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contropiano2

Salvini e Di Maio all’ultimo giro di valzer

di Dante Barontini

Alla fine la vera rogna è venuta fuori. La formazione del governo grillin-leghista non si è impantanata soltanto sulle ambizioni individuali dei due “leader”, né solo sulle difficoltà di conciliare due programmi parecchio diversi. Ma sulla condizione strutturale, strategica, che consente oppure no di realizzare un qualsiasi programma “autonomo”: restiamo o no nell’Unione Europea? Restiamo o no nella moneta unica? Restiamo o no fedeli alla Nato e agli Stati Uniti?

Politica interna e politica estera sono ormai indistinguibili e inseparabili, da quando questo paese ha firmato – spesso senza neanche leggerli, pare – trattati impegnativi sia sul fronte economico che su quello militare. Non puoi promettere, insomma, agli elettori che abolirai la legge Fornero o introdurrai il reddito di cittadinanza senza mettere in conto un robusto scontro con la Ue. Non puoi sollevare le sorti delle imprese esportatrici del Nordest senza mettere in discussione (eufemismo) le sanzioni occidentali alla Russia (che quasi nessuno rispetta davvero, peraltro, a cominciare dalla Germania).

La pubblicazione, da parte dell’Huffington Post, di una bozza del “contratto” in via di elaborazione tra Lega e Cinque Stelle ha messo sul tavolo, squadernati, tutti i temi che la pura propaganda elettorale aveva confinato sullo sfondo.

E si capisce anche il perché due forze diverse, ma storicamente “euroscettiche”, avevano fatto di tutto per “rassicurare i mercati e gli alleati internazionali”, mettendo da parte proprio quei temi.

Dall’analisi di quella bozza – senza neppure prendere in considerazione le “smentite” piovute subito da Di Maio e Salvini – si comprende facilmente il tunnel in cui i due si sono infilati, e che Mattarella, lunedì, non deve aver mancato di illuminare, facendosi ancora una volta interprete dei vincoli sovranazionali che costringerebbero a valutare come carta straccia quasi tutti i passaggi del “contratto”.

Per esempio: puoi anche scrivere che vuoi aprire un “ dialogo nelle sedi comunitarie al fine di applicare il provvedimento A8-0292/2017 approvato dal Parlamento europeo lo scorso 6 ottobre 2017, che garantirebbe il 20% della dotazione complessiva dei Fondo Sociale Europeo per istituire in reddito di cittadinanza anche in Italia” – ossia far finanziare in parte dalla Ue quella tua promessa elettorale – ma non puoi far finta di non sapere che l’unica risposta possibile sarà un secco “NO”.

Idem per quanto riguarda la moneta unica. Se ti poni davvero l’obiettivo di introdurre “ specifiche procedure tecniche di natura economica e giuridica” che consentano a singoli Stati di uscire dall’euro, o di “ restarne fuori attraverso una clausola di opt-out permanente“, per avviare un “ percorso condiviso di uscita concordata” in caso di “ chiara volontà popolare” in tal senso (un referendum, insomma)… non puoi non sapere che gli apparati europei piuttosto ti fucileranno con l’aiuto della speculazione finanziaria internazionale (lo spread, stamattina, ha ricominciato a correre verso l’alto).

Peggio ancora per la richiesta, da avanzare alla Bce, di cancellare 250 miliardi di euro in titoli di Stato italiani acquisiti con il quantitative easing. Misura che sarebbe giusta e sensata, se non ci fossero dall’altra parte euroburocrati che lavorano per il fine opposto (condizionare le politiche dei singoli paesi tramite il ricatto del debito).

Potremmo andare avanti a lungo, ma non serve neppure. Come avevamo scritto qualche giorno fa, Salvini e Di Maio si muovo no come due Tsipras di destra, ma dentro l’identica gabbia: vorrebbero restare dentro la Ue e l’euro, ma senza pagarne per intero il prezzo. Lo dimostra la proposta di privatizzare pressoché integralmente il patrimonio immobiliare in mano allo Stato, per ridurre così il debito di circa 200 miliardi (teorici, perché a quel punto i prezzi crollerebbero in un attimo, vanificando buona parte dell’idea e trasformandola in un clamoroso regalo alla speculazione). Vorrebbero insomma una “riforma radicale dei trattati”; proprio quello che viene invece escluso dai vertici di Bruxelles, forti del fatto che ogni revisione deve essere approvata all’unanimità (e dunque ogni paese dispone del diritto di veto).

