Kant, il capitale e il lager
di Italo Nobile
In occasione della giornata della memoria abbiamo assistito all’abituale esegesi celebrative dell’Olocausto a cui – da sempre – si accompagna la perniciosa narrazione che tende ad assolutizzare ed astrarre questa tragedia dal contesto storico in cui si è consumata.
Con la assurda precisione a cui avremmo più tardi dovuto abituarci, i tedeschi fecero l’appello. Alla fine “Wieviel Stuck ?”domandò il maresciallo. E il caporale salutò di scatto e rispose che i pezzi erano 650, e che tutto era in ordine. Allora ci caricarono sui torpedoni e ci portarono alla stazione di Carpi. Qui ci attendeva il treno e la scorta per il viaggio. Qui ricevemmo i primi colpi. E la cosa fu così nuova ed insensata che non provammo dolore, né nel corpo, né nell’anima. Soltanto uno stupore profondo: come si può percuotere un uomo senza collera? (Primo Levi)
Come si può percuotere un uomo senza collera? E’ molto semplice. Quegli uomini non stavano percuotendo un uomo. Potremmo dire che stavano percuotendo degli oggetti. E perciò potremmo insistere sulla reificazione delle persone, su di una sorta di materialismo che non riconosce le persone, sulla manipolabilità degli altri soggetti. Una strada già battuta. Io vorrei seguire invece un’altra strada, anch’essa già battuta, ma non sino in fondo, dalla Hannah Arendt che seguiva il processo Eichmann.
Quegli uomini non stavano percuotendo delle persone. Stavano eseguendo un ordine. La loro non era un’azione, ma una meta-azione. Essi non seguono una regola, ma una meta-regola. E qui bisogna risalire ad un principio fondamentale, che è stato portato a compimento da Kant, ma che è in nuce in tutta la grande filosofia occidentale: lo chiameremo il formalismo nell’etica.
Perché Socrate non accetta di scappare? Perché deve rispettare la legge ateniese. Perché rispettare la regola del seguire la regola è più importante di discutere quale questa regola sia. Kant con il dovere per il dovere porta a compimento questa tendenza. Il “Tu devi” è il principio (per molti versi condivisibile) per cui bisogna applicare la regola vigente (e presumibilmente condivisa), altrimenti non ci sarebbe la ragionevole speranza di applicare la regola che si ritiene giusta, una volta che questa sia elevata a regola vigente. “Pacta sunt servanda” è un’altra versione della stesso principio meta-etico e meta-giuridico.
Però questa priorità della meta-regola rispetto alle regole di contenuto ha un risvolto diabolico che ci porta a dubitare massimamente di essa. Tale risvolto è esemplificato dal brano di Primo Levi. Perciò la meta-regola può essere applicata solo quando si sono individuate le regole che attengono al contenuto. Non ci può essere un momento intermedio dove si dice “Abbiamo una morale sostanziale provvisoria che non è del tutto plausibile, ma che nel frattempo dobbiamo rispettare altrimenti finiremo nell’arbitrio, giacchè è necessario rispettare la meta-regola”. Questo momento è già l’arbitrio, nonostante il rispetto della meta-regola. C’è poi una concretizzazione storica frequente di questo principio che avvalora il sospetto sulla sua natura fittizia e perciò ideologica. Con la morale provvisoria permanentemente adottata, le classi dominanti hanno sempre legittimato il loro imperio sulle classi dominate. La ribellione contro l’ordine costituito è stata sempre censurata, proprio perchè si realizza con la violazione delle meta-regole e perciò prepara un orizzonte di assoluta anarchia.
Anche l’etica del lavoro (basata su di una variante del pacta sunt servanda) statuisce il principio che, quale che sia il lavoro, esso deve essere fatto. Fa niente che si tratta di costruire armi, fa niente che si vendano prodotti in barba alla volontà dell’acquirente, fa niente che si sfruttino i lavoratori, fa niente che si versino liquami tossici in luoghi di pubblico interesse. It’s my job. Non c’è differenza sostanziale tra il dominio capitalistico sul lavoro, il formalismo etico e il lager. Il primo è una applicazione del secondo ed il terzo una semplice iperbole delle prime due. Ma la struttura fondamentale è isomorfa.
