Riflessioni sull’identità degli opposti
di Pietro Terzan
Recensione l libro di D. Burgio, M. Leoni e R. Sidoli "Logica dialettica e l'essere del nulla" (L.A.D. GRUPPO EDITORIALE, 2024)
“Questo è acuto e giusto. Ogni cosa concreta, ogni qualcosa concreto sta in rapporti diversi e spesso contraddittori con tutto il rimanente, ergo è sé stesso e un altro.”[1]
Dopo aver letto e riletto le “noiosissime pagine” della Logica dialettica e l’essere del nulla[2], l’ultima impresa di Burgio, Leoni e Sidoli, mi è girata la testa in un vortice di pensieri per giorni. Una tempesta creativa, perché le tesi di questo breve saggio sono così dense di significato da riuscire a far dimenticare la pesantezza. Questo testo è da studiare, analizzare, studiare e rianalizzare. Tanti sono gli spunti che può costruire, una serie di ponti per approfondire la realtà in cui viviamo e per tentare di cambiarla. Buttiamoci dunque nell’abisso ontologico illuminato tre secoli fa da Leibnitz: “Perché esiste qualcosa, e non il nulla?”. I fatti testardi della scienza sono corde che ci aiuteranno a calarci in questo oscuro meandro della vita. Il moschettone Hendrik Casimir ci permetterà di non cadere e perderci nel vuoto quantistico. Vari esperimenti hanno dimostrato appunto l’effetto Casimir: il vuoto quantistico è allo stesso tempo nulla ma anche qualcosa.[3] Non esiste soltanto la materia, ma la grandissima maggioranza “dell’oceano cosmico” finora conosciuto è composto dall’energia e dalla materia oscura. Come può tutto ciò non avere effetti sul nostro mondo? Come possono non esserci conseguenze sulla logica del pensiero e su tutta la filosofia? Siamo di fronte alla rinascita della dialettica, alla rivalsa del materialismo dialettico e di quello storico?
Principio fondamentale della logica aristotelica è quello di non contraddizione, quindi di conseguenza anche quello d’identità.[4] Sul solco tracciato da Hegel, Marx ed Engels, Lenin e mi permetto di aggiungere anche Mao[5], la logica dialettica ha svoltato bruscamente rispetto a questa tradizione.
““A” si rivela dunque, in ogni distinto e singolo attimo (e microattimo) della sua esistenza, allo stesso tempo parzialmente costante e parzialmente in cambiamento, imponendo pertanto alla sfera teorica il rivoluzionario e antiaristotelico principio della simultanea dinamica di continuità e trasformazione di ogni essere, ente, oggetto e processo, durante qualunque attimo e istante del loro processo di riproduzione”.[6]
Questa “unità dialettica di continuità e trasformazione” viene notevolmente confermata prendendo in esame “il posizionamento di qualunque ente naturale nello spazio”. Le rivoluzionarie locomotive cosmiche utilizzate dai nostri arrivano dritte sul muso come in quel famoso film dei fratelli Lumière, L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat. Il velocissimo moto di rotazione della Terra su sé stessa, l’ancor più veloce moto di rivoluzione attorno al sole, l’ancor più strabiliante velocità del nostro sistema solare che danza intorno al centro della Via Lattea e infine il fenomeno dell’espansione accelerata del nostro universo, non permettono di comprendere e fissare con precisione nulla in nessun luogo. Quindi se siamo nel posto A, allo stesso tempo siamo anche in un non A.
