Fai una donazione

Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________

Amount
Print Friendly, PDF & Email

sinistra

Hegel con Pashukanis. Una lettura marxista-leninista*

di Carlo Di Mascio

HegelPasukanis000.jpgLa scelta di una filosofia dipende da quello che sei.

J. G. Fichte, Prima introduzione alla Dottrina della Scienza

1. La ricezione russo-sovietica di Hegel tra filosofia e politica

Nel 1931 Evgeni Pashukanis pubblica un saggio dal titolo ‘Hegel. Stato e diritto1, dedicato al centenario della morte di Hegel. L’occasione era stata fornita dalla possibilità di partecipare, con alcuni scritti di filosofi e giuristi sovietici, allo Hegel-Kongreß tenutosi a Berlino nello stesso anno, partecipazione poi - come ricorderà Pashukanis - «comicamente» negata dagli organizzatori che, nel rifiutare gli scritti di provenienza sovietica, si limitarono solo alla ricezione di semplici comunicazioni «sulla portata e l'organizzazione degli studi hegeliani nelle istituzioni scientifiche russe». A ciò fece seguito, come ancora polemicamente riportato dal giurista sovietico, il commento di Georg Lasson, tra i promotori del congresso berlinese, per il quale sarebbe stato «assurdo scoprire la dottrina hegeliana dello Spirito assoluto nel materialismo inanimato del marxismo»2. Ora, non serve qui soffermarsi sulle ragioni di una tale esclusione. Essa non poteva che dipendere dal ritenuto stato «avanzato» degli studi hegeliani nell’Occidente europeo, in un contesto culturale e storico-politico molto particolare, connotato dall’avvento del nazi-fascismo in Germania e in Italia3, dal «ritorno a Hegel» e ai motivi più reazionari del suo pensiero riassunti in quel «neohegelismo»4 da impiegare come baluardo politico-filosofico allo stato «avanzato» della crisi, sociale ed economica, in una Europa segnata dal timore di una rivoluzione interna sull’esempio di quella sovietica - ma anche da una sostanziale debolezza della tradizione filosofica russa, già vent’anni prima riconosciuta da Lenin, secondo cui «Nelle correnti d’avanguardia del pensiero russo non c’è una grande tradizione filosofica come quella che per i francesi è legata agli enciclopedisti del XVIII secolo, per i tedeschi all’epoca della filosofia classica da Kant a Hegel a Feuerbach.»5.

In effetti, la ricezione di Hegel in Russia6, ma soprattutto i criteri di analisi e di approccio alla complessità della dottrina hegeliana, appaiono costantemente il portato di contingenti necessità storiche e politiche. Basti solo pensare alla nota rilettura di Lenin della Scienza della Logica, che avviene proprio in concomitanza con la dissoluzione della Seconda internazionale (1914) e con il proliferare di posizioni revisionistiche nel marxismo russo, finalizzata al recupero della dialettica come analisi del conflitto di classe in una prospettiva di immediata sovversione rivoluzionaria7. Da queste premesse la filosofia in generale avrebbe dovuto assumere, seguendo il predominante impianto leninista, una connotazione di parte, per così determinare una decisa presa di posizione marxista in difesa del materialismo e del carattere attivo della coscienza proletaria, per cui, in quanto strumento politico nella lotta di classe, essa doveva avere il compito di mettere in crisi i rapporti di forza tra le classi per creare le condizioni soggettive e oggettive per la rivoluzione. Ne è derivato pertanto un carattere tipicamente non accademico degli studi, che ha finito per contrassegnare la filosofia russa, e poi sovietica, solo come un momento di radicalità e di estremismo funzionale alla lotta rivoluzionaria.

Da qui una persistente tensione concettuale, duplice e contraddittoria, che si trascinerà inesorabilmente nei confronti di Hegel a opera del mondo russo-sovietico, consistente nel seguire il suo insegnamento, ma evitando di richiamarsi scolasticamente alla sua dottrina. E ciò a partire da Herzen, secondo cui la dialettica hegeliana è «l’algebra della rivoluzione»8, e che in ogni caso bisognava «andare oltre lui, ma non contro di lui»9, passando per Plechanov per il quale quando Hegel si riferisce alla storia di un popolo «ci seduce al punto da farci quasi dimenticare che si tratta di un idealista, pronti a confessare che, veramente Hegel „die Geschichte nimmt, wie sie ist,” (prende la storia per quello che è)»10, per giungere a Lenin che nei suoi Quaderni filosofici, rendendo la dialettica uno strumento di lettura della storia reale in cui il negativo non è semplice pars destruens, bensì progetto operativo rivoluzionario - si spinge fino al punto di affermare che «il materialismo storico» andrebbe considerato «come una delle applicazioni e uno degli sviluppi delle geniali idee-semi, che si trovano in germe in Hegel»11.

Insomma, se per il marxismo sovietico Hegel appare come un grande idealista, come il filosofo per eccellenza della borghesia, un conservatore, colui che garantisce filosoficamente e giuridicamente le classi dominanti, tuttavia nel contempo è anche colui che aiuta a capire la storicità dei processi, ponendo la filosofia, grazie alla dialettica, in concreta relazione alla società vissuta, riconducendo la riflessione storica sul terreno dell’esperienza concreta, stabilendo che la forma non può venire distinta dal contenuto della conoscenza e che i criteri di verità che gli individui utilizzano dipendono dalla realtà storica nella quale sono immersi. Hegel è colui che permette di comprendere che per la dialettica «non esiste una verità astratta, la verità è sempre concreta»12; che tutto si sviluppa e che nel mondo si svolge un processo continuo di trasformazione e di evoluzione, sicché, come scrive Lenin nel saggio dal titolo Friedrich Engels, «Se tutto si sviluppa, se alcune istituzioni esistenti vengono sostituite da altre istituzioni, perché dovrebbero perpetuarsi in eterno l’autocrazia del re prussiano o dello zar russo, l’arricchimento di un’infima minoranza a spese della stragrande maggioranza, il dominio della borghesia sul popolo?». Hegel è sì «un ammiratore dello Stato autocratico prussiano, al servizio del quale egli si trovava in qualità di professore dell’Università di Berlino», ciononostante «la sua dottrina era rivoluzionaria»13.

A questa ambigua predisposizione verso Hegel - che invero proseguirà sino a Stalin in un rapporto sempre più improntato nei suoi confronti a vigile distacco o, quantomeno, a rigorosa riserva - anche Pashukanis e il suo saggio ‘Hegel. Stato e diritto’ non si sottraggono, mostrando di aderire completamente ad un’unica direttrice, quella marx-engelsiana dell’interpretazione leninista di Hegel, e ciò sia quando si tratta in ambito filosofico-teoretico di criticare il carattere idealistico-misticheggiante del suo linguaggio, sia quando in ambito politico-giuridico si assume che la sua Rechtsphilosophie se «da un lato contiene gli inizi della teoria di classe materialistica dello Stato, dall'altra è la fonte di una ideologia reazionaria volta a deificare lo Stato dello sfruttamento di classe»14, sia quando, infine, si tratta di esaltare la dialettica materialistica - da collegare a Hegel dopo averlo depurato del suo substrato reazionario e del suo idealismo, dato che il vero mondo e la verità non si trovano fuori dalle cose di cui facciamo esperienza - come logica e teoria della conoscenza e dell'azione, ma soprattutto come nutrimento continuo della potenza proletaria per la rivoluzione comunista. Ed allora, se questo è lo scenario complessivo rispetto a Hegel, quale interesse può rivestire questo breve saggio scritto dall’intelligenza teorica più raffinata, maturata nella cultura giuridico-politica della Russia sovietica degli anni Venti?

 

2. Dittatura giuridica, contenimento proletario e nuova razionalità

Va subito pretermesso che a dispetto del titolo assegnato al suo saggio e che pare volersi concentrare solo sulla Rechtsphilosophie, l’obiettivo di Pashukanis sembra muoversi in due direzioni collegate tra loro. Se la filosofia hegeliana può venire utilizzata a opera dell’ideologia borghese per fini di dominio e di controllo sociale, essa resta pur sempre un indispensabile strumento che catturando «il proprio tempo colto in pensieri»15, cioè filtrando nel mondo astratto delle categorie logiche la nuova concretezza dei rapporti sociali, permette di cogliere la struttura oggettiva dello sviluppo della storia, così da individuare, in particolare nel § 185 della Rechtsphilosophie che affronta le contraddizioni interne della società civile, i prodromi della teoria materialista dello Stato, nel quale, seppure i conflitti si ricompongono e ogni elemento costitutivo riesce a trovare la propria adeguata collocazione, si nasconde l’antagonismo che nella società moderna perviene a generare il proletariato, sicché è proprio con Hegel, scrive Pashukanis, che «la teoria di classe dello Stato comincia ad apparire»16.

In una tale ottica, che stringe in un nesso unitario le suddette ambivalenze verso Hegel con la presa d’atto che una filosofia incapace di comprendere la propria storicità non è altro che ideologia, e che la dialettica per definizione mostra il nesso tra politica, intesa come azione pratica, e teoria, emerge così il punctum pruriens del saggio di Pashukanis, il quale si chiede perché mai - in una fase storica cruciale per il capitalismo borghese, in cui cioè perviene a maturazione una crisi che pone nuovi rapporti di forza tra borghesia capitalista e proletariato - si è giunti a una interpretazione fascista di Hegel, racchiusa in quel neohegelismo dietro cui si nasconde solo «il tentativo di uccidere e immobilizzare la sua dottrina filosofica, per esasperare ciò che di essa è debole, ha carattere transitorio, con i suoi schemi astratti, i suoi orpelli scolastici, la sua vaga metafisica, gettando via la dialettica»17. Perché allora questo «ritorno a Hegel», trattato fino a poco tempo prima come «un cane morto»18, e che ora viene utilizzato «per giustificare la politica del saccheggio e della violenza imperialista»?19 A questo livello, proprio il sottofondo teorico derivante in particolare da La Teoria generale del diritto e il marxismo, l’opera principale di Pashukanis pubblicata nel 192420, si rivela preziosissimo nell’analisi delle contraddizioni in atto e delle complessive ragioni che ispirano ‘Hegel. Stato e diritto’, laddove in particolare il giurista sovietico era riuscito brillantemente a mostrare la correlazione esistente fra lo Stato, il moderno diritto formale astratto ed i rapporti sociali capitalistici. Una correlazione destinata a descrivere il dominio diretto del capitale sulla società, in cui è il diritto borghese, elemento strutturale dell’organizzazione capitalistica, a rappresentare la teoria della forma di questo dominio, programmato tuttavia in maniera «falsamente» neutrale per ricoprire tutte quelle fessure di liberazione dallo sfruttamento, lasciate sistematicamente aperte dalla ribellione dei dominati. Pashukanis coglie in particolare che nel capitalismo maturo il diritto compie un eccezionale salto di qualità, non svolgendo più un ruolo semplicemente «ideologico» teso a mistificare lo sfruttamento di classe, ma rendendo quest’ultimo razionalmente concepibile, poiché in esso ontologicamente radicato, elemento strutturale senza il quale tutta la realtà economica e istituzionale della società del capitale, «come risultato ultimo del processo sociale di produzione», non riuscirebbe a darsi.

