Print Friendly, PDF & Email

effimera

Debiti e crediti

di Gianni Giovannelli

I componenti del governo combinano continuamente guai, è vero. Ma dobbiamo ammettere che questo avviene perché nella situazione in cui si trovano, con tutta la buona volontà, non sono in grado di agire sensatamente. Si muovono alla spicciolata, senza far mancare dichiarazioni avventate ai giornalisti inviati dai loro avversari.

La Lega e il Movimento 5 Stelle hanno ottenuto, nelle urne del 4 marzo scorso, molti consensi, ma questo, in fondo rientrava nelle previsioni. Sorprendente invece è stata la conseguenza nella distribuzione dei voti, nell’assegnazione dei seggi di Camera e Senato. La composita rete di rappresentanti del vecchio potere contava sulla frammentazione per imporre una grande coalizione in salsa italiana, e tutti si sono curati assai poco del disprezzo crescente che si erano guadagnati sul campo. Con arroganza hanno rifiutato di riconoscere il clamoroso errore di calcolo, l’eccesso di sicurezza. E si sono trovati di fronte ad una strana alleanza, che per carenza di fantasia non ritenevano possibile, e che invece si è rumorosamente insediata al governo, annunciando il cambiamento.

Mario Draghi non ha mai tenuto in gran conto le pretese di autonomia della politica dal sistema monetario.

In fondo, quale presidente della Banca Centrale, non ha neppure celato di considerare la stessa produzione di merci materiali subordinata alle primarie esigenze del capitalismo finanziario, vero detentore del comando nel villaggio globale. A lui si deve la suggestiva immagine del pilota automatico che provvede alla rotta di ogni singolo esecutivo, a prescindere da chi sia stato investito del compito, per nomina o per elezioni.

Tuttavia, questa volta, la coalizione gialloverde sembra sfuggire al controllo, soprattutto non possiede né il cervello né il polso che occorrono per il funzionamento di questo orologio. Per ottenere dal governo l’attività desiderata, con la moderazione e con l’equilibrio richiesti dalla Commissione Europea attuale, l’orologio deve essere regolato. Questo risulta impossibile perché si è rotta la molla.

I manovratori usano congegni destinati a disciplinare il moto di organismi politici diversi, altri rispetto all’alleanza che si è oggi insediata; di conseguenza l’operazione non riesce, o non riesce bene, gli strumenti non erano stati creati per questo scopo. Ecco che cosa non va nel macchinario, negli ordini a monte e nelle deliberazioni operative a valle.

La Banca Centrale e la Commissione Europea vogliono aggiustare l’orologio e restaurare il pilota automatico. Le opposizioni, ovvero le formazioni politiche estromesse dalla spartizione, strillano la loro adesione e sostengono le ragioni dell’attacco, perfino di quello sferrato dalla speculazione finanziaria sui titoli di stato. Utilizzano a questo scopo, senza risparmio, la grande comunicazione cartacea e televisiva, nella speranza di una rapida caduta di questi nuovi barbari o almeno di una loro radicale conversione, di una cooptazione. Ma davvero sono convinte le opposizioni che sia una buona idea schierarsi con forze disposte anche a rompere tutto pur di rastrellare profitti a breve termine? Non si chiedono se un simile piano abbia una qualche probabilità, pur se minima, di successo, se sia o meno un buon affare, da qualunque parte lo si guardi?

Per l’attuale opposizione – certa di tornare presto in sella pur se totalmente priva di un progetto per riuscirci – il consenso popolare non ha alcun valore, non conta nulla. La rabbia diffusa e il malcontento sono solo fumo. Sarà. Ma è una nube di fumo di notevole spessore, e alla base ci sta un gran fuoco ben alimentato dalle circostanze e dalla crisi. Il ceto politico sconfitto alle elezioni del 4 marzo ci soffia sopra con le migliori intenzioni, o forse con poco avveduta ingenuità; i suoi esponenti sono abbastanza stupidi da farsi bruciare fino a diventare cenere. Parecchie scottature toccheranno anche a chi, pensando di trarne vantaggio, sta loro troppo vicino.

Quanto alla maggioranza, quando si accanisce sugli errori degli avversari, rischia di perdere facilmente la bussola; l’imprudenza può spingerli a mandare tutto a rotoli, il potere reale potrebbe rimanere un miraggio intravisto nel delirio di proclami contraddittori presentati al popolo come risoluzioni di ogni male o come vendette a riparazione dei torti subiti.

Non essendo in grado, per mancanza di mezzi e per inesperienza di congiure, di usare davvero la forza, la coalizione gialloverde ha scelto la via della sola violenza verbale. Il quadro politico odierno appare peraltro più divertente che nel recente passato perché fazioni ed intrighi gli danno ogni giorno più colore. Il punto è che si vive in un clima di paura, assai adatto per discutere ma non per decidere. Per questo maggioranza e opposizione passano in rassegna dozzine di possibili giochi di parole, quasi sempre contraddittori.

Per ogni cosa esiste un momento giusto. L’abilità massima sta nel saperlo vedere e cogliere al volo. Se lo si lascia passare, nei periodi di grande instabilità politica, può accadere che non ci sia una seconda occasione. O quanto meno che non sia facile riconoscerla.

