Come evitare di liberarci… della libertà in tempi di IA
di Francesca Orsi
Gabriele Giacomini: Il trilemma della libertà, Stati, cittadini, compagnie digitali, La Nave di Teseo, Milano, 2025 pp. 320, € 20,00
“Il dato sorprendente è che, in un mondo sempre più caratterizzato dalla presenza della tecnologia, dove l’innovazione è percepita come un sinonimo del progresso, la libertà preferibile è quella che si realizza in un contesto che non assolutizza il digitale, che evita di idolatrarlo”
(Giacomini, 2025)
Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia permea, ormai, ogni aspetto della nostra vita: dal modo in cui comunichiamo, lavoriamo, ci informiamo fino al modo in cui veniamo governati. Di fronte a questo dato di fatto, lo schema mentale più comodo sarebbe quello del determinismo tecnologico, ovvero la rassegnazione silenziosa al fatto che le conseguenze del digitale siano la risultante di forze meramente tecnologiche. Ma un approccio soluzionista, che appunto idolatra il digitale e lo riconosce come unico artefice delle sorti dell’era contemporanea, non prende in considerazione altri attori fondamentali, che parimenti possono influenzarne gli esiti. È di questo avviso Gabriele Giacomini, filosofo politico e ricercatore presso l’Università degli Studi di Udine, attivo nel dibattito pubblico sul futuro delle democrazie nell’era digitale, come si evince dalla letturadel suo Il trilemma della libertà. Stati, cittadini, compagnie digitali. La realtà difatti è decisamente più complicata. Secondo l’autore, i tre soggetti sopraindicati possono dar luogo a configurazioni differenti a seconda delle relazioni che instaurano tra loro. Le tre combinazioni possibili che vedono l’associazione di Stati e compagnie, di Stati e cittadini o di compagnie e cittadini, sono le tre strade possibili e dunque i tre termini del trilemma, oggetto del titolo del saggio. La domanda principale è: possiamo far sì che un diritto fondamentale come la libertà individuale possa realizzarsi garantendo anche un potere statale efficace e un potere illimitato delle Big Tech? Per Giacomini la risposta è: no, non possiamo avere tutto. È proprio a partire da questa consapevolezza che si snoda il trilemma:
“I grandi avanzamenti politici, sociali ed economici annessi al digitale, anche se a somma netta positiva, […] danno effetti secondari indesiderati in almeno un campo”.
Sintetizzando, solo due attori possono prevalere contemporaneamente a scapito del terzo. La sfida è comprendere quale dei tre sacrificare e in che modo.
Chi ha il potere di renderci liberi?
Prendendo le mosse dalla distinzione classica tra libertà negativa (libertà da) e positiva (libertà di) proposta da Isaiah Berlin (cfr. Berlin (1989), Giacomini ne riconosce l’utilità fondamentale, ma anche i limiti nel leggere un contesto così complesso come quello tecnologico, in cui si può al tempo stesso garantire (o limitare) entrambe le declinazioni del concetto. Accogliendo dunque la visione di Mauro Barberis, secondo cui la libertà è un concetto unitario che può assumere due diverse forme (cfr. Barberis, 2021), l’autore si appresta nel primo capitolo a comprendere in che modo il digitale trasforma il significato stesso di libertà all’interno delle democrazie contemporanee. La riflessione si sposta sul terreno politico-istituzionale: come organizzare il potere affinché la tecnologia non diventi strumento di dominio e quindi soffochi la libertà? Giacomini individua due risposte possibili: contenere il potere dello Stato e rafforzare la partecipazione dei cittadini, ispirate rispettivamente alla tradizione liberale-rappresentativa e a quella democratica-partecipativa. Il punto, però, non è scegliere tra le due, ma farle dialogare proprio come quando una malattia viene curata più efficacemente utilizzando due farmaci che agiscono in modo diverso ma complementare. Da qui si apre una critica lucida ai principali modelli politici attuali. I regimi autoritari usano la tecnologia come strumento di controllo; ma neppure le democrazie liberali sono immuni da derive, soprattutto quando prevalgono logiche neoliberiste che privatizzano il digitale e sfruttano i dati personali, come nel cosiddetto “capitalismo della sorveglianza” (Zuboff, 2019). Nonostante la promessa di una libertà senza limiti avanzata dai tecnoentusiasti, emerge un quadro molto diverso, ovvero quello di un equilibrio precario del concetto stesso di libertà. Per questo, è necessaria una vigilanza democratica capace di opporsi tanto alle derive autoritarie quanto a quelle neoliberiste. Solo così sarà possibile riaffermare il valore della libertà nella sua duplice dimensione: come garanzia contro l’oppressione e come strumento per l’emancipazione collettiva.
La trappola della rete
“Il problema è che Internet libero, quello a cui siamo abituati nelle democrazie, servirebbe soprattutto quando non è libero: le rivoluzioni accadono proprio perché i vertici politici non prendono in considerazione le spinte dal basso, o addirittura le ostacolano, ma proprio in queste situazioni, in cui servirebbe Internet, questo è indisponibile oppure è addirittura una trappola”.
