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“Lobby” versus “A Fra’, che te serve?”

Francesco Santoianni

Questa storia di Luigi Tivelli è ormai sulla bocca di tutti; ma, state pur certi che, tra non più di una settimana, soppiantata da qualche altro scandalo, finirà nel dimenticatoio. Meglio quindi affrettarsi a riepilogarla e tirarci su un paio di considerazioni. La storia nasce da un emendamento alla Legge di stabilità del capogruppo PD Roberto Speranza che proponeva un tetto al cumulo tra “pensioni d’oro” e stipendi sopra i 150.000 euro annui; un provvedimento – visti i tempi – che, certamente, sarebbe stato fatto proprio da tutta la “base” del PD, se qualcuno si fosse preso la briga di consultarla. Ma quel provvedimento non passa. Il perché ci viene spiegato da una telefonata (registrata con uno smartphone dagli – questa volta, ottimi- parlamentari Cinque Stelle) di un “lobbista”, tale Luigi Tivelli , il quale si vantava di essere riuscito, dopo aver lavorato “giorno e notte”, a bloccare il provvedimento su incarico di coloro – “una marea di gente” – che, evidentemente, sono i suoi clienti. Il potentissimo Tivelli (che pure in pubblico discetta di moralità), comunque, non è l’unico lobbista additato dai Cinque Stelle; c’era già stata – ad esempio – tale Roberta Romiti (un centinaio di milioni di euro fatti risparmiare alla Sorgenia di De Benedetti) o altri che erano riusciti ad annullare la rescissione dei fitti per i palazzi del Parlamento.

La questione potrebbe essere liquidata con le considerazioni di Marx sul “Parlamento: comitato di affari della borghesia”o con le antitetiche, sbalorditive, declamazioni sulla “cacciata dei mercanti dal Tempio” esternate dai parlamentari Cinquestelle. Ma, forse, vale la pena di addentrarsi sulla questione lobby.

Intendiamoci, non c’è niente di criminoso se qualcuno avvicina un parlamentare per esporgli un particolare problema e la soluzione per risolverlo. Certo, sarebbe meglio affrontare il problema mobilitando le persone toccate da questo e, magari, riverberare questa mobilitazione all’interno del partito del parlamentare; ma non stiamo qui a sottilizzare, tanto i partiti non ci sono più (ma su questo ritorniamo). L’inghippo nasce quando a stabilire il rapporto con il parlamentare non sono le persone toccate dal problema ma un lobbista “professionista”. Più o meno, un mercenario. Intanto, quali credenziali può questi esporre ai suoi potenziali committenti per avere da essi un incarico (e, visto che ci siamo, i soldi)? Un altro professionista, poniamo un avvocato, può esporre le sentenze che lo hanno visto trionfare ma un lobbista di che può pubblicamente vantarsi? Date una occhiata al sito internet del buon Tivelli e ditemi se, non sapendo dello scandalo che lo ha coinvolto, riuscireste a capire cosa fa esattamente. L’unica cosa evidente è la sua dichiarata avversione alla “partitocrazia”. E a ben donde. Ma su questo ci ritorniamo.

Dicevamo della “discrezione”, anzi della segretezza che deve ammantare l’attività del lobbista che di certo non può spiattellare quanti parlamentari si è comprato. Perché di questo sostanzialmente si tratta. Più o meno come l’epica frase “A Fra’, che te serve?” con la quale il palazzinaro romano Gaetano Caltagirone, rivolgendosi a Franco Evangelisti, accompagnava i suoi “contributi” alla corrente andreottiana della DC. “Ma questo significa equiparare l’attività di lobby a mera corruzione!” dirà forse ora qualcuno stracciandosi le vesti. Si, è proprio così. E invece delle mazzette di una volta c’è oggi un elegante sistema per far sì che un parlamentare, alla chetichella, adotti provvedimenti mai discussi, né tantomeno approvati, nella base del suo partito: le Fondazioni.

Dicevamo della scomparsa dei partiti. Per qualcuno può sembrare una bestemmia , ma il primo a lavorare coscientemente per la loro scomparsa non è stato Grillo ma il duo Dalema-Bassanini che – nel 1997 (legge n. 59) e poi nel 2000 (DPR n. 361) – è riuscito a dare una personalità giuridica alle “organizzazioni di cittadini che perseguono un unico scopo in un tempo limitato” – le Fondazioni – che, a differenza dei partiti (congressi, segretario eletto…) basandosi su una riservata cooptazione dei dirigenti, (più o meno, come nella Massoneria) non devono formalmente dar conto praticamente di nulla ai propri aderenti. E, al riparo da controlli statali e paludandosi dietro un mare di fumose finalità, le fondazioni (ogni politico che conta ne ha una) hanno finito per soppiantare i vituperati “partiti”, anche perché sono molto più “efficienti”. Poniamo, ad esempio, la Fondazione VeDrò, che fa capo a Enrico Letta; se date una occhiata al suo sito non capirete nulla di cosa vuole concretamente; se, invece, vi informate sui suoi sponsor (ovviamente non riportati nel sito) capirete perché sia passata “per errore” la norma che impedisce agli enti locali di limitare l’apertura delle sale Slot Machines. Non a caso sono oggi proprio le fondazioni – vere e proprie lobbies – a pretendere di istituzionalizzare la figura del lobbista. Come è oggi in America, dove i partiti non esistono e la politica si fa tramite lobbies che usano il parlamentare come un juke-box.

Come concludere questo pedante articolo? Con un pressante invito (rivolto sopratutto ai Cinquestelle) a ripensare la mobilitazione contro i “partiti”. Rimpiangere i bei tempi del “A Fra’, che te serve?” e delle mazzette da condividere con gli altri capipartito? Certamente no. Ma almeno allora era uno scandalo, che forse poteva determinare la defenestrazione dell’eletto colto con le mani nella marmellata.

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