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Si riaccende la guerra in Siria e gli Usa addestrano nuove forze

di Davide Malacaria

La guerra siriana è entrata in una fase nuova e piena di incognite. Il contrasto all’Isis si può dire concluso, stante che l’Agenzia del Terrore ha perso il controllo delle zone in cui si era installato. Ma la guerra non è affatto finita, anzi.

La battaglia per Idlib è in pieno svolgimento: Damasco (sostenuta dai suoi alleati russi e iraniani) vuole riprenderne il controllo. Situata al confine della Turchia, tale zona è stata una spina nel fianco per l’esercito siriano fin dall’inizio della guerra: attraverso essa infatti passavano aiuti e rinforzi per le forze di opposizione.

Sembrava che gli ultimi accordi di Astana (conclusi da Iran, Turchia e Siria sotto l’egida di Mosca), che hanno portato alla creazione di alcune aree di de-escalation, potessero portare il negoziato a un livello più alto. Non è andata così.

Le truppe turche entrate a Idlib per far rispettare la tregua hanno scelto di convivere con le milizie di al Nusra (al Qaeda) che vi sono incistate, piuttosto che frenarle. Così queste hanno perseverato nei loro attacchi contro il territorio siriano.

Ciò perché Ankara non è affatto intenzionata a restituire l’area a Damasco, dal momento che gli consente una proiezione strategica in Siria. E la tacita alleanza con le milizie che la controllano gli offre opportunità di ampliarla.

Damasco non può accettare tale pretesa, da qui la campagna per riprendere la zona. Un’operazione che vuole portare a compimento prima della fine di gennaio, ovvero prima che i protagonisti delle trattative di Astana si ritrovino a Sochi per una nuova fase negoziale.

Per Damasco si tratta di giungere a quella data mettendo i suoi avversari di fronte al fatto compiuto. Cosa che Ankara non accetta. Da qui la possibilità di un ingaggio diretto tra turchi e siriani, che avrebbe conseguenze più che nefaste.

Tale controversia mette a rischio l’alleanza tra la Turchia e la Russia. Nonostante il nuovo asse con Ankara, infatti, Mosca sostiene le ragioni e l’esercito di Damasco spiegando che la campagna di Idlib serve a eradicare al Qaeda, cosa peraltro vera.

Una criticità, quella tra Ankara e Mosca che a inizio anno ha rischiato di deflagrare in aperta rottura a causa dell’inusitato attacco alla base aerea russa di Khmeimim, situata in terra siriana, condotto con uno sciame di droni.

Un’operazione più che sofisticata, la prima del genere in un teatro di guerra. Il fatto che i droni provenissero proprio da Idlib ha alimentato il sospetto che fosse opera dei turchi.

Niente affatto, ha spiegato Vladimir Putin l’11 gennaio, il quale ha detto che i russi sapevano chi erano i veri responsabili e quanto avevano pagato (tanto che li hanno attaccati il giorno seguente).

L’operazione contro Khmeimim, ha aggiunto il presidente russo, aveva “due obiettivi: primo, quello di far deragliare gli accordi precedenti [di Astana ndr.]; secondo: distruggere le relazioni tra i russi e i suoi nostri partner”, in particolare la Turchia.

Operazione di alto profilo strategico, dunque, ma fallita. Detto questo, seppure i rapporti tra russi e turchi sono rimasti saldi, il nodo Idlib sarà difficile da sciogliere e rischia di far salire al parossismo la tensione tra Damasco e Ankara.

A tale tensione si è sommata negli ultimi giorni quella provocata dall’improvvido annuncio americano di domenica scorsa, riguardante la creazione di una forza di sicurezza locale nelle aree della Siria sotto il loro controllo (Nord-ovest).

Tali forze, 30mila uomini armati e addestrati dall’Us army, saranno formate da curdi e avrebbero come struttura portante le milizie del Pkk e del Pyd (il partito comunista e le forze dell’Unione democratica).

Al di là della singolarità che vede gli Usa armare una forza comunista (bizzarrie della storia), l’annuncio ha provocato le proteste di Mosca, Damasco e Ankara. La creazione di un esercito di ascari al servizio degli Stati Uniti rende di fatto permanente la loro presenza in Siria.

Una deviazione oggettiva del mandato originario della coalizione internazionale creata a suo tempo dagli Usa, istituita al solo scopo di combattere il terrorismo dell’Isis in Siria e Iraq.

Peraltro russi, turchi e siriani ricordano agli Usa quanto sia pericoloso armare ascari di tal fatta. Lo fece con i mujhaidin al tempo della guerra afghana e creò al Qaeda.

Per i turchi lo smacco è doppio, dal momento che considera il Pkk e il Pyd organizzazioni terroriste.

Gli Stati Uniti si sono limitati a spiegare che non si tratta di creare un esercito, ma forze di difesa locali per controllare il territorio e prevenire il ritorno dell’Isis.

Una smentita che non smentisce. Peraltro il vice primo ministro turco Bekir Bozdag ha notato che gli Stati Uniti hanno deciso di fornire a tali milizie anche armamenti anti-aerei, e l’Isis “non ha forze aeree”.

Da qui la convinzione degli avversari di Washington che essa pensi invece di creare le basi per la spartizione della Siria, parte della quale resterà sotto il controllo americano, e di usare tali milizie per contrastare la creazione dell’asse Iran-Siria (attraverso l’Iraq) e contenere le ambizioni turche.

Il presidente turco Recep Erdogan è più che preoccupato: se gli Usa aiutano i curdi, la guerra che ha scatenato contro di essi rischia di avere esiti del tutto imprevisti: non più un’occasione per giustificare il suo intervento in Siria e Iraq, dove forte è la presenza curda, ma un pericolo mortale.

Rischia, infatti, di ritrovarsi la guerra in casa con esiti destabilizzanti: ad oggi ha schiacciato le organizzazioni armate curde stanziate in Turchia, con mezzi brutali che hanno creato nocumento all’intera minoranza curda, ma il sostegno americano ai curdi cambierebbe di molto la situazione.

A gennaio, oltre alla tornata negoziale di Sochi, è prevista la ripresa delle trattative di Ginevra sotto l’egida dell’Onu. Ad oggi non si vede come possano produrre risultati.

Nel caos l’idea di una partizione della Siria non può che prendere vigore. Un’opzione che, al di là delle giustificazioni del caso, non può che rendere provvisoriamente definitiva l’instabilità dell’area, con proiezioni nefaste a livello globale.

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