Seguendo proprio i paradossi di Zenone di Elea, si disintegrano invece le confutazioni contrarie al carattere dialettico del movimento. Come aveva notato Lenin nei Quaderni filosofici, già Hegel nella Scienza della logica aveva preso una posizione netta rispetto al principio d’identità, lo disprezzava tanto da trovarlo “vuoto” e addirittura “insopportabile”. Questa “derisione” veniva naturalmente spiegata: una “vuota tautologia” che “contiene soltanto la verità formale, una verità astratta e incompleta”. Risulta inesatta perché è “unilaterale” ed “immobile”, non comprende che le categorie, cioè tutte le determinazioni dell’esistente, non sono identiche con sé, ma sono opposte, diverse e soprattutto vive, elastiche, si muovono, si trasformano, trapassano da una all’altra. “Acuto e intelligente! Hegel analizza concetti che sembrano di solito morti e mostra che in essi c’è movimento. Il finito? È ciò che si muove verso la fine! Il qualcosa? Non è ciò che è l’altro. L’essere in generale? È un’indeterminatezza tale che essere = non essere. Onnilaterale, universale elasticità dei concetti, elasticità che giunge fino all’identità degli opposti: ecco l’essenziale. Quest’elasticità, ove sia applicata soggettivamente, è = all’ecclettismo e alla sofistica. L’elasticità, applicata oggettivamente, cioè che rifletta l’onnilateralità del processo materiale e la sua unità, è la dialettica, è il corretto rispecchiamento dell’eterno sviluppo del mondo.”[7]
“La soluzione ai quattro grandi movimenti terrestri risulta semplice: la Terra e ogni ente su di essa, in ogni istante (o microsecondo, e così via), si colloca senza soluzione di continuità allo stesso tempo in un certo punto spaziale (A=A, dunque) ma, simultaneamente, anche in un altro, ossia in non-A.”[8]
Non vi convince? Provate a fermare nello spazio e nel tempo la velocità della luce. L’universo, le galassie, i soli e le stelle, sono immobili o in continua trasformazione? Ancora, il nuovo e sorprendente rapporto tra l’universo e la materia e l’energia oscura che lo avvolgono? “Le particelle e antiparticelle virtuali che appaiono e scompaiono senza sosta” durante l’esistenza del vuoto quantistico? La trasformazione ininterrotta dei quark? Il fatto che ogni elettrone e ogni fotone “costituiscono contemporaneamente sia un’onda che un corpuscolo, allo stesso tempo e simultaneamente”?
Va bene, vi risparmio il bosone di Higgs, il principio di sovrapposizione della meccanica quantistica, la fusione nucleare, perché non li ho ancora capiti bene neanche io, ma tutti questi esempi, analizzati in maniera più approfondita nel saggio in questione, portano acqua fresca al mulino della dialettica.[9]
Possiamo studiare e riprendere in mano la fisica, come possiamo dubitare della scienza che può apparire qui quasi come una questione di fede, data per certa la nostra estrema ignoranza socratica, ma la luce sul nostro caschetto è ancora accesa e in questa immensa caverna si intravede qualcos’altro.
Non è appunto finita qui, come hanno intuito le punte di diamante del pensiero dialettico e come sintetizzano la formula di Einstein e l’energia cinetica, il reale è allo stesso tempo reale ma anche potenziale, qualcosa che potrebbe manifestarsi, un germoglio non ancora sbocciato o una bomba non ancora scoppiata, una potenzialità latente, non ancora apparsa e che non per forza dovrà apparire. Ben lungi dall’essere immutabile dalla nascita alla morte come credeva la tradizione scientifica ufficiale per secoli, il nostro cervello è in continua trasformazione.
La cultura, lo studio, l’esperienza ne modificano con costanza la struttura. In una sola parola: neuroplasticità. Leggete questo saggio e non potrete essere ancora voi stessi, anche se non lo percepite, qualcosa in voi è cambiato. Dentro di me sicuramente. Metamorfosi può succedere dopo la lettura di un libro, l’ascolto di una canzone, la visione di un film, la fine di una relazione, la condivisione di un pasto, ecc. Come hanno dimostrato diversi studi scientifici, citati anche nel libello in esame, questa caratteristica della mente non appartiene solo all’essere umano, ma anche ad altri esseri viventi, compreso l’umile verme Caenorhabditis elegans. Come dimenticare poi il funzionamento del nostro corpo umano, siamo gli stessi quando i nostri polmoni si riempiono d’ossigeno e quando espiriamo anidride carbonica? L’unità e la lotta dialettica tra vecchio e nuovo, la ritroviamo nel fenomeno del Big-Bang, come nella fusione dei due buchi neri di più di un miliardo di anni fa. Il nostro pianeta è lo stesso rispetto alla sua esistenza precedente, alle innumerevoli collisioni avvenute con asteroidi di varia portata?