L’effetto è dunque formidabile, poiché gli stessi rapporti sociali si sono resi indipendenti rispetto ai loro soggetti, quelli reali e in carne e ossa, oramai serenamente espulsi dal mondo reale attraverso la norma giuridica e lo Stato, che vive del diritto ma non è più un diritto, occultando così «l’essenza del potere come violenza di una classe sull’altra»21. Ora, proprio questa necessità della dimensione capitalistico-borghese, inscritta nei rapporti economici, di garantirsi mediante una dittatura giuridica, e che Pashukanis ben individua, consistente cioè nel legare la riflessione non sui fondamenti sociali ed economici, bensì sulle forme più astratte come condizioni funzionali al riconoscimento dell’ordinamento normativo borghese22- raggiunge l’apice in una fase che storicamente è possibile collocare nel periodo che va dagli anni Venti agli anni Trenta del Novecento, e ciò per il rafforzamento di nuove corrispondenze antagonistiche tra le classi, tese per lo più ad accentuare, nel controllo della crisi, la distanza fra capitalisti e proletari. Se nel corso dell’800 la borghesia, per impedire la caduta del saggio del profitto e incentivata da una serie ciclica di crisi economiche, sviluppa su ampio raggio le forze produttive, dall’altra è anche inevitabilmente costretta a dover prendere atto della rilevante crescita del loro carattere collettivo. In altri termini, il capitalismo per funzionare aveva avuto bisogno di riferirsi a milioni di proletari che tuttavia, come indispensabili agenti partecipativi di trasformazione e di sviluppo, cominciano anche a sperimentare le condizioni per una superiore organizzazione, fondata sulla gestione collettiva della produzione sociale e, pertanto, su una transizione che pretende di rompere, di rifiutare ogni forma di partecipazione, poiché mistificatoria23.

A fronte, dunque, di un sociale antagonistico che la classe operaia comincia a imporre su tutti gli aspetti dello sfruttamento, nonché di un capitalismo oramai giunto a occupare tutti gli spazi possibili di espansione - in un mondo entrato nella prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta, diviso tra Stati imperialisti, ciascuno in grado di aumentare i propri profitti solo occupando lo spazio di un altro Stato imperialista - la crisi sociale ed economica può trovare una sua risoluzione solo attraverso una complessa ristrutturazione dello Stato capitalistico che, proprio a partire dagli anni Venti del ‘90024, deve riorganizzare la produzione, modificando i propri meccanismi istituzionali per piegarli esclusivamente su di essa, nonché contenere una classe operaia sempre più estesa e politicamente identificata, facendo in modo che gli interessi di questa risultino in sintonia con quelli del capitalismo borghese, e così da massa sfruttata per il solo possesso di una forza lavoro da impiegare e da sfruttare, a carne da macello nelle guerre di rapina capitalistiche.

Si tratta pertanto di plasmare la lotta di classe in un nuovo lubrificante funzionale all’accumulazione capitalistica, la quale non può realizzarsi se non sconvolgendo tutte le condizioni materiali di esistenza dell’intera società, agendo non solo politicamente, con il ricorso al nazi-fascismo, quale nuova forma irrinunciabile di egemonia e di violenza al servizio dell’ordine capitalistico e quale struttura confacente con qualsiasi forma di governo borghese, ma soprattutto intervenendo sulla razionalità25, avanzando in buona sostanza la tesi dell’irrazionalismo per così fondere a proprio vantaggio intere categorie sociali, destinate ad andare incontro a una inevitabile proletarizzazione, ma con l’obiettivo di contrapporle gradualmente al proletariato stesso. Un caratteristico esempio, come ricorda Ernst Bloch in uno scritto del 1935, è quello degli «impiegati», i quali, malgrado il processo di declassamento proletario, continuano a sentirsi parte della classe media borghese, sicché «l’impoverimento dei contadini e del ceto medio urta contro quello del proletariato: il fascismo diventa così necessario per tener giù completamente i proletari e per dividere da essi quelli che proletari sono da poco divenuti»26. Ma sviluppare la razionalità in una direzione esplicitamente reazionaria, significa pure mettere in discussione le stesse leggi oggettive dello sviluppo sociale. La questione rilevante diventa allora quella di sconvolgere la nozione stessa di determinismo sociale che non agisce come un fattore che determina direttamente forme e contenuti, quanto piuttosto come dimostrazione di uno spazio di possibilità di movimento corrispondente soltanto a precisi scopi e interessi di classe. Questo spazio, in altri termini, viene riempito dalla Kultur, ma abilmente evitando di confrontarsi con i nuovi processi reali che investono le forze produttive a loro volta perfettamente plasmate dai rapporti di produzione.

Ciò che, dunque, dev’essere lasciata indenne è la forma del capitale. In effetti, la fase imperialista coincide con una narrazione filosofica in cui a mancare non è l’auspicio che la cultura venga rinnovata, anche in maniera singolarmente profonda (si pensi a Nietzsche in particolare), quanto piuttosto la messa in discussione della inviolabilità della struttura economica del capitalismo. Come sottolinea Lukács, «lo strato sociale che è divenuto depositario della nuova filosofia, conosce sempre meno la struttura economica della società borghese e si rivela anche sempre meno pronta a studiarla come problema filosofico». In questa direzione, il contributo nietzscheano appare oltremodo significativo, dato che se è pur vero che il filosofo di Röcken giungerà a criticare con un certo fervore «i sintomi culturali della divisione capitalista del lavoro», è altrettanto vero che questa sua critica non affronterà mai il problema della «trasformazione dell’organizzazione sociale»27. Ciò a cui si assiste, dunque, è un deliberato abbandono dei grandi problemi sociali ed economici, e questo sulla scorta di una precisa osservanza dei «limiti» imposti dalla dominante borghesia imperialista attraverso la filosofia, la quale, come strumento di comprensione di una data realtà, si limiterà ad adottare le proprie costruzioni ideologicamente adeguate a detti obiettivi. A entrare in crisi è il formalismo della ragione, ovvero quel modello neokantiano, quale utile «espediente» per eludere la realtà sociale, perdurante dalla metà dell’Ottocento sino agli inizi del Novecento, oramai non più attrezzato a fornire categorie adeguate alla piega che si sviluppa tra gli anni Venti e la metà degli anni Trenta del Novecento. Un formalismo il cui sotteso obiettivo, per molti versi funzionale a una certa esuberanza del liberalismo classico, era stato quello di gradualmente dissolvere ogni concezione sintetica della realtà, per cui, rompendo con le grandi narrazioni classiche, imporne una visione contrassegnata dalla più intensa Fragmentarisierung, sostanzialmente egemonizzata dalla rottura del legame uomo-natura, con riflessi eccezionali sul rapporto tra teoria e prassi, non più da intendere come momenti unitari, bensì divisi, destinati a incontrarsi solo sul piano della forma priva di contenuto, e dunque in una prospettiva del tutto unilaterale e arbitraria, laddove invece forma e contenuto vanno intesi in interconnessione organica, in unità dialettica28.

 

3. Da Kant a Hegel

Ora, tuttavia, questo programma nei termini di separazione tra conoscenza e società (politica, economia, diritto), se appariva idoneo a soddisfare un certo tipo di progetto liberale, non lo è più con riferimento alle esigenze ideologiche della borghesia imperialistica a partire dagli anni Venti29. In questa fase le modificazioni strutturali dell’organizzazione della produzione, legate in particolare all’incremento dei processi di razionalizzazione e di meccanizzazione dell’industria, unitamente a una rivoluzione comunista in movimento, alterano profondamente i precedenti equilibri di potere, oltre che i rapporti e la stessa composizione delle classi. La borghesia, in altri termini, comprende che l’economia non è più liberale, ma è diventata imperialistica, da spiegare non con una semplice trasformazione delle politiche estere dei paesi avanzati, ma perché interviene strutturalmente nella natura dei rapporti di produzione capitalistici.

La ricerca costante dei fondamenti non riesce più a nascondere la reale fenomenologia in cui versa la crisi del capitale nelle sue varie determinazioni, in particolare tra ciò che scatena l’antagonismo capitale/lavoro e, sul piano sociale, il conflitto borghesia/proletariato, per cui sopravvivere alla crisi significa prima di tutto iniziare urgentemente a modificare il proprio statuto «filosofico», vale a dire l’apparato giustificativo delle proprie logiche di comando, il che può darsi solo passando «da Kant a Hegel dopo che il capitalismo è passato dal liberalismo all’imperialismo»30. Come precisa Pashukanis, se anteriormente alla prima guerra mondiale la borghesia aveva avuto in Kant la sua principale guida filosofica, ora invece decide di rivolgersi a Hegel. Kant, «è troppo liberale, predica l’etica universale e l’internazionalismo umano, ma ciò serve solo a seminare illusioni tra i lavoratori. Pertanto, il neokantismo è lasciato ai socialdemocratici che agiscono come l’ala sinistra della borghesia. L’ala destra, invece, rappresentata dai fascisti, preferisce adesso concentrarsi su Hegel, da cui ricava le giustificazioni per il nazionalismo estremo e lo sciovinismo, nonché per una politica imperialista fatta di violenza e di confische»31.

