Hegel, Nietzsche, Marx. E il pensiero della speranza
di Vincenzo Scaloni
La concezione politica della speranza come esplosione della forza umana potenzialmente in grado di svilupparsi giorno dopo giorno intorno al non-ancora, concezione esplorata da Ernst Bloch in un tempo senza speranza come gli anni Trenta e Quaranta, ha orientato movimenti e correnti di pensiero, ma anche pedagogie e teologie. John Holloway e Gustavo Esteva, in modo più brillante e originale di altri, negli ultimi anni hanno restituito centralità a una certa idea di speranza. Per questo oggi le lezioni di Bloch dedicate alla filosofia moderna e ora pubblicate da Mimesis, nella traduzione e cura di Vincenzo Scaloni, ci sembrano essenziali. Stralci dell’introduzione all’edizione italiana di Da Kant a Marx. Lezioni di storia della filosofia moderna.
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L’opera che rendiamo qui disponibile in traduzione rappresenta il quarto volume delle lezioni di storia della filosofia, tenute da Ernst Bloch all’Università di Lipsia tra il 1951 e il 1956. Si tratta delle lezioni che coprono l’intero sviluppo della filosofia moderna da Kant fino a Marx, con una significativa sezione dedicata all’idealismo tedesco e una ulteriore che invece si occupa della dissoluzione dell’hegelismo nelle filosofie di Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche1. In quella che allora era la Repubblica Democratica Tedesca Bloch era approdato dopo il periodo di emigrazione forzata trascorso negli Stati Uniti, avendo accettato la direzione dell’Istituto di Filosofia dell’Università di Lipsia.
Furono anni segnati da un’intensa attività accademica e pubblicistica, ma anche da contrasti sempre più marcati con le autorità politiche di osservanza stalinista tanto da causare l’esonero del filosofo dall’insegnamento universitario e nel 1961, dopo la costruzione del muro di Berlino, il suo definitivo trasferimento a Tübingen2.
Le vicende personali del filosofo ebbero ripercussioni sul suo modo di illustrare, durante le lezioni, i contenuti filosofici e, in una intervista rilasciata alla televisione francese, l’autore così si espresse:
Apparentemente tenni a Lipsia soltanto lezioni di storia della filosofia. In tal modo, però, potevo inserirvi tutto ciò che volevo, sebbene spesso solo in forma d’un accenno. Negli anni trascorsi a Lipsia tenni nel complesso, dal 1951 fino al 1956, tre corsi di storia della filosofia da Talete fino a Heidegger. Per quanto riguardava il mio pensiero, mi tenevo, apparentemente, sempre del tutto in disparte; si trattava tuttavia di un’astuzia ben compresa anche da una larga parte dei miei uditori.3
Le parole di Bloch offrono una preziosa testimonianza sul valore effettivo e sulle peculiarità delle sue lezioni, che nel trattare gli autori e i problemi filosofici connessi al loro pensiero, in realtà rivelano l’utilizzo in corpore vivo di alcune categorie fondamentali della sua filosofia4. Lo stesso Bloch del resto, nell’introduzione alle Zwischenwelten, volendo chiarire i criteri della sua ermeneutica, avverte il lettore che non si sarebbe trovato di fronte a un tradizionale manuale di storia della filosofia. L’attenzione, infatti, è posta su quegli aspetti che, per vari motivi, sono rimasti marginali o possono essere interpretati in un modo diverso rispetto a quanto era stato fatto in precedenza. “Lo sguardo – afferma Bloch – cade su ciò che è apparso troppo poco e su ciò che doveva essere visto in modo diverso dal solito; dunque, su ciò che non è stato osservato correttamente oppure è stato interpretato in modo errato”5. Il vero senso del termine Zwischenwelten sarebbe dunque quello di indicare quegli interstizi nei quali sono rimasti celati frammenti di verità, fenditure che contengono delle anticipazioni, poiché in esse si concentra un’eccedenza utopico-emancipatoria, che può in futuro maturare degli sviluppi.
Le modalità con le quali Bloch si è accostato e ha interpretato la storia della filosofia non sono state in ogni caso esenti da critiche. Secondo alcuni interpreti6, infatti, la ricerca di un teleologismo immanente al processo storico, di un “futuro nel passato” indirizzato al costituirsi di un regno dell’umano, avrebbe fatto cadere Bloch in un vizio di apriorismo. Il suo orizzonte ermeneutico rimarrebbe in definitiva “chiuso”, non aprendo, quindi, a un interrogare autentico nei confronti della storia della filosofia, poiché le risposte cercate sarebbero in larga parte predeterminate da una metafisica del non-ancora-essere. Tali giudizi, però, sebbene contengano un fondo di verità, non risultano, a mio avviso, del tutto convincenti oppure andrebbero articolati diversamente. Se infatti la ricerca di Bloch è effettivamente orientata all’utopico, proprio l’anticipazione utopica gli fornisce uno strumento che, alla prova dei fatti, si rivela particolarmente fecondo ed efficace nell’aprire originali prospettive interpretative, e questo è tanto più vero nei confronti della filosofia classica tedesca7. Al di là, infatti, delle condizioni sociali ed economiche, nelle quali quel movimento di pensiero e culturale in genere era maturato, al di là dunque della famigerata “miseria tedesca”, che viene comunque tenuta in considerazione da Bloch, il filosofo è in grado di riconoscere in esso, grazie alla lente della speranza, un nucleo utopico caratterizzante, che apre a prospettive ulteriori.