Il movimento antagonista si trova, qui e ora, davanti ad una situazione straordinaria, che non ha minimamente contribuito a creare ma che potrebbe aprire prospettive assolutamente nuove. La coalizione di maggioranza ha l’appoggio di una folla che ha preso gusto alle turbolenze parlamentari; ma al tempo stesso questa folla comincia a sospettare che i rappresentanti eletti in parlamento non contino nulla. È una dirigenza disarmata, fragile. Al tempo stesso l’opposizione, che pure mantiene la forza del denaro e delle armi, non gode della benché minima credibilità, appare incapace di elaborare scadenze tattiche efficaci e sembra vivere solo di rancore, di malinconici ricordi. Le due fazioni del comando si scontrano senza che sia possibile intravedere una soluzione di compromesso; lesti come sempre nel cogliere l’occasione i faccendieri trovano la maniera di ricavarne un certo utile, naturalmente addebitando il costo ai sudditi e provocando l’inevitabile allargamento della forbice fra ricchi e poveri.

La questione del debito è la clava usata per imporre il pilota automatico, l’arma scelta per mantenere l’ordine. Viene dato per scontato, senza nessuna discussione, che il costo di un maggior debito ricada nel gran mare dei sottoposti; si tace invece sull’identità di chi mette le mani sul ricavo.

Qui il programma teorico e pratico della maggioranza numerica in condizione precaria stenta a trovare una propria elaborazione e proprie scadenze, la capacità di rimettere in moto una forza antagonista costituente. Eppure si sente forte, quasi palpabile, un desiderio profondo di (ri)scoprire che, ancora una volta, il re è nudo. Poche volte è accaduto, come in questa contingenza storica, che anche obiettivi modesti, in apparenza poco significativi, acquistino, immediatamente, una reale valenza sovversiva, una potenza modificatrice. Nel tempo della comunicazione anche una teoria diventa, o può diventare, senza mediazioni, prassi.

Andrea Fumagalli ha ben delineato la composizione del debito pubblico italiano, mettendola in rapporto con la quantità e qualità del debito dei grandi paesi industrializzati. Uscendo dal terreno dell’esame economico, in punto di diritto va chiarito che il debito prevede un impegno assunto nei confronti di un creditore, un tempo preciso per adempiere, una modalità di adempimento, una sanzione ben determinata a carico di un soggetto individuato. Ma qui dove sta la sanzione? E a carico di chi?

Giornalisti e professori, con notevole senso d’umorismo sarcastico, si divertono a spiegare, quasi quotidianamente, che ogni cittadino italiano già nasce con una personale esposizione di oltre 35.000 euro, lasciando intendere che se non venisse ripristinato il pilota automatico potrebbero arrivare a casa gli esattori per riscuotere. Utilizzando il medesimo criterio i sudamericani in marcia verso la frontiera con il fine di agguantare la cittadinanza americana, insieme all’accoglimento della richiesta, si troverebbero a dover pagare circa 75.000 dollari per ciascuno. E i migranti che aspirano a diventare italiani non hanno compreso di rischiare tutti i loro risparmi, entrando a far parte di una comunità di insolventi!

In realtà non è dato comprendere quasi nulla. O, meglio, si comprende che il costo (allo stato eventuale) dello spread in aumento sarà addebitato alla gran massa, sotto forma di imposte o di tagli; ma non si comprende affatto chi ne abbia i benefici, a quale titolo, in che misura. I creditori, nascosti dentro il misterioso mercato globale che agisce senza dover mai rendere conto delle proprie azioni, mantengono l’anonimato. Sono i veri clandestini della nostra epoca, gente senza una religione, una famiglia, una casa, una terra. Il ciclista che porta le pizze è, secondo il Tribunale di Milano, un piccolo imprenditore autonomo, va soggetto a ingenti imposte, controllato e conseguentemente inserito fra i debitori, senza possibilità di scampo. Il creditore anonimo, invece, si sottrae a qualsiasi qualificazione tecnica, è estraneo alla destinazione concreta del prestito, non porta alcuna responsabilità nei confronti di chi ha contratto il debito; investe, specula, agisce secondo la sua natura di predatore, non risponde mai di quanto percepito.

Sovranisti e liberisti verranno presto alle mani, in occasione delle ormai prossime elezioni europee, in un clima teso basta un tafferuglio fra lacchè per provocare una rissa di vaste proporzioni. E sono elezioni di esito difficilmente prevedibile, a prescindere dalle smargiassate dei due contendenti. In questa cornice ben poca rilevanza sono destinate a trovare le liste che aspirano a rappresentare l’opposizione sociale e democratica; un tentativo magari generoso ma di scarso respiro. Mancano alla parte antagonista l’unità, l’esperienza e i mezzi necessari per una vittoria elettorale; manca pure un programma condiviso e comunicabile in forme facilmente percepibili su larga scala. Non basta aver partecipato a lotte significative e neppure un consenso sul campo; la logica che governa il contenuto delle urne è un’altra.

Più realistico, forse, è riflettere sulla eventualità di una potente crisi, politica e sociale, di rigetto nei confronti della attuale composizione di potere: individuarne le ragioni possibili, considerarne gli esiti alternativi, approfondire nella teoria e nella comunicazione le divisioni dei due campi avversi. Non è questione di pessimismo o di ottimismo; si tratta di un dato oggettivo. Oggi viene considerata rivolta il solo immaginare che una rivolta possa esserci. La forza della folla risiede nella sua immaginazione, la folla è l’unica potenza al mondo che può fare davvero tutto ciò che immagina di poter fare.

Add comment

Submit