In effetti, se Kant aveva rappresentato il prezioso arsenale ideologico di un capitalismo in embrione, in grado di perfezionare sul piano teoretico il processo di costituzione formalistica del soggetto, cominciato con Descartes e proseguito con Locke e Hume, segnatamente in direzione di un individuo proprietario di sé e del suo lavoro, il quale agisce in forza di regolarità antropologiche comportamentali della natura umana, a sua volta detentore di una perfetta sovranità politica nella società civile liberale, concepibile tuttavia solo estromettendo da essa vaste masse proletarie32, poiché seriamente capaci di porre in crisi la questione del diritto proprietario - è evidente che la filosofia hegeliana non avrebbe mai potuto assecondare le esigenze di una borghesia in ascesa, e ciò perlomeno fino alla metà dell’800. D’altronde, in una fase storica che non ancora si confronta con la drammaticità del conflitto salariale, con la nazionalizzazione imperialistica e razzistica delle masse, con una industrializzazione avanzata tale da radicalizzare la lotta tra borghesia capitalistica e proletariato - la figura di Hegel appariva del tutto inadeguata a fornire a una borghesia in pieno sviluppo, qualsivoglia beneficio funzionale alle proprie aspirazioni di libera iniziativa, e ciò per due ordini di ragioni.

Essa, difatti, recava piuttosto «l'impronta dell'arretratezza delle relazioni economiche e politiche della Germania di quel tempo […] nella sua Rechtsphilosophie - scrive Pashukanis - egli difende la monarchia, il sistema di classe, lo Stato burocratico-poliziesco contro la dottrina del liberalismo, che, a suo avviso, disgrega lo Stato in atomi separati, conducendolo all'impotenza»33. In una Germania «prequarantottesca» ed eccezionalmente disomogenea34, che non aveva conosciuto nessuna rivoluzione borghese, il sistema hegeliano tendeva non solo a giustificare lo Stato assolutista con tutti i suoi apparati di coercizione, come migliore ordinamento possibile per rappresentare il bene e la missione di un popolo, ma anche a considerare l’autonomia individuale, e di conseguenza i diritti soggettivi, come del tutto inscritti nell’ambito della comunità etica, e quindi del diritto oggettivo, derivandone che il diritto non costituisce più una prerogativa dell’individuo in quanto essere naturale - privato, egoista, che mira a certificare il proprio autonomo dominio sulle cose e sui rapporti tra gli uomini35, né tantomeno un’esigenza della ragione - ma piuttosto una realtà effettiva, prodotto di una società.

In questa direzione, l’importanza che Hegel assegna allo Stato nazionale, come ferrea incarnazione della potenza politica e come funzione centralizzata del comando, appare estremamente indicativa di una visione decisamente in contrasto con quella auspicata da una rampante borghesia, desiderosa di esercitare, armoniosamente e senza conflitti, le libertà liberali in un contesto di sovranità individualistica prima della fine del diciannovesimo secolo. Ma la filosofia di Hegel, con la sua propensione dialettica a considerare la realtà in rapporto alla società vissuta, predisposta a concepire l’idea di una soggettività che contiene il significato della storia e la realizza attraverso il movimento rivoluzionario, a fornire gli strumenti per una interpretazione dialettica della lotta di classe, per cui all’interno del sistema capitalistico-borghese è innestato un dispositivo autodistruttivo che ne determina il sovvertimento, non poteva che minacciarne il suo futuro, alimentando nient’altro che un pensiero rivoluzionario destinato inevitabilmente a disintegrare i propri fondamenti, sicché anche in questo caso non vi era nulla per cui riconoscersi in Hegel.

Ora, tuttavia, preso atto che la belle époque liberale, quale versione caricaturale della «pace perpetua» di Kant, si è conclusa, la borghesia si trova costretta a muoversi diversamente, e così abbandonando gli entusiasmi di un avvenire economicamente radioso, racchiuso in una teoria dell’armonia tra produzione e diritto, inizierà a rifugiarsi in modo reazionario nella filosofia, cioè in un pensiero adeguato a reprimere chi intende minare le proprie posizioni, per esprimersi solo in termini morali o di «attività dello spirito». Da Kant a Hegel, dunque, quali preziosi corredi per «salvare il salvabile», e perché la borghesia si accorge che per sopravvivere ha bisogno d’ora in poi solo di soldati, poliziotti, funzionari e magistrati, di soggettività, cioè, ideologicamente asservite e disposte a difenderla36. Se allora la conflittualità prodotta da una classe operaia in espansione può in prospettiva rendere concreto un potere operaio quale evidente negazione del dominio omogeneo e verticistico del capitalismo borghese - ogni sforzo dev’essere teso a impedire che tale processo autoritario e centralistico possa disgregarsi.

A tale scopo occorre dunque intraprendere una gigantesca operazione di controllo della classe operaia, scompaginandone il ruolo e l’unità per mobilitarla irrazionalmente in difesa delle classi dominanti, così cominciando a farle comprendere che lo sfruttamento capitalistico può apparire come ordine naturale proprio attraverso il massimo funzionamento dello Stato, nel cui ambito le forme giuridiche, amministrative e politiche, programmate al rafforzamento dello sviluppo capitalistico, si organizzano solo per l’esercizio dispotico del potere statale ed economico di classe37, laddove l’elemento Nation può presentarsi come momento inseparabile rispetto all’ordine sociale capitalista, con ciò esprimendo il predominio ideologico e culturale del capitale, teso ad amalgamare ogni comunità all'interno di un territorio politico, e pertanto in una comunità nazionale, estromettendo chi, per suolo o per sangue, non ne fa parte.

 

4. Pashukanis tra Hegel e Neohegelismo

Ecco allora il neohegelismo trionfante promuovere un’immagine di Hegel funzionale a questi obiettivi di ristrutturazione e di scientifica disarticolazione proletaria38, ristabilendo, sotto nuove forme, la natura esclusiva, indiscutibile e separata dello Stato39, ma soprattutto mostrando che la storia non è storia della lotta di classe, di una lotta cioè che contrappone classe a classe, padroni a proletari, bensì storia della lotta delle nazioni, lotta di «spiriti nazionali»; che la dialettica si sviluppa solo nello spirito e che la storia è il prodotto della sua libera creazione; che pertanto, non esistendo leggi oggettive cui fare riferimento, è solo il soggetto che, autodeterminandosi, le impone, agendo così attivamente contro le necessità della storia - e dunque facendo emergere proprio i motivi reazionari della sua filosofia, sicché questo suo ritorno, scrive Pashukanis, va solo ed esclusivamente ascritto alla «paura del proletariato». I nazi-fascisti, prosegue il giurista sovietico, «si stanno ora appropriando di queste posizioni di Hegel, in cui non appare come un grande scienziato, come un filosofo che ha sviluppato ideali borghesi per le conseguenze logiche più audaci, ma come Spieβbürger, un borghesuccio che non riesce a innalzarsi al di sopra del misero livello politico della Germania, non come un apostolo di libertà borghese, bensì come un suddito fedele a sua maestà, il re di Prussia»40. Hegel, dinanzi alle criticità dell’accumulazione e alle deflagrazioni della lotta di classe, fornisce a una borghesia in crisi gli strumenti necessari per dissipare il pericolo comunista, mediante una filosofia dello Stato e della storia capace di esprimere la sua reale vocazione, quella della conquista coloniale, dell’aggressione imperialistica.

E così «i moderni neohegeliani non cercano affatto Hegel per rendere razionale la sua dialettica, ma tentano principalmente di armeggiare con i suoi gusci mistici, attingendo da lui tutto ciò che si avvicina al clericalismo, alla riconciliazione con la realtà»41, conferendo alla sua filosofia, mediante il rifiuto gnoseologico di una ontologia materialistica, l’immagine di «una specie di approdo sereno e rassicurante dinanzi alle contraddizioni di un mondo in dissoluzione e agli orrori della lotta di classe»42. Questo utilizzo di Hegel, per armare le coscienze in una direzione imperialistica e, nel contempo, per disarmare la classe operaia in ascesa - è «necessario alla borghesia per poter ancora credere nella salvezza della cultura borghese e di tutta la sua società, oramai irrimediabilmente diretta verso il collasso»43. Pashukanis avverte chiaramente che la borghesia per conservare il potere, dopo aver compreso la gigantesca contraddizione che la scienza formale dell’età liberale non era stata in grado di risolvere, e cioè quella concernente l’inestricabile rapporto tra razionalità giuridica e irrazionalità dell’accumulazione capitalistica, tra universalità sociale e particolarità - non sarà più assillata dal dilemma di assicurare la sfera privata individuale, quanto piuttosto di legittimare la «forza coercitiva delle prescrizioni giuridiche» statuali, con la conseguenza che la stessa teoria giuridica avrà d’ora in poi il compito di identificarsi con l’ordine sociale instaurato autoritariamente, e questo perché «alla libera concorrenza» cominciano a subentrare «i grandi monopoli capitalistici e la politica dell’imperialismo»44. Lo Stato e il diritto - dopo la Rivoluzione d’Ottobre, attraverso una sapiente miscellanea di teologia hegeliana e revisione clerico-fascista del marxismo - vanno solo rigidamente rimodulati quali centri nevralgici per l'esercizio del potere di classe.

Nel garantire il processo di valorizzazione del capitale e di realizzazione del plusvalore, essi devono costituire il meccanismo fondamentale per concentrare la violenza generalizzata del capitale, ponendosi sia come tramite per la realizzazione di alleanze internazionali tra le classi (nazionali) borghesi, sia come macchina impegnata ad incentivare l'espansionismo del capitale sociale di ogni paese, sia, infine, come lo strumento grazie al quale utilmente dirottare la ribellione proletaria, unendo falsamente nel mito della conservazione sociale proletari e padroni, con i primi che come militari, impegnati nella difesa del sistema e nel sacrificio comune della produzione, con il mistificante ricorso al concetto di liberazione nazionale45, devono adesso contribuire in modo rilevante a realizzare gli obiettivi dei secondi, quelli cioè dell’accumulazione capitalistica. In questi termini, allora, non desta alcuna sorpresa il motivo per cui «i rispettabili neohegeliani, tutti d’accordo nel presentare Hegel come un ultra-reazionario, non siano affatto interessati al reale significato che Hegel assegna alla storia del mondo, perché, diversamente, dovrebbero ammettere che adesso è il proletariato ad essere l’artefice di ciò che in concreto la muove. Si spiega pure perché la scienza borghese cerchi ora di confinare la filosofia hegeliana all’interno di accademie e università: il fine resta quello di far emergere i suoi aspetti più deboli e reazionari, per così renderla alla portata esclusiva di preti protestanti e di farneticanti nazionalisti, e tutto ciò solo per mettere Hegel al servizio del fascismo internazionale»46.