La luna, influenzando le maree, non ne cambia il volto costantemente? La perenne polvere spaziale che cade sulla superficie terrestre, non la rende uguale ma allo stesso tempo anche diversa? Dopo le eruzioni, le bombe atomiche, gli uragani e i terremoti, la Terra è ancora lì che gira come una trottola il valzer della vita, ma da un altro punto di vista è anche profondamente mutata in continuazione. Pensiamo all’ininterrotta trasformazione della vita sulla terra con il processo di fotosintesi e alla cosiddetta “catastrofe dell’ossigeno”; alla presenza nel corpo umano e in particolare nel nostro intestino di trilioni e trilioni di batteri, appartenenti a una specie e a un regno biologico molto diverso dal nostro; al materiale genetico dell’Uomo di Neanderthal ormai estinto che però ancora vive nel DNA di milioni di persone.
“Finora abbiamo parlato di materia, ma sussiste anche la pratica spirituale umana. Infatti il mondo materiale (=A) è stato affiancato e coesiste ormai da molti millenni, grazie alla praxis collettiva, con il mondo parallelo delle idee oggettivate, ivi comprese visioni, immagini e simboli, cristallizzate attraverso rocce stabili, tumulazioni, libri, foto, filmati, ecc., e riproducibili: ossia un “non A”, seppur collegato con mille legami al cosmo fisico. […] Ora, il principio di simultanea continuità e discontinuità vale e può esser applicato anche alla stessa logica, ossia al pensiero sul pensiero?”[10]
Probabilmente non c’è dimostrazione migliore. In ogni caso i pensieri si trasformano, che sia di tanto o di poco non importa, anche la riconferma e la ripetizione portano a un cambiamento, non tornano mai indietro identici. Lo stesso vale per i simboli e gli ideali e anche per il nostro presente, in continua balìa della memoria passata e delle prospettive future. Tutte questioni da approfondire, che in ogni caso dimostrano sempre più la validità dello schema logico e ontologico “A=A e non A”, cioè “la costante unità dialettica tra continuità e trasformazione nell’identità di ogni ente naturale, ivi compreso l’universo preso nel suo insieme”.
Come la mano che tocca il fiume, sé stessa ma allo stesso tempo costantemente bagnata da acquee diverse. Più si scende in questo abisso, più si scoprono nuovi abissi, non solo oscuri ma anche illuminati dalla luce della possibilità. Lasciamo a voi, prossimi lettori, la visione del profondo ramo della grotta dell’essere del nulla, meglio illuminato dalle fiammelle di altri esploratori, compresi naturalmente gli autori del saggio. A questo punto mi sembra fondamentale sottolineare che non solo noi umani non siamo al centro di un bel niente, ma anche che queste riflessioni devono assolutamente contrastare il nichilismo imperante, fedele servo del potere imperialista-capitalista-patriarcale, del così è e così sempre sarà. Seguendo la strada maestra dell’XI Tesi su Feuerbach, “I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo.”
