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L’illusorio successo di Renzi

di Michele Nobile

renzieÈ incredibile e inaccettabile che, in presenza di un’astensione che raggiunge oramai il 30-40% del corpo elettorale, si continui a ragionare sui risultati elettorali calcolati solo sulla base dei voti validi. Con percentuali tanto elevate di rigetto della casta politica, qualsiasi ragionamento che si basi unicamente sui voti validi non potrà che distorcere gravemente il grado di consenso reale dei cittadini nei confronti dei partiti, con gravi effetti sul discorso politico. La tenacia con cui i commentatori restano abbarbicati a questa metodologia, scientificamente infondata e politicamente mistificante, è tanto più assurda quando praticata da chi pretende di andare contro la casta governante, se non contro il sistema.

In queste elezioni europee, in Italia non hanno votato 20,3 milioni di cittadini, nove milioni in più degli astenuti nelle politiche del 2013, un milione e mezzo di più che nelle europee del 2009. Sommando astensione e schede bianche e nulle, l’area complessiva del non-voto ammonta in queste europee al 44% del corpo elettorale (portando quindi il tasso dei voti validi al 56%: l'astensionismo è di gran lunga il maggior «partito» italiano. E se tradizionalmente nelle europee l’astensione è più alta che nelle politiche nazionali, è pur vero che nel 2013 l’area del non-voto era il 28% e ancor più alta fu nelle comunali.

Tralasciare l’astensionismo non solo comporta una distorsione gravissima del grado di consenso per i partiti e il sistema dei partiti, ma è significativo di una scelta politica: ignorare il baratro tra paese legale, cioè della casta politica, e paese reale, dei comuni cittadini. L’astensionismo non può più essere considerato un fatto fisiologico o bollato come «qualunquismo» o indifferentismo. È una scelta politica.Confusa e insufficiente, certo, ma oramai più avanzata di chi continua a votare per partiti che, insieme, hanno portato e continuano a portare il più duro attacco anti-sociale dell’Italia repubblicana e che hanno costruito un regime politico postdemocratico (1); è anche una scelta più razionale del voto per partitini che sono il massimo esempio di opportunismo e ipocrisia della sinistra europea. Chi ignora il dato del rigetto etico-politico della casta partitica e dei forchettoni rossi, obiettivamente assume che le elezioni possano ridursi a mera procedura di selezione dell’élite politica. Di fatto, questo è quanto accade, con tanta più forza in regime postdemocratico: ma non è certo un buon motivo per prestarsi a legittimarlo, magari per garantirsi titoli ad effetto nello spettacolo del teatro politico-editoriale.

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Se il fine dell’analisi dei risultati elettorali è comprendere il consenso reale dei cittadini verso i partiti e il loro sistema, quando l’astensionismo supera una certa soglia occorre adottare una metodologia persa: considerare i valori assoluti e rapportarli all’insieme dei cittadini aventi diritto di voto (da qui in poi indicati come adv), quindi tenendo conto anche degli astenuti e delle schede bianche e nulle, invece che dei soli voti validi.

Se le scelte di voto espresse dai cittadini in queste elezioni europee sono calcolate sull’insieme del corpo elettorale i risultati, in sintesi, sono questi.

Per il Partito democratico ha votato un elettore su cinque, non uno, quasi intero, su due, come potrebbe dirsi guardando alla percentuale ufficiale. Relativamente agli adv sono del tutto infondate affermazioni secondo cui i risultati del Pd di Renzi siano «un’enormità da Democrazia cristiana degli anni Cinquanta»: è vero che nel 1953 la Dc ottenne il 40% dei votanti ma, con la partecipazione elettorale al 94%, erano il 35% degli aventi diritto al voto; calcolato sugli adv con un tasso di voti validi al 56%, il risultato renziano è, invece, inferiore ai risultati della Dc in fase terminale (e lasciamo perdere gli anni Cinquanta!), che ottenne il 30% delle preferenze degli elettori nel 1987 e ancora il 25% nel 1992. Portando il consenso reale al Pd dal 18% delle politiche del 2013 al 22,6 degli adv, Renzi ha certamente conseguito un successo tattico, ma questo va relativizzato. In realtà il risultato è non solo inferiore a quanto incassava la Dc ma perfino di quanto abbia incassato il Pd nelle politiche del 2008, sotto la guida di Veltroni: allora ottenne dodici milioni di voti, il 25,7% del corpo elettorale (il 33% sui voti validi; e con Prodi, L’ulivo ottenne 11,9 milioni di voti nel 2006, il 25% degli adv). Nelle europee il Pd è fermo a 11,1 milioni di voti.