L’operazione ideologica che il capitalismo borghese vuole intraprendere, nella valutazione di Pashukanis, si fa evidente nella misura in cui la fascistizzazione di Hegel - «il più grande irrazionalista che la storia della filosofia conosca [egli] è irrazionalista perché fa valere l’irrazionale nel pensiero, perché rende irrazionale il pensiero stesso»47 - si dirige verso il fallimento della ragione, mantenendola solo come una predisposizione soggettiva nei confronti della realtà, con la conseguenza che la ragione in definitiva non esiste e la realtà è solo quella irrazionale. L’evoluzione verso questo quadro ha un preciso obiettivo, quello cioè di comprimere ogni margine di libertà, nel senso di sostituire alla circolazione reale dell’idea, i compartimenti stagni delle corporazioni, della burocrazia e della polizia48, con il risultato di concepire una universalità che, tuttavia, non promana mai dalle reali e particolari condizioni di classe, ma che invece viene imposta idealisticamente, dall’alto, costruendo così abilmente due mondi separati: da una parte la ragione, incapace di comprendere ciò che è sociale e conforme alle dinamiche del suo sviluppo, dall’altra che esiste solo una realtà superiore alla quale può accedere l’intuizione, quest’ultima in grado di imprigionare la filosofia nella gabbia della logica formale idonea a sterilizzare la contraddizione delle sue potenzialità creative e distruttive, con l’effetto di riconsegnare solo una pseudo-dialettica, intesa come «un accomodamento tra fatti antitetici»49, di certo molto distante da quella di Hegel.

In questa prospettiva, dunque, il programma neohegelista, nel cancellare ogni differenza tra sistemi filosofici diversi e in opposizione50, non può che stabilizzarsi sul duplice rifiuto del materialismo e della dialettica. E difatti, sbarazzarsi del materialismo significa non solo rigettare le interpretazioni di tipo strutturale, sottomettendole ad altri elementi ritenuti imprescindibili, quali quelli di tipo etnico, nazionale e spirituale, ma significa anche porre la questione economica come momento di insostenibile crisi da subordinare immediatamente al politico, il cui perfezionamento esige tuttavia un potere a conduzione elitaria, ideologicamente suffragata da improponibili rilievi circa una asserita disuguaglianza naturale tale da comportare il ripristino di modelli gerarchici, il cui obiettivo resta solo quello di aggrapparsi «a forme del domani per mantenere in vita quelle di ieri»51. Quanto al rifiuto della dialettica, appare ugualmente chiaro che se il reale non è più razionale; se il sistema dei concetti non è più la struttura teorica della storia, né tantomeno lo sviluppo estrinseco di questo sistema; se la ragione umana non mira più a rispecchiare la razionalità dell'universo reale, di cui essa stessa è il risultato, né a progredire dialetticamente all'interno di tale razionalità oggettiva, se in definitiva la dialettica non è altro che «l’irrazionalismo stesso reso metodo, reso razionale, perché il pensiero dialettico è un pensiero razionale-irrazionale»52 - si comprende che il fine ultimo è solo quello di generare un relativismo che tende a fare eterno il proprio limite, di perpetuare cioè nella stagnazione le immagini dialettiche del movimento e della contraddizione, del plurale e del molteplice, immobilizzando il progresso storico, rendendo così la conoscenza di fatto impossibile poiché misticamente sganciata da qualsivoglia rapporto storico-sociale, ovvero stabilendo che l’unica conoscenza possibile è quella a priori, cioè una conoscenza dell’oggetto senza l’oggetto, e purtuttavia ponendosi proprio in modo funzionale alle esigenze del capitalismo, il quale, per definizione irrazionale e contraddittorio poiché senza limite, senza controllo e senza ordine, può così nuovamente riprodurre se stesso.

Ma Hegel non è affatto tutto questo! Se l’obiettivo del neohegelismo è quello di rendere razionale la frantumazione della storicità materiale delle contraddizioni, annullando ogni relazione con la dinamica storica e sociale in cui gli individui sono immersi e da cui sono inesorabilmente condizionati, laddove invece «la dialettica di Hegel è pertanto la generalizzazione della storia del pensiero [poiché] nella logica la storia del pensiero deve in complesso coincidere con le leggi del pensiero»53 - non può che emergere la sua reale vocazione volta a determinare la dispersione di ogni connessione dell’insieme storico-sociale concreto a vantaggio solo di un dover essere astrattamente filosofico, nonché di un altrettanto astratta e insignificante «appropriazione» (della realtà) che, in quanto «frutto della pura riflessione», come ricorda Marx, «non si appropria di nulla»54.

 

5. Hegel nell’interpretazione marxista-leninista.

Se tale è lo sfondo su cui va proiettato e letto il rapporto tra Hegel e il neohegelismo, che vede quest’ultimo soggettivizzare la storia, dissolvendo un problema dialettico reale in un soggettivismo irrazionalistico, finendo così per cancellare la realtà oggettiva e la ragione da tutti i campi dell’attività sociale dell’uomo - Pashukanis non può che tracciare un sostanziale accostamento del filosofo di Stoccarda al marxismo-leninismo, dal momento che «la fiducia di Hegel nelle forze illimitate della coscienza degli uomini, si combina proprio con un severo e coraggioso riconoscimento della realtà oggettiva. Questa conclusione si avvicina al materialismo, includendo la logica di un approccio concreto nei confronti del mondo reale, consistente in una partecipazione attiva al processo storico»55. Ciò che li accomuna è che il rapporto tra teoria e prassi (cioè la Storia) va concepito in unità dialettica, per cui nessun limite, in quanto storicamente determinato, può ritenersi eterno.

Pashukanis, prima di richiamare l’indispensabile filtro marx-engelsiano-leninista, mette in gioco Hegel stabilendo che la sua filosofia tende a porsi come il contenuto sostanziale di un’epoca, una formazione intellettuale nella sua reale essenza, sicché «per comprendere il significato e il grado di influenza della filosofia hegeliana […] occorre rivolgersi […] al movimento stesso della storia del mondo (Weltgeschichte), che, nei termini idealistici di Hegel, comprende ‘la Realtà spirituale nella propria totale estensione interiore ed esteriore’ [Die geistige Wirklichkeit in ihrem ganzen Umfange von Innerlichkeit und Äußerlichkeit]»56. E difatti, nella storia del mondo, vale a dire in quel «dispiegarsi dello spirito nel tempo, nello stesso modo in cui l’idea si dispiega come natura nello spazio57, questo movimento non è dato dallo spirito ma dalla materia reale, dalla concreta corporeità di uomini che vivono in società storicamente determinate da rapporti di produzione e di classe, per cui se a Hegel si deve la nozione di totalità storica concreta, cioè la coincidenza del carattere razionale di questa totalità con quello della totalità umana, intesa come sviluppo razionalmente comprensibile, alla cui base vi è una Vernunft in der Geschichte, o piuttosto, una Verwirklichung (dello spirito) nella storia58, una storia cioè che, nascendo dalla dialettica delle cose e degli eventi, altro non è che il dispiegarsi di questa stessa Ragione - è invece all’elaborazione marxista-leninista che si deve come questa verità, ancora astratta, diventi concreta, consistente nell’appropriazione delle categorie umane nella struttura economico-sociale del nostro tempo.

È nel movimento della storia e della società che la coscienza teorica deve catturare il proprio contenuto e viceversa, conseguendone che teoria e prassi vanno sempre assieme. Porsi dialetticamente davanti alla storia, afferrare la logica intrinseca di determinati processi storici, riappropriarsi del proprio contenuto storico, cogliendo la razionalità che ciascun individuo sviluppa senza rendersene conto con la propria prassi, riuscire a comprendere le ragioni che producono specifiche contraddizioni nell’evoluzione del capitalismo-borghese - significa prendere atto che tra soggetto e oggetto non ci sono barriere, perché la realtà (sociale, economica e politica) è sempre se stessa, e nella sua concretezza materiale non rimanda mai ad altro fuori di essa, costituendo il prodotto del corso degli eventi e delle sue dinamiche storico-sociali. Da ciò non può che derivarne come l’azione rivoluzionaria, soltanto in forza di tale assetto concettuale è capace di assumere la comparsa della totalità umana, ma solo se in sintonia e in aderenza con la propria struttura. Ecco perché «cancellare l'essenza rivoluzionaria della dialettica come giustificazione per la passività, come mezzo per placare le contraddizioni della vita», non permettere «‘di comprendere il marxismo in modo dialettico, cioè come una scienza impegnata ad analizzare le reali contraddizioni della vita’»59, pretendere quindi l’ingenuità e la purezza della fondazione filosofica, significa solo impedire la trasformazione marxista della dialettica hegeliana. Ma nel laboratorio hegeliano, che in particolare Lenin sottopone ad un minuzioso esame nei suoi Quaderni filosofici, vi è tutto tranne che «una mera contemplazione passiva»60.

Quando Hegel, osserva Pashukanis citando un passo della Scienza della Logica, afferma che «nell’idea teoretica, il concetto soggettivo sta, come l’universale, come l’in sé e per sé privo di determinazione, di contro al mondo oggettivo, da cui prende il contenuto determinato e il riempimento [mentre] nell’idea pratica invece sta come reale di contro al reale [sicché] la certezza di se stesso, che il soggetto ha nel suo esser determinato in sé e per sé, è una certezza della realtà sua e dell’irrealtà del mondo»61 - è al congiungimento produttivo e attivo di soggetto e oggetto che fa riferimento, facendo scoprire la specificità materiale della dialettica come processo conoscitivo che nell’idea pratica rovescia il rapporto, non limitandosi più ad accogliere passivamente il dato esterno, ma divenendo esso stesso fonte della propria oggettività. Questa oggettività, che permette di superare il presupposto dell’estraneità del mondo rispetto al soggetto, un mondo che non è più una immagine alla quale applicare soggettivamente una propria visione unilaterale e arbitraria, bensì una complessità a cui si perviene attraverso tutti i processi connettivi e di mediazione che lo compongono, perché per afferrare il reale occorre riuscire a individuarne i legami e le interconnessioni in tutte le sue sfaccettature - trova nella lettura leninista di Hegel, prosegue Pashukanis, la sua massima espressione, poiché è nella prassi, quale motore e verifica della dialettica, che può rinvenirsi la relazione indissolubile tra attività costitutiva del soggetto e mondo reale.