La reificazione dell’altro non è tanto conseguenza del razionalismo o del materialismo, ma del fatto che un ordine di un terzo (che ci domina) ci consente di non guardare al nostro prossimo. L’ordine è come un’intercapedine tra l’uomo e l’altro uomo. Così come il capitale, dominandoci, ci rende concorrenti degli altri lavoratori e pur mettendoci insieme, ci rende più fortemente delle isole.
La logica burocratica è una variante di questo atteggiamento. La procedura è lo strumento con cui dichiariamo la nostra sottomissione all’istituzione nella quale siamo incastonati come una vite in un meccanismo. Il nostro interlocutore non è il cittadino o l’utente, ma sempre il nostro superiore gerarchico. L’ingresso di criteri aziendali nella pubblica amministrazione è solo un cambio di strumento, ma non una trasformazione dei fini dell’istituzione, la quale non si deve rivolgere ai cittadini, ma deve vendere un prodotto, deve rispettare un budget, un budget del quale il nostro interlocutore umano è un’appendice a volte fastidiosa, ma di cui non ci curiamo. E’ la sponda di una carambola, dove la buca è il raggiungimento del target. E’ per questo che si può percuotere un uomo senza collera. I mafiosi dicono “Non ce l’abbiamo con te. Si tratta di affari”. Non scherzano.
Comments
4.1 Potere (Kant)
Agisci solo secondo quella massima che tu puoi volere, al tempo stesso, che divenga una legge universale.
4.2 Volere. (Voltaire)
Agisci in modo da considerare, l'umanità nella tua persona e nella persona di ogni altro, sempre come fine e mai come mezzo.
4.3 Dovere (Rawls)
Opera in modo che se tutti agissero così in quella situazione e tu fossi una qualsiasi delle persone coinvolte nella tua azione, saresti comunque soddisfatto.
4.4 Indipendenza (Beccaria)
Le leggi sono le condizioni colle quali uomini indipendenti e isolati si unirono in società, stanchi di vivere in continuo stato di guerra.
4.5 Prassi (Gramsci)
Egemonia: le classi dominanti impongono i propri valori politici, intellettuali e morali a tutta la società, con l'obiettivo di saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso da tutte le classi sociali, comprese quelle subalterne.
Se ciascun componente delle classi dominanti fosse virtuoso, la “Prassi” non sarebbe imposta per via coatta, ma accettata e condivisa consapevolmente da tutti.
In realtà Kant si sovrappose alla riforma luterana impadronendosi dei dogmi conferendoli ad una classe dominante che aveva la sola mira del progresso ottenuto per via egemonica.
Sul progresso, poco varrebbe discutere sugli evidenti vantaggi che produce sull’umanità, ma sull’imperativo si è formò il caos intorno alle categorie che hanno scompigliato l’ordine morale del paradigma interclassista.
È amaro constatare che sin da allora, Cesare Beccaria non fu ascoltato per aver distinto la differenza tra peccato e reato, il primo riguarda l’atto commesso del singolo nei confronti di Dio, il secondo riguarda i rapporti tra la singola persona e il prossimo che è la famiglia e la società comunque organizzata.
1) L’equivalenza basata sull’isomorfismo non è l’identità omogeneizzante
2) La situazione per cui tre oggetti cadono sotto uno stesso concetto non è la stessa in cui tre stati di cose hanno una struttura isomorfa
3) Cosa s’intende in questo caso per logica fuzzy? A me pare un’altra cosa. O si voleva fare dell’ironia? Ah, diavolo di un uomo…
4) Il fatto che una situazione più concreta possa essere considerata applicazione di uno schema più astratto non implica che lo schema più astratto preceda storicamente o causalmente la situazione più concreta.