E a ben vedere si può rincarare la dose: in attesa di una più precisa analisi dei flussi elettorali, è lecito pensare che buona parte dei circa 2,5 milioni di voti in più ottenuti dal Pd rispetto alle ultime politiche vengano dalla dissoluzione del centro di Monti. Nel 2013 la coalizione montiana ottenne 3,5 milioni di voti, Scelta civica da sola 2,8 milioni (il 6% degli adv); ma in queste europee Scelta europea è crollata a un più che miserrimo 0,39%, neanche duecentomila voti. In altri termini: la crescita dei voti per il Pd deriva dal rimescolamento di carte ai danni dell’area montiana, non da uno sfondamento verso il centrodestra, l’astensione o il M5S.

Nel 2013 il M5S catalizzò buona parte della rabbia dei cittadini nei confronti di questa casta, cosa impossibile ai forchettoni rossi, contribuendo a ridurre l’astensionismo, ma nel 2014 ha perso quasi tre milioni di voti (2). Il grande sconfitto di questa tornata elettorale è indubbiamente Grillo, specialmente perché, illudendosi di poter fare la rivoluzione contro la casta politica per via elettorale, ha alimentato grandi aspettative. Tuttavia, la casta politica, i pennivendoli di regimi e la sinistra forchettonica hanno poche ragioni per  gongolare e gridare «Grillo asfaltato!» (Il giornale). Innanzitutto perché il M5S rimane il secondo partito o movimento del paese; in secondo luogo, perché è ragionevole pensare che chi ha votato Grillo nel 2013 possa orientarsi, in occasione di elezioni poco sentite come le europee, verso l’astensione invece che per il voto verso altri partiti. Questo deflusso di voti dal M5S entra nella spiegazione dell’impennata dell’astensionismo (comprese schede bianche e nulle) nel 2014: ad astenersi potrebbero essere stati gli elettori meno motivati del  M5S, presumibilmente quelli che provenivano dal centrodestra. Se è così, però, non è affatto garantito che il fenomeno si riproponga nelle prossime elezioni politiche nazionali, scadenza certo più sentita delle europee. L’incubo M5S è temporaneamente esorcizzato ma non liquidato.

L’altro sconfitto è Silvio Berlusconi, ma questo era previsto. Si può dire che queste europee siano la definitiva pietra tombale sulla bufala che per lustri interi ha legittimato la collaborazione dei forchettoni rossi, Prc, Pdci, e Verdi, con il centrosinistra: la formazione di un «regime berlusconiano» (3).

In realtà, tra il 1994 e il 2006, Forza Italia superò il 20% degli adv solo nel 2001; il nuovo partito, il Pdl, nel 2008 sfiorò il 29% degli adv (26% il neonato Pd), ma a quel punto, tra le coalizioni e i partiti era già iniziata la corsa a chi perde meno. La resuscitata Forza Italia pare già se non morta, agonizzante: sul 2013 ha perso 2,3 milioni di voti, riscuotendo il gradimento di appena il 9% degli elettori. Nell’insieme, le formazioni del frantumato centrodestra si collocano nel 2014 intorno al 17% degli adv, calcolando anche il partitino di Alfano. Sul 2013 la Lega nord ha guadagnato 300 mila voti, perdendone però 1,3 milioni sul 2008, anno miracoloso nel quale sembrò poter tornare ai fasti eroici dei primi anni Novanta del secolo scorso, quando incassava oltre 3 milioni di voti.

