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sinistra

Alcune divergenze tra i compagni Ottoliner e noi

di Claudia Pozzana e Alessandro Russo

1banks 640x420.jpgDue precisazioni preliminari. Anzitutto, il “noi” di cui qui si parla è fortemente ipotetico, ben più di quello cui fa allusione il titolo (un’antica polemica del PCC col PCI), e in ogni caso lo usiamo affiggendovi sempre un grande punto interrogativo.1 Inoltre, Ottolina TV la seguiamo quotidianamente, è una torcia accesa nella nebbia venefica dell’odierno disorientamento del mondo. Un piccolo gruppo di compagni che con grande generosità sono stati capaci di auto-organizzarsi in modo esemplare. È con sentimenti di amicizia politica che vogliamo manifestare le nostre divergenze su alcuni temi cruciali, o per dirla con Lenin, su “alcuni problemi scottanti del nostro movimento”, beninteso “nostro” nel senso di un desiderio da realizzare.

Ci sono in particolare due grandi problemi irrisolti, che proponiamo di discutere nello spirito della “giusta soluzione di contraddizioni in seno al popolo”: uno è il “che fare?” immediato, l’altro è la prospettiva storica, o meglio il bilancio dell'esperienza storica di altri tentativi di “abolizione dello stato presente delle cose” in epoca moderna. (Ci scusiamo per l’abbondanza di citazioni classiche ma speriamo che aiutino a capirci).

 

#tuttiacasa

La parola d’ordine di Ottolina – un hashtag, per stare al passo coi tempi – è oggi “Tutti a casa”. Avete perso la guerra, dunque andate via tutti, ma proprio tutti, precisa Marrucci per chi non avesse capito bene. A parte una serie di problemi operativi (chi, quale noi, e come, manda a casa tutti?), c’è un problema politico, e in una certa misura perfino logico. Ciò che vogliamo deve venire prima di ciò che non vogliamo. Non vogliamo più questo governo, bene, ma che cosa vogliamo politicamente? E come vogliamo conseguirlo? Senza mettere al primo posto un enunciato affermativo, il nostro sarà solo un grido di dolore, incapace tuttavia di alleviare la nostra impotenza. Non si cede alla seduzione del “pensiero magico” (bersaglio polemico di Ottolina) quando si esaltano le virtù palingenetiche della distruzione?

Al dilemma politico si intreccia un’impasse logica. Ogni negazione priva di un’affermazione preliminare cade nella trappola di essere a sua volta un’affermazione nascosta, diciamo pure inconscia, di ciò che dichiara di voler negare. Sembra un’assurdità, ma teniamone conto: è stato Freud (un autore che suscita ancor oggi varie antipatie, forse perché spesso capace di mettere in imbarazzo) ad aver messo sull’avviso dei paradossi della negazione. Anche in questo caso, purtroppo, se evitiamo di mettere al primo posto l’affermazione di un obbiettivo politico realmente indipendente dallo stato presente delle cose, la sola negazione ci riporta a riaffermare quest’ultimo.

Che cosa, secondo i compagni Ottoliner, dovrebbe “mandare tutti a casa”? Forse non capiamo bene, e possiamo sbagliarci, ma sembrerebbe trattarsi di un passaggio elettorale. Nuove elezioni all’insegna del #tuttiacasa. Se fosse così, ecco un “no” totale (no sia ai governanti, sia all’opposizione) che in definitiva, senza riuscire a farlo esplicitamente, dice essenzialmente un “sì”. Afferma infatti la validità politica del sistema elettorale della democrazia parlamentare. Ma riflettiamo bene. Non è proprio la crisi della democrazia parlamentare, cioè la decomposizione dei partiti politici del Novecento, alla radice dell’attuale crisi irreversibile dei sistemi di governo in Europa? E in definitiva alla radice dell’attuale corsa verso la guerra senza pace?