Certo, Salvini in primo luogo, ma in parte anche Di Maio, hanno in testa un riequilibrio delle relazioni economiche infraeuropee tale da favorire soprattutto le imprese medio-piccole. Lo testimonia il passaggio in cui si prevede addirittura la reintroduzione dei famigerati voucher per retribuire i “lavoretti”, ovviamente “vigilando per evitare gli abusi” che hanno obbligato perfino i governi del Pd a ridimensionarne la portata.

Certo, la politica sull’immigrazione è fortemente razzista (ma con qualche estremismo in meno rispetto alle dichiarazioni verbali; si vede che Confindustria si è fatta sentire…). Certo, la politica giudiziaria è tutto un “manette facili”, aumento delle pene, cancellazione delle misure alternative; accompagnata da chiacchiere sulla lotta alla corruzione e ai conflitti di interesse.

Certo, come si era capito subito, la legge Fornero non sarebbe affatto cancellata, ma soltanto “superata” con qualche esenzione in più per alcune categorie considerate “usuranti”. E sicuramente la flat tax – ultradestra liberalr spudorata – viene nominata ma subito dopo negata (““La parola chiave è flat tax, caratterizzata dall’introduzione di aliquote fisse, con un sistema di deduzioni per garantire la progressività dell’imposta in armonia con i principi costituzionali”).

Certo, insomma, che si tratta di un programma con chiarissima impostazione di destra. Ma il problema centrale, strutturale, strategico, è lo stesso che si porrebbe immediatamente a qualsiasi forza di sinistra radicale che volesse promettere e poi realizzare politiche sociali ed economiche orientate alla riconquista di diritti sul lavoro, livelli salariali e welfare.

Se vuoi fare qualcosa di diverso – non importa in che direzione – da quanto prescritto dalla Commissione europea e dai trattati devi essere pronto a romperli, con tutte le conseguenze del caso, perché la “riforma” non è proprio prevista.

Salvini e Di Maio sono arrivati al punto in cui era arrivato Alexis Tsipras, che peraltro godeva di un consenso di massa assai più vivace, partecipato, conflittuale. Con la non piccola differenza che ora sono passati tre anni, le strategie della Ue sono diventate più coercitive e, non da ultimo, l’Italia ha peso economico molte volte superiore a quello della Grecia; quindi un suo “comportamento erratico” avrebbe conseguenze sistemiche molto più devastanti.

In più, al Quirinale c’è un presidente che ha già fatto vedere e capire di esser lì per far rispettare i vincoli sovranazionali anche se in contrasto con il voto popolare, al punto da ricordare che è lui a nominare premier e ministri, a bocciare le leggi prive di copertura, ecc.

Non ci meraviglierebbe affatto che i due possano scendere dal Quirinale senza aver ricevuto nessun via libera. A meno di non cancellare dal “contratto” tutti i passaggi su cui il controllo europeo è ormai dato assodato.

O come Tsipras, o alle elezioni, insomma. Non è più tempo per giri di consultazione e chiacchiere ottimistiche.

