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“La grande convergenza” di Richard Baldwin

di Luca Picotti

Recensione a: Richard Baldwin, La grande convergenza. Tecnologia informatica, web e nuova globalizzazione, Il Mulino, Bologna 2018, pp. 328, 28 euro (scheda libro)

La grande convergenza. La globalizzazione è un fenomeno complesso, antico e insito nella storia delle relazioni umane. Non è possibile considerarlo nella sua unitarietà, dal momento che in ogni periodo storico si è presentato con una sfumatura diversa. La globalizzazione che oggi conosciamo e che vediamo essere in crisi è diversa da quella di fine Ottocento: verso il 1990 la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) ne ha trasformato i caratteri e il suo impatto sul mondo.

Questa è la tesi di fondo del prezioso libro di Richard Baldwin, professore di International Economics alla Graduate School di Ginevra, La grande convergenza. Tecnologia informatica, Web e nuova globalizzazione edito da il Mulino. Il libro espone con grande lucidità i meccanismi della globalizzazione, analizzati da Baldwin con una chiave di lettura personale volta a proporre un approccio singolare al fenomeno. In particolare, Baldwin si focalizza sulle differenze tra la cosiddetta vecchia globalizzazione, iniziata nell’Ottocento e caratterizzata dall’abbassamento dei costi dei trasporti, e la nuova globalizzazione, guidata sul finire del ventesimo secolo dalle ICT. Con la prima ha luogo la «grande divergenza» tra i paesi industrializzati del Nord, dove innovazione e sviluppo rimangono concentrati, e il resto del mondo; mentre con la seconda stiamo assistendo, grazie alle delocalizzazioni e al circolare delle idee e del know-how, alla «grande convergenza», con la conseguente crescita e industrializzazione dei paesi che prima erano ai margini dell’economia mondiale e la deindustrializzazione delle nazioni sviluppate.

L’Autore, convinto che le attuali discussioni sulla globalizzazione siano «troppo influenzate dai tempi in cui viviamo», propone innanzitutto un sintetico ma chiaro sguardo sui 200.000 anni di storia della globalizzazione. Partendo dall’assunto che il commercio ha origine quando la produzione e il consumo vengono separati geograficamente e che è necessario osservare come si modifica la relazione fra produzione e consumo, Baldwin distingue quattro fasi della globalizzazione[1]:

  • Fase 1: l’antropizzazione del globo (da 200.000 a circa 10.000 anni a.C.). In questa fase la produzione consisteva in alimenti ed era l’uomo a spostarsi per sfruttare i luoghi di produzione.
  • Fase 2: l’economia globale si radica al luogo (dal 10.000 a.C. al 1820 d.C. circa). Grazie alla Rivoluzione agricola, in questa fase l’economia mondiale viene «localizzata», il cibo viene prodotto e consumato in località fisse senza che l’uomo debba spostarsi per cercarlo.
  • Fase 3: la globalizzazione delle economie locali (dal 1820 al 1990 circa). La rivoluzione del vapore e la Rivoluzione industriale cambiarono il rapporto del genere umano con la distanza: il miglioramento del trasporto rese possibile consumare in luoghi lontani, e si sviluppò la logica ricardiana del vantaggio comparato tra nazioni.
  • Fase 4: la globalizzazione delle fabbriche (dal 1990 a oggi). Con la rivoluzione delle ICT i vasti squilibri nella distribuzione internazionale della conoscenza vengono ridotti, il Nord si deindustrializza mentre alcuni paesi del Sud vanno industrializzandosi, con un conseguente spostamento delle quote del PIL.

 

I tre “spacchettamenti” di Richard Baldwin

Quando il trasporto marittimo dipendeva dall’energia eolica e quello terrestre dall’energia animale, i costi di trasporto erano tali da rendere la produzione forzatamente «impacchettata» con il consumo. «Si può pensare alla globalizzazione come a un progressivo scioglimento di quel forzato “impacchettamento”. Ma non erano i soli costi di trasporto a generare quel legame. Vi contribuivano tre costi determinati dalla distanza: i costi del trasporto di beni, del trasporto di idee e del trasporto di persone […] I costi di trasporto sono caduti verticalmente un secolo e mezzo prima dei costi di comunicazione. E i contatti personali diretti sono ancora oggi molto costosi. Diviene più facile capire l’importanza della suddetta sequenza di caduta dei costi se si osserva la globalizzazione in una nuova prospettiva, ossia nella prospettiva di quella che io chiamo “estinzione a cascata dei tre vincoli”»(p.14).