E arriviamo alla sinistra: che tira un respiro di sollievo, perché ha superato la fatidica soglia di sbarramento del 4%, portando a Strasburgo forse tre deputati e incassando un po’ di soldini dei contribuenti, ossigeno indispensabile per partiti le cui entrate sono per 9/10 di fonte statale.

In realtà, i risultati della lista non fanno altro che prolungare l’agonia della sotto-casta dei forchettoni rossi italiani (4). Relativamente a tutti gli elettori, la lista Tsipras ha ottenuto solo il 2,2%, giusto 0,1 decimi in più del disastroso risultato del 2008 ma 1,7 punti di percentuale in meno rispetto ai risultati sommati di Sel e Rivoluzione civile nel 2013. In pratica, meno 751 mila voti rispetto a quanto ottenuto da Sel e Rivoluzione civile: 1,1 milioni di voti contro 1,8. In risultato non migliora granché considerando anche i Verdi: si arriva al 2,7%. Tutto sommato, la lista Tsipras è stata favorita dall’astensionismo: se l’astensione fosse stata la stessa del 2013 avrebbe avuto il 3,1% sui votanti. Penso debba ringraziare gli astensionisti del M5S.

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In conclusione: in termini di poltrone e di consolidamento del potere personale Renzi, per ora, ha stravinto le elezioni europee. Il consenso reale per il centrosinistra, calcolato sull’intero corpo elettorale, si è invece ridotto ma, questa volta, molto meno che per i berlusconiani. Come negli anni Novanta, quando il centrosinistra governò per un arco di tempo quasi dieci volte maggiore del centrodestra, realizzando tutte le più importanti riforme dette neoliberiste e contribuendo in modo fondamentale alla costruzione di un regime postdemocratico, è possibile che il Pd vinca le elezioni per la prossima legislatura. Il semi-successo renziano potrebbe essere un buon motivo per tentare di ridimensionare Forza Italia nel parlamento nazionale. Ma di favori a Berlusconi il centrosinistra ne ha già fatti tanti e, del resto, l’esito finale non è proprio scontato: ripeto, il gioco è a chi perde meno voti. Inoltre, non è affatto detto che il drastico ridimensionamento delle ali laterali si risolva in un vantaggio per lo stesso Pd. Passi liquidare i supporter di sinistra, il cui ruolo storico è in effetti esaurito, ma che si ridimensioni anche l'ala, per così dire di destra, potrebbe rivelarsi un autogol per l’insieme del centrosinistra. 

Un confronto, archeologico ma istruttivo: nel 1987 Democrazia proletaria ottenne l’ 1,4% degli adv, la Lista verde il 2,1%. Dunque, scherzando potremmo concludere che dopo 27 anni, a confronto con la vecchia eppur non gloriosa Dp, la pretesa di rifondare il comunismo in un paese solo è progredita di 0,8 punti di percentuale; oppure, che il consenso elettorale per la sinistra, più o meno rossa e più o meno verde, sia regredito, complessivamente, pure di 0,8 punti di percentuale. Che sul 1996 pentano meno 6,3 punti di percentuale o 2,8 milioni di voti in meno. Negli anni Novanta e di nuovo nel 2006-2008 i forchettoni rossi e verdi hanno votato tutto quel che dovevano votare, comprese le sedicenti «missioni di pace» e riuscendo anche a stare al governo mentre dall’Italia partivano i bombardieri verso la Serbia e il Kosovo. Dal 2006-2008 la misura del fallimento storico è evidente anche sul piano distorto dei risultati elettorali, come se non bastasse il resto. Neanche il nome di Tsipras ha realmente risollevato le sorti, quanto a voti, della sinistra italiana. Questa sinistra è obsoleta sotto tutti i punti di vista. La lista Tsipras riesce perfino ad avere l’età media dei candidati più alta, insieme al Ncd: 53 anni, contro i 46 degli altri. Che dire? Rampanti contro dinosauri?