“Il nuovo livello raggiunto dalla concezione del mondo materialistico-dialettica nel ventunesimo secolo può a sua volta contribuire a distruggere alla radice il virus letale del nichilismo filosofico, che ammorba la filosofia occidentale da più di due millenni: partendo dal sofista Gorgia, secondo cui “nulla esiste”, fino ad arrivare all’antisemita Heidegger con i famigerati Quaderni neri. Visto e considerato che sicuramente il nulla, alias il vuoto quantistico, risulta anche “qualcosa”, ossia coppie di particelle e antiparticelle virtuali che si annichiliscono a vicenda, persino il niente assoluto contiene in sé inaspettatamente il germe di un nuovo ente, di un nuovo avvio e di un nuovo processo naturale: in ultima analisi, bisogna rovesciare e decostruire pertanto la visione nichilista che da millenni rosicchia e divora dall’interno la cultura occidentale, in modo multiforme.”[11]
Il nulla esiste eccome caro Gorgia e addirittura la ricerca scientifica ci sta aprendo visioni che fino a poco tempo fa appartenevano solamente alla fantascienza. L’estrazione di energia dal vuoto quantistico, il teletrasporto dell’energia, non sono più sogni ma potenziale rivoluzionario, l’entanglement[12] per i motori quantistici pure. La ricerca e l’esperienza della Cina popolare e socialista, guidata dal PCC e dal marxismo del XXI secolo vanno in questa direzione. Certamente la tecnologia non è buona o cattiva in sé, ma dipende molto se non tutto, da come viene utilizzata.
Di chi fidarsi in questo frangente storico? Per chi si abbevera ancora soltanto nella fonte putrida della propaganda di guerra occidentale, consiglio vivamente Il pensiero di Xi Jinping come marxismo del XXI secolo[13], per schiarirsi un po' le idee. La sinizzazione del marxismo, ha salvato dalla scomparsa, la storia e il futuro del marxismo-leninismo. Il marxismo occidentale[14] è ormai deragliato da un pezzo dal binario morto sul quale correva, schiantato al suolo del revisionismo, prostrato ai piedi dei padroni, chiuso a chiave nell’inutile e omicida erudizione accademica. Il centro non può essere e non è mai stato sempre l’Europa. Il marxismo è creazione, non dogma, dialettica, non metafisica. Dobbiamo non solo difendere criticamente a spada tratta il comunismo in ogni campo da un’offensiva totalizzante iniziata con la sconfitta dell’URSS, ma anche continuare a studiarlo, svilupparlo, conservare la scintilla, piantare nuovi semi, adattarlo alla situazione concreta, riprendendo in mano le nostre migliori armi, in primis il materialismo storico e quello dialettico[15].
Dobbiamo tornare a strisciare nel fango della lotta di classe, trovando il modo di sintetizzare, comunicare e fornire questo immenso bagaglio culturale dialettico di pratica e teoria, sempre più necessario per le masse popolari, per i proletari, per gli atomi oppressi di questa barbara società, che ancora non riusciamo a raggiungere e a coinvolgere. Teniamo ben a mente la consapevolezza che tutto può cambiare, che gli imperi continueranno a crollare, che la storia non è assolutamente finita.
Grande è l’incertezza sotto al cielo e il futuro non è ancora scritto. L’unità e lotta tra vecchio e nuovo, tra continuità e trasformazione, nell’universalità così come nella particolarità, nel continuo fluire del movimento, questa dovrà essere la consapevolezza che ci guida, per immaginare e costruire un mondo migliore di questo. I venti di guerra soffiano sempre più forte, dobbiamo prepararci a essere pronti. La scelta del singolo rimane in ogni caso essenziale, quotidianamente la lotta ideologica dentro e fuori noi stessi non deve assolutamente essere trascurata. Nella notte ci guidano le stelle (i sogni ad occhi aperti di uguaglianza, giustizia sociale, ecc.), abbiamo da perdere soltanto le nostre catene. Tutto cambia dunque e continuerà a cambiare, ma spetta a noi farlo cambiare in meglio.
Come ricorda anche Mao, Lenin nei Quaderni filosofici definisce la dialettica come la dottrina dell’unità degli opposti. Questo è il nocciolo[16], l’essenza[17] della dialettica.