Il primo «spacchettamento» risale, afferma l’Autore riprendendo l’articolo di Kevin O’Rourke e Jeff Williamson When Did Globalisation Begin? (2002), al 1820, anno in cui i prezzi interni vengono fissati dall’interazione tra domanda e offerta internazionali. Protagonista di questa fase, suddivisa dall’Autore in tre atti – in modo da non trascurare la stagione protezionistica del 1914-1945 – è la macchina a vapore, che ridusse drasticamente i costi del trasporto: per fare un esempio, nei tardi anni Trenta dell’Ottocento, un veliero di classe superiore poteva andare da Liverpool a New York in circa 48 giorni, mentre negli anni Quaranta sempre dell’Ottocento le navi a vapore ridussero la durata del viaggio a 14 giorni. «L’energia generata dal vapore consentì agli uomini di spostarsi normalmente da un continente all’altro, e di ridisegnare il mondo come sarebbe stato impensabile fare con l’energia animale, eolica e idraulica»(p.56). Nella fase del primo «spacchettamento» sono però solo i costi di trasporto dei beni a calare, mentre quelli del trasporto di idee rimangono alti: questo squilibrio finì per produrre enormi differenze di reddito tra i paesi sviluppati (Nord) e quelli in via di sviluppo (Sud), anche perché, seppur i mercati si stessero espandendo globalmente, l’industria si concentrò localmente nel Nord e così anche l’innovazione da questa alimentata[2]. «In breve, la grande divergenza fu prodotta dalla combinazione di bassi costi commerciali e alti costi di comunicazione» (p.15).

Il secondo «spacchettamento» avviene sul finire del ventesimo secolo ed è guidato dalla rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT). Per riportare alcuni dati, fra il 1986 e il 2007 la capacità mondiale di memorizzazione di dati è cresciuta del 23% all’anno, le telecomunicazioni del 28% e la potenza computazionale del 58%. Con il miglioramento delle comunicazioni risulta più agevole trasferire le idee e coordinare attività complesse a distanza, come nel caso della segmentazione dell’organizzazione delle fabbriche a livello internazionale – si parla della delocalizzazione di alcuni stadi del ciclo produttivo in paesi a basso costo salariale. Il secondo «spacchettamento» ha portato alla combinazione del know-how di marketing, manageriale e tecnico dei paesi del G7 con i lavoratori a basso salario dei paesi in via di sviluppo, con la conseguente crescita e industrializzazione di questi ultimi. Per comprendere come sia mutata la natura della globalizzazione dal primo al secondo «spacchettamento», Richard Baldwin offre un’efficace metafora sportiva.

Si pensi a due squadre di calcio che discutono su uno scambio di giocatori. Se questo ha luogo, avvantaggerà entrambe perché ognuna otterrà così il giocatore di cui effettivamente necessitava: la vecchia globalizzazione può essere pensata come uno scambio di giocatori. Si pensi ora ad uno scambio totalmente diverso. L’allenatore della squadra migliore va nei fine settimana ad allenare la squadra peggiore; la lega calcistica sarà così più competitiva e la squadra peggiore migliorerà, ma non è detto che quella migliore ne tragga vantaggio, anche se il suo allenatore realizzerà un buon guadagno prestando il suo servizio a due squadre anziché a una sola: questa è la nuova globalizzazione, dove le imprese che delocalizzano coprono il ruolo dell’allenatore e che sta portando verso la «grande convergenza».

La narrazione di Richard Baldwin sull’estinzione a cascata dei tre vincoli sembra presupporre un terzo «spacchettamento», che si verificherebbe se il costo dei contatti personali diretti cadesse nella stessa misura degli altri due (beni e idee). In un futuro non troppo lontano, secondo l’Autore la «telepresenza» e la «telerobotica» potranno abbattere i costi di circolazione delle persone consentendo di separare fisicamente le prestazioni di lavoro dai lavoratori.