Per il resto le osservazioni fatte sono degne di discussione, anche se io ho cercato di trovare un’altra interpretazione rispetto a quella della reificazione o dell’amministrativizzazione del mondo (che ho presentato come una variante di qualcosa di più generale).
da Edwin Abbott Abbott: un mondo anch'esso dotato di una struttura isomorfa e di un potere omogeneizzante, in cui l'abitante di un universo bidimensionale entra in contatto con l'abitante di un universo tridimensionale. Sennonché, ragionando in tal modo, si può arrivare a sostenere che una tigre, un bue e un gatto sono identici in quanto sono, tutti e tre, animali quadrupedi... A parte la logica 'fuzzy' di questo modo di ragionare, quello che si verifica è proprio ciò che io ho criticato, vale a dire lo slittamento dalla tematica del potere a quella dell'autoritarismo, dai rapporti di produzione ai meccanismi psichici di introiezione, più o meno coatta, del consenso. In altri termini, è un tipico spostamento dalla sfera della produzione a quella della circolazione, per cui il derivato (che lo si definisca metaregola od ordine è, sotto questo profilo, indifferente) viene scambiato con l'originale, il fondato con il fondante, finendo con lo spacciare la realtà dell'apparenza per radicalità e il connotato generico per il tratto specifico. Non a caso questo tipo di tematica accomuna tanto la scuola di Francoforte quanto il giovane Lukàcs, i quali attingono largamente dalla riduzione sociologica operata sul corpo del marxismo da Weber e da Simmel. Il mercato, il denaro, la forma-azienda e la forma-lager - enti realissimi - divengono fantomatici quando sono assunti a spiegare come causa prima il dominio capitalistico e la reificazione. Che il lavoro diventi merce è qui solo un caso particolare dell'evoluzione del mondo moderno, mentre per Marx il mondo moderno è fondato sul lavoro divenuto merce e la società si presenta simultaneamente come "immane raccolta di merci" e "catena infinita di rapporti giuridici", in cui alle proprietà mistiche del valore si somma l'enigma del diritto. La lettura francofortese di un simile contesto in termini di amministrativizzazione del mondo o la lettura giovane-lukacsiana in termini di reificazione si risolvono perciò in posizioni concettuali astratte che conducono, rispettivamente, all'arbitrio libertario o al soggettivismo di classe identificati quali alternative alla chiusura opprimente del sistema. Per quanto riguarda la forma-lager, punto di partenza di questa discussione, la centralità assunta dalla tematica dello 'straniero' nel quadro della controrivoluzione preventiva posta in atto dalla classe dominante e dai suoi satelliti nazifascisti (Lega, FdI, Casa Pound, Forza Nuova ecc.) è certamente frutto del campo di tensioni connesso alla globalizzazione imperialistica, ma anche di una ignobile speculazione politica sui sentimenti di insicurezza, paura e disorientamento delle classi subalterne. Per citare ancora una volta Primo Levi, vale la pena di rammentare che questi ha pronunciato, da un punto di vista etico-civile, nella Prefazione al suo libro "Se questo è un uomo", parole che non possono essere dimenticate da chiunque abbia a cuore il destino dell’uomo in una società democratica, solidale ed egualitaria: «A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero è nemico”. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano» .
Non sempre la giustificazione esplicitata è la prima, anche perché la propria fragilità sociale non la si esibisce sempre volentieri. Con la crisi economica la vergogna cede un po' il passo al cinismo, ma dipende anche dalle classi generazionali, dal tipo di lavoro, dal suo grado di precarietà, dalla consapevolezza del lavoratore, dalla cultura di cui è plasmato il contesto in cui egli si trova.
Tuttavia credo che, prima facie, si cerchi di utilizzare sempre una giustificazione ideologica che possa valere anche per l'interlocutore, prima di evidenziare il ricatto occupazionale a cui si è sottoposti.
Ma, quanto alla formalizzazione del lavoro da parte dei lavoratori, all'indifferenza verso il contenuto dell'attività lavorativa, mi sembra di poter dire che non avviene perchè i lavoratori stessi accettano e condividono il formalismo capitalistico mercantile, ma perchè i lavoratori sanno che se vogliono mangiare devono lavorare.