ancora debole su questo terreno. E' evidente come i due conflitti scatenati alle porte di casa – a sud in Libia e ad est in Ucraina – segnino un livello elevato di questa vulnerabilità.

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militant

A proposito di caduta del saggio di profitto

Militant

Forse il padronato non saprà portare fuori dalla recessione l’economia occidentale, ma di certo dispone di centri studi per interpretare la crisi migliori dei nostri. Per meglio dire, ogni tanto questi centri studi confermano con i numeri quello che noi affermiamo attraverso un discorso politico. Per chi se lo fosse perso, su CorriereEconomia di lunedì scorso è apparso un interessante contributo di Paolo Ciocca, responsabile del Servizio Studi BNL – gruppo BNP Paribas, che conferma tante cose dette in questi anni di crisi. Vediamo cosa dice il Servizio Studi della BNL, e poi confrontiamolo con ciò che abbiamo detto nel corso di questi anni per cercare di spiegare la natura strutturale della crisi economica. Ne riportiamo un ampio passaggio, ma va letta attentamente ogni parola:

In Italia, i consumi rappresentano circa il 60% dell’economia. 900 dei 1.500 miliardi di euro di beni e servizi prodotti dalle nostre imprese sono assorbiti dalla spesa delle famiglie. Lo sviluppo del paese dipende, dunque, dalla crescita dei consumi[...] Nel 1990, ognuno di noi aveva in media a disposizione un reddito annuo pari a 9mila euro. Ne destinavamo 7mila ai consumi. Nel 2007, i consumi avevano superato i 15mila euro, crescendo molto più del reddito.In 17 anni, avevamo aumentato le quantità consumate di oltre un quinto, mentre il potere d’acquisto dei nostri redditi era cresciuto di solo l’8%. Cosa aveva permesso la quadratura tra reddito stagnante e consumi in crescita? Semplicemente, avevamo ridotto il risparmio e contemporaneamente aumentato il debito.

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mainstream

Amici del futuro/2: Jean-Claude Michéa

Marino Badiale

J.C. Michéa, Il vicolo cieco dell'economia, Elèuthera

È bello scoprire di non essere soli nell'universo. Solo da poco ho avuto occasione di leggere questo piccolo libro del filosofo francese Michéa, uscito in Francia nel 2002 e in Italia nel 2004, e vi ho trovato una serie di riflessioni in forte assonanza con quanto Bontempelli ed io abbiamo elaborato negli ultimi anni. Il fatto che autori diversi arrivino in maniera del tutto indipendente a conclusioni simili è un buon indizio del fatto che certi concetti stanno facendosi strada.

Il punto di partenza di Michéa è la necessità di una critica radicale della nostra organizzazione sociale, le cui contraddizioni sono evidenti negli stessi discorsi ideologici ufficiali. Infatti l'apparato ideologico dominante ci presenta contemporaneamente queste due “narrazioni”: da una parte lo sviluppo tecnologico e scientifico ci offre ogni giorno nuovi progressi e nuove potenzialità, promettendo a breve l'avvento di un mondo in cui l'umanità realizzerà i suoi sogni secolari, e anche i sogni che non aveva mai sognato; dall'altra parte, appena si arriva alle “cose concrete”, il discorso dominante cambia di colpo e ci viene ricordato che abbiamo vissuto finora al di sopra dei nostri mezzi, che occorre rinunciare a diritti che si erano creduti acquisiti, che un lavoro stabile, una pensione dignitosa, cure mediche e istruzione universali sono ormai privilegi in contrasto con le leggi dell'economia. Come osserva Michéa,

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popoff

Sdraiato è chi lo legge fino in fondo

di Carlo Scognamiglio

Perché 'Gli sdraiati' di Michele Serra è un libro così malriuscito? Perché un intellettuale non riesce a scrivere molto di più di quattro ovvietà?

Troppo facile additare l'artificiosità e le brutture della scrittura di Michele Serra nel volume che quasi tutti hanno comprato o ricevuto in dono in occasione dell'ultimo Natale.

Troppo riduttivo sottolineare la spiazzante banalità di un testo che presumerebbe di poter tracciare uno spaccato della difficile relazione tra un genitore relativista e un adolescente contemporaneo.

Certo, è troppo semplice, ma è quello che hanno fatto molti lettori, che su siti come Amazon hanno lasciato traccia di una profonda delusione per questo libretto.