Come nutrire qualsiasi fiducia che il sistema elettorale della democrazia parlamentare sia il terreno su cui possa manifestarsi e realizzarsi il cambiamento fondamentale di cui abbiamo bisogno? Dovrebbe dirci abbastanza, esempio recente, la spregiudicatezza dell’ultra minoritario Macron che si fa beffe della pretesa astuzia con cui il maggioritario Mélenchon aveva fatto la “desistenza” per “salvare il paese dalla destra”. Dieci anni fa il referendum in Grecia aveva detto decisamente “no”, ma ciononostante venne schiacciato dal diktat della Troika. Ultimo esempio, la doppia invalidazione senza vergogna delle elezioni in Romania. Senza dimenticare l’oscena ambiguità del sistema elettorale del parlamento europeo, quello stesso che vuole “fare la pace con la guerra”. Oggi più che mai risuona veridico lo slogan, che Sartre riprendeva dal Maggio 1968, “élections piège a cons”.

 

Una scintilla rivoluzionaria?

Supponiamo invece che non sia la strada elettorale quella che i compagni Ottoliner hanno in mente, e che #tuttiacasa sia nelle loro intenzioni la scintilla che dà fuoco a tutta la prateria. Un potente movimento rivoluzionario che abbatte l’Ancien Régime corrotto e instaura una nuova era. Con la complicazione però che, non essendo la prima trasformazione rivoluzionaria nel mondo moderno, una riflessione critica su quali sono stati i destini degli altri grandi rovesciamenti rivoluzionari, almeno quelli del Novecento, è un passaggio obbligato. Anzi su questo problema impera una confusione illimitata, peraltro alimentata da schiere di “ex” d’ogni risma. L’equiparazione di comunismo e nazismo è come noto moneta corrente presso gli ex comunisti. Il problema non è esclusivamente di erudizione storiografica (anche se una crassa e deliberata ignoranza alimenta i peggiori equivoci), ma investe certamente la valutazione della situazione mondiale contemporanea.

Sul bilancio dei comunismi statali del Novecento i compagni Ottoliner hanno la tendenza a sminuire il problema. Lo fanno forse per non confondersi con le canagliate correnti, ma non aiutano a superare le difficoltà. Putin sarebbe (magari con qualche difettuccio secondario) un alfiere di una via alternativa al capitalismo? L’operazione militare speciale sarebbe una grande vittoria contro l‘imperialismo decadente? Ci sta salvando, come fece l’URSS contro i nazisti?

Gli Ottoliner hanno fatto una meticolosa opera di controinformazione, hanno messo a disposizione analisi critiche di grande sottigliezza (il Generale Mini soprattutto), e hanno chiarito perfettamente che la guerra era stata lungamente preparata fin dagli anni Novanta, con la sciagurata espansione della NATO a Est. Non va però trascurato lo sfondo storico più ampio della situazione. Russia e Ucraina sono due pezzi della ex Unione Sovietica. Senza un bilancio di quell’esperienza e del suo fallimento l’analisi resta monca. Putin, dal canto suo, rimprovera Lenin e i bolscevichi “assetati di potere” come responsabili dell’esistenza dell’Ucraina.

L’invasione dell’Ucraina può essere certamente considerata la risposta a una minaccia esistenziale che la Russia aveva denunciato da anni e che USA e NATO avevano deliberatamente accresciuto per cieco avventurismo. Quella di Putin è stata una decisione di “realismo politico offensivo”, nel senso di Mearsheimer: una grande potenza è stata costretta a difendersi da un attacco annunciato. Affermare che sia stata la prima grande “vittoria di un fronte antimperialista” è però un’illusione che offusca le capacità di analisi di una situazione, peraltro ancora fluida e non destinata a una stabilizzazione in tempi brevi.