Per far comprendere le basi del materialismo dialettico il grande timoniere, nell’agosto del 1937, scrisse un testo fondamentale: Sulla contraddizione. Ideato per combattere il dogmatismo all’interno del PCC, rispolverarlo ora può aiutare a orientarsi per creare una nostra via al socialismo, che non può prescindere da tutto ciò. “La legge della contraddizione inerente alle cose, cioè la legge dell’unità degli opposti, è la legge fondamentale della natura e della società, e quindi anche del pensiero. Essa è in opposizione con la concezione metafisica del mondo.
La sua scoperta ha costituito una grande rivoluzione nella storia della conoscenza umana. Secondo il materialismo dialettico, la contraddizione esiste in tutti i processi che si verificano nelle cose oggettive e nel pensiero soggettivo, essa penetra tutti i processi dal principio alla fine: in questo consiste il carattere universale e assoluto della contraddizione.
Ogni contraddizione e ciascuno dei suoi aspetti hanno le loro proprie caratteristiche: in questo consiste il carattere particolare e relativo della contraddizione. Agli opposti è inerente in determinate condizioni l’identità che rende possibile la loro coesistenza in una singola entità, e inoltre la loro trasformazione nei rispettivi opposti: anche in questo consiste il carattere particolare e relativo della contraddizione. Ma la lotta degli opposti è ininterrotta; essa continua tanto durante la coesistenza degli opposti quanto durante la loro reciproca trasformazione, momento in cui questa lotta si manifesta con un’evidenza particolare: in questo consiste ancora il carattere universale e assoluto della contraddizione.
Quando studiamo il carattere particolare e relativo della contraddizione, dobbiamo tener presente la differenza fra la contraddizione principale e quelle secondarie, fra l’aspetto principale e quello secondario della contraddizione; quando studiamo il carattere universale della contraddizione e della lotta degli opposti, dobbiamo tener presenti le differenze fra le varie forme di lotta[18]; altrimenti gli errori sono inevitabili.”[19]
“In breve, le unità degli opposti sono illimitate. Quanto alla concezione dell’unità degli opposti e al metodo dialettico, abbiamo bisogno di fare una larga propaganda. La dialettica deve abbandonare i circoli dei filosofi per andare in mezzo alle larghe masse.”[20]
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Comments
Visto che la logica studia “le forme e le leggi” che guidano lo stesso tempo “il pensiero sul mondo esterno” e “il pensiero sul pensiero stesso” (Ilienkov), è interessante stabilire se anche all’interno del processo del pensare e delle dinamiche cerebrali coesistano simultaneamente una costante identità (memoria del passato, coscienza e autocoscienza, ecc.) e un’altrettanto costante processo di trasformazione, a volte anche estremamente limitato e minimale, in ogni singolo attimo di riproduzione della riflessione umana: e a tal proposito la psicologia e la neurologia confermano tale tesi, anche alla luce della plasticità ininterrotta ed espressa senza sosta dal cervello attraverso i suoi formidabili tessuti costitutivi, dalla nascita fino alla morte.
“Per molti secoli la scienza ufficiale ha sostenuto che i circuiti cerebrali fossero immutabili, cablati fin dalla nascita per produrre in ogni persona esiti non modificabili dall'apprendimento e, con l'invecchiamento, che ogni cervello andasse incontro al suo declino senza possibilità di ridurlo o bloccarlo. Non è così: il neuroscienziato Eric Kandel vinse il Nobel per la medicina nel 2000 per aver dimostrato che l'apprendimento può attivare geni in grado di modificare la stessa struttura neurale.
Kandel ricavò questa conclusione studiando il cervello di una lumaca di mare, l’Aplysia.
Lo stesso meccanismo vale per gli esseri umani: se ricordiamo qualcosa di ciò che abbiamo letto fin qui è perché il nostro cervello è adesso leggermente diverso da quando abbiamo iniziato a leggere. Questo meccanismo così evidente nella lumaca di mare, si ripete all’infinito anche nel cervello degli esseri umani fin dal primo momento in cui arrivano al mondo. L’utilizzo del cervello ne modifica costantemente l’architettura, e questa è anche la base delle differenze esistenti tra le persone. Le difficoltà di apprendimento hanno una componente genetica ma possono intensificarsi a causa di una stimolazione errata, mentre possono scomparire per mezzo di un ambiente scolastico e familiare ricco degli stimoli più indicati.