Il punto è un altro. "Gli sdraiati" è un lavoro malriuscito, probabilmente anche malpensato. Ma la domanda da porre è diversa: cosa ci rivela il maldestro tentativo letterario di un intellettuale che non è affatto, come si dice a Napoli, "l'ultimo dei fessi" in circolazione?

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centrorifstato2

I paradossi del voto europeo

di Francesco Marchianò

Un’analisi di Francesco Marchianò sui riflessi del voto europeo nel sistema politico italiano

Chi ha vinto?

Ha vinto Matteo Renzi, ma non il PD. Questo è il primo elemento che mi pare importante evidenziare. Senza l’azzardo di andare il governo, se fosse rimasto come presidente Letta, difficilmente il PD avrebbe raggiunto un risultato così grande. Inoltre ha vinto Renzi perché tutti i candidati a lui più vicini hanno fatto razzia di preferenze. È singolare notare come il PD raggiunga il suo massimo storico in termini percentuali (Veltroni nel 2008 presi più voti in assoluto) proprio nel momento in cui non ha in realtà né una chiara visione di cosa sia il partito né una visione del paese. Matteo Renzi ha fatto il segretario sì e no per due mesi, poi se n’è andato a Palazzo Chigi. Mai come in questo caso il partito è stato un taxi per il potere personale, mai come in questo caso è stato premiato dagli elettori. C’è, però, un secondo vincitore ed è Matteo Salvini che è riuscito a rilanciare la Lega la quale, in alcune regioni del Nord supera il 14% e torna a essere un attore imprescindibile per le forze del centrodestra. Renzi e Salvini incarnano due modi diversi di fare politica. Il primo parte dall’alto e fonda tutto sulla comunicazione e sul rapporto diretto con il popolo, grazie anche al coro unificato dei mass media a suo favore. Il secondo parte dal basso e prova, con successo, a riorganizzare soggetto politico riuscendoci nonostante i media sfavorevoli. Esistono, perciò, diversi modi di vincere.

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affarinternazionali

Uscire dalla trappola dell'euro

Marino Badiale

Uscire dall'euro? Con questo articolo apriamo la discussione

La questione dell'euro appare sempre più fondamentale per il dibattito politico, in Italia e negli altri paesi europei. Si tratta di una discussione necessaria che è stata finora soffocata dall'unanimismo pro-euro della politica e dell'informazione.

Se si vuole un dibattito vero, occorre che le diverse posizioni siano rappresentate in maniera chiara e netta. Sintetizzo allora alcuni punti fondamentali delle tesi anti-euro: l'euro è una trappola distruttiva per la nostra economia e per il nostro paese. Rimanendo nell'euro, il destino del nostro paese è quello di vedere distrutta la propria economia, drasticamente impoverito il proprio popolo, imbarbariti i rapporti sociali.

Condizione necessaria (anche se non sufficiente) per evitare questo destino è l'uscita dall'Unione monetaria e il ritorno a una moneta nazionale rispetto alla quale lo Stato abbia piena sovranità.


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manifesto

Il revisionismo storico investe il Sessantotto

di Mario Pezzella

"May '68 and its afterlives", un saggio dello storico statunitense Kritin Ross per University Of Chicago Press

È abba­stanza dif­fusa un’interpretazione del Ses­san­totto come moder­niz­za­zione del capi­ta­li­smo: que­sto sarebbe il suo merito o al con­tra­rio il suo pec­cato ori­gi­nale. Da un Ses­san­totto certo un po’ per­ver­tito qual­cuno fa discen­dere per­fino il ber­lu­sco­ni­smo, con la sua cari­ca­tura di libertà ses­suale e oltrag­gio alle isti­tu­zioni. Il libro di Kri­stin Ross May ’68 and its after­li­ves (Uni­ver­sity of Chi­cago Press) con­si­dera que­ste inte­pre­ta­zioni come il pro­dotto di una revi­sione sto­rica, pro­dotta dalla «tra­di­zione dei vin­ci­tori», come avrebbe detto Wal­ter Ben­ja­min. La vit­to­ria del neo­ca­pi­ta­li­smo è pro­iet­tata all’indietro nel tempo, tor­cendo in suo favore la con­si­stenza del pas­sato, ridu­cendo il Ses­san­totto a un suo prologo.

L’evento inde­ciso, in cui la plu­ra­lità dei pos­si­bili in sospeso ancora si apriva a esiti diver­genti, viene ridotto uni­vo­ca­mente alla visione neo­li­be­ri­sta: l’esito deter­mi­nato di un con­flitto sociale, che vede il pre­va­lere del capi­tale, viene ri-esposto come legge sto­rica. Le «comuni» anta­go­ni­ste del Mag­gio diven­tano poco a poco astra­zioni, uto­pie, poi sono defi­nite vel­lei­ta­rie, mino­ri­ta­rie, infine mai esi­stite; come è avve­nuto per la Comune ed altre brecce di libertà.