L’equivalente funzionale di Syriza in Italia non è quel che resta dei forchettoni rossi, commissariati da professori e giornalisti in un estremo tentativo di rianimazione, ma il M5S: nel senso che è l’unica formazione politica non compromessa con la casta di governo e che ha la volontà e la capacità, per quanto si è visto fino ad ora, di fare una vera opposizione. Tuttavia, anche il M5S è intriso di elettoralismo, al punto di rimanerne vittima. È un movimento democratico, nulla a che fare con il fascismo o con il cosiddetto populismo di destra. Al contrario di quanto è di moda sentire a destra e a sinistra, dagli eroici narodniki russi all’America latina il populismo è storicamente un fenomeno progressista ed antioligarchico, non reazionario, un movimento di massa. Il problema del M5S, semmai, è che non è abbastanza populista, nel senso che non opera per trasformare la carica anti-casta in movimenti popolari anti-istituzionali, puntando tutto sulle elezioni. Il che, alla lunga, significa che anche il M5S può penire o sta già pentando un veicolo del carrierismo politico. 


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Note

1) Ho ripreso il concetto di postdemocrazia da Colin Crouch, sviluppandolo ampiamente in Capitalismo e postdemocrazia. Economia e politica nella crisi sistemica, Massari, Bolsena 2012. Secondo Crouch il regime postdemocratico non ha nulla a che fare con il fascismo o un qualche genere di regime d’eccezione. Si tratta di un fenomeno internazionale, di cui in Italia si mostrano le caratteristiche peggiori anche grazie al grado di degenerazione degli eredi del Pci. La postdemocrazia può essere caratterizzata come un regime politico in cui:

- «sia le tecniche per manipolare l’opinione pubblica sia i meccanismi per esporre la politica all’esame pubblico pentano sempre più sofisticati, mentre il contenuto dei programmi di partito e le caratteristiche della rivalità tra partiti pentano sempre più vaghi e insulsi».
- «La nuova ellissi che va dai dirigenti alle lobby esterne passando per i consulenti, paradossalmente costituisce la parte pre- e postdemocratica. È predemocratica nella misura in cui garantisce accesso politico privilegiato alle singole aziende e agli interessi commerciali. È postdemocratica in quanto ha a che fare con i sondaggi di opinione e la politica degli esperti caratteristica di questo periodo. Le tensioni interne al partito contemporaneo di centro-sinistra sono le tensioni della postdemocrazia stessa».
- «In effetti, lungi dall’arrivare alla sparizione del potere statale sognata dai libertari, lo Stato delle privatizzazioni concentra il potere politico nell’ellissi: un nucleo centrale ristretto che interagisce soprattutto con le élite dei suoi pari nel settore affaristico privato».
Citazioni da Postdemocrazia, di Colin Crouch, Laterza, Roma-Bari 2003.
2) Su Grillo e il M5S si vedano: «I risultati elettorali confermano e accelerano il disfacimento del sistema parlamentare italiano» (commento delle politiche del 2013), http://utopiarossa.blogspot.it/2013/02/i-risultati-elettorali-confermano-e.html
e «Il Movimento 5 stelle. Una rivolta nella postdemocrazia e le ossessioni della (ex) sinistra italiana», http://utopiarossa.blogspot.it/2013/04/il-movimento-5-stelle-una-rivolta-nella.html
3) Si veda: «Parole al vento: populismo, bonapartismo, carisma. L’interpretazione del berlusconismo», http://utopiarossa.blogspot.it/2013/03/dopo-le-schiocchezze-sul-populismo-e-il.html#more ora in Capitalismo e postdemocrazia. Economia e politica nella crisi sistemica, Massari, Bolsena 2012 di Michele Nobile
4) Per un’analisi politica, storica, sociologica e linguistica della sinistra italiana rimando a: La sinistra rivelata. Il Buon Elettore di Sinistra nell’epoca del capitalismo assoluto, di Marino Badiale e Massimo Bontempelli, Massari editore, Bolsena 2007; I Forchettoni rossi. La sottocasta della «sinistra radicale», Massari editore, Bolsena 2007 e Le false sinistre, Massari editore, Bolsena 2007, entrambi a cura di Roberto Massari.

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