 

Nuova globalizzazione e conclusioni

Cosa c’è di veramente nuovo nella nuova globalizzazione? In primo luogo, il vantaggio comparato è de-nazionalizzato. «Ad esempio, le automobili prodotte in Germania concorrevano [nel contesto della vecchia globalizzazione] con quelle prodotte in Giappone. Nel contesto della nuova globalizzazione, la competizione va invece immaginata come se avvenisse fra catene transnazionali della produzione, che chiamiamo “catene globali di valore”»(p.150). Inoltre, con il trasferimento di tecnologie all’estero da parte delle imprese al fine di rafforzare la concorrenza internazionale, non è detto che sia la nazione di dette imprese a trarne vantaggio. In secondo luogo, con la riorganizzazione internazionale della produzione, il valore si sposta verso i servizi. Infine, vi sono, rispetto alla vecchia globalizzazione, nuovi vincitori e nuovi perdenti, come si evince dalla metafora delle squadre di calcio accennata qui sopra: in particolare, come anche dimostrato dalle ricerche dell’economista Branko Milanovic, a perdere sono i ceti medi dei paesi sviluppati, sconfitti dalla concorrenza a basso costo e dalle delocalizzazioni.

«L’arte del progresso consiste nel preservare l’ordine di fronte al cambiamento e nel preservare il cambiamento di fronte all’ordine». Questa massima del filosofo Alfred Whitehead riassume, secondo Richard Baldwin, le sfide che la globalizzazione pone ai governi di tutto il mondo. L’Autore sostiene si debba ripensare la politica della competitività, oltre che la politica industriale, commerciale e sociale, per adeguarsi alla nuova globalizzazione. Il punto fondamentale del discorso dell’economista risiede nell’esortazione a guardare la globalizzazione non come un fenomeno unitario, ma considerando le sue specifiche sfumature storiche: in sostanza, la nuova globalizzazione è radicalmente diversa dalla vecchia e un potenziale futuro calo dei costi della circolazione di persone potrebbe cambiarne ulteriormente il volto.

Proprio per questo motivo è necessaria l’analisi delle trasformazioni che stiamo vivendo; come afferma il futurologo John Naisbitt, «il modo più attendibile per prevedere il futuro consiste nel cercare di capire il presente».

Il libro di Richard Baldwin ha il merito di trattare un tema vasto e complicato come quello della globalizzazione con lucidità e rigore accademico. Vi sono però alcune criticità da segnalare, o quantomeno alcuni aspetti da problematizzare: innanzitutto, rischia di essere fuorviante la periodizzazione 10.000 a.C.-1820 come fase di immobilismo nella storia economica, dal momento che, ad esempio, già ai tempi dell’Impero romano gran parte del grano consumato nella capitale non era coltivato nella penisola (per non parlare dei commerci in Asia, a cui l’Autore tra l’altro accenna). Inoltre, pare affetta da un eccessivo automatismo l’idea che l’abbassamento dei costi di informazione abbiamo improvvisamente avviato l’industrializzazione dei paesi in via di sviluppo – per quanto un nesso inevitabilmente ci sia, si pensi al “furto” di proprietà intellettuale in Cina.[3] La prospettiva dell’Autore, in sostanza, sembra alle volte troppo “occidentalista” e ingessata allo schema interpretativo – che pure è suggestivo – dell’«estinzione a cascata dei tre vincoli».

Al netto di questi aspetti, il libro rimane un volume prezioso per capire il presente.


Note
[1] Questa schematizzazione, come ogni sintesi forzata di periodi storici molto lunghi, rischia di semplificare e trascurare alcuni aspetti importanti della storia economica. In particolare, le quattro fasi delineate dall’Autore finiscono per rappresentare una prospettiva esclusivamente “occidentale” ed eccessivamente focalizzata sulla rivoluzione industriale. Nonostante l’Autore dedichi alcune preziose pagine allo sviluppo delle regioni asiatiche, la schematizzazione qui sopra riportata rimane riduttiva nel suo “eurocentrismo”.
[2] Il fatto che il costo della circolazione delle idee fosse rimasto alto comportò, secondo Richard Baldwin, un’asimmetria tra paesi sviluppati e industrializzati e quelli in via di sviluppo, poiché l’innovazione tendeva a rimanere concentrata al Nord – gap che verrà poi ridotto in seguito con la “nuova globalizzazione” caratterizzata dalla rivoluzione delle ICT e dalle delocalizzazioni.
[3] Ma allo stesso tempo la Cina ha protetto diversi settori strategici dalla competizione occidentale.

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