Come scrive Lenin, «la conoscenza teorica deve dare l’oggetto nella sua necessità, nelle sue relazioni onnilaterali, nel suo contraddittorio movimento an und für sich. Ma il concetto umano afferra, coglie, fa propria definitivamente questa verità oggettiva della conoscenza solo quando diventi «essere per sé» nel senso della prassi. Cioè la prassi dell’uomo e dell’umanità è il mezzo di controllo, il criterio dell’oggettività della conoscenza»62. Nel quadro costituito dalla dialettica, emerge allora la predisposizione del soggetto proletario che, all’interno di un definito assetto di comando e di produzione, inizia a formarsi, a rapportarsi, a trasformarsi, con ciò sovvertendo l’assetto di riferimento. Svilupparsi all’interno di tale processo, significa instaurare il tema urgente della lotta di classe quale propulsore del cambiamento e della necessità dell’organizzazione rivoluzionaria. Se dunque il criterio della pratica nella teoria della conoscenza va direttamente collegato a Hegel, e se, soprattutto, la dialettica, nella interpretazione marxista-leninista, non è più circolare, non tende cioè più a raggiungere il suo termine in quella stessa realtà da cui è partito, ma possiede una continuità insistentemente connotata di momenti specificati dalla prassi, quale prassi proletaria e rivoluzionaria, in cui organizzazione e progetto comunista non possono più essere declinati - appare altrettanto chiaro perché adesso si preferisca «fare il salto nel regno del soggettivismo, nel regno della pura volontà e dell'attualismo [i social-fascisti] fingono adesso di respingere la metafisica hegeliana dello spirito del mondo e del suo sviluppo assoluto, ma solo per opporsi alla rivoluzione proletaria»63.

Dietro questa astratta sintesi di relativismo soggettivistico e di dogmatismo oggettivistico, dietro questo «miscuglio di idealismo soggettivo di Fichte e di elementi della filosofia hegeliana»64, c’è solo la mistificazione tout court dell’identità di forze produttive e di rapporti di produzione, con la reiterazione senza tregua del miraggio borghese dell’unità della produzione capitalistica che con straordinaria disinvoltura giunge a mescolare una propria idea di etica, assertivamente universalistica, con la conservazione del plusvalore, della miseria, dello sfruttamento e del profitto in nome del mercato capitalistico. L’originaria distinzione della società borghese dallo Stato diviene allora una semplice impostura della teoria e della quale ora risolutamente ci si libera, raggiunta la maturità del dominio di classe: d’ora in poi è lo Stato del capitale con i suoi modelli di esistenza e di cultura a generare la società civile, oramai ineluttabilmente catapultata, tra conflitti e lacerazioni sociali, nelle congiunture della (ir)razionalità economica e delle metamorfosi del mercato. Il raccordo del diritto privato e della forma assoluta del diritto pubblico, vale a dire la fondazione giuridica della dittatura del capitale, viene così modellata su una lettura della Rechtsphilosophie idonea a ricomporre nella totalità dello sfruttamento l’illusione della libertà individuale, e a collegare la valorizzazione capitalistica alla efficienza e alla validità del sistema e quest’ultima alla stabilità del regime65.

Hegel, in questi termini, serve a riconoscere che la dimensione particolare (proletaria), nella propria rivendicazione sociale ed economica suscettibile di capacità egemonica e, quindi, di urgente rilancio rivoluzionario sulla scorta dell’esempio sovietico, va solo violentemente incanalata all’interno delle coordinate generali dello Stato e del diritto, la cui funzione è quella di impedire che le forme nascenti di sovversione, che sistematicamente tendono a costituirsi dentro i rapporti sociali capitalistici, possano assumere la forma matura del soggetto rivoluzionario. Dal suo interno processo di produzione e riproduzione sociale, il capitale non può dunque che estrapolare il proprio contrario, cioè quella massa sfruttata perché in possesso di forza lavoro da mantenere in vita solo per venire nuovamente sfruttata o da mandare in guerra per proteggere la classe dominante o ancora per coadiuvare quest’ultima nella conquista di nuovi mercati66, aprendo così ad una storia di permanente antagonismo tra chi comanda e chi obbedisce, in cui è lo Stato del capitale, con le sue astratte fattispecie normative, a costituire il rimedio ad una società che resta insanabilmente imperfetta, poiché basata sulla differenza di classi. Un rimedio che non si fa carico di considerare che all’inizio di ogni Stato ci sono solo individui reali quali essenze sociali, e che soltanto materialisticamente e dialetticamente è possibile concepire la transizione dalla particolarità degli scopi individuali all’universalità sociale come un capovolgimento qualitativo che si attua nella produzione basata non sulla divisione del lavoro, bensì sulla dipendenza reciproca degli individui che producono e consumano insieme, in una immensa cooperazione produttiva, liberi dallo squallore del comando.

 

6. Conclusioni

Se lo schema politico propugnato da Hegel nella sua Rechtsphilosophie si presta a essere anche reazionario per lo straordinario potere conferito allo Stato moderno in forza della denuncia delle contraddizioni di classe presenti nella società capitalistica, le quali possono venire recuperate solo mediante il loro riassorbimento nel paradigma delle istituzioni politiche e giuridiche capitalistiche, talvolta in modo più o meno autoritario, talaltra in senso più o meno riformistico - esso, sottolinea Pashukanis, continua in ogni caso a rappresentare un «grande tentativo di ricercare modelli comuni nel processo storico e, ancor di più, di applicare pienamente il concetto di sviluppo»67, teso alla costruzione delle forme di movimento nelle quali la realtà sviluppa la figura concreta del momento storico in un incessante processo di trasformazione e di verifica dialettica, con ciò implicando il rigetto di qualsivoglia orientamento astratto che pretenda di definire idealisticamente un modello di società.

La superiorità accordata alla concezione hegeliana va ricercata nella sua capacità di pensare il riferimento dialettico dei singoli rispetto a una società determinata storicamente dai rapporti di produzione e di classe, ed è questo aspetto della filosofia di Hegel, rielaborato dal marxismo rivoluzionario, che ha permesso di «creare una vera scienza della società»68, insegnando a criticare chi pretende di separare razionalità e storia, ma soprattutto a respingere le istituzioni della repressione di classe che dominano l’esistenza degli sfruttati ovvero ad appropriarsene per riorganizzarle dal basso, quali esiti di processi storici, sicché essere fuori di essi, fuori da ogni storia, significa essere privi di realtà e alle dipendenze di qualsivoglia immediatezza e irrazionalità. Da Hegel il marxismo-leninismo ricava che la dialettica, accogliendo il negativo, l’opposto, la contraddizione, il conflitto, è incompatibile con il pensiero dogmatico che invece per definizione non riconosce «l’altro da sé», e che la condizione e il condizionato costituiscono un unico principio di intellegibilità, per cui la conoscenza della contraddittorietà del processo produttivo di un dato sistema economico e della direzione del suo dinamismo, cioè della realtà sociale, economica e politica esistente in concreto, è la piattaforma programmatica fondamentale perché possa darsi e concepirsi la rivoluzione proletaria.

Hegel. Stato e diritto’ di Pashukanis costituisce di certo una piccola goccia nella lezione generale del marxismo rivoluzionario, che invita non solo ad assumere una precisa posizione in una società fondata sulla lotta di classe, ma anche a considerare che il comando capitalistico, quando si sente minacciato, si difende ricorrendo a ogni accorgimento, sapendo che tutto deve in ogni caso svolgersi all’interno dell’organizzazione del capitale che non è altro che organizzazione della società, sicché il suo sistema ideologico, filosofico e burocratico-giudiziario rappresenta solo la condizione essenziale della dialettica dello sviluppo capitalistico-borghese, la quale si dispiega prepotentemente tra imposizione al lavoro e riproduzione sociale del rapporto di sfruttamento. Ma a suo modo questo saggio esorta anche a non dimenticare mai che se si perde di vista l’indicazione che il marxismo ha ricevuto da Hegel, e cioè che ogni processo conoscitivo non è mai riducibile a una mera produzione di un isolato soggetto-coscienza, ma è solo conseguenza del suo dinamismo logico come prassi collettiva, in cui ogni elemento è dialetticamente collegato all’altro in perfetta aderenza con la realtà materiale - si finisce inesorabilmente per smarrire ogni capacità di critica dell’esistente fuori di sé.

D’altronde, un soggetto abilmente costruito come pura formalità, dotato di «onnipotenza astratta e di concreta impotenza», per dirla con Lukács, che non è sostanza, ma illusoria certezza di sé, divenuto pura funzione nella produzione, e quindi nello sfruttamento, come può criticare il capitalismo? Come può rendersi conto di venire ogni volta scaraventato tra squallida miseria, violenza disciplinare adeguata a reprimere la propria insubordinazione e ipocrisia della democrazia capitalistica che spudoratamente mette assieme disuguaglianza e dichiarazione formale dei diritti eguali? A questo soggetto e a molto altro ancora - come emerge da questo breve ma preziosissimo saggio di Pashukanis - dovrebbero servire Hegel e il materialismo dialettico.


Note
1* Questo testo, richiesto e consegnato tra maggio e ottobre 2023, è apparso in versione ridotta con il titolo Hegel und Paschukanis. Einführung zu Hegel. Staat und Recht” von Jewgeni B. Paschukanis [traduzione di Gerold Wallner e revisione di Karl Reitter] nel volume Jahrbuch für marxistische Gesellschaftstheorie #3: Postmarxismus, Mandelbaum Verlag eG, Wien - Berlin, 2024, pp. 137-147 [ https://www.mandelbaum.at/buecher/redaktionskollektiv-des-jahrbuch-fuer-marxistische-gesellschaftstheorie/jahrbuch-fuer-marxistische-gesellschaftstheorie-3/]. Esso introduce la pubblicazione del saggio di Pashukanis [Гегель. Государство и право(К столетию со дня смерти)] in occasione della sua prima integrale traduzione in tedesco [curata da Karlo Lebt].
___________________________
A questo saggio di Pashukanis ho dedicato anni fa uno studio al quale mi permetto di rinviare, C. Di Mascio, Note su ‘Hegel. Stato e diritto’ di Evgeny Pashukanis, Phasar Edizioni, Firenze, 2020. Si tratta di uno scritto di circa diciassette pagine che con il titolo Hegel. Stato e diritto (nel centenario della morte) [Гегель. Государство и право (К столетию со дня смерти)] compare autonomamente in E. B. Pashukanis, Stato sovietico e rivoluzione del diritto [Советское государство и революция права], n. 8 (agosto), Mosca-Leningrado, 1931, pp. 16-32, e poi in un libro collettivo dal titolo Hegel e il materialismo dialettico. Raccolta di articoli sul 100° anniversario della morte di Hegel [Гегель и диалектический материализм. Сборник статей к 100-летию со дня смерти Гегеля - E. B. Pashukanis, Hegel e le questioni sullo Stato e sul diritto [Гегель и вопросы государства и права, pp. 214-229, di cui utilizzeremo alcuni passi, mantenendo tuttavia il titolo apparso originariamente nel 1931]; Casa editrice del Partito, Mosca, 1932, pp. 276. Cfr. anche Hegel Bibliographie, Band 1, hrsg von K. Steinhauer, München, 1980, p. 280. L’interesse per questo scritto di Pashukanis ha prodotto anche recenti traduzioni in inglese: cfr. la traduzione curata da A. Lukina e B. Bowring, Hegel. State and Law (On the century of his Death), pp. 186-203, in Aa.Vv. Legal Form: Pashukanis and the Marxist Critique of Law, a cura di C. Cercel - G.G. Fusco - P. Tacik, Regno Unito, Taylor & Francis, 2024, nonché quella che compare nella rivista historicalmaterialism.org assieme ad altri due articoli di Pashukanis, Un’analisi della letteratura sulla teoria generale del diritto e dello Stato (1923) e Lo Stato borghese e il problema della sovranità (1925), i quali saranno oggetto di un lavoro più completo e di prossima pubblicazione dal titolo The Revolution of Law: Developments in Soviet Legal Theory, 1917-1931, a cura di R. Khachaturian e I. Shoikhedbrod [aggiunte].
2 E. B. Pashukanis, Hegel. Stato e diritto, pp. 214-215.
3 Si deve a Richard Kroner, allievo di Heinrich Rickert, autore di un testo fondamentale dal titolo Von Kant bis Hegel, la fondazione a L’Aja, nel 1930, della Società internazionale Hegel (Internationale Hegel Gesellschaft), organizzatrice di tre congressi internazionali destinati a celebrare il centenario della morte di Hegel, ma anche a fare il punto sugli studi hegeliani in Europa ed in particolare in Germania e in Italia. I congressi ebbero luogo a L’Aja (1930), a Berlino (1931) e a Roma (1933), e i rispettivi contributi riportarono le più svariate posizioni, dallo Hegel universalista difeso dallo stesso Kroner, allo Hegel dalle radici sveve e dallo spirito völkisch dipinto da Theodor Haering, sino allo Hegel teorico della divinizzazione dello Stato etico (Guido Calogero e Giovanni Gentile). Con riferimento al congresso berlinese: Zweiter Internationaler Hegel-Kongreß. Vom 18. bis 21. Oktober 1931 wird in Berlin ein Internationaler Hegel-Kongreß stattfinden, bei dem zugleich Hegels 100. Gli atti del Congresso furono raccolti in Verhandlungen des zweiten Hegelkongress, vom 18. bis 21. Oktober 1931 in Berlin, im Auftr. Des Internationalken Hegelbundes hrsg von B. Wigersma, Tübingen, Mohr, 1932. Sul resoconto dello Hegel-Kongreß svoltosi nel 1933 a Roma, cfr. G. Martegani, Filosofi a Congresso e Filosofi in Cammino, in Gregorianum 15, no. 1 (1934), pp. 108-139: http://www.jstor.org/stable/23567288
4 Cfr. Karl Larenz, per il quale «Il Neohegelismo proviene proprio dalla Filosofia del diritto», in K. Larenz, Rechts-und Sfaatsphilosophie des deutschen Idealismus//Handbuch der Philosophie. Bd. “Staat und Geschichte”, München-Berlin, 1934, p.186.
5 V.I. Lenin, I nostri abolizionisti, in Opere Complete, vol. 17 [dicembre 1910-aprile 1912], Editori Riuniti, Roma, 1966, p. 63.
6 Per una attenta analisi della ricezione del pensiero hegeliano nella Russia sovietica, si veda V. Finocchiaro, Hegel in Urss. Hegelismo e ricezione di Hegel nella Russia sovietica, in Materialismo Storico, Urbino, n° 2/2017, vol. III, pp. 217-248.
7 Su tali argomenti, cfr. C. Di Mascio, Lenin e i Quaderni sulla Scienza della Logica di Hegel, Phasar Edizioni, Firenze, 2017.
8 in V. I. Lenin, Alla memoria di Herzen, in Opere Complete, vol. 18 [aprile 1912 - marzo 1913], Roma, 1966, p. 18.
9 citato in G. Planty-Bonjour, Hegel e il pensiero filosofico in Russia, 1830-1917, Milano, 1995, p. 176. Tale assunto di Herzen viene ripreso integralmente da Wilhelm Raimund Beyer, secondo cui «oltre Hegel ma non contro Hegel», in W. R. Beyer, Hegel-Bilder. Kritik der Hegel-Deutungen, Akademie Verlag, Berlin, 1970, p. 294.
10 G. Plechanov, Per il sessantesimo anniversario della morte di Hegel (1891), [Zu Hegels sechzigstem Todestag, Die Neue Zeit, 10. Jahrgang 1891-92, 1. Band, Heft 7-9, S. 198-203].
11 V. I. Lenin, Quaderni filosofici, in Opere complete, vol. 38 [1914-1916], Roma, 1969, p. 176.
12 V. I. Lenin, Un passo avanti e due indietro, in Opere Complete, vol. 7 [settembre 1903 – dicembre 1904], Editori Riuniti, Roma, 1959, p. 399.
13 V.I. Lenin, Friedrich Engels, in Opere Complete, vol. 2 [1895-1897], Rinascita, Roma, 1954, p. 11.
14 E. B. Pashukanis, Hegel. Stato e diritto, p. 225.
15 G. W. F. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, trad. it., Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di V. Cicero, Rusconi, Milano, 1996, p. 61 [d’ora in poi Rph].
16 E. B. Pashukanis, Hegel. Stato e diritto, p. 225.
17 Ivi, p. 222.
18 In particolare nell’opera di Rudolf Haym, Hegel und seine Zeit, G. Olms, Berlin 1857. In senso contrario e in difesa di Hegel, cfr. E. Weil, Hegel et l’Etat, Vrin, Paris 1950.
19 E. B. Pashukanis, Hegel. Stato e diritto, cit., p. 226.
20 Per una bibliografia minima su Pashukanis si rinvia ai seguenti contributi: A. Negri, Rileggendo Pašukanis: note di discussione, in La Forma Stato. Per la critica dell’economia politica della Costituzione, Feltrinelli, Milano, 1977, pp. 161-195; M. Cossutta, Formalismo sovietico. Delle teorie giuridiche di Vyšinskij, Stučka e Pašukanis, ESI, Napoli, 1992; A. Harms, Warenform und Rechtsform. Zur Rechtstheorie von Eugen Paschukanis, Baden-Baden: Nomos, 2000; M. B. Naves, Marxismo e direito. Um estudo sobre Pachukanis, Boitempo editorial, São Paulo, 2000; I. Elbe, Warenform, Rechtsform, Staatsform. Paschukanis’ Explikation rechts- und staatstheoretischer Gehalte der Marxschen Ökonomiekritik, in Grundrisse 9, Wien 2004; M. Head, Evgeny Pashukanis, A Critical Reappraisal, Routledge, London and New York, 2008; C. Di Mascio, Pašukanis e la critica marxista del diritto borghese, Phasar Edizioni, Firenze, 2013; Aa. Vv., Rechts- und Staatskritik nach Marx und Paschukanis, Bertz+Fischer, Berlin, 2017; Aa. Vv., Léxico Pachukaniano, Lutas Anticapital, Marília-São Paulo, 2020; D. Bayer, Tragödie des Rechts, Duncker & Humblot, Berlin, 2021; L. L. Obermayr, Die Kritik der marxistischen Rechtstheorie: Zu Paschukanis’ Begriff der Rechtsform, Velbrück Wissenschaft, Weilerswist-Metternich, 2022; G. Amendola, Prefazione a La Teoria generale del diritto e il marxismo, PGreco, Milano, 2022, pp. I-XX.. Per una breve retrospettiva degli studi su Pashukanis a partire dagli anni ’70, si veda il recente contributo di C. Wilén, From Negt to Negri: A History of Pashukanis Theory, in Legalform.blog A Forum for Marxist Analysis and Critique [aggiunte].
Su Pashkanis rinvio anche a quattro miei precedenti contributi reperibili sulla Rete ai seguenti indirizzi: https://www.sinistrainrete.info/teoria/21808-carlo-di-mascio-pashukanis-e-l-estinzione-del-diritto.html - https://www.sinistrainrete.info/teoria/22779-carlo-di-mascio-il-problema-dello-stato-nel-marxismo-rivoluzionario-di-evgeny-pashukanis.html - https://sinistrainrete.info/marxismo/23395-carlo-di-mascio-diritto-e-metodo-marxista-in pashukanis.html - https://sinistrainrete.info/teoria/24845-carlo-di-mascio-pasukanis-ieri-e-oggi-una-introduzione.html
21 E. B. Pashukanis, La Teoria generale del diritto e il marxismo, in Teorie sovietiche del diritto, a cura di U. Cerroni, Giuffré, Milano, 1964, p. 198.
22È senza dubbio il positivismo giuridico, il cui più autorevole esponente è Hans Kelsen, a rappresentare il sostegno teorico alla torsione che l’economia subisce nel passaggio dal liberalismo all’imperialismo. Kelsen, rimuovendo le figure del diritto soggettivo e del soggetto giuridico, riduce di fatto tutta l’esperienza giuridica alla questione dell’ordinamento normativo, in cui a trovarsi al centro del sistema non è il soggetto, ma la norma, continuamente rivisitata e corretta dalle imposizioni delle forze economiche e politiche transitoriamente dominanti.
23 In effetti, quel proletariato che in particolare usciva fuori dalla rivoluzione del 1848, non era più disposto a farsi sfruttare oltre certi limiti, così come a farsi pagare sotto certi parametri. A tutto questo si tentò di porre rimedio attraverso il trucco della partecipazione ai benefici dello sviluppo per così riordinare la classe operaia nell’ambito di un progetto di regime. E tale rivestimento ideologico fu fornito dal socialismo e dal saint-simonismo, in una forma rielaborata dal pensiero proudhoniano, già, come è noto, severamente criticato da Marx con Miseria della filosofia.
24 Sarà proprio con il formalismo e con l’ideologia della neutralità del diritto di matrice kelseniana, quale mera procedura, cioè tecnica di validazione delle norme, che le dittature europee, a partire dagli anni ’20, troveranno una conveniente legittimazione delle proprie politiche autoritarie, nascondendo dentro di sé nient’altro che decisionismo e concezione della legge come supremo atto di volontà. Se, difatti, nel discorso kelseniano il criterio per verificare la validità di una regola è fornito dal collegamento di ogni comando ad una norma superiore, a venir meno è proprio la possibilità di contestare l’arbitrarietà della condotta posta in essere dall’autorità costituita. Cfr. H. Kelsen, Reine Rechtslehre. Einleitung in die rechtswissenschaftliche Problematik, 1934. E in questi termini, il formalismo giuridico non rappresenterà altro che una vera e propria anticipazione della moderna sussunzione reale. Per un confronto tra i due giuristi, v. N. Reich, Hans Kelsen und Evgenij Paschukanis, in Reine Rechtslehre und marxistische Rechtstheorie, Manz, Wien, 1978, pp. 19-35. Sulle tesi di Kelsen e sulle critiche di Pashukanis al giurista austriaco, rinvio a C. Di Mascio, Pašukanis e la critica marxista del diritto borghese, cit., in part. pp. 102-128. Sul punto cfr. pure L. L. Obermayr, Die Kritik der marxistischen Rechtstheorie: Zu Paschukanis’ Begriff der Rechtsform, cit., pp. 152-192.
25 Come già faceva notare Engels, sono sempre le necessità del capitale, attraverso quel «potente e sempre più rapido e impetuoso progresso delle scienze naturali e dell’industria», ad orientare la filosofia, il cui sviluppo pertanto non è mai puramente filosofico, in F. Engels, Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Autoproduzioni, 2004, p. 15.
26 in E. Bloch, Erbschaft dieser Zeit, Zürich 1935, poi in Gesamtausgabe, Band 4, Frankfurt am Main, 1977, p. 58.
27 G. Lukács, Esistenzialismo o marxismo?, Acquaviva, Milano, pp. 34-36. Analoga problematica a quella descritta da Lukács su Nietzsche, può rinvenirsi nella Teoria critica della Scuola di Francoforte - sia di prima che di seconda generazione, con Adorno e Horkheimer e poi con Habermas - la quale, seppure provvederà con un certo vigore ad attivare critiche pungenti alla società dei consumi, all'industria culturale e alle varie tendenze totalitarie, postdemocratiche e postliberali, del capitalismo maturo, stigmatizzandone con grande acume esiti e processi, tuttavia non si mostrerà mai seriamente interessata alla questione della «trasformazione dell’organizzazione sociale». Si pensi in tal senso alla critica radicale di Hans-Jürgen Krahl, che in particolare a proposito di Adorno sottolinea come «il concetto dialettico di negazione di Adorno si allontanava sempre di più dalla necessità storica di una oggettiva partiticità del pensiero, che era presente nella determinazione compiuta da Horkheimer della differenza specifica tra teoria critica e teoria tradizionale». Mentre con riferimento a Habermas, ingabbiato in un neokantismo di ritorno, incompatibile con qualsivoglia programmatico obiettivo marxista di «abolizione dello stato di cose presenti», giunge ad affermare che «la miseria della teoria critica sta nella sua incapacità di porre la questione organizzativa. Pare che questa incapacità sia definitivamente oggettivata in Habermas, sfociando nell’ingenua proclamazione dell’unità di teoria e prassi nella strategia di un’alleanza liberale», in H.J.Krahl, Costituzione e lotta di classe, Jaca Book, Milano, 1973, p. 314 e p. 322. In tal senso non appare fuori luogo sostenere come il marxismo sia stato così abilmente riconsiderato come una sorta di teoria critica anticomunista, non direttamente collegata alla lotta di classe dal basso, ma che di fatto si schiera solo con le società di controllo capitaliste.
28 Tale visione, coincidente con una sorta di obliterazione della filosofia classica, può dirsi alla base di quel «ritorno a Kant» (si pensi a Otto Liebmann e alla sua opera Kant und die Epigonen del 1865, nonché nella fisica all’empiriocriticismo con Richard Avenarius e Ernst Mach, quest’ultimo in particolare in grado di influenzare i movimenti intellettuali di maggior rilievo, dagli esteti della Jung Wien a Musil e Hofmannsthal, per arrivare a Hans Kelsen e al positivismo giuridico sino all’austromarxismo con Max Adler, Otto Bauer, Rudolf Hilferding e Karl Renner, e agli esordi della scuola psicoanalitica) - teso a rifiutare ogni tentativo di conoscenza della realtà, così come essa si presenta, indipendentemente dalla coscienza, sicché giungendo a piegare la realtà stessa allo schema mentale di ciascuno. Engels, ad esempio, aveva avuto modo di criticare in Kant la propensione a scindere il fenomeno (le sensazioni, le rappresentazioni) dall’essenza (la cosa in sé), con l’effetto di innalzare tra loro un muro metafisico insuperabile (cfr. Engels nelle sue due opere dal carattere preminentemente divulgativo quali l’Antidühring e il Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca). Anche Lenin definirà come « un vecchio sofisma della filosofia idealistica e agnostica», quello per cui, conoscendo «solo le sensazioni», non si può «sapere niente sull’esistenza di qualche cosa oltre i limiti delle sensazioni», in V. I. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo. Note critiche su una filosofia reazionaria, in Opere Complete, vol. 14 [1908], Roma, 1963, p. 116. Ciò che Lenin, in particolare nei successivi Quaderni filosofici [1914-1916] e con la rilettura di Hegel tenderà a biasimare, sarà la capacità del kantismo, quale filosofia «delle mezze nature [e] del compromesso» [per dirla con Plechanov, in G. V. Plechanov, Grundprobleme des Marxismus (1908), Berlin, 1958, p. 105] e delle sue varianti teoriche (neocriticismo, empiriocriticismo, neokantismo) di separare la filosofia dalla situazione storica concreta, con implicazioni politiche rilevanti circa gli strumenti da adottare per uscire da una vicenda economica e culturale segnata dalla riorganizzazione radicale del modo di produzione capitalistico.
29 Heidegger, difatti, potrà obiettare a Cassirer, per il quale, tra l’altro, l’ontologia avrebbe dovuto cedere il passo all’analitica dell’intelletto, che «orientarsi in base alla problematica neokantiana della coscienza non soltanto è inutile ma impedisce giustamente di collocarsi al centro del problema», in M. Heidegger, recensione a E. Cassirer, Philosophie der symbolischen Formen, II: Das mytische Denken, B. Cassirer Vlg., Berlin 1925, «Deutsche Literaturzeitung», V (1928). Anche per Lukács «Dopo il 1848, dopo il crollo della filosofia hegeliana e soprattutto da quando comincia la marcia trionfale del neokantismo e del positivismo, i problemi ontologici non vengono più capiti.», in G. Lukács, Ontologia dell’essere sociale, vol. II, PGreco, Milano, 2012, p. 277.
30 L. Althusser, Le retour à Hegel. Dernier mot du révisionnisme universitaire (1950), in Écrits philosophiques et politiques, tome I, Editions Stock/IMEC, Paris, 1994, p. 250.
31 E. B. Pashukanis, Hegel. Stato e diritto, p. 225.
32 Si pensi in particolare alla Costituzione francese del 1793 che, pur dichiarando che ogni cittadino era titolare del potere mediante il voto espresso a suffragio universale e diretto, non entrò mai in vigore.
33 E. B. Pashukanis, Hegel. Stato e diritto, p. 215. Tuttavia, insiste ancora Pashukanis in una prospettiva volta a salvaguardare la figura di Hegel, filtrata dall’analisi marxista-leninista - «Mehring ha perfettamente ragione nel considerare come una delle più grandi ironie della storia, il fatto che la filosofia di Hegel sia stata proclamata come filosofia dello Stato prussiano», ivi, p. 215 [corsivo mio]. Cfr. F. Mehring, Karl Marx. Geschichte seines Lebens, Leipzig, Leipziger Buchdruckerei Aktiengesellschaft, 1919.
34 Come puntualizza Hans-Ulrich Wehler, in Germania, prima del 1848, non esisteva una classe borghese al singolare, «esistevano invece diverse società borghesi, con una composizione sociale specifica, propri modelli ideali e di vita, mentalità e stili», in H. U. Wehler, Deutsche Gesellschaftsgeschichte, ‎Verlag: Beck, München, 1987, Bd. 2, S. 238.
35 Questa concezione dell’individuo come sovrano ed originario, per Lucien Goldmann, costituirebbe una peculiarità del discorso di Kant, il quale non sarebbe «mai passato dall'Io al Noi come soggetto dell'azione; che, prigioniero di una visione individualista, ha continuato a concepire la «totalità umana» come universalità, Universalitas, e non come comunità concreta e materiale, Universitas», in L. Goldmann, Introduzione a Kant, Mondadori, Milano, 1975, pp. 36 e 141.
36 L. Althusser, Du contenu dans la pensée de G. W. F. Hegel (1947), in Écrits philosophiques et politiques - tome I, cit., pp. 59-238.
37 Su questa evoluzione dello Stato di classe in Pashukanis, del tutto in sintonia con i processi di sfruttamento capitalistico, rinvio a C. Di Mascio, Estado, in Léxico Pachukaniano, cit., pp. 51-71.
38 In questa direzione, come ancora spiega Lukács, «la sintesi filosofica nel nome di Hegel ha come scopo la coalizione di tutti gli indirizzi borghesi contro il proletariato», in G. Lukács, La distruzione della ragione (1954), Mimesis, Milano-Udine, 2011, vol. 2, p. 567.
39 E difatti, «sullo Stato, torniamo ai pensatori tedeschi!», sottolinea Othmar Spann con particolare riferimento a Hegel, poiché solo loro sono in grado di liberare dalle «catene dell'educazione individualistica», prima di tutto proprio in materia di Stato, in O. Spann, Über die Erziehung des Deutschen zum Verständnis des Staates, Deutschen Volkstum. 1920. Hf. 5, p. 195. E così ancora Meinecke, quando dichiara chi sono oramai «i tre grandi liberatori dello Stato: Hegel, Ranke e Bismarck», in F. Meinecke, Weltbürgentum und Nationalstaat, 5 ed., München-Berlin, 1919, p. 278. Cfr. Emanuel Hirsch, secondo cui «lo Stato rappresenta l'unità della vita e delle idee, la patria spirituale e il prerequisito dell'intera esistenza di ogni individuo», in E. Hirsch, Deutschlands Schicksal, Berlin, 1920, p. 54. Per Hermann Heller, «l'ideologia nazionale, quale prerogativa del potere statuale, è figlia della filosofia idealistica, e nessun altro, come Hegel, è il padre di questa ideologia», in H. Heller, Hegel und der nationale Machtstaatsgedanke in Deutschland, Leipzig, 1921, p. V. È solo lo Stato autoritario, come ancora precisa Julius Binder, che va contrapposto a qualsiasi Stato liberal-democratico, inclusa la Repubblica di Weimar, poiché esso è «la realtà dello spirito […] la vera comunità popolare […] la volontà incondizionata e categorica della nazione», J. Binder, Der autoritäre Staat, in Logos, 1933, Bd. XXIII, pp. 143, 152 e 160.
40 E. B. Pashukanis, Hegel. Stato e diritto, pp. 225-226.
41 E. B. Pashukanis, Hegel. Stato e diritto, p. 216. Questa mistificazione viene individuata da Pashukanis in una precisa operazione borghese volta a superare specifiche contraddizioni, afferrando proprio il lato metafisico e idealistico della filosofia di Hegel, interpretandola secondo uno spirito clericale, evidenziando i suoi lati più deboli, e cioè, come ricorda Lenin, «dio, l’assoluto, l’idea pura» [V. I. Lenin, Quaderni filosofici, cit., p. 101].
42 E. B. Pashukanis, Hegel. Stato e diritto,p. 216.
43Ivi, p. 216.
44 E. B. Pashukanis, La Teoria generale del diritto e il marxismo, cit., trad. it., pp. 112 e 145. In tal senso, prosegue Pashukanis, si spiega il motivo per cui il capitalismo finanziario tenderà a valorizzare i poteri forti e la disciplina, piuttosto che gli «eterni e intangibili diritti dell’uomo e del cittadino».
45 Come sottolinea Pashukanis, «così, ora in Germania, i fascisti riescono a condurre dalla loro parte segmenti sia della piccola borghesia che dei contadini, e ciò con il pretesto di farli combattere per la sua liberazione nazionale», in E. B. Pashukanis, Hegel. Stato e diritto, p. 226, che immediatamente dopo cita un passo di Lenin, a proposito dello sfruttamento dell’ideologia nazionalista: «l’ideologia nazionale, sorta in quel periodo [il riferimento è qui alla lotta contro il feudalesimo e l’assolutismo], lasciò tracce profonde nelle masse della piccola borghesia e in una parte del proletariato. Di questo fatto si valgono oggi, in un’epoca assolutamente diversa, vale a dire nell’epoca dell’imperialismo, i sofisti della borghesia e i traditori del socialismo che si mettono al loro rimorchio per dividere gli operai e distoglierli dai loro obiettivi di classe e dalla lotta rivoluzionaria contro la borghesia», in V. I. Lenin, La conferenza delle sezioni estere del partito operaio socialdemocratico russo. Le risoluzioni della conferenza. La parola d’ordine della difesa della patria, in Opere Complete, vol. 21 [agosto 1914-dicembre 1915], Editori Riuniti, Roma, 1966, pp. 142-143 [corsivi miei].
46 E. B. Pashukanis, Hegel. Stato e diritto, p. 214.
47 Così Richard Kroner, in Von Kant bis Hegel, Tübingen, Mohr, 1921-1924, Bd. 2, Von der Naturphilosophie zur Philosophie des Geistes, p. 272.
48 Per Julius Binder, figura di spicco del neohegelismo e fervente nazionalista, dai cui studi apprenderanno numerosi giuristi nazisti, tra cui Karl Larenz, che si raccoglieranno nella famosa Scuola di Kiel, «la libertà ha valore solo nel diritto e nello Stato», in J. Binder, Die Freiheit als Recht. Verhandlungen des ersten Hegelskongresses, Tubingen, 1931, p. 170. Binder, estremizzando il tema hegeliano dell’idealismo oggettivo, passerà a un idealismo assoluto coincidente con l’esaltazione della Nazione come unica forma di comunità in cui la libertà dell’individuo può realizzarsi e, così, alla conseguente giustificazione dello Stato totalitario. Cfr. pure J. Binder, Grundlegung zur Rechtsphilosophie (1935) e la rielaborazione della Philosophie des Rechts (1937) con il titolo System der Rechtsphilosophie.
49 R. Kroner, Logos, Tübingen, 1931, S. 9.
50 È sempre Kroner ad affermare con una certa disinvoltura che «L’idealismo tedesco da Kant a Hegel deve essere inteso nel suo sviluppo come un tutto: come una linea che descrive una grande curva secondo una legge ad essa immanente e che solo in essa si manifesta […] si deve descrivere in che modo dalla kantiana critica alla ragione derivi l’hegeliana filosofia dello spirito» [in R. Kroner, Von Kant bis Hegel, cit. Bd 1, Von der Vernunftkritik zur Naturphilosophie, S. 21] - come se nulla fosse mai accaduto tra Fichte in polemica con Kant, tra Kant e Hegel, o con Schelling e i suoi iniziali avanzamenti nella dialettica, poi sviluppati da Hegel, per giungere in seguito ad abbracciare posizioni reazionarie ed antihegeliane. L’idealismo tedesco ha vissuto scissioni e severi conflitti, sicché non può di certo sostenersi che esso corrisponda nel suo complesso ad una linea che descrive «una grande curva».
51 E. Bloch, Erbschaft dieser Zeit, cit., p. 217.
52 R. Kroner, Von Kant bis Hegel, cit., p. 272.
53 V. I. Lenin, Quaderni filosofici, cit., p. 340.
54 K. Marx, Introduzione ai “Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica” («Grundrisse»), trad. it. di G. Backhaus, Torino, 1983, vol. 1, p. 10.
55 E. B. Pashukanis, Hegel. Stato e diritto, p. 219.
56 Ivi, p. 214. Rph, § 341, p. 563.
57 G.W.F. Hegel, Lezioni di filosofia della storia, La Nuova Italia, Firenze, 1963, cap. 3, 1, p. 156 [corsivo mio].
58 Solo il divenire storico ha la forza di sopprimere l'autonomia e la rigidità dei concetti, l'autonomia dei momenti della filosofia razionalistica. Non è un caso infatti che la Rechtsphilosophie cominci con l’assunto della libertà della volontà e si concluda con una sezione dedicata alla Weltgeschichte, che ripercorre la successione delle epoche storiche e dei principi che le hanno caratterizzate. È lo spirito del tempo che si realizza nella costituzione politica e di cui l’objektiver Geist è l’oggettivazione, tanto che, dichiara Hegel, «la Presenza, infatti, ha sfrondato la propria barbarie e il proprio arbitrio senza legge […] ecco allora divenuta oggettiva la riconciliazione autentica, la quale dispiega lo Stato a Immagine e a Realtà della Ragione. Qui l’autocoscienza trova sviluppata organicamente la Realtà del suo sapere e volere sostanziale», in Rph, § 360, p. 579. In Hegel la ragione è identica alla realtà poiché la realtà è ragione, dunque non solo essa ha la possibilità di attingere alla realtà, che corrisponde all’infinito, ma si identifica con essa. Su questa base il diritto e l’etica non possono che presentarsi come storicamente collocati, inseparabili cioè dalla comunità politica in cui sono incarnati e si evolvono.
59 E. B. Pashukanis, Hegel. Stato e diritto, pp. 216-217.
60 Ivi, p. 217.
61 Ivi, p. 217. G. W. F. Hegel, Scienza della Logica, trad. it. di A. Moni, rivista da C. Cesa, Laterza, Roma-Bari, 2008, vol. II, p. 929.
62 Ivi, p. 217. V. I. Lenin, Quaderni filosofici, cit., p. 196. Per una interpretazione di Hegel, da un punto di vista dialettico e materialistico, cfr. H. H. Holz, Dialektik und Widerspiegelung, Pahl-Rugenstein, Köln, 1983; Id., Lenins Programm der Umkehrung Hegels, in Philosophie in welthürgerlicher Absicht und wissenschaftlicher Sozialismus, hrsg. Von M. Buhr und H. J. Sandkühler, Pahl- Rugenstein, Köln, 1985.
63 E. B. Pashukanis, Hegel. Stato e diritto, pp. 218 e 220.
64 Ivi, p. 218.
65 Sul punto Pashukanis riporta un significativo passo di Hegel, tratto dall’aggiunta di Gans al § 185 della Rph [per le aggiunte di Gans cfr. l’edizione dei Lineamenti a cura di G. Marini, Laterza, Bari-Roma, 1999, p. 341]: «la particolarità per sé è ciò che è dissoluto e smodato, e le forme di questa stessa dissolutezza sono smodate. Tramite le sue rappresentazioni e riflessioni l’uomo espande i suoi desideri, che non sono una cerchia finita come l’istinto dell’animale, e li conduce alla cattiva infinità. Parimenti però dall’altro lato la privazione e necessità sono senza misura, e il disordine di questa situazione può pervenire alla sua armonia soltanto grazie allo Stato, che su di essa ha potestà». Qui lo Stato, precisa Pashukanis, appare come pura potenza il cui compito è di arginare il disordine quale inevitabile conseguenza della presenza di ricchi e di poveri, ma che «con la violenza lo Stato dovrebbe armonizzare», Ivi, pp. 224-225. Il termine violenza compare nel testo russo nell’aggiunta al § 185 che si conclude con «насилию государства» [violenza dello Stato].
66 E tutto questo attraverso un perverso meccanismo ideologico, sapientemente conculcato, che porta i proletari, come scrivevano Marx ed Engels, non a combattere i propri nemici, «ma i nemici dei loro nemici», in K. Marx-F. Engels, Manifesto del partito comunista, Meltemi, Roma, 1998, p. 37.
67 E. B. Pashukanis, Hegel. Stato e diritto, p. 228.
68 Ivi, p. 228.
Pin It

Comments

Search Reset
0
Paolo Selmi
Tuesday, 26 November 2024 08:25
Grazie mille Carlo!

Salvato questo lavoro per quando tutto questo sarà finito, come dicono i russi, "в запасах", nelle scorte. E me lo tengo lì, di scorta stavolta anche nel senso solo italico della parola, ovvero che mi scorta, mi sta vicino e, alla bisogna, consulterò leggendolo, studiandolo e, probabilmente come faccio in quei casi, masticandolo e digerendolo alla grande!

Come "sputnik", direbbero i russi, equivalente dell'anglofono "companion".

Grazie ancora!
un abbraccio
Paolo
Like Like like 3 Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit