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Ma quale "golpe"?

di Leonardo Mazzei

«Vedendo le corna e sentendo I muggiti di Jack Angeli, il buffone che pareva appena giunto a Capitol Hill dal raduno leghista di Pontida, si può essere indotti a credere che l’assalto al Congresso degli Stati Uniti sia stato una goliardata, secondo la definizione con cui spesso i fascisti minimizzano le loro violente imprese. In realtà c’è stato un tentativo di golpe promosso, organizzato e gestito da Donald Trump.» Giorgio Cremaschi (Potere al Popolo)

«Quindi tutto farebbe pensare, ma non abbiamo prove, che c’è stato un tentativo di golpe motivato dai grandi interessi delle multinazionali, della borghesia, dei settori militari e che, ad un certo punto, probabilmente, le cose non sono andate come dovevano andare, per cui non si sono schierati i poteri forti nella loro complessità e l’emergenza è rientrata». Luciano Vasapollo (Rete dei Comunisti)

«Chi sono? Proletari, mi verrebbe da dire. Poveracci poco istruiti, marginali, facilmente manipolabili, junk food e fake news, marionette nelle mani di uno sciagurato che li ha usati per il suo potere. E’ così che si diventa fascisti?». Giorgio Gori (Partito Democratico)

Confesso che sono in difficoltà. Non solo tanti interessati esponenti del mainstream — e questo ben lo capisco —, ma pure alcuni suoi oppositori (vedi qui e qui), hanno scambiato seriamente l’americanata dell’attacco al Campidoglio per un tentato golpe. E’ evidente che non so più cosa sia un tentativo di colpo di Stato. E questo è veramente grave.

Sono dunque costretto ad interrogarmi. Ingenuamente, ho sempre pensato che un tentativo di golpe possa essere considerato tale solo a tre condizioni: 1) l’esistenza di una minima possibilità di riuscita, 2) la presenza di una direzione ben determinata allo scopo, 3) la partecipazione al tentativo di una parte non indifferente degli apparati di quello Stato che si vuole conquistare.

Senza questi tre elementi non solo non può esserci un colpo di Stato, ma neppure si può parlare a ragione di un vero tentativo di realizzarlo. Questo non esclude ovviamente che nella testa del pittoresco Jacki Angeli quello fosse lo scopo. Ma dov’erano le possibilità? Dov’era la direzione? E, soprattutto, dov’erano i settori dello Stato pronti a sostenere l’ipotetico golpe?

Ecco, innanzitutto, è a questa terza domanda che bisognerebbe rispondere per intavolare una seria discussione. Ma questa discussione mai ci sarà, anche perché essa sarebbe chiusa in partenza, dato che quei “settori dello Stato” proprio non c’erano. E senza di essi le possibilità di un golpe sono pari a zero. Figuriamoci poi senza una direzione, dato che non dobbiamo scambiare la retorica trumpiana per una vera strategia.

La verità è che quello che oggi viene chiamato “deep state” – dalle forze armate, alla polizia, alla magistratura, a tanti altri importanti apparati – non è mai stato con Trump. Ancor meno lo sono stati i decisivi poteri economici della Silicon Valley con i loro media ed il loro assoluto controllo della rete. Tant’è vero che Sua Maestà Mark Zuckerberg ha sospeso gli account di Trump sulle sue (sottolineiamo sue) piattaforme social, fino al 20 gennaio, giorno del sospirato passaggio dei poteri all’amico Joe Biden.

Ora, se ai cantori del sistema neoliberista non possiamo togliere l’illusione della fine del populismo, in sostanza la gioia per quella che loro vivono come una definitiva normalizzazione sistemica; a chi si professa marxista dovremmo almeno chiedere un minimo di analisi del potere reale. Un’analisi concreta della società odierna e, nello specifico, di quella americana. Chiediamo troppo? Sembrerebbe di sì.

 

Il “marxista” piddino

Più “marxista” di certi confusionari della sinistra sinistrata si è dimostrato il sindaco di Bergamo, il piddino Giorgio Gori. Il quale, chiarendo ancora volta l’odio di classe anti-proletario di cui è impregnato il suo amabile milieu, ha così sintetizzato il suo pensiero:

«Chi sono? Proletari, mi verrebbe da dire. Poveracci poco istruiti, marginali, facilmente manipolabili, junk food e fake news, marionette nelle mani di uno sciagurato che li ha usati per il suo potere. E’ così che si diventa fascisti?».

Oh, finalmente! Questo sì che è parlare. Un franco e convinto disprezzo del popolo, e più ancora dei proletari, come si deve ad una Maria Antonietta dei tempi nostri, naturalmente con in tasca la tessera del Pd. Tuttavia, magari in maniera del tutto inconsapevole, il Gori ci dice anche una verità: il proletariato americano ha largamente votato Donald Trump. Ma non l’ha fatto (come lui pretenderebbe) per errore, perché ignorante, ingozzato di cibo spazzatura e inebetito da qualche blogger. Tantomeno l’ha fatto perché “fascista”, una categoria ormai buona per ogni uso. L’ha fatto perché non ha trovato di meglio per esprimere e rappresentare la sua sofferenza sociale.

E non ha trovato di meglio perché il partito dei Gori americani, il Partito Democratico (evidentemente un nome che è ovunque una garanzia), è a tutti gli effetti il partito che meglio rappresenta gli interessi e la visione sociale di quella cupola oligarchica che, detenendo il grosso delle leve del potere, è il vero nemico del proletariato e del popolo americano. Il quale mangerà forse troppi hamburger e patatine, ma tanto stupido non è.

Ma se non ha trovato di meglio è anche perché la sinistra americana non compromessa con la cupola oligarchica (esemplare il caso di Sanders) non ha saputo far altro che appoggiare Biden, cioè l’uomo che quella stessa cupola ha voluto insediare in tutti i modi. Presumibilmente anche con quei brogli sui quali in troppi (anche da noi) hanno preferito chiudere entrambi gli occhi.

 

E ora?

Ma torniamo ai fatti del giorno della Befana. Se non è stato un tentativo di golpe, cos’é stato allora? Le cose talvolta sono più semplici di ciò che sembra. Di sicuro c’è stata l’azione di alcune frange estreme del mondo che ha creduto in Trump, i seguaci di Qanon ma non solo. Da qui è venuto l’assalto al Campidoglio. Un atto senza speranza, proprio per questo non contrastato dalle forze di polizia. Dopo di che la (inutile) strage di 4 persone, per quanto ne sappiamo uccise senza che rappresentassero un vero pericolo.

Il fatto che di queste uccisioni non si sappia praticamente niente, insieme all’assordante silenzio dei media, quelli americani in primo luogo, lascia aperta ogni ipotesi in proposito. Ma è anche questo un modo per lanciare due messaggi: primo, il potere ha sempre il diritto di uccidere; secondo, chi vi si oppone non ha invece nessun diritto, tantomeno quello alla verità. Che dire? Nulla di nuovo sotto il sole, ma chi è critico dell’esistente forse due paroline avrebbe potuto spenderle.

Ad ogni modo, il risultato dei fatti del Campidoglio è semplice: mentre Trump uscirà malamente (almeno per ora) di scena, il pallido Biden verrà adesso incoronato come il salvatore della patria e (vietato ridere) della democrazia. Nel tripudio di Wall Street e dell’intero sistema mediatico le due sponde dell’Atlantico festeggeranno insieme lo scampato pericolo: l’odiato populismo è stato ricacciato indietro. Lorsignori pensano per sempre

Chi scrive non è invece di questo avviso. La crisi della società americana, che è poi quella del modello neoliberista massimamente dispiegato, è sempre più palese e non verrà certo superata dalla presidenza Biden. L’enorme crescita delle diseguaglianze sociali, che è la causa prima della frattura tra popolo ed oligarchia, tra dominanti e dominati, tra il palazzo e la piazza, non è mai stata grande come oggi. E la gestione sistemica del Covid ne è il suo carburante perfetto.

Il trionfalismo dei dominanti è dunque fuori luogo. Ci sarà pure una ragione se il 50% degli americani ha votato a novembre Trump. E ci sarà ancora una ragione se la grande maggioranza di essi ritiene di essere stata sconfitta solo con i brogli.

La spaccatura della società statunitense non pare superabile. Essa è profonda ed estesa dall’Atlantico al Pacifico; dal confine canadese a quello messicano. Figlia del neolibersimo dispiegato, è la stessa spaccatura che vivono le società europee. Dunque la vicenda americana parla anche di noi, del nostro futuro. Ma oltre-Atlantico quella fratturazione è più grave. Ed è foriera di eventi imprevedibili.

Il tema non è Trump, e neppure il trumpismo. The Donald esce dal giorno dell’Epifania con le ossa rotte. Non è stato capace né di prevenire né di guidare l’assalto al Campidoglio, tant’è vero che i settori dell’estrema destra interni al suo schieramento gridano a gran voce contro il suo “tradimento”. Questo non vuol dire che egli non possa avere la forza di rimettersi in pista in vista delle presidenziali del 2024. Ma il 2024 è lontano ed il trumpismo pare oggi spompato.

Il 2024 è lontano e nel frattempo accadranno molte cose. Preso dalle vicende economiche interne, e dai suoi risvolti internazionali (dazi, ecc.), nei suoi quattro anni Trump ci ha almeno risparmiato l’ennesima guerra “umanitaria” a stelle e strisce. Difficile che questo digiuno prosegua nell’era Biden. Più probabile un rilancio delle tradizionali politiche guerrafondaie dei Bush e dei Clinton. Se e quando accadrà non se ne lamentino troppo gli “antifascisti” amici di Wall Street.

Ma basterà tutto ciò a dirottare il malessere interno verso i soli nemici esterni? Dubitarne è più che lecito. Ma chi saprà prendere la testa dell’opposizione all’establishment? Questo oggi non lo possiamo sapere. Potrà farlo l’estrema destra? Possibile, ma tutt’altro che certo, anche perché essa è divisa in tante componenti che solo il trumpismo aveva saputo in qualche modo unificare.

Chi vivrà vedrà, ma due cose possiamo dirle. La prima è che ben difficilmente vi sarà la normalizzazione auspicata dai dominanti. La seconda è che se la sinistra americana continuerà a fare da ruota di scorta alla cupola del Partito Democratico, essa non potrà aspirare ad altro ruolo che non sia quello dell’utile idiota. E chi è causa del suo mal pianga se stesso.

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