Per fortuna il nostro cervello si modifica ad ogni nostra nuova esperienza (nel bene e nel male), ad esempio i problemi cognitivi ai quali vanno incontro molti bambini dipendono dalla carenza di stimoli adeguati nei primi mesi/anni di vita. Così come la variabilità di risultati (nel medesimo ciclo di studi) degli studenti, dipendono dalle diverse esperienze che essi hanno fatto (o non fatto) nel loro ambiente familiare o sociale.
Molti di noi non sanno in base a quali meccanismi cerebrali l'essere umano è in grado di imparare qualcosa e acquisire quella conoscenza che gli ha permesso di evolversi e sopravvivere: ciò è l'esito di un fenomeno chiamato neuroplasticità.
Il neuroscienziato Norman Doidge così descrive la neuroplasticità nel suo libro: la neuroplasticità è la proprietà che consente al cervello di modificare la propria struttura e il proprio funzionamento in risposta all'attività e all'esperienza mentale.
Dal momento che tutti noi siamo cresciuti in ambienti diversi, siamo stati esposti a differenti combinazioni di stimoli, abbiamo imparato cose diverse, e tendiamo a esercitare le nostre capacità motorie e percettive in modi variabili, l’architettura del nostro cervello ne risulterà modificata in modo unico”. (“La neuroplasticità è alla base dell'apprendimento umano dalla nascita alla vecchiaia”, www.pensierocritico.eu.)
fondamentali del metodo e della teoria marxisti.
La prima cosa da chiarire è che parliamo di
"contraddizione reale" come concetto distinto da quello di "contraddizione logica". Quest'ultima si distingue dalla prima essenzialmente per le due
seguenti caratteristiche: a) è una relazione soltanto formale che si colloca a livello di linguaggio e non di realtà (in altri termini, esiste soltanto come relazione sintattica tra certi segni a prescindere completamente dal loro contenuto e dal
loro referente empirico); b) è una relazione inerente non ad un sistema positivo, qual è il sistema dei fatti empirici che costituiscono la realtà, ma ad un sistema normativo, qual è essenzialmente ogni sistema logico. In altre parole, la contraddizione logica è espressione dell'uso del principio normativo di non-contraddizione che fornisce un criterio per garantire la coerenza sintattica di un certo linguaggio. A tale proposito, giustamente
J. A. Schumpeter afferma che chi legga Marx senza una guida può chiedersi perché Marx parli così spesso di "contraddizioni" del capitalismo, quando egli non intende riferirsi ad altro che a fatti o tendenze che si condizionano a vicenda: queste sono, evidentemente, contraddizioni dal punto di vista della logica hegeliana. Tutto ciò - rileva il grande economista austriaco - ha avuto una conseguenza divertente: "Fino ad oggi, il marxista medio, accettando la parola contraddizione nel significato ch'essa ha nella logica e nel parlare comune, ne deduce che Marx voglia imputare al sistema capitalistico delle incompatibilità logiche in questo significato ordinario tutte le volte che parla di 'contraddizioni': il che naturalmente non è" (J. A. Schumpeter, "Storia dell'analisi economica", Boringhieri, Torino 1959, vol. II, p. 534).
Dovrebbe allora essere chiaro, una volta per tutte, che l'analisi delle "contraddizioni reali" non esclude, ma anzi implica l'accettazione e l'uso del principio di non-contraddizione a livello sintattico. Altrimenti, poiché "ex falso sequitur quodlibet", la stessa affermazione che "esiste una contraddizione reale" potrebbe essere considerata indifferentemente sia falsa che vera.