[La miseria] ha avuto effetti terribili in termini di oppressione, di meschinità e di rottura della colonna vertebrale su tutti i nostri geni con poche eccezioni, anche su Kant, su Bach e visibilmente su Schiller. E, nonostante ciò, si fa avanti qualcosa, un tono di calore, un non-voler-sopportare, un voler-sapere-meglio, un voler-fare-meglio, un sognare-oltre, un sogno in avanti (ein Traum nach vorwärts), che non si trova appunto così facilmente in altre culture. Da ciò anche l’affinità di questo voler-andare-oltre con la Bibbia, anch’esso un libro, scritto in condizioni di enorme miseria, nelle sofferenze del popolo di Israele.8
Queste penetranti considerazioni, oltre a ribadire la riconosciuta capacità del filosofo di saper distinguere il diverso valore dei contenuti trattati, chiamano però direttamente in causa l’originale concezione del marxismo, elaborata da Bloch, che si era alimentata proprio dal contatto con l’idealismo tedesco, in particolare di stampo hegeliano, e che era stata la causa determinante della rottura con l’ortodossia9. Essa trova il suo perno teorico nella negazione di una rigida relazione tra struttura e sovrastruttura, che fondava una visione del processo storico scandito in modo deterministico. Da questo punto di vista Bloch accomuna nella stessa critica tanto lo storicismo idealistico quanto il materialismo storico, nella sua versione economicistica, poiché in fondo a entrambi appartiene la stessa visione di una “soggettività dominatrice”10, che, avendo definitivamente svelato il segreto della storia e le leggi del suo movimento, può quindi attendere l’ineluttabilità degli avvenimenti futuri. La dimensione etica del marxismo di Bloch, un’etica intesa in senso oggettivo, non come moralità astrattamente individualistica, implica però la concezione di un soggetto animato dalla speranza, teso a cancellare l’ingiustizia grazie a una prassi indirizzata all’edificazione di una diversa forma di organizzazione sociale, poiché “la società senza classi è realmente ciò che, sotto il nome di ‘morale’, si è cercato invano per tanto tempo”11. La filosofia dell’utopia, definendosi in modo strutturale come una filosofia della prassi, si pone in relazione privilegiata con la prevalenza della ragion pratica affermata dall’idealismo soggettivo, dando però a essa l’impronta concreta del rapporto dialettico con la realtà di derivazione hegelo-marxiana.
La maggiore autonomia riconosciuta alla sovrastruttura – parafrasando le parole di Leibniz in risposta a Locke, Bloch era solito affermare: “Niente può essere nella sovrastruttura che prima non sia stato nella struttura, eccetto la sovrastruttura stessa”12 – produce però delle ulteriori conseguenze teoriche ed ermeneutiche sostanziali, come si è già visto a proposito dell’idealismo. La sovrastruttura possiede infatti per Bloch una doppia valenza, in quanto “luogo dell’ideologia” e, allo stesso tempo, “luogo della cultura”13. Nel primo caso essa svolge, in un senso classicamente marxiano, la funzione di giustificazione ideologica di quanto un’epoca storicamente produce, ma da un punto di vista culturale può rivelare, al contrario, un contenuto non-transeunte, un sostrato ereditario, indicativo di un problema ancora aperto, irrisolto. Con l’indagine sulla parte d’ideologia contenuta in un pensiero, si fa evidente nel modo migliore quel che è problema perdurante, eventualmente substrato ereditabile, e quel che invece appartiene alla storia passata per sempre. […] Quanto è ancora importante, ci riguarda ancora, è carico di realtà, non ha nulla da temere da simili analisi; altrimenti il marxismo non sarebbe il luogo dell’eredità culturale.14
A questo proposito un esempio cogente ci viene offerto dal pensiero borghese di stampo idealistico. Il suo tentativo di definire un ambito ideale armonico e razionale, ma astrattamente e ideologicamente privo di effettiva incidenza sulla realtà, nell’ottica proposta da Bloch poteva rivelare una valenza diversa. Compito precipuo del marxismo, riferimento essenziale di ogni relazione critica con le problematiche storicofilosofiche, è dunque ereditare l’eccedenza presente nella cultura, come testimonianza del persistere nel passato di un nucleo incompiuto, ma ancora vivo, che lascia pre-apparire i contorni di una utopica felicità futura.
Il concetto di eredità merita però ulteriore attenzione, poiché esso gioca un ruolo centrale nella filosofia di Bloch e rappresenta forse, insieme a quello della speranza, il criterio ermeneutico fondamentale nel suo approccio alla storia della filosofia. Ereditare significa infatti esercitare un rapporto attivo con il passato e con il presente, con quella componente inesaudita, non-riscattata, definita in modo significativo da Bloch “futuro nel passato”15. Il riconoscimento della presenza di sfasature ontologico-temporali all’interno del processo storico, e in questo caso storico-filosofico, caratterizza il tentativo blochiano di ridefinizione dello storicismo, del superamento di una visione compatta della storia in cui il passato è considerato pienamente esaurito. Il sedimentarsi invece di un passato non redento rappresenta qualcosa di inespresso a livello ontologico, che rimane allo stato di latenza e per questo può avere una sua maturazione nel futuro. La filosofia dialettico-materialistica deve dunque “adire l’eredità culturale nel suo complesso, aumentarla e, a differenza dallo storicismo, mantenerla attivamente viva”16. Si comprende allora che il motivo per cui la stessa riflessione di Bloch si è costantemente alimentata del confronto con i filosofi del passato è legato a una esigenza teorica profonda, poiché l’indagine storico-filosofica, nel rintracciare e restituire la cifra utopica nei diversi fili che la legano all’attualità, lascia intravedere anche alcune categorie importanti del pensiero blochiano e apre al futuro del possibile da realizzare.
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