Quanto alla Cina, grande Convitato di pietra di tutta la situazione, i compagni Ottoliner sembrano coltivare un’acuta nostalgia di una “patria del socialismo” da cui si irradiano le più radiose prospettive per l’intera umanità. Non c’è dubbio che la Cina sia una gigantesca novità nel mondo contemporaneo, che non può essere liquidata con gli squallidi stereotipi della sinofobia. Sicuramente in Cina la conoscenza dell’Occidente è incomparabilmente superiore a quella che l’opinione pubblica occidentale ha della Cina. L’Occidente è una sfida esistenziale e di pensiero. Come diceva Mao, i primi grandi pensatori politici cinesi fin dalla metà dell’Ottocento “guardavano all’Occidente per cercare la verità”. Partita tutta aperta ancor oggi, anche se di grandi verità in Occidente non ce ne sono forse più tante come allora.

Tuttavia, inneggiare alla Cina come nuova patria del socialismo del XXI secolo ricorda molto, mutatis mutandis, l’atteggiamento dei partititini m-l filocinesi degli anni Sessanta, che comunque non contavano nulla in Europa e della politica cinese di quegli anni capivano pochissimo. E non sarebbe utile oggi, come esercizio di salute intellettuale, riaprire il dossier della politica cinese di epoca maoista, evitando di appiattire il giudizio sulla “negazione integrale” decretata da Deng Xiaoping? È stata una via tortuosa, ma siete così sicuri che non sia avvenuto nulla di politicamente significativo che meriti un po’ di sforzo di pensiero? Vogliamo davvero credere che la Cina sia passata miracolosamente da Confucio a Deng?

By the way, non si consideri sinofobica la previsione che, nell’eventualità che esistesse in Cina un’OttolinaTV essa verrebbe chiusa dopo meno di 24 ore. Se poi un Marrucci cinese si impuntasse a fare un’inchiesta (anche solo tipo Report) sulle condizioni dei lavoratori migranti alla Foxconn e si mettesse a raccontare che in Cina lo sciopero è illegale e che chi lo fa si becca almeno tre anni di galera, siamo quasi certi che dovremmo rinunciare ai suoi “pipponi” per molti anni, perché sarebbe impegnato in una seria opera di indispensabile rieducazione ideologica. Se fosse “invitato a prendere un tè” (in gergo cinese, interrogato dalla polizia) potrebbe nella sua apologia pro se affermare di aver fatto dire a Marx che il socialismo è lo “sviluppo delle forze produttive”. Al che, i suoi gentili ospiti gli ricorderebbero che il copyright è di Deng, ma soprattutto gli farebbero osservare fermamente che ancora più essenziale nella teoria di Deng Xiaoping, parte integrante dello Statuto del PCC, è che “la stabilità deve prevalere su tutto”.

 

E noi, oggi?

Dalla lontana Cina, destinata peraltro a diventare sempre più vicina, torniamo alle disastrose vicende europee, su cui le divergenze con i compagni Ottoliner sono forse meno grandi, ma su cui è ancora più acuta l’esigenza di nuove analisi critiche e più scottante è il “che fare?” Come costruire un “noi” capace di fronteggiare la guerra totale che i governanti europei ci stanno imponendo? Che costoro abbiano “perso la guerra”, e debbano conseguentemente “andarsene a casa”, è certamente l’ultimo loro problema. Loro anzi vogliono a tutti i costi cominciare una nuova guerra su grandissima scala.

Potevamo aver pensato che la prossima guerra mondiale sarebbe stata scatenata anzitutto dalle ostilità tra le supreme potenze del globo, e invece, ironia della storia, ci troviamo di fronte a dei miserabili piccoli vassalli appena cacciati a calci dal loro padrone imperiale, che si sgolano in grida di “all’armi, siam europeisti!”, preparano la militarizzazione integrale del continente europeo, fanno appello tramite i loro propagandisti di morte all’“uomo guerriero” e disprezzano il “declino morale indotto dalla pace”. Mentre Trump cambia tavolo di gioco, certamente per fare guerre altrove (a Gaza sostiene senza tentennamenti il programma genocida di Bibi nei confronti dei palestinesi), e abbandona gli utili idioti governanti d’Europa che erano al servizio del suo predecessore, costoro non attendono un solo giorno per proclamarsi gli autentici alfieri della distruzione dell’umanità intera, a partire naturalmente dagli stessi sudditi europei da schiacciare sotto il loro tallone di ferro.