A partire da questa riflessione Giacomini mette a fuoco una delle grandi contraddizioni dell’era digitale: l’illusione dell’universalità della rete. Proprio quando Internet potrebbe diventare un alleato decisivo per il cambiamento sociale, è lì che viene oscurato, censurato o trasformato in uno strumento di sorveglianza e repressione. Le tecnologie di crittografia, l’adozione di HTTPS e l’uso di app sicure hanno ridotto l’efficacia dei tradizionali strumenti di censura, ma hanno anche favorito una concentrazione del potere informativo nelle mani di grandi piattaforme. D’altro canto, gli Stati autoritari per rispondere a questo nuovo spazio di libertà si sono adoperati per trovare nuove strategie per mantenere il controllo, oscillando tra blocchi totali e pressioni diplomatiche sulle Big Tech. Giacomini lo dimostra con esempi puntuali, come il caso dell’Iran, dove le autorità hanno militarizzato la rete e l’hanno resa inaccessibile nei momenti più critici, o quello della Cina, dove esiste un Great Firewall che filtra e blocca tutti i contenuti che contrastano l’orientamento governativo. Ma gli episodi di manipolazione non mancano nemmeno nei contesti democratici, dove l’accumulazione massiccia di dati e la continua profilazione degli utenti crea nuove potenze che si celano dietro i vantaggi di Internet. Nascono, così, nuove forme di resistenza che diventa crittoresistenza. Attivisti, hacker e oppositori politici usano strumenti digitali avanzati per eludere le limitazioni, coordinare proteste e diffondere informazioni. Quando poi la censura è troppo forte si può arrivare a parlare di esuli digitali, dissidenti appoggiati da Paesi neutrali che offrono tecnologie come proxy e server sicuri, una soluzione che richiama da vicino la Radio Londra dei tempi di De Gaulle. Ancora una volta veniamo messi di fronte alla dura realtà: la tecnologia non è di per sé liberatoria od oppressiva, ma diventa tale a seconda dell’uso che se ne fa e al contesto in cui viene utilizzata. E così prende forma l’intuizione di Giacomini: la rete, proprio quando rappresenterebbe la via di uscita e liberazione nei momenti di tensione e oppressione, si trasforma in una barriera e quindi in una vera e propria trappola.
Cittadini trasparenti e poteri opachi
Con l’attacco alle Torri Gemelle del 2001, la tutela dei dati personali lasciò spazio alla necessità di ottenere più informazioni su più persone, a fini securitari: “l’agenda politica passò dal ‘ci serve sapere’ al ‘ci serve condividere’” (Zuboff, 2019). Questo cambio ha minato sia la libertà negativa, minacciata da un iper-controllo, sia quella positiva. Frammentazione, polarizzazione, disinformazione e manipolazione, potenziate da Big Tech e AI, hanno trasformato la qualità della partecipazione democratica. Se, per Norberto Bobbio, la democrazia “governo pubblico in pubblico” (Bobbio, 2014), qualcosa si incrina quando la sorveglianza diventa pervasiva e invisibile, penetrando anche lo spazio domestico (Internet of Things). I media digitali registrano ogni comportamento, mentre cittadini impauriti rinunciano a libertà fondamentali. La sorveglianza inoltre, incalza Giacomini, non si ferma al presente ma punta al futuro: come in Minority Report, algoritmi e modelli predittivi cercano di anticipare i crimini, sollevando dubbi etici e politici, specie sull’opacità dell’AI e sulla responsabilità delle sue decisioni. A ciò si somma una comunicazione online frammentata e manipolabile. “Potenzialmente” il pluralismo dovrebbe garantire confronto, ma “effettivamente” crea polarizzazione, bolle digitali ed echo chambers:
“Ecco la differenza fra «mondo reale» e ambiente delle piattaforme: mentre il primo, in un certo senso, ci obbliga a incontri casuali (e inevitabili), nel secondo siamo incoraggiati dagli algoritmi ad assecondare i nostri orientamenti”.
Ecco come il “villaggio di Internet” diventa sempre più frammentato e la sfera pubblica sempre più fragile. Uno spazio che non è fatto per un dialogo “portatore di verità” (Habermas, 2022) ma bensì terreno fertile per l’insorgenza di bufale mediatiche capaci di influenzare e manipolare i cittadini. La rete in cui essi sono inseriti, per quanto assuma una configurazione orizzontale e non più gerarchica, presenta nodi più grandi e potenti che ancora una volta possono sopraffarli. Qual è la soluzione? Per Giacomini è evidente che la partecipazione rimanga un elemento cruciale in una democrazia liberale. Il problema è che la cultura del collettivo è, secondo lui, in un profondo momento di crisi, contrastata da un modello di essere umano soggettivistico ed egocentrato che, in preda alla solitudine e all’insicurezza, ripiomba continuamente nella richiesta di protezione e sorveglianza.
Il trilemma e la scelta migliore
Giunti a questo punto, è il momento di capire quale sia secondo Giacomini “l’idealtipo” da seguire o, meglio, quello che creerebbe meno complicazioni con esiti più auspicabili, infatti:
“non è possibile che cittadini, Stati e compagnie estendano contemporaneamente i loro margini di libertà. Si possono avere al massimo due di questi elementi su tre”.