Comments

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Clau
Saturday, 19 May 2018 17:45
Nel sistema capitalistico, sostenuto sia dalla Lega che dal Movimento 5 Stelle, chi comanda veramente, il popolo "sovrano", i vari governi più o meno filo o "anti" europei, oppure il grande capitale, più o meno coalizzato e nello stesso tempo pronto a fare le scarpe al più debole? A mio modesto parere, per poter pronosticare qualcosa in relazione alle prossime sorti dell'euro e anche del governo 5Stelle/Lega, bisogna partire da qui. Credo, quindi, che se il governo 5Stelle/Lega insisterà nel cercare di sostenere obiettivi che non piacciono al grande capitale nazionale (ma hanno già fatto grandi retromarce a tutto gas, bruciando i tempi), questo di comune accordo con quello europeo e mondiale, metterà in opera ogni sorta d'ostacolo, facendo vedere i sorci verdi agli italiani e al governo “del cambiamento”. Se invece il grande capitale italiano resterà isolato nello scontro tra lupi, si potranno avere grossi scombussolamenti all'interno della Ue e arrivare forse anche alla rottura dell'euro, ma il tal caso l'Italia da paese del sud Europa diverrebbe in brevissimo tempo un paese del nord Africa, o giù di li.
Infine, per quanto concerne lo sbraitare dei partiti di centro/destra Forza Italia e compagnia e PD e compagnia, cosa mai possono dire costoro, dal momento che il paese da 25 anni non cresce? Vuol dire che da almeno quarantenni costoro sono stati degli inetti, quindi farebbero una migliore figura se prendessero atto del loro fallimento e stessero zitti.
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Eros Barone
Friday, 18 May 2018 21:34
Che si debba uscire dall’euro è ormai pacifico e le ragioni della necessità dell’“Italexit” sono state ampiamente sviscerate da fior di economisti: il problema riguarda il ‘come’ farlo. Proviamo a vedere i possibili scenari, che sono, a mio avviso, i seguenti: rottura unilaterale del nostro paese e conseguente fuoriuscita dall’eurozona, crollo dell’Unione Europea e conseguente esodo dei paesi che la compongono, crollo del sistema bancario italiano. Servendoci di una metafora nautica, possiamo rappresentare le diverse possibilità o come l’abbandono più o meno disordinato, da parte di un certo numero di passeggeri, di una nave in avaria che sta affondando, o come il colare a picco di questa stessa nave all’insegna di un caotico ‘si salvi chi può’ nello stile di Schettino (laddove la Germania potrebbe impersonare proprio questo ruolo), o ancora, per limitarci al nostro paese, come l’irrompere dell’acqua marina nell’alloggio dell’equipaggio italiano a causa dell’ingavonamento progressivo della nave.
Orbene, se partiamo dall’ultima possibilità, la causa scatenante del naufragio potrebbe essere, per quanto riguarda il nostro paese, una grave crisi bancaria che, stanti gli attuali meccanismi europei (procedure come il ‘bail-in’ e altre consimili atrocità neoliberiste), spinga qualche milione di risparmiatori in piazza. Naturalmente, non è difficile immaginare che in questo caso interverrebbe in soccorso, si fa per dire, la squadra di emergenza, erogando dei prestiti e qualche vincolo in più sul bilancio pubblico. A questo punto è facile supporre che questo tipo di intervento non mancherebbe di suscitare veementi reazioni popolari, in seguito alle quali un governo leghista-pentastellato potrebbe essere tentato di chiedere alla Germania una sospensione della partecipazione italiana alla moneta unica. Sennonché, una volta apertasi la falla, è praticamente inevitabile che anche altri alloggi della nave siano invasi dalle acque montanti, costringendo coloro che li occupavano, come l’equipaggio francese, a cercare scampo altrove. Infine, e non è un’ipotesi peregrina, potrebbe essere il comandante tedesco ad andarsene, stanco del disordine e delle convulsioni che agitano i piani inferiori.
In conclusione, tornando al tema iniziale, sono da scartare con la massima decisione e anche con un certo disprezzo equazioni del tipo ‘abbandonare l’euro’ = ‘essere anti-europei’ (noi possiamo abbandonare l’euro ma non l’Europa) o del tipo ‘rivendicare la sovranità popolare’ = ‘portare acqua ai nazionalismi e alle destre populiste’.
Del resto, non ci sono evidenze empiriche tali da giustificare il timore che l’uscita dall’euro provocherebbe una svalutazione nelle proporzioni che si paventano e, soprattutto, che le conseguenze dell’uscita sarebbero peggiori della drammatica crisi pluridecennale che sta attanagliando il nostro paese. Quando la rottura vi sarà (e non vi è dubbio che vi sarà), quel giorno sarà per la popolazione italiana un nuovo aprile 1945. Si realizzerà allora la previsione formulata da Jürgen Habermas, un filosofo e sociologo tedesco politicamente moderato ma teoreticamente lungimirante: «È scritta nelle stelle la data che, un giorno, potrebbe vedere la rovina di un altro regime, provocata anonimamente dal mercato mondiale».
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