Infatti, qual è il reale nemico dei governanti europei? La Russia? Figuriamoci. La Cina? Neanche per idea. Da entrambi questi avversari essi verrebbero annientati in pochi mesi. La guerra senza pace che hanno dichiarato ha come principale nemico i popoli europei. Ma perché ci vogliono tutti morti? I governanti europei ci vogliono uccidere tutti perché non sanno come altro fare per governarci e per restare al loro posto. Sarebbe vano pensare che basti mandare loro un decreto di sfratto. La guerra non è un “accidente” nel quale sono incappati, ma è la “sostanza” del loro essere governanti oggi in Europa.

La pulsione di morte che pervade oggi i governanti europei è sospinta da due vettori convergenti. Uno è la debolezza intrinseca dell’accozzaglia di vassalli degli USA detta “Europa”, l’altro è la natura stessa del capitalismo contemporaneo. La guerra senza limiti, o meglio la guerra senza pace, è la gemella oscura del capitalismo senza limiti. Il capitalismo è in guerra totale con l’intera umanità, nel senso che è spinto a distruggere tutto ciò che dell’umanità non è riducibile alla merce salariata. Esso è altresì attraversato da guerre intestine tra potentati capitalistici che si contendono l’appropriazione di plusvalore. Tutto ciò comporta vicissitudini tattiche complesse, come mostrano le giravolte che Trump ha imposto alla politica estera americana.

L’altro vettore di guerra senza limiti che travolge i governanti europei è la debolezza intrinseca dell’Unione Europea, a partire da quel colosso dai piedi d’argilla che è stata l’unificazione attraverso la moneta unica. L’euro divenne il governo dell’Europa come surrogato dell’autorità perduta dai partiti politici del Novecento. La sostanziale coincidenza tra il trattato di Maastricht con la caduta dell’URSS non fu casuale. Anche se all’apparenza furono due fenomeni completamente differenti, in realtà la caduta dell’URSS, che simboleggiò la fine di ogni alternativa al capitalismo sorto nel Novecento, segnò anche la fine di quello spazio ideologico che permetteva l’esistenza di sistemi parlamentari organizzati su una distribuzione di destra e sinistra. 2 Ma questa fine comportò anche la fine dell’autorità (nel senso elementare della capacità di conseguire obbedienza al comando) di quei sistemi di governo fondati sui partiti. Le oligarchie europee corsero tempestivamente ai ripari creando con l’euro un surrogato di autorità governativa che sostituiva appunto la disfatta dell’autorità precedente.

Già con la crisi del 2008 l’unificazione monetaria dell’Europa si rivelò incapace di funzionare perfino sul terreno propriamente economico e finanziario su cui era sorta, dando inizio a potenti spinte centrifughe come la Brexit. Con la guerra dell’Ucraina, l’autorità dell’Unione Europea si è ulteriormente sfaldata, col paradossale risultato che, proprio nel momento in cui gli USA abbandonano il terreno della proxy war da loro imposta all’Europa, i governi europei si lanciano in un riarmo totale. Ancora una volta la spinta viene dall’urgenza di surrogare la perdita di autorità, questa volta definitiva, dei rimasugli della decomposizione dei partiti parlamentari del Novecento. Si guardi all’ignominiosa autodistruzione del PD in occasione del voto su Rearm Europe, punto d’arrivo del processo iniziato, letteralmente, all’indomani stesso della caduta del Muro di Berlino. Altrettanto emblematica la fermezza di un Prodi, ieri al timone del “governo dell’euro”, oggi in prima fila nel sostenere il riarmo.

In questa situazione, l’esistenza di un “noi” capace di inventare una politica nuova è sotto condizione di una duplice temporalità: non potrà che essere una lunga, lunghissima marcia, ma al tempo stesso dovrà fronteggiare pericoli immediati. Dovremo essere capaci di sottrarci all’incombente annientamento e dovremo anche coltivare una lungimiranza strategica.

Non illudiamoci che oggi gli oligarchi europei siano sul punto di essere rovesciati perché hanno “perso la guerra” in Ucraina. Essi detengono ancora un enorme potere di distruzione e si apprestano a usarlo senza remore. Che questo li porterà al disastro è certo, ma è certo anche che, se non li fermiamo, prima di soccombere si avventeranno sui loro sudditi per il puro godimento di vederli morire un attimo prima di loro.

Tuttavia, il loro delirio bellicista è il segno di una debolezza di fondo. Dichiarano apertamente di voler fare guerra ai popoli che essi governano, ma il loro unanimismo è fragile. Sono già emerse le feroci competizioni per la supremazia tra gli staterelli europei, così come le viscide lotte tra fazioni al loro interno. Una delle capacità esistenziali di un nuovo “noi” politico, ovvero un’essenziale condizione di autodifesa, dovrà essere quella di individuare e far aggravare i punti di debolezza e le contraddizioni interne del governo della guerra in Europa.

D’altra parte, senza una visione di lungo respiro possiamo al massimo sopravvivere per un po’ al peggio. Per uscire dalla guerra senza limiti che vuole annientare l’umanità dobbiamo fondare una nuova città fuori dal capitalismo senza limiti. Sarà un’impresa che durerà per più generazioni e faremmo male a illuderci che dipenda da una scintilla insurrezionale, tanto meno da una scheda elettorale. Possiamo fermare la guerra senza pace solo se riusciamo ad affermare un “noi” capace di reinventare politicamente il mondo.


Note
1 Come nel nostro opuscolo La quarta guerra mondiale. E noi? Verona, Ombre Corte, 2023.
2 Argomentazioni più estese sulla relazione tra i due processi in Alessandro Russo, “L’Europa dopo la fine dei partiti”, in Pozzana e Russo, La quarta guerra mondiale. E noi ? cit. pp. 69-88. Ed. or.  in Crisis and Critique, special issue, “Future of Europe”, 2019.
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Comments

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Nicolai
Friday, 21 March 2025 16:39
Sulla Cina, penso sia necessario fare degli studi approfonditi, perché e' chiaro che c'e' molta approssimazione e ripetizione dei pregiudizi creati dalla propaganda anglosassone gia dai tempi dei fumetti del dopoguerra. Non si tratta di dare una definizione una volta per tutte. La storia e' movimento continuo, contraddizioni che si superano e poi riprendono. Non c'e' una linea stabilita. La Cina, cosi come tutti i paesi si muove in un processo che, guidato dal PCC, anela a costruire una società socialista. La quale non avviene per definizione dopo la presa del potere politico. Cio' non avvenne nemmeno nella Rivoluzione Russa. Lenin nei sui discorsi, poi pubblicati come scritti economici, constato', primo che non e' possibile costruire il socialismo se non a scala mondiale, e che al momento il primo compito e' sviluppare le forze produttive, aumentare la produttività del lavoro, raggiungere e superare l'economia della Germania. Non solo ma chiamo' e offri ad aziende capitaliste estere di investire in Russia, proprio allo scopo di apprendere dal capitalismo la gestione della produzione. Per molti cio'equivale a una bestemmia, ma e' la realtà. Dopo i tentativi con le Comuni in Cina il processo indicava la necessita' di sviluppare la produttività del lavoro, vincere la poverta', per questo bisognava apprendere dal capitalismo, per poterlo poi superare nella competizione mondiale. E' chiaro, come era chiaro a Lenin, che apprendere dal capitalismo comportava il pericolo di scivolare e perdere la bussola per orientarsi verso il fine socialista. Ma sono i rischi che non sono evitabili. Se la coscienza e' viva si supereranno. Il capitalismo ha impiegato piu' di tre secoli per affermarsi. Il socialismo forse avrà bisogno di meno tempo. Tuttora siamo nel mezzo di un processo.
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Alfred
Wednesday, 19 March 2025 21:28
Seguo ottolina, seguo qui, seguo altrove. A volte litigo, da solo o in compagnia con l'uno o con l'altro sito. Ho trovato interessate l'appunto sul mandiamoli a casa per avere poi cosa. Non e' banale, ma dopo non seguo il resto. Non perche' non ci siano cose vere, ma perche' non ci sono cose pratiche. Cerco di spiegare. Gli ottolini con tutti i loro limiti e quelli di noi utenti danno una risposta a quel : che fare? dove di solito ci si schianta. Non ci si schianta in modo semplice e diretto, ma con analisi, controanalisi ragionamenti a profusione. Non di rado rivolti a chi qualcosa prova a farla, ma passandoci il dito sopra quando lo si ritira c'e' po' di fastidiosa polvere. Manca la perfezione. A volte penso che la perfezione siano le statue e l'immobilita', la morte, niente sbavature, niente sporco o fastidiosa polvere. Lo so, esagero, scusatemi. Per mia formazione sono abituato a pensare che se qualcosa non mi soddisfa e posso realizzarla con le modifiche che mi piacerebbe vedere provo a farla. Non in antitesi, ma con la speranza che se viene meglio sia un guadagno per tutti. No? Gli altri mi hanno dato lo spunto, io ho visto la possibilita' di un miglioramento (ho messo 4 piedi alla sedia anziche' tre, per esempio) e ho fatto un piccolo progresso per tutti: quando ci sediamo siamo piu stabili. Non brevetto, sono per l'open source. Ho fatto un esempio banale. A tutti noi non manca la teoria, serve un po' di pratica, anche minima, di condominio. Una pratica non perfetta, ma perfettibile che si migliora per apporto singolo, collettivo, casuale, conflittuale ecc nel tempo. Ottolina ha limiti? Voi individuate alternative praticabili? Non serve cercare di convincere gli ottoliner, serve proporre e costruire e non pensare che tutte le ciambelle vengono col buco. Possono anche non avere il buco e avere un buon sapore e si puo sempre tentare e ritentare sino alla perfezione. Scusate queste osservazioni, non e' un periodo facile e ho bisogno di dedicarmi a cose pratiche in diversi aspetti del mio presente.
Buone pratiche imperfette, perfette e perfettibili a tutti.
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Lella
Wednesday, 19 March 2025 18:24
Il destro per trovare un "noi" forse ce lo dà proprio il dissennato delirio militarista tedesco, accompagnato dai reggicoda neoliberisti UE e dei pazzi oltreoceano. Le spaccature che stanno producendo non si possono risanare perché sono troppo rozze, cosi che anche il più sprovveduto può trovare la sua collocazione senza tanti sofismi. Spaccature nella destra che potrebbero decretare il declino dei giochi delle tre carte della Meloni, spaccature nella cosiddetta sinistra, di cui si sentono già gli scricchiolii che prefigurano un diverso destino delle due anime. Alla radice, però, ci deve essere un dissenso popolare clamoroso e vasto che aspetta solo che la misura sia colma.
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Lella
Wednesday, 19 March 2025 18:24
Il destro per trovare un "noi" forse ce lo dà proprio il dissennato delirio militarista tedesco, accompagnato dai reggicoda neoliberisti UE e dei pazzi oltreoceano. Le spaccature che stanno producendo non si possono risanare perché sono troppo rozze, cosi che anche il più sprovveduto può trovare la sua collocazione senza tanti sofismi. Spaccature nella destra che potrebbero decretare il declino dei giochi delle tre carte della Meloni, spaccature nella cosiddetta sinistra, di cui si sentono già gli scricchiolii che prefigurano un diverso destino delle due anime. Alla radice, però, ci deve essere un dissenso popolare clamoroso e vasto che aspetta solo che la misura sia colma.
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Franco Trondoli
Tuesday, 18 March 2025 22:34
Magnifico Articolo. Complimenti all'Autrice e all' Autore.
Cordiali Saluti
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