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sollevazione2

La sinistra (compassionevole) zingaresca

di Norberto Fragiacomo

Volentieri pubblichiamo questo contributo, che pienamente condividiamo, del compagno Norberto Fragiacomo, esponente di Risorgimento Socialista

A “salvataggio” concluso, i numeri sono quelli di un’ecatombe: disoccupazione al 20 e passa per cento, oltre 1/5 delle famiglie in condizioni di estrema indigenza, potere d’acquisto ridotto di 1/3, mortalità infantile alle stelle (+26%).

Graeciam captam ferus victor confecit, eppure i vertici di Rifondazione Comunista,in una nota peraltro abbastanza equilibrata, lodano i meriti e la “determinazione del governo di Syriza” e il manifesto va anche oltre, riconoscendo ad Alexis Tsipras, quinta colonna della troika in terra ellenica, di aver «cercato sempre, appena si è aperto uno spiraglio, di alleviare il peso per gli ultimi della società» (magari introducendo nuovi diritti civili…) in un articolo favorevole sin dal titolo a un leader che ha turlupinato il suo popolo.

Anziché a Leonida stanno erigendo un monumento ad Efialte, e con coerenza: se si ritiene che il sistema attuale sia un a priori immodificabile, arrendersi subito è più ragionevole che resistere a oltranza. Basterà poi qualche giaculatoria per mondarsi l’anima.

Residua un anticapitalismo di facciata, continuamente esibito ma privo di contenuti, perché diretto contro un fantasma (l’idea astratta di Capitale), non contro le riconoscibilissime manifestazioni reali di un’idea che è anzitutto prassi operativa: i c.d. Mercati, l’Unione Europea delle lobby, la catena dell’euro, il dominio coloniale degli Stati Uniti sull’Europa intera, il business strategico delle grandi migrazioni.

Se non puoi batterli unisciti a loro, consiglia il detto, ed ecco allora il progressivo spostamento sulle tematiche dei diritti civili — che sta rendendo l’ex “sinistra estrema” autenticamente radicale, nel senso di pannellian-boniniana — e l’attacco quotidiano a un governo ancora in prova, che ha il torto fra i tanti di “rischiare l’isolamento dell’Italia in Europa”. Questa accusa — avanzata per vero dalla destra liberista marca PD, ma nient’affatto contraddetta dalle debolezze alla sua sinistra — inchioda solamente chi la formula: ci si dovrebbe anzi rallegrare per la condotta di un esecutivo che mostra di non voler chinare il capo dinanzi all’ipocrita ed altezzosa arroganza franco-tedesca (come han sempre fatto invece i predecessori) e arriva persino a minacciare la sospensione del contributo economico italiano alla UE e l’esercizio paralizzante del diritto di veto. Mi si potrebbe obiettare che sono solo parole, al pari delle condivisibili promesse progressiste che va facendo Di Maio, ma la critica che viene da sinistra è un’altra: queste parole ben dette (cui temo non seguiranno condotte consequenziali) sono di per sé condannabili, poiché mettono in discussione il dogma della nostra supina appartenenza al moltiplicatore di discordie e rivalità nazionali chiamato (im)pudicamente Unione Europea.

Non è che la c.d. sinistra, riconosciuta l’imbattibilità dell’avversario, abbia rinfoderato lo spadino di legno: semplicemente, per giustificare la propria sopravvivenza, prova oggi a rivolgerlo contro un nemico alla propria portata. Primum vivere, deinde philosophari, anche se sui fronti di Facebook e twitter (praticamente gli ultimi rimasti) filosofi e agitatori da rotocalco abbondano.

Obbiettivi delle salve quotidiane sono il governo “penta-fascio-leghista" — FdI e Casapound ne fanno parte a loro insaputa, ma la loro presenza virtuale non è sfuggita ai commentatori più acuti e scafati... — unanimemente definito “il più a destra della storia della Repubblica”: altro geniale a priori, visto che l’esecutivo non ha ancora fatto alcunché di concreto) e soprattutto il Ministro degli interni Salvini, fatto oggetto di insulti giornalieri che, a differenza di quelli rivolti una tantum al Presidente Mattarella, non suscitano alcuna riprovazione da parte dei benpensanti. Anzi: le pesanti ingiurie rivolte da Saviano a Matteo II sono espressione di indignata consapevolezza e meritano pertanto gli applausi, anche quando sono gratuite (“ministro della malavita”, poi, è quasi un complemento involontario, visto il contributo dato da Giolitti alla storia politica nazionale).

Al di sotto degli attacchi personali si intravedono una strategia e un programma: quello di tagliare i ponti con la plebaglia ritirandosi su un virtuoso Aventino di (non) eletti. Pochi saranno ammessi, dopo rigorosa selezione — per i rossobruni c’è invece posto all’inferno, dove raggiungeranno Nicola Bombacci (cit. G. Cremaschi). Ed è proprio Cremaschi ad aver lanciato a più riprese l’anatema contro i “finti marxisti che appoggiano Salvini”, siano essi Fusaro e Bagnai o il semplice quivis de populo che esprime dubbi sul dogma dell’assoluta doverosità di una politica di accoglienza indiscriminata. Può darsi che queste dichiarazioni bellicose e pleonastiche (soprattutto le repliche di un originale già discutibile) preludano a un riposizionamento della componente Eurostop all’interno di Potere al Popolo (cioè, elettoralmente parlando, del Nulla),ma il passaggio in secondo o terzo piano della critica alla UE e ai suoi strumenti di dominio, su cui il movimento era sorto, sostituita da un rude buonismo pro migranti indica, a mio avviso, un arretramento, una rinuncia a fare davvero politica. Con questo ricompattarsi, anche all’interno di Potere al Popolo, di una sinistra rigidamente anti-sovranista la formazione cui appartengo (Risorgimento Socialista) dovrà fare tosto o tardi i conti: forse è preferibile abbandonare il gruppone finché si è in tempo, cercando in solitudine sentieri nuovi e — si spera — nuovi (o magari “vecchi”) compagni di avventura piuttosto che incamminarsi in corteo verso il burrone dell’irrilevanza e della banale accettazione dell’esistente.

Al “siamo tutti migranti” si sovrappone, all’occorrenza, un virtuoso “siamo tutti zingari”, utile a rivendicare la superiorità etico-morale di autori e followers nei confronti della massa fascisteggiante: ormai gli schiaffi in faccia al popolo, di cui avevo dato conto in precedenti articoli, sono diventati motivi di vanto, e pazienza se in questa cornice di “lotta (e sfida) continua” trovano poco spazio i temi del lavoro, dello sfruttamento, dell’inaridirsi dei diritti sociali. Non ho letto su FB dichiarazioni del tipo “siamo tutti riders” oppure “siamo tutti studenti che lavorano gratis”: forse perché si rischia di dover dar ragione al balilla Di Maio, che qualcosa sta provando a fare, o più probabilmente perché, come dicevo, è più facile ottenere risultati riconoscibili, immediati e galvanizzanti per l’esigua base giocando a fare i compassionevoli che non intraprendendo una lotta di lungo periodo contro i mulini a vento.

La “sinistra zingaresca” è oggidì un personaggio in cerca d’autore, o perlomeno di copioni da interpretare: troppo debole, pavida e sfibrata per opporsi al sistema (che infatti all’occorrenza appoggia: si pensi al supporto di voti offerto al finanziere ultraliberista Macron nel ballottaggio contro la Le Pen) trova la propria ragion d’essere nelle liturgie passate (opportunamente sfrondate dagli impeti rivoluzionari) e, ubriaca di buonismo astratto, esalta il sottoprelatariato scambiandolo per i proletari e demonizza questi ultimi per il loro presunto egoismo borghese.

Ma sì… questi operai che votano Lega sono razzisti, buzzurri e pure un po’ fascisti… “Che roba contessa, quei quattro straccioni!”

Assisteremo ancora a lungo, penso, a funeree marce antifasciste in città sprangate e ostili, con lancio di maledizioni all’indirizzo di un nemico di comodo e gole di spettri da cui fuoriuscirà un flebile e patetico: siamo ancora vivi!

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