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carmilla

Quando Marx baciò Engels

di Luca Cangianti

La spiaggia di Ostenda è costeggiata dalla Galleria Reale, un porticato di quattrocento metri che unisce l’ippodromo con il parco e la villa del re dei belgi. Poi ci sono i ristoranti, i caffè, i negozi turistici, i complessi condominiali dallo stile accettabile e quelli decisamente orribili. Lì, davanti al mare delle Fiandre, oltre 170 anni fa, un Karl Marx ancora ventenne, in equilibrio sui frangiflutti di pietra, discuteva ispirato con Friedrich Engels di una rivoluzione che sarebbe stata al tempo stesso esistenziale, filosofica e sociale. “Der junge Karl Marx” (Il giovane Karl Marx), il film del regista haitiano Raoul Peck abbonda di scene a forte impatto visivo e simbolico. In questo modo riesce a sintetizzare con notevole abilità concetti filosofici complessi e sentimenti di grande intensità.

La famosa XI Tesi su Feuerbach (“I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo”) è ad esempio enunciata dal filosofo tedesco dopo uno sbocco di vomito causato da una sbornia colossale; i manoscritti di critica ai giovani hegeliani sono riletti a lume di candela in un’atmosfera calda e sensuale da Karl, dall’amico Friedrich e dalla moglie Jenny von Westphalen. Di tenore erotico è lo stesso sviluppo del rapporto tra Marx ed Engels; prima caratterizzato da reciproca antipatia, poi da conflitto e corteggiamento intellettuale, infine da passione travolgente: una corsa a perdifiato tra vicoli e anfratti per sfuggire alle grinfie degli sbirri, i fili della vita e della filosofia che si riannodano in un pub fumoso, un abbraccio forte come l’amore che spazza via i tiranni e la tristezza, e perfino un bacio (sulla fronte, però). È qui che Peck raggiunge il suo massimo, perché alla base della rivoluzione c’è una forma d’amore, di desiderio di vivere e lottare insieme. La rivoluzione è la fuoriuscita degli individui dalla solitudine, è il loro divenire comunità cosciente di un destino. Il bacio tra Marx ed Engels è l’annuncio della primavera insurrezionale del 1848.

“Der junge Karl Marx” è girato in tre lingue (tedesco, francese e inglese) e dallo scorso marzo è nei cinema tedeschi, francesi e belgi.

Da ottobre è anche disponibile in dvd in edizione tedesca, ma ancora non è noto quando e se arriverà nelle sale italiane. In un primo momento può sembrare un biopic piuttosto mainstream, ma solo perché è una produzione di qualità, con un’ambientazione curata e attori che recitano bene. È sorprendente come in poco meno di due ore Peck riesca a disegnare con grande verosimiglianza la personalità di Marx: l’intransigenza teorica, la trasandatezza nell’abbigliamento, la predilezione suicida per i sigari puzzolenti, l’assoluto deficit pragmatico, le mani bucate come arrivavano un po’ di soldi, la passione per i crostacei, i sensi di colpa (e forse d’inferiorità) nei confronti della sua compagna, l’investire tutta la libido nei confronti di una palingenesi basata sullo smascheramento scientifico della falsa apparenza. Nasce così l’ossessione che perseguita il filosofo per tutta la vita: scrivere un libro che porti alla luce il mostro invisibile del capitalismo, ricostruendone il complesso metabolismo. Marx iniziò a lavorare al Capitale già negli anni ’40, scrivendolo e riscrivendolo in varie forme, pubblicandone ogni tanto una parte senza mai completarlo, perché in fondo il suo oggetto era infinito e mutante.1

Ben caratterizzata è anche la figura di Engels, in conflitto con il padre industriale tessile, e dunque con la sua classe d’appartenenza. Risultato di questo attrito è una personalità simpaticamente contraddittoria e umanissima. Il giovane Friedrich è anticonformista, frequentatore di ambienti operai e irlandesi, ma anche profondamente borghese, amante del buon vino e degli agi vittoriani.

Gli altri personaggi storici che nella narrazione hanno un ruolo secondario non sono mai delle comparse anodine. Ognuno conserva infatti un tratto saliente: Proudhon sorride bonariamente, Weitling ha gli occhi da pazzo e fa discorsi incendiari, Ruge ha paura della propria ombra, Bakunin parla già d’anarchia e diffida del socialismo autoritario.

Tuttavia, a guardar bene, c’è ancora di più in questo film: allusioni subliminali al presente, microscopiche (e probabilmente volute) divergenze dalle fonti storiche che conferiscono alla narrazione un’autenticità che nessuna pignoleria sarebbe capace di restituire. Da questo punto di vista si possono citare: Jenny von Westphalen che dà del “tu” a Engels e alla sua compagna Mary Burns, Marx fluente in inglese già nel 1845, ma soprattutto il falso storico più colossale, eccitante e azzeccato: il filosofo di Treviri più bello e affascinante del suo amico biondo, grazie al fisico e all’interpretazione dell’attore tedesco August Diehl. Insomma, se il film è adatto a qualsiasi tipo di pubblico, i conoscitori della vita e del pensiero di Marx ne trarranno un piacere supplementare grazie alle brillanti soluzioni narrative utilizzate per mettere in evidenza dettagli storici e snodi teorici.

Il Karl Marx di Raoul Peck è l’esatto contrario del vecchio profeta barbuto, adorato e imbalsamato dal socialismo reale. È un ventenne pieno di passione, arroganza, fragilità caratteriale e fisica. Lo vediamo fare l’amore con Jenny, supplicare per un posto di lavoro, cambiare idea più volte, sentirsi in colpa verso la famiglia, frequentare centri sociali del tempo come il Red Lion di Londra, studiare voracemente, entusiasmarsi, deprimersi, ubriacarsi e combattere come un leone. Questo giovane Marx non è un cavaliere senza macchia e neanche un noioso topo di biblioteca, è un uomo profondamente ferito che si dedica a un’avventura disperata, nobile e ambiziosa. Nel film, che copre l’arco temporale che va dal 1842 al 1848, non si rivelano le cause della sua ferita e la battaglia finale contro l’antagonista è lasciata ai titoli di coda, quando le immagini delle rivoluzioni novecentesche, delle lotte anticoloniali, di Che Guevara e Nelson Mandela, sono accompagnate dalle note di Like a rolling stone: “When you ain’t got nothing, you got nothing to lose”, canta Bob Dylan. Similmente Marx scrive nelle parole conclusive del Manifesto del partito comunista: “I proletari non hanno da perdere che le loro catene. Hanno da guadagnarci tutto un mondo.”


Note
1 Cfr. Francis Wheen, Il Capitale. Una biografia, Newton Compton, 2007.

Comments

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Eros Barone
Monday, 13 November 2017 11:17
Per la verità, né Marx né Engels, riflettendo in questo una sensibilità largamente diffusa nell’opinione pubblica, erano disposti ad approvare una libertà sessuale come l’omosessualità. Può essere opportuno, a questo proposito, rievocare, per il suo valore emblematico e per il taglio simpaticamente goliardico, un episodio quanto mai rivelatore documentato dal carteggio fra i due cofondatori del socialismo scientifico e inseparabili amici. Sta di fatto che nel 1869 Karl Marx aveva spedito a Friedrich Engels una copia di "Argonauticus", il libro dell’avvocato tedesco Karl Ulrich, il quale sosteneva che il desiderio omoerotico era innato e che mascolinità e femminilità dovevano essere viste come un “continuum”. Engels, accusando ricevuta tra il serio e il faceto, si dichiarò sconvolto da tali “rivelazioni contro natura”. «I pederasti stanno cominciando a contarsi, e a scoprire che sono una potenza», scrisse a Marx. «‘Guerre aux cons, paix aux trous-de-cul’ [Guerra alle fiche, pace ai buchi di culo] sarà da oggi lo slogan. Personalmente ritengo una vera fortuna che siamo troppo vecchi da dover temere che, quando questo partito prevarrà, dovremo pagare un tributo fisico ai vincitori […] Aspetta solo che il nuovo Codice penale della Germania settentrionale riconosca i “droits du cul”, poi agiranno in modo ben diverso. Le cose si metteranno davvero male per i poveri ingenui come noi, con le nostre infantili preferenze per le donne» . Per altro, lo scritto di Engels sulle "Origini della famiglia, della proprietà privata e dello Stato" (1884) si rivelò un importante contributo alla teoria socialista del XX secolo e su questa opera si formò un’intera generazione di femministe marxiste. Risulta allora evidente che il regista del film sul giovane Marx non è al corrente (o, peggio, finge di non essere al corrente) della schietta eterosessualità dei due fondatori del socialismo scientifico. Diversamente, piuttosto che inventarsi il bacio tra i due amici, avrebbe potuto inserire nel suo film questo gustoso episodio, ricavandolo da quella miniera di aneddoti e di curiosità che è contenuta nel carteggio intercorso fra i due amici in un periodo durato quarant'anni.
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Mario Galati
Saturday, 11 November 2017 22:20
Eros Barone si sforza di portare il discorso sul pensiero. Da quello che ho letto nell'articolo, però, sembra che il film si dedichi a suggerire la natura omosessuale del rapporto tra Marx ed Engels o a presentarli come scapigliati frequentatori di centri sociali, e così poeticamente licenziando. Sembra che non ci faccia mancare i soliti cliché cinematografici, sia nella recitazione che nella sceneggiatura, anche se ciò viene presentato come bravura e buona fattura del film. Ripeto, ciò traspare dall'articolo e io non ho visto il film. Ma se ci fidiamo della recensione si può anche fare a meno di andare a vederlo.
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Eros Barone
Saturday, 11 November 2017 21:59
Non sapevo di questo film sul giovane Karl Marx e sulla sua amicizia con Friedrich Engels, realizzato dal regista haitiano Raoul Peck. Sennonché mi ha fatto sovvenire della densa e appassionante biografia intitolata «La vita rivoluzionaria di Friedrich Engels», che lo storico inglese Tristram Hunt ha dedicato una decina di anni fa a colui che è stato, assieme a Karl Marx, il cofondatore del socialismo scientifico. Per via di questo ricordo bibliografico mi è tornato in mente, per contrasto, il commento che fu espresso da Fausto Bertinotti sulla scelta del Partito democratico, quando questo, in occasione della campagna elettorale del 2008, scelse di abbinare alla candidatura di un imprenditore la candidatura di un operaio: un commento (“uno dei due è di troppo”) che implicitamente poneva la questione del rapporto tra origine sociale e orientamento politico. Orbene, è doveroso osservare che quel commento, se da un lato era diretto contro un’operazione di segno tipicamente interclassista, dall’altro non esprimeva affatto una posizione di classe
riconducibile alla concezione marxiana o alla tradizione marxista, bensì una posizione risalente all’ideologia operaista di Pierre-Joseph Proudhon, il quale faceva derivare meccanicamente l’orientamento politico dall’origine sociale. Basti pensare che, se un simile criterio fosse valido, il movimento operaio avrebbe dovuto escludere dal suo seno gli stessi fondatori del socialismo scientifico, in quanto Marx era figlio di un esponente della media borghesia intellettuale ed Engels non solo era figlio di un industriale tessile, ma svolse lui stesso tale attività dopo essere subentrato al padre, in séguito alla morte di quest’ultimo, quale imprenditore dell’azienda che la famiglia Engels possedeva a Manchester.
La dottrina del socialismo scientifico, d’altronde, non sarebbe mai potuta sorgere se alla sua elaborazione non avessero recato un contributo decisivo intellettuali di
origine borghese che, come Marx ed Engels, ruppero con la classe di appartenenza e posero le loro capacità intellettuali al servizio della classe del proletariato e della causa del comunismo. Occorre inoltre sottolineare che, come lo stesso Engels non si stancò mai di ribadire, il comunismo è la causa della liberazione (non di una classe ma) dell’intera umanità. Ciò comporta che a tale causa possano (e debbano) aderire persone che appartengono a tutti gli strati sociali e che individuano nel partito comunista e nella dottrina marxista lo strumento della loro unificazione ideale, organizzativa e politica sul terreno della lotta rivoluzionaria contro il sistema capitalistico di produzione e di scambio, per la costruzione di una “società nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti”.
Per quanto concerne il rapporto tra Marx ed Engels, sarebbero già sufficienti due citazioni chiave dal loro fittissimo epistolario per delineare nitidamente il rapporto di complementarità che legava i due inseparabili amici e per fare giustizia della svalutazione che ha condizionato a lungo, soprattutto nel nostro paese, il giudizio sul fondamentale contributo del secondo alla formazione e allo sviluppo del pensiero comunista moderno. Fermo restando che, come ebbe a dire in occasione della sua morte, Marx “era un genio, mentre noialtri al massimo avevamo talento”, in una lettera del 17 marzo 1845, scritta alcuni decenni prima, Engels così definiva la personalità intellettuale del grande amico: “Suppongo…a giudicare…dal tuo carattere, che tu insisterai di più sulle premesse che sulle conseguenze”. Marx, dal canto suo, in una lettera del 4 luglio 1864 così tratteggiava il ruolo di Engels nella grande intrapresa della elaborazione congiunta del materialismo storico, della critica dell’economia politica e del socialismo scientifico: “Tu sai che: 1) a tutto io arrivo con ritardo e che: 2) io seguo sempre le tue orme”.
Vi sono dunque solidi motivi per attribuire a Engels un ruolo essenziale non solo nella divulgazione, ma anche nella elaborazione e nello sviluppo del pensiero
comunista moderno. Alla luce di tali motivi, se è legittimo indicare in Engels “un esempio da seguire”, volendo con ciò sottolineare l’adesione del figlio di un industriale tessile alla causa del comunismo, è altrettanto legittimo affermare, prendendo spunto sia dal film di Peck sia dalla biografia di Hunt, la necessità di “usare il pensiero” di Engels, facendo di esso, così come di quello di Marx (giacché sono inscindibili), un’arma della lotta per l’emancipazione sociale.
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