A tre assetti possibili, illiberale, neoliberista, democratico-liberale, l’autore associa la corrispondenza di tre libertà: soffocata, economicista e politica. Non c’è dubbio che l’alleanza tra stati e compagnie digitali significa sviluppo senza limiti della tecnologia ma, allo stesso tempo, restrizione quasi totale della libertà e negazione di diritti fondamentali; di sicuro la peggiore delle soluzioni. La seconda alleanza, tra compagnie e cittadini, può sembrare inizialmente vantaggiosa, almeno per la libertà negativa. Ma si rivela presto ingannevole in quanto il cittadino viene ridotto a semplice consumatore. La terza opzione, non perfetta ma desiderabile, è dunque quella che vede uniti Stati e cittadini con le Big Tech in una posizione, certo importante, ma più ancillare rispetto alle precedenti. In un assetto del genere trova spazio il ripensamento dei diritti fondamentali in un’epoca digitale (diritto alla privacy, diritto all’oblio, diritto all’accesso alla rete ecc.). Si può promuovere la concorrenza, il pluralismo nella sua dimensione dialogica e nuove forme di partecipazione (e-democracy). Non solo, è possibile anche riabilitare una forma di giustizia sociale e di redistribuzione. Seguendo le recenti riflessioni di Maurizio Ferraris (cfr. Ferraris, 2021), secondo l’autore
“c’è una mancata compensazione per gli utenti che forniscono questi dati, che potrebbe concretizzarsi nell’idea di un «webfare» o welfare digitale, inteso come un modo per riconoscere il contributo di milioni di persone all’economia digitale e per redistribuire socialmente il valore generato dalla «fabbrica dei dati»”.
Torniamo quindi alla prima considerazione di questa disamina: è davvero l’utilizzo sregolato del digitale l’unica soluzione possibile nell’era contemporanea? A questo punto sembrerebbe proprio di no, e seppure uno sviluppo economico e tecnologico vada sempre sostenuto, questo non dovrebbe mai mettere in dubbio i diritti e il benessere della popolazione.
Bilanciare, riorganizzare, regolamentare
Stringendo le fila del suo ragionamento, Giacomini arriva a chiedersi come riformare il digitale per restituire libertà politica senza cadere né nell’anarchia tecnologica né nella sorveglianza totalizzante:
“Nel suo senso pieno, l’approccio riformista coglie bene le caratteristiche dell’assetto della libertà politica per come lo abbiamo abbozzato nel capitolo precedente. Infatti, non si considera percorribile l’ipotesi di distruggere le tecnologie, di rinunciare a Internet o agli smartphone, di sabotare l’intelligenza artificiale. Piuttosto, la libertà politica può essere riassumibile come il progetto di integrare le tecnologie, attraverso azioni incisive, mirate e coerenti, in un quadro valoriale che possa rafforzare le libertà negative e positive della cittadinanza”.
Con il concetto di “habeas mentem”, si afferma la necessità di proteggere la mente umana dalla manipolazione algoritmica. Allo stesso tempo, si richiama l’urgenza di ridefinire i nuovi diritti digitali. Questi ultimi diventano compatibili con gli Stati nel momento in cui essi riescono a farli passare dalla condizione “in potenza” a quella “in atto”; in caso contrario sarà solo conflitto. La sfida più urgente è definire nuove forme di autoregolamentazione e di governance, che includano la redistribuzione digitale e la partecipazione attiva dei cittadini. Solo un approccio capace di “digitalizzare la democrazia” senza consegnarsi passivamente al potere delle piattaforme può far emergere una nuova libertà politica. Tutto questo con la consapevolezza che l’assetto reale non corrisponderà mai all’idealtipo ma sempre a una forma ibrida. Questa riflessione, in conclusione, colpisce per la sua impellente attualità. In un mondo dove gli Stati cercano di riappropriarsi della propria sovranità digitale e i cittadini lottano per difendere i propri diritti, Il trilemma della libertà pone domande scomode ma necessarie: a chi vogliamo davvero affidare il potere nel XXI secolo? Siamo disposti a sacrificare la libertà per la sicurezza? O accetteremo uno Stato debole pur di lasciare spazio alle imprese tecnologiche?
Giacomini individua bene i rischi, ma lascia aperto il dibattito sul come uscire dal trilemma. Forse è proprio questa l’intenzione dell’autore: non offrire soluzioni preconfezionate, ma stimolare un pensiero critico collettivo a dir poco indispensabile.
Letture
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Mauro Barberis, Libertà, Società Aperta, Milano, 2021.
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Isaiah Berlin, “Quattro saggi sulla libertà Feltrinelli, Milano, 1989.
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Norberto Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 2014.
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Maurizio Ferraris, Documanità. Filosofia del mondo nuovo, Laterza, Roma-Bari, 2021.
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Jürgen Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, il Mulino, Bologna, 2022.
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Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, Luiss University Press, Roma, 2019.