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il denaro

Via dall'euro?

Bisogna limitare i movimenti di capitale

Antonella Autero intervista Emiliano Brancaccio

Se a un certo punto diventasse indispensabile uscire dall’euro “bisognerebbe cautelarsi introducendo qualche vincolo alla libera circolazione dei capitali”. Ossia, almeno in parte, bisognerebbe mettere in discussione anche il mercato unico europeo. Invita a guardarsi bene dalle banalizzazioni delle due opposte “tifoserie”, gli ultras “anti-euro” e i pasdaran della moneta unica Emiliano Brancaccio, 43 anni, ricercatore e docente di economia politica presso l’Università del Sannio, uno dei pochi economisti ad avere anticipato la crisi dell’euro. Nel 2007, quando la parola “spread” non era ancora diventata di pubblico dominio, scrisse un articolo in cui annunciava la vendita in massa di titoli di stato italiani e l’aumento dei tassi di interesse: cioè gli avvenimenti che si sono effettivamente verificati nel 2011.

Per smontare quelli che definisce i “deliri” di chi vorrebbe l’Italia fuori dall’euro, l’economista Fabio Scacciavillani propone una domanda: “Se oggi venisse annunciato il referendum sul ritorno alla lira voi continuereste a tenere i vostri risparmi in una banca italiana rischiando di trovarli trasformati in carta straccia?” Che cosa ne pensa di un quesito di questo tipo?

L’attuale dibattito sull’euro mi sembra dominato dalle banalizzazioni di due opposte tifoserie, da un lato gli ultras anti-euro e dall’altro i pasadaran pro-euro.

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clashcityw

Il futuro dell'economia? La manifattura.

Lo ribadisce Intesa San Paolo...

“Sorpresa, l’economia riparte dalla fabbrica”, così qualche giorno fa esordiva un articolo sul Corriere della sera on-line a commento della presentazione del Rapporto Analisi dei Settori Industriali – Maggio 2014 di Intesa-San Paolo.

Durante la presentazione, il capoeconomista di Intesa Gregorio De Felice, ha affermato che: «Dopo anni in cui la fabbrica è stata vista come una reminiscenza del passato, la “old economy” rispetto alla “new economy” , e dopo la crisi, — osserva De Felice — si torna a pensare all’importanza delle capacità e delle competenze manifatturiere. Il futuro dell’economia europea non sarà basato sui servizi, come molti pensavano ma sulla manifattura».

Insomma, con i dati, viene smentita quella vulgata propagandata da giornalisti, intellettuali,etc. e che, purtroppo, spesso ha attecchito in modo rilevante nei movimenti, secondo cui in Italia starebbero scomparendo tutte le attività manifatturiere in favore delle sole attività di servizi, ove l'unica “produzione” possibile sia quella della conoscenza e l'unica industria sia quella del “bello”, come promosso dagli ideologi di Renzi, alla Oscar Farinetti, per intenderci.

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militant

Sòle elettorali

Militant

fiscal-compactNonostante l’affermazione del PD, dell’UKIP di Farage e del Front National di Marine Le Pen, il Partito Popolare europeo ha vinto le elezioni e si ritrova in Parlamento con il maggior numero di deputati. Conseguenza liberale vorrebbe che il candidato presidente espressione di quel partito, Jean Claude Juncker, sia nominato presidente della Commissione Europea. Siccome però il Parlamento europeo nei fatti non conta nulla, il veto posto da Cameron ha subito fatto declinare la possibilità di Junker a presiedere la Commissione. Ci si sta accordando su una scelta che prevede un parterre di nomi di tutto rispetto, fra cui spicca Cristine Lagarde, direttrice del FMI. Le cose stanno peggio di come le descrivevamo qualche settimana fa. In un precedente pezzo, infatti, davamo per sicura l’elezione di Junker qualsiasi fosse stato il risultato elettorale, anche avesse vinto Tsipras. La realtà è addirittura peggio della (facile) previsione. La Commissione Europea, il governo della UE, viene eletta a prescindere da qualsiasi risultato elettorale. Anche se questa dovesse essere vinta dal principale sponsor della UE, ciò che conta è l’accordo fra gli Stati membri e le indicazioni della BCE. Dunque, a cosa servono le candidature, i fantasiosi “programmi” elettorali, la campagna elettorale stessa, se poi il gioco viene deciso altrove, non solo nella sostanza ma addirittura nella forma?

Non è l’unica stranezza emersa dopo il voto di domenica.

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economiaepolitica

Lo spread e i trucchi della Bundesbank

Carlo Clericetti

Tutte le banche centrali dell’eurozona sono uguali, ma ce n’è una – si può dire parafrasando Orwell – che è “più uguale” delle altre. Chi indovina quale mai potrà essere?

Se qualcuno ha pensato alla Bundesbank, ebbene, ha indovinato. I fanatici custodi dell’ortodossia monetaria, sempre pronti a sparare contro qualsiasi mossa della Bce che secondo loro non rientra nei canoni tradizionali e i più granitici sostenitori del divieto per le banche centrali di sottoscrivere emissioni del debito pubblico (la cosiddetta “monetizzazione del debito”), a casa loro si comportano diversamente, e utilizzano regolarmente una procedura che può tranquillamente essere definita come un trucco per aggirare quella regola che ipocritamente impongono a tutti gli altri.

Scrivono tutti i media che l’asta Bund di oggi è andata maluccio: dei 5 miliardi di titoli messi all’asta ne sono stati collocati solo 3,772. Per il resto “è intervenuta la Bundesbank”. Come, come? Ma è vietato, anche dai trattati europei! Com’è possibile?

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connessioni

La democrazia è nuda e il gioco si fa duro

Dalle elezioni europee: astensione e malessere sociale in crescita

Dino Erba

Questa domenica in Europa più che elezioni hanno avuto luogo delle non elezioni. Gli europei, in maggioranza, hanno deciso di restarsene a casa invece di andare alle urne. Le elezioni, quindi, saranno legali ma non legittime, se teniamo conto del terzo significato della definizione del concetto di: “sicuro, genuino e vero sotto qualsiasi profilo”. Le elezioni non sono state real-mente veritiere perché il demos (il popolo) – ovvero chi dà sostanza ai partiti – ha deciso in maggioranza di non votare: da ciò si deduce che, secondo logica, le elezioni non sono valide anche se sono legali. Chi rappresentano gli eletti? Che appoggio popolare avranno le loro decisioni future?
RAMÓN REIG, Las non eleciónes1.

PDVD 015Quasi ovunque, i governi dell'Unione europea hanno agitato lo spauracchio dell’astensione e del populismo antieuropeo, scatenando una propaganda dai toni ora allarmistici ora suadenti ... senza escludere messaggi trasversali che, a ogni piè sospinto, ci sussurravano i vantaggi dell’Europa unita. L’esito è stato deludente ...

Nonostante la martellante propaganda, l’astensione non è arretrata rispetto alle elezioni precedenti – del 2009 –, e si attesta al 57%; oggi il panorama si presenta assai più variegato, con punte di astensione oltre il 60%, come in Portogallo; mentre in Italia, Paese notoriamente schedaiolo, l’astensione ha sfiorato il 42% (cui si deve aggiungere il 5,3% di schede bianche e nulle, quindi in totale circa il 47%), confermando una tendenza analoga che ha visto crescere l’astensione anche nelle contemporanee elezioni amministrative (oltre il 30%).

E questo preoccupa, poiché la maggioranza assoluta dei cittadini europei NON si riconosce nei numerosissimi partiti di destra, di sinistra e di centro, che si sono presentati alle elezioni.

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carmilla

Different Trains*

di Sandro Moiso

deportationTreni differenti hanno corso per le recenti elezioni europee. Alcuni sono deragliati, mentre altri sono arrivati a destinazione. E’ inutile girarci in tondo: per ora hanno vinto i peggiori. Anche se risultava davvero difficile individuare i migliori.

Analizzare brevemente il significato e i motivi di tutto ciò può, però, contribuire a non sbagliare ancora in futuro e a intravedere le possibilità di superamento del sistema attualmente, ed apparentemente, vincente.

Gli elementi che hanno infatti portato, a livello nazionale, Renzi e il suo partito alla vittoria sono estremamente diversi da quelli che, ad esempio, hanno caratterizzato la vittoria delle destre xenofobe e nazionaliste soprattutto in Francia e Gran Bretagna.
Paradossalmente, infatti, su un solo punto ha avuto ragione Grillo fin dall’inizio della sua carriera “politica”: il Movimento 5 Stelle è riuscito a contenere i possibili estremismi. Sia di destra che di sinistra. Ma su questo torneremo più avanti.

 

Trenitalia

Con Renzi non ha vinto la sinistra e nemmeno la democrazia, ma semplicemente il partito della classe imprenditoriale medio-alta italiana, che dell’Europa e della Germania si fa scudo per proseguire nella sua opera di finanziarizzazione dell’economia.

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aldogiannuli

Grillo deve “dimettersi”?

di Aldo Giannuli

beppe-grillo-europee-640Si stanno levando molte voci che chiedono le “dimissioni” di Beppe Grillo (ho visto una dichiarazione in questo senso anche di parlamentari del M5s o ex del movimento), anche in questo blog ci sono interventi che vanno in questo senso e qualche autorevole amico me lo ha scritto in una mail privata. Tutti, più o meno, ricordano la frase con cui Grillo diceva che si sarebbe ritirato se non avesse “vinto”. Bene, allora discutiamone.

In primo luogo: dimettersi da cosa? Grillo non ha cariche formali nel M5s, non ne è il segretario. Per cui la richiesta di dimissioni può significare solo che deve smettere di parlare e magari chiudere il suo sito. Mi sembra una richiesta eccessiva, che non si può fare neanche al leader più sconfitto del sistema solare: ma, allora, fatte le dovute proporzioni, uno come Veltroni cosa avrebbe dovuto fare? Per non dire di Paolo Ferrero.

Allora, come prima cosa mi pare sia il caso di “prendere le misure” di questo risultato elettorale.

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orizzonte

I Piddino Boys e la Carosellonomics

Lameduck

gigantebuonoIeri sera a "Piazzapulita" abbiamo saputo da Edward Luttwak che, nel 2011, Merkel e Sarkozy andarono da Obama a chiedergli di rovesciare il governo Berlusconi perché alcuni ministri italiani si erano lamentati con i colleghi francesi e tedeschi che il Premier stava con la testa da un'altra parte e non era in grado di governare la crisi e fare le fottutissime riforme. Al che - non ridete ora - Obama avrebbe risposto sdegnato che gli Stati Uniti non intervengono nelle politiche degli stati sovrani e quindi ciccia. Vi lascio fare le vostre congetture sull'interpretazione da dare a questa parabola del falcone neocon e indovinare chi sarebbero le nuore che dovrebbero intendere e se il messaggio debba o no essere ascoltato alla rovescia per capirne il vero significato.

A proposito di falconi e operazioni condor, ricordate quel vecchio carosello anni '70 dove i cittadini del Paese Felice erano costantemente minacciati dal perfido Jo Condor ma quando invocavano "Gigante, pensaci tuuuuu!!!" arrivava uno spilungone ex machina che risolveva tutto con saggezza e comminando infine la giusta pena all'odioso pennuto? Riguardiamocelo (e fate bene attenzione alla forma che assume l'uccellaccio folgorato: Confindustria o Terzo Reich?).

https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=nrTf2Kcv1wg

Perché questa botta di nostalgia dell'infanzia? Perché l'infanzia è il periodo del cosiddetto "pensiero magico". Ieri sera, dopo le rivelazioni di Luttwak sul golpe, venendo alla vittoria alla Enver Hoxha di Renzi che, secondo il falcone, "piace molto ai banchieri", si è passati al tema della serata: cosa farà Renzi per rilanciare l'economia.

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cambiailmondo

Da Atene a Berlino c’è anche Roma

di Roberto Musacchio

tsipras-stelleLa fortuna aiuta gli audaci, diceva il vecchio detto latino. Quelle poche migliaia di voti che rappresentano quello 0,03 che fa superare alla lista Tsipras il quorum dell’assurda, e incostituzionale, legge italiana, possono far pensare che ci sia alla fine un premio per chi ha coraggio. Ma i latini sapevano bene che l’audacia poggiava sulla forza di un progetto, di una idea di società e di mondo. Diciamo allora che l’audacia di provare a vincere la sfida delle europee è stata figlia proprio di questa riscoperta, quella che è possibile avere un progetto e una idea di mondo, e cioè un punto di vista autonomo, proprio, su se stessi, della propria gente e della realtà in cui viviamo.

Alexis Tsipras è stato il simbolo, e la dimostrazione nella dimensione reale e concreta, di questa audacia possibile. Lui l’ha costruita per sé, costruendosela da sé ma fruendo anche dei materiali resi disponibili sul campo come l’esistenza di un partito della sinistra europea, alla cui nascita come italiani avevamo contribuito, l’esperienza delle lotte di resistenza alla austerità e dei movimenti. Decisivo è stato, per chi lo ha fatto, il riconoscere in Tsipras questa capacità simbolica e questa potenzialità politica. L’ha fatto il partito della sinistra europea, l’ha fatto in Italia la lista l’Altra Europa.

Cogliere l’occasione di Tsipras è stato un bene per tutti. Per Alexis stesso ha significato proiettare la propria lotta di resistenza dentro la dimensione della sfida europea, dire che se è questa Europa che arreca la sofferenza contro cui combatto è questa Europa che voglio cambiare.

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mainstream

It's All About Italy

C. M.

Bandiera-EuropaL'ufficio studi della Jp Morgan, di cui abbiamo già potuto apprezzare le analisi, è convinto che la vittoria di Matteo Renzi renda l'Italia più forte a livello europeo, e più stabile l'Unione nel suo complesso. Cerchiamo di capire perché.

Occorre sottolineare che il PD di Renzi è stato il soggetto politico più votato in Europa, in termini assoluti (11 milioni e centomila suffragi contro i 10 milioni e trecentomila della portaerei di Angela Merkel, la CDU-CSU); in termini percentuali è superato solo dal Fidesz di Viktor Orbàn, dominatore incontrastato dell'Ungheria (51%). Ma Fidesz non è certo quel che si definirebbe una forza europeista; invece il PD di Renzi lo è, entusiasticamente. Questo partito, pur sommando due caratteristiche che in questi anni non hanno certo giovato dal punto di vista elettorale, e cioè l'europeismo e il trovarsi al governo, stravince nelle urne, in assoluta controtendenza rispetto allo scenario europeo.

Preme rammentarlo: le forze politiche "sistemiche", in primo luogo quelle riconducibili alle famiglie del PSE e del PPE, sono naufragate in molti importanti contesti nazionali. Esse si trovano sotto shock, se non apertamente in rotta, in Grecia, in Francia, nel Regno Unito, in Spagna. E ovunque raccolgono consenso liste, se non anti-euro, perlomeno eurocritiche.

Apparentemente si è trattato di una generale debacle dei partiti socialisti- e il desolante risultato elettorale del PS di Hollande sembra eloquente in tal senso. Eppure, ad un occhio più attento, queste giornate di fine maggio potrebbero rivelarsi una grande vittoria della socialdemocrazia europea e del suo programma politico.  

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sollevazione2

Ma perchè ha vinto Renzi?

di Piemme

renziclown 001Capisco che sotto botta ci si interroghi anzitutto sulle ragioni dell'insuccesso dei cinque stelle. Tuttavia, se sono le dimensioni del successo del Pd renziano il vero fatto eclatante, è sulle ragioni di questa inattesa avanzata che occorre interrogarsi.

Solo in questo quadro segnalo la spiegazione di Gianluigi Paragone della sconfitta dei pentastellati. In piena controtendenza rispetto ai molti che addebitano la causa della sconfitta di M5S all'eccesso di "estremismo protestatario", Paragone sostiene che Grillo avrebbe perso perché ha dato retta a Casaleggio:

«Il vero responsabile della sconfitta si chiama Gianroberto Casaleggio. Casaleggio era convinto di tenere in cassaforte i voti che prese alle politiche e perciò si dovesse “tranquillizzare” il voto moderato per tentare il sorpasso. Così ha messo la giacca e la cravatta ai suoi golden boy, li ha istruiti affinché parlassero come fighettini. E’ di Casaleggio la scelta di andare da Vespa e poi ai talk comodi, seduti, tranquilli».

Non per eccesso di radicalismo gli stellati avrebbero quindi perso tanti voti, quanto piuttosto perché non sono stati in grado di dargli sostanza, sorreggendolo con proposte di politica economica credibili, perché sono stati elusivi e sfuggenti sulla questione dell'uscita dall'euro.

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megachip

Europa: le elezioni immaginarie

di Nicolai Caiazza

quarto-statoLe elezioni europee sono state immaginarie. E sono state immaginarie nel senso proprio che la immaginazione è stata la forza portante e conseguente sia tra gli eletti che tra gli elettori. Cioè la scelta degli elettori non è stata dettata da un interesse sociale di miglioramento della propria condizione sia personale che di classe. Né tanto meno la scelta è stata conseguente alla volontà di perseguire un ideale di trasformazione della società in una direzione o in un'altra.

Ciò che ha mosso la votazione per l'una o per l'altra formazione é stata l'adesione a una forma, a una immagine mentale, a una illusione di movimento.

Le Pen e Renzi però hanno vinto e convinto persone che avevano deciso di partecipare alla rappresentazione delle elezioni. L'altra metà della popolazione, che non ha partecipato, ha preferito dedicarsi ad altro. La constatazione della non adesione al gioco elettorale di una parte della popolazione, se fino ad alcuni decenni fa poteva essere oggetto di analisi su una presunta immaturità democratica della popolazione, nella situazione attuale andrebbe piuttosto vista come un rifiuto cosciente di partecipare a un gioco dove, comunque vada, si uscirá sconfitti. È la sindrome del toro che dopo che è entrato nell'arena si rende conto che potrà lottare quanto vuole ma dall'arena uscirà solo da morto.

Perché il problema è a monte. Sono i rapporti sociali di forza a decidere e non le elezioni. Queste possono al più costituire un effetto collaterale.

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utopiarossa2

L’illusorio successo di Renzi

di Michele Nobile

renzieÈ incredibile e inaccettabile che, in presenza di un’astensione che raggiunge oramai il 30-40% del corpo elettorale, si continui a ragionare sui risultati elettorali calcolati solo sulla base dei voti validi. Con percentuali tanto elevate di rigetto della casta politica, qualsiasi ragionamento che si basi unicamente sui voti validi non potrà che distorcere gravemente il grado di consenso reale dei cittadini nei confronti dei partiti, con gravi effetti sul discorso politico. La tenacia con cui i commentatori restano abbarbicati a questa metodologia, scientificamente infondata e politicamente mistificante, è tanto più assurda quando praticata da chi pretende di andare contro la casta governante, se non contro il sistema.

In queste elezioni europee, in Italia non hanno votato 20,3 milioni di cittadini, nove milioni in più degli astenuti nelle politiche del 2013, un milione e mezzo di più che nelle europee del 2009. Sommando astensione e schede bianche e nulle, l’area complessiva del non-voto ammonta in queste europee al 44% del corpo elettorale (portando quindi il tasso dei voti validi al 56%: l'astensionismo è di gran lunga il maggior «partito» italiano. E se tradizionalmente nelle europee l’astensione è più alta che nelle politiche nazionali, è pur vero che nel 2013 l’area del non-voto era il 28% e ancor più alta fu nelle comunali.

Tralasciare l’astensionismo non solo comporta una distorsione gravissima del grado di consenso per i partiti e il sistema dei partiti, ma è significativo di una scelta politica: ignorare il baratro tra paese legale, cioè della casta politica, e paese reale, dei comuni cittadini. L’astensionismo non può più essere considerato un fatto fisiologico o bollato come «qualunquismo» o indifferentismo. È una scelta politica.Confusa e insufficiente, certo, ma oramai più avanzata di chi continua a votare per partiti che, insieme, hanno portato e continuano a portare il più duro attacco anti-sociale dell’Italia repubblicana e che hanno costruito un regime politico postdemocratico (1); è anche una scelta più razionale del voto per partitini che sono il massimo esempio di opportunismo e ipocrisia della sinistra europea. Chi ignora il dato del rigetto etico-politico della casta partitica e dei forchettoni rossi, obiettivamente assume che le elezioni possano ridursi a mera procedura di selezione dell’élite politica. Di fatto, questo è quanto accade, con tanta più forza in regime postdemocratico: ma non è certo un buon motivo per prestarsi a legittimarlo, magari per garantirsi titoli ad effetto nello spettacolo del teatro politico-editoriale.

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conness precarie

Cosa si impara dalle sconfitte?

Sulla fine temporanea della vicenda Electrolux

di Caprimulgus

Non sappiamo quanto voto operaio sia andato a Matteo Renzi grazie alla sua firma in pompa magna che ha chiuso la vicenda Electrolux. Certo è che, fin dai suoi primi giorni di governo, il nuovo unto dal Signore ha giocato una partita molto più sindacale di quanto possa apparire. Ed è una partita sindacale nella quale alcuni dei suoi ministri, da quello del lavoro Poletti a quella dello sviluppo Guidi, sono assi centrali.

La lotta all’Electrolux è durata oltre sette mesi con decine di scioperi, blocchi alle portinerie per le merci, cortei che hanno interrotto le principali arterie stradali intorno agli stabilimenti, discussioni nei consigli comunali. Un nuovo spazio pubblico operaio pareva faticosamente aprirsi, sebbene le organizzazioni sindacali abbiano scientemente cercato di circoscrivere o addirittura occultare la vicenda, giocando sulle differenze tra i vari stabilimenti.

Il passaggio decisivo rimane quello finale quando, dopo le tensioni tra funzionari e delegati sindacali, la trattativa è stata risucchiata verso l’alto escludendo quanti avevano sostenuto la lotta e sui quali ricadranno le conseguenze di quell’accordo.

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linterferenza

PIL, la prova ontologica dell’esistenza del Capitalismo

Roberto Donini

Cercando di tirare “il sasso oltre la siepe” Fabrizio Marchi nel suo articolo [1] si chiede se “ci si debba rassegnare a questa vita”. Ecco, noi dovremmo restaurare una forma libera e critica di religiosità, anzi di preghiera; alzandoci la mattina e ponendoci una domanda “ultima”, “trascendente” come quella di Fabrizio. La “vera” religione è quella di farsi domande “divine” non di ripetere risposte umane spacciate per non discutibili. Dunque preghiamo un po’. Nello “sferragliar d’arme” della settimana elettorale e sicuri dell’oblio prospettico, passa sulle agenzie una notiziola: tra gli indicatori del PIL saranno incluse attività illegali quali prostituzione, spaccio di droga e contrabbando. Ovviamente il trattamento mediatico è “banalizzante” e simpatico tipo “prostitute nuovo asset strategico della produzione” e compagnia sorridendo. Sorrido anch’io pensando al “povero” Saviano, che ora rischia di mettersi contro oltre che i “casalesi” anche l’ISTAT. Giungiamo le mani – o a scelta, loto e respirazione profonda – e iniziamo a pregare.

Conosco due “Giorgio” grandi critici del PIL: Giorgio Nebbia, merceologo per il quale la produzione non può essere ridotta ad un quantum indeterminato ma va valutata nel suo fine (output direbbero oggi gli anglo-informatici), insomma “se produce roba bona!”, e Giorgio Ruffolo per il quale il “paniere” deve essere assolutamente “riformato” e deciso politicamente includendo la qualità dei salari e dei servizi.

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linterferenza

Moriremo (neo) democristiani?

Riccardo Achilli

lapidi dc 300Il risultato del PD è oltre ogni possibile dubbio analitico. Rispetto alle politiche di febbraio (anche se non è del tutto corretto metodologicamente confrontare le due scadenze) il PD ha preso 2,6 milioni di voti in più. E’ presto detto: ha recuperato un pezzo dell’elettorato PD che a Febbraio era fuggito verso il M5S, composto, essenzialmente, da piccoli imprenditori, artigiani, in breve quella piccola borghesia che, come bene ci illustra Marx, oscilla sempre, in funzione dei suoi interessi, fra ribellismo e conformismo. E che in un PD a guida Bersani, e dominato ancora dagli ex Ds, vedeva un ostacolo, sia pur in effetti molto blando, ai suoi interessi, perché la sua segreteria era ancora targata di un qualche residuo di socialdemocrazia che la rendeva ostica a smantellare lo Stato e la funzione pubblica, ed a trasformare il Paese in quella prateria dove il piccolo borghese italiano sogna, da sempre, di correre come il Generale Custer (salvo poi tornare da Mamma Stato per chiedere protezione, se le cose vanno male).

Questi elettori in fuga sono tornati non appena hanno visto che il PD era in grado di abolire le province, smantellare i sindacati, distruggere ciò che resta del sistema pubblico, e promettere soldi e regalie.

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sollevazione2

Hanno vinto loro. Per adesso

Segreteria nazionale del MPL

url-126 maggio. Ci vorrà tempo per svolgere un’analisi non grossolana delle elezioni del 25 maggio. Lo faremo, come siamo abituati a fare, quando disporremo di tutti i dati. Solo allora si potranno decodificare i segni che stanno dietro allo sfondamento del Pd di Matteo Renzi e al flop di M5S di Beppe Grillo. 

Come c’era da aspettarsi, un simile responso delle urne, sta facendo esultare le classi dominanti e, in particolare, l’aristocrazia finanziaria.

Il Sole 24 ore per descrivere il clima euforico che regna a Piazza Affari, fa parlare i pescecani. Lo squalo n.1 esordisce: 

«È il risultato migliore che si potesse ottenere per i mercati finanziari, l'Italia è stato l'unico Paese a esprimere un voto europeista fra i fondatori e, contemporaneamente, ha ottenuto dopo anni un risultato di stabilità politica».

Lo squalo n.2 precisa: