Pianificabilità, pianificazione, piano
di Ivan Mikhajlovič Syroežin
II parte – Pianificazione
Capitolo 4. L’autoregolamentazione nei sistemi economici (parte II)

Introduzione di Paolo Selmi
Affinità, per certi versi, sorprendenti, quelle che legano Robert Doisneau a un certo tipo di fotografia sovietica: nulla di strano, in realtà, ma semplice amore, adesione appassionata e incondizionata, oggi come allora, a descrivere il mondo da un certo punto di vista, tipizzato al punto da renderlo immediatamente riconoscibile, attraverso un linguaggio che personalmente preferisco a molti altri modi di “scrivere con la luce”: semplice e, al tempo stesso, talmente ricco di suggestioni da passare, in una stessa immagine, dall’ironia alla tenerezza, attraverso variegate sfumature intermedie, tante quante ne possono imbrigliare le diverse, possibili, concentrazioni di sali d’argento su una pellicola di celluloide.
Fotografo amato in URSS, Doisneau vi si recò anche per lavoro, in periodi diversi e qualcosa, sicuramente, “seminò” se, nel cercare immagini relative a un semplice distributore automatico di acqua gasata, mi sono imbattuto in questo piccolo capolavoro anonimo; immagine molto probabilmente costruita, come del resto – per sua ammissione – faceva spesso anche lo stesso Doisneau, nel creare le sue opere immortali lungo le strade parigine; al tempo stesso, l’immagine ritratta trabocca di quella spontaneità, di quella freschezza, di quel coinvolgimento, che trasfigurano, in ogni bambino, l’istante prima di azionare con una monetina quel misterioso meccanismo davanti a sé. In questo caso, peraltro, il meccanismo tanto misterioso non sembra, i due bimbi appaiono ormai abbastanza esperti e la loro tecnica combinata altrettanto “rodata”. Non potevo non omaggiare il lavoro di questo anonimo fotografo sovietico.
Accostare poi questo scatto alla teoria di Fiat 124, pardon, di Žiguli appena uscite dalla linea di montaggio, amplifica ulteriormente suggestioni e associazioni di idee, in presenza di quello che Gianni Rodari chiamava “binomio fantastico” nella sua “Grammatica della fantasia”: una strana coppia che sembra quasi evocare un futuro utopico, dove le macchine usciranno fuori dalle linee di produzione con una monetina, dove il processo produttivo sarà così facile da gestire che lo potrà fare anche un bambino, oppure dove l’intera economia nazionale sarà al servizio di tutti, persino dei più piccoli.
E pensare che tutto era nato dalla necessità di rappresentare due icone della produzione di massa sovietica:
- i distributori pubblici di acqua gasata (автоматы газированной воды), simbolo lampante di un benessere letteralmente alla portata di tutti, proprio in quegli angoli dove ancora era vivo, e non poco, il ricordo delle macerie, dei morti, della fame e del freddo; il “magico” liquido usciva sia nella variante semplice (1 copeco, o centesimo di rublo) che con sciroppo (3 copechi);
- le VAZ-2101 Žiguli (ВАЗ-2101 «Жигули»), vere e proprie capostipiti della produzione di massa di autoveicoli in URSS (al punto che ben presto ne iniziò la loro esportazione all’estero), nate anch’esse da un accordo bilaterale, a metà degli anni Sessanta, direttamente con la FIAT, la cui 124 era stata, un anno prima, auto dell’anno.
Il motivo di tale accostamento è presto detto: soddisfacimento di bisogni crescenti, riproduzione socialistica ampliata e progresso scientifico-tecnologico, costituivano sia il punto di approdo di queste immagini, sia la conclusione del IV capitolo che ci apprestiamo a commentare.
Tuttavia, nell’approfondire specialmente la tematica dell’industria automobilistica sovietica, come spesso accade si è andati ben oltre, portandoci a toccare nervi scoperti di cui oggi, nel nostro rinnovato assalto al cielo non possiamo non tenere conto. Mi riferisco, in particolare, agli effetti imprevisti derivati dall’introduzione dell’automobilismo di massa in URSS. A differenza dei distributori automatici di acqua gasata, la diffusione di massa di autoveicoli stravolse usi e costumi, cultura materiale e concezione stessa di sviluppo e organizzazione sociali, a volte prevedibili, a volte no. Qualche esempio:
- le macchine andavano messe da qualche parte, quindi da un lato problema parcheggi, ovvero revisione urbanistica in funzione del nuovo mezzo e, dall’altro, problema di revisione architettonica delle unità abitative con la creazione dei garage;
- le macchine andavano riparate, quindi problema di una revisione drastica al rialzo delle quote di produzione dell’industria di parti di ricambio e componenti, con conseguente immissione e ripartizione di nuove risorse, nonché problema di una progressiva standardizzazione dei pezzi di ricambio anche su diversi modelli di prodotto, per ottimizzare scorte e spese di produzione;
- le macchine andavano riparate, significa che il meccanico doveva uscire dalla fabbrica, andavano aumentate le officine dove si effettuava manutenzione e servizio;
- le macchine andavano rifornite, andavano pertanto aumentate le stazioni di servizio;
- che dire poi dell’inquinamento, aumentato sia a livello di maggiore produzione industriale che, in fase di consumo, da gas di scarico?
- Il discorso potrebbe andare avanti: larghezza delle strade per aumentare le corsie, guardando all’oggi, si direbbe anche piste ciclabili e ZTL, piuttosto che semafori e rotonde, maggior presenza di strutture di soccorso stradale e di controllo (più o meno automatizzato) del rispetto del codice della strada, e via discorrendo.
D’altronde, i numeri parlano da soli, come ci mostra questo grafico, sulla produzione di autoveicoli in URSS dal 1961 al 19821:

Dal 1976 ogni anno uscivano dalle linee due milioni di autoveicoli2 e, già dall’anno prima, a metà febbraio era completata la produzione totalizzata nel corso dell’intero 1961. La quantità, inoltre aumentava notevolmente in virtù delle minime percentuali di rottamazione di un parco automezzi che, via via, andava ad aumentare, grazie anche a una crescente affidabilità e a una robustezza date dalla semplice costruzione e dai materiali impiegati: nell’ultima metà degli anni Settanta, la longevità media di un autoveicolo aveva già raggiunto i trecentomila km3. Trecentocinquanta erano inoltre, in quel periodo, i modelli prodotti in ogni Repubblica dell’Unione dalle sedi centrali o dalle loro sezioni distaccate. Di quei due milioni di auto prodotte, trecentomila erano destinati all’export4, creando ulteriore fonte di reddito ma nelle proporzioni e nei volumi pianificati. Di per sé, questi dati erano estremamente positivi, perché dimostravano l’efficacia di una riproduzione ampliata e strutturata in modo estremamente complesso al di fuori del modo capitalistico di produzione.
Tuttavia, come ormai sottolineiamo da tempo, produrre molto e produrre di più non significa, automaticamente, meccanicamente, produrre bene. In altre parole, così come saper tenere in mano una penna e saperne qualcosa di grammatica, non è garanzia di una buona scrittura, così l’atto stesso del pianificare, di per sé, è garanzia necessaria, indispensabile direi, ma non sufficiente di proporzionalità, di ottimizzazione, di crescita armonica: onde evitare storture, asincronie, deficit di informazioni e di risultati adeguati ai bisogni generati – paradossalmente, ma non troppo, da altri risultati di altre sfere, occorre quindi pianificare, progettare nel dettaglio, costruire da zero un sistema (la ormai nota “struttura dei risultati R”) in grado di crescere, adattarsi, rispondere, modificarsi e interagire attivamente con la “struttura dei bisogni B”, ma non solo, in grado di riconoscere, individuare, tutti i possibili nessi in entrata e in uscita per ogni segmento di tale struttura e adeguarsi conseguentemente: eccoci di nuovo al nostro manuale, eccoci di nuovo al nostro capocordata e agli ultimi due paragrafi di questo capitolo.
Prima di partire, tuttavia, si rende necessario un ulteriore approfondimento, che arricchirà il nostro bagaglio di conoscenze di base, la nostra cassetta degli attrezzi, e ci aiuterà comprendere meglio non solo il senso della ricerca e della proposta di Syroežin, ma anche della concezione radicalmente alternativa del modo socialistico di produzione.
Valore di scambio e formazione dei prezzi nel socialismo: qualche cenno introduttivo
Oggi come non mai, forse, nella storia dell’umanità e, più in particolare, del modo capitalistico di produzione, assistiamo a un completo spiazzamento, perdita totale di controllo sulla composizione del prezzo finale, di vendita escludendo, ovviamente, il centro di calcolo del capitalista che, anche nella manifestazione più grezza, superficiale, approssimativa, di tale esercizio, è in grado di definire il proprio saggio di profitto con un grado di precisione soddisfacente (nella misura in cui non chiude ed è in grado di pagarsi la domotica nella sua terza casa o il suo nuovo undici metri). Tolto lui, assistiamo con sconcerto, noi comuni mortali, a ricerche come quelle della Coldiretti dell’anno scorso sulla composizione del prezzo di una bottiglia di passata di pomodoro, dove il costo del contenitore (10%) incide maggiormente sul costo del contenuto (8%)5. Notiamo con altrettanto sconcerto come, passando dalle agromafie al tessile il divario aumenta e, siccome non esiste mai un limite al peggio, oltre alle confezioni cinesi (distretto produttivo di Prato, ma non solo)6 abbiamo ora anche quelle bengalesi, principalmente in Campania (Palma Campania e San Giuseppe Vesuviano), afferenti “in subappalto” ai circuiti “tradizionali” della malavita organizzata7 e produttrici conto-conto-(conto…) terzi per quei grandi marchi dell’abbigliamento che, a tali distretti, facevano già tradizionalmente riferimento in termini di committenza e terziarizzazione dei loro prodotti.
Infine, che dire delle catene di distribuzione multinazionali le quali, in un’economia di scala globale, possono permettersi il “lusso” di delocalizzare completamente l’intera filiera produttiva in quei Paesi dove nessun sindacato, nessun giornalista impiccione, nessuna commissione parlamentare d’inchiesta, andrà mai a mettere seriamente il naso. Ormai nessuno, in dogana al porto o in aeroporto, si scandalizza nel vedere un costo unitario in dollari su una fattura commerciale in importazione, accompagnare il funzionario doganale ad aprire i cartoni, trovare su ogni singolo pezzo, già apposta, l’etichetta in euro maggiorata di oltre tre volte rispetto al prezzo indicato nella fattura presentata in dogana, chiedere al destinatario ordine, conferma d’ordine, e attestazione di pagamento per sospetta sottofatturazione (e quindi possibile evasione dell’iva doganale) e, invece, constatare che ordine, conferma d’ordine e pagamento corrispondono esattamente al prezzo indicato in fattura.
Forse, per la maggior parte della popolazione che, passivamente, assiste a tutto questo, nulla più stupisce, nulla più indigna, in questo modo capitalistico di produzione globalizzato e globalizzante, drogato nei suoi perversi meccanismi come e più di quanto potrebbe fare quella metamfetamina, chiamata shabu, diffusa fra i lavoratori cinesi e filippini per sostenere gli improbi carichi di lavoro imposti, e approdata in Italia sin dal 20158 per rifornire entrambe le comunità, ma di cui – per inciso – ancora oggi troppo poco si parla. Per noi, ancora capaci di stupirci e indignarci, tutto ciò produce un ulteriore stimolo ad approfondire quella che, ancor meno di mezzo secolo fa, rappresentava la cifra distintiva di un’alternativa di sistema reale, concreta, e dalla cui esperienza occorre ripartire.
Ripartiamo, per esempio, dal gra fico a p. 192: il reddito nazionale per 3/4 ai bisogni del popolo e per 1/4 all’ampliamento della riproduzione merce; un abisso rispetto a quanto appena accennato. Nel mezzo, nessun profitto capitalistico, nessuna rendita parassitaria e margini di corruzione ridotti al minimo, se non altro per ovvi motivi di disponibilità di accumulo e di spesa nel Paese dei Soviet9. In questo complesso meccanismo, il prezzo (цена) e la sua determinazione (ценообразование) pianificata ricoprono, come è lecito aspettarsi, un ruolo fondamentale. Attenzione, tuttavia: cambia il modo di produzione, cambia anche il ruolo e la composizione del prezzo.
Un manuale di mezzo secolo fa ci aiuta a entrare, come si suol dire, in medias res:
Nella società socialistica, dove sono state eliminate le classi sfruttatrici e ci si è ripresi il frutto del lavoro sociale che restava nelle loro mani, sono completamente sparite le cause sociali che rendevano possibile l’esistenza della categoria di plusvalore e delle sottocategorie a esso riconducibili: profitto d’impresa, rendita capitalistica e interesse sul prestito.
Nella società socialistica tutto il prodotto creato ex novo, il reddito nazionale (национальный доход) appartiene a tutti i lavoratori. Qui non esiste la contraddizione antagonistica, tipica del capitalismo, fra lavoro necessario e pluslavoro. Nelle condizioni della produzione socialistica, la quota di lavoro operaio che è ceduta alla società per l’ampliamento della produzione, della tutela della salute, della difesa, ecc. è necessaria alla classe operaia, che ricordiamo essere la classe al potere, tanto quanto la quota di lavoro che va a coprire i bisogni personali dell’operaio e della sua famiglia10.
Proseguiamo in questa utile premessa metodologica, utile perché oggi più nessuno parla in questi termini e, pertanto, si fatica ad associare al termine socialismo qualcosa che sia poco più di un capitalismo monopolistico, di Stato e non, come nel caso della RPC e dei restanti Paesi se-dicenti socialistici. Già il paragrafo di prima è, in questo senso, spiazzante; per gli stessi motivi, lo è anche il seguente:
Nella società socialistica manca la categoria di plusprodotto (прибавочный продукт); il prodotto per sé stessi e il prodotto per la società (reddito netto della società чистыи доход общества) sono egualmente necessari. Il reddito netto della società appartiene appieno ai lavoratori ed è impiegato nell’interesse di tutti i membri della società.
Di conseguenza, la categoria di reddito netto della società, che costituisce una delle categorie più importanti della società socialistica, si differenzia completamente dal plusprodotto e dal plusvalore (прибавочная стоимост) nel capitalismo. Al posto del plusvalore, nella società socialistica funziona il reddito netto della società, in cui è racchiusa quella parte di produzione creata ex novo e destinata dal lavoro alla società.
È grazie al reddito netto, che si può investire nella riproduzione ampliata, che si creano le riserve materiali e i fondi non produttivi a carattere socioculturale, destinati a soddisfare i bisogni sociali di istruzione, di salute, di servizi sociali, ecc. Tale concezione di reddito netto si fonda sul riconoscimento della differenza fra lavoro nella sfera della produzione materiale e lavoro nella sfera non produttiva (insegnanti, medici, personale amministrativo, ecc.).
Il reddito nazionale, da cui si estrae il reddito netto, come già accennato è prodotto solo dai lavoratori impegnati nella produzione materiale. I redditi dei lavoratori della sfera non produttiva traggono la loro fonte nel reddito netto originato in quella produttiva11.
Parliamo quindi di un sistema diametralmente opposto al nostro, dove il bilancio statale, fondamentalmente incentrato su un’autentica riscossione tributaria (89,43-90,37% delle entrate complessive)12, risente sempre di più della mancanza di quell’enorme quota di appropriazione capitalistica di plusvalore che prende il volo verso altre tasche e altri lidi, dove quindi i soldi, ad esempio per garantire a tutti l’accesso alla sanità pubblica, “non ci sono”, dove occorre “tagliare” e la “coperta” parte già da subito “troppo corta”.
In URSS, dove la proprietà dei mezzi di produzione è pubblica ed è socializzato l’intero prodotto creato da tali mezzi, risulta quindi quantomeno impreciso, se non del tutto fuori luogo, affermare che lo Stato “tassa sé stesso”: la tassa di circolazione (налог с оборота), pertanto, non era una vera e propria tassa, ma uno strumento per ripartire il reddito netto in due parti:
- quella che restava nell’azienda socialistica, detta “reddito netto dell’azienda statale” (чистый доход государственного предприатия) o “utile” (прибыль)
- quella che andava allo Stato, chiamata “reddito netto centralizzato dello Stato” (централизированный чистый доход государства), e che appunto era definita tramite la quota assegnata alla tassa di circolazione.
La grande differenza con il nostro sistema è, pertanto, che già tutto il prodotto era di proprietà pubblica. È pertanto su tale ammontare, già a disposizione totale e immediata della collettività, che avveniva la ripartizione fra la parte destinata a coprire i costi di produzione (себестоимость), ivi compresi i salari, la parte di utile (прибыль) destinata a coprire sia gli investimenti di tale azienda nella stessa attività produttiva, sia il pagamento di eventuali debiti contratti con le banche, sia i benefit a totale appannaggio dei lavoratori e delle loro famiglie, e la parte che, infine si tratteneva lo Stato tramite la tassa di circolazione. Non si trattava, pertanto, di stime più o meno attendibili di entrate derivate perlopiù da prelievi diretti o indiretti su redditi prodotti in regime capitalistico, come accade oggi dappertutto, anche in quei Paesi che affermano di “edificare il socialismo” ( 社会主义建设), ma di costruzione consapevole e progressiva finalizzazione di un’architettura economica in grado di partire dal valore totale creato dalla produzione materiale, di gran lunga più attendibile perché frutto non di “stime”, e neppure di “attesa di entrate alternative”, ma di pianificazione consapevole, e di esclusiva proprietà della collettività, e ripartirlo unicamente, ordinatamente e coerentemente in base ai bisogni della collettività stessa:
Il reddito netto della società socialistica, espresso sotto forma di utile e di tassa di circolazione, diviene anch’esso parte organica del prezzo di ciascun prodotto, nella misura in cui il reddito netto dipende da quanta e quale produzione si crea, dai suoi costi vivi e dal suo prezzo. Attenzione, tuttavia: né l’utile, né la tassa di circolazione sono fattori con cui SI FORMA il prezzo finale. In altre parole, non è la loro entità a determinare il prezzo finale ma, al contrario, è il prezzo stabilito dallo Stato una volta calcolati i costi di produzione a determinare l’entità del restante reddito netto13.
Il testo appena citato introduceva anche una correlazione fra costi di produzione (себестоимость) e primo prezzo del prodotto, il quale aumentava della quota assegnata all’utile diventando così prezzo all’ingrosso (оптовая цена)14. Appare chiaro, quasi logico, il motivo per cui tutti i prezzi, sia all’ingrosso (оптовые цены) che al dettaglio (розничные цены) erano fissati dallo Stato in modo pianificato e valevano su tutto il territorio dell’Unione fino a loro modifica15. Questo consentiva l’adozione di criteri omogenei sia nella valutazione dei costi che dei risultati.
Soprattutto, emergeva – ripetiamo a scanso di equivoci – una correlazione fortissima fra l’ambito della creazione e ripartizione del valore e l’ambito dei prezzi, in riferimento a un principio cardine, diametralmente opposto a quello vigente nel capitalismo: così come il prezzo non fluttuava e non dipendeva da fattori esterni, anche le voci di bilancio non fluttuavano e non dipendevano da circostanze esterne al sistema, ogni quota era calcolata e fissata rigorosamente all’interno di una visione di insieme in cui era pianificato quale dovesse essere il suo peso specifico sul totale. Questo schema mostra la struttura dei prezzi all’ingrosso e al dettaglio e la sua correlazione con gli elementi di bilancio aziendale e statale16:

Tale schema risultava valido anche per i kolchoz, dove il prezzo all’ingrosso era calcolato sui costi di produzione ottenuti nelle peggiori condizioni sugli appezzamenti con minor resa. Questo garantiva le aziende che si trovavano in tali, difficili, situazioni, dal finire in perdita. E le aziende che godevano di condizioni di partenza migliori? Che avevano la fortuna di trovarsi sopra un terreno dove bastava accarezzarlo per far crescere ciò che si voleva? Nessun problema: la differenza fra minori spese pianificate ed effettive, la cosiddetta rendita differenziale di I tipo (дифференциальная рента I), studiata già ampiamente nella critica all’economia politica del capitalismo, in questo caso era un “tesoretto” che veniva reinvestito per la collettività e i suoi bisogni, esattamente come nel diagramma sopra esposto.
Ci troviamo, pertanto, di fronte a uno schema importante, perché ci porta a numerose considerazioni: la prima, per esempio, che mi viene d’acchito, è che mancando del tutto la quota di profitto che si intascava il capitalista in fabbrica, insieme a tutte le altre rendite più o meno parassitarie a corredo delle successive fasi di realizzazione della merce, i prezzi naturalmente erano più bassi dei nostri. Se un economista o un politico occidentale avesse veramente compreso questo principio di formazione dei prezzi e, soprattutto, avesse avuto un briciolo di buona fede (condizione quest’ultima molto più difficile da individuare della prima), non avrebbe mai parlato di dumping sociale in URSS, evocando scenari apocalittici dove operai-schiavi, magari in un gulag, tra un bambino a colazione e l’altro a cena producevano quei beni che ormai, a partire dal secondo dopoguerra, erano giunti anche sugli scaffali dei nostri negozi o nei nostri autosaloni. Peraltro, va sottolineato come quei prezzi all’esportazione fossero ulteriormente maggiorati rispetto a quelli per la distribuzione interna, per ricavare un utile che andava poi a ingrossare il bilancio a disposizione dello Stato per la spesa pubblica: questa, era l’unica funzione delle esportazioni sul mercato estero. Strano, ma vero, esisteva questo modo di produzione, che non c’entra nulla, per esempio, con quello se-dicente socialistico cinese, dove i proventi dell’ennesimo “carico di lupini” che atterra a Malpensa, sono già da un pezzo (pagamento anticipato) nelle tasche del capitalista locale e dei trader intermediari, con prezzi franco fabbrica (per gli anglofoni, ex works) che, oltre a fluttuare allegramente nel loro glorioso “socialismo di mercato” seguendo i periodici allineamenti dati marxianamente dal saggio medio di profitto, altro non fanno che rammentarci del saggio di sfruttamento tipico di ogni modo capitalistico di produzione. Eravamo in URSS, con quelle regole, con tutte le problematiche cui ora accenneremo, senza dubbio, ma con quelle regole.
A ulteriore riprova di quanto appena affermato, abbiamo inoltre un altra freccia al nostro arco, su cui ovviamente oggi tutti gli economisti, “stranamente”, glissano: i prezzi, sia all’ingrosso che al dettaglio, proprio per questo motivo, proprio perché tendenzialmente espressione delle variabili di cui sopra, al diminuire di queste ultime, nel corso degli anni potevano anche calare, oltre che aumentare. Ciò accadeva, essenzialmente, per miglioramenti produttivi e per l’ingresso di tecniche sempre più progredite dovute, per esempio, alle innovazioni scientifico-tecnologiche. Pertanto, i lavoratori vedevano nel tempo sia i loro salari aumentare, sia i prezzi scendere, con doppio beneficio, come questa tabella mostra chiaramente:
Dinamica dei prezzi all’ingrosso e al dettaglio fissati dallo Stato in URSS (1940 = 100)17

La seconda considerazione che emerge, da quanto finora accennato, ha invece a che vedere con le “praterie”, per usare un’immagine retorica, che si aprono al pianificatore da siffatta politica dei prezzi: avere, infatti, a disposizione il totale (reddito netto) e quindi la possibilità unica – e semplicemente inconcepibile in altri modi di produzione – da parte del pianificatore, di scomporlo nelle parti e nelle quantità desiderate, ottimizza e rende ulteriormente efficace l’azione di sviluppo dell’intera economia nazionale secondo le direttrici fissate dalla propria politica economica. In altre parole, se il reddito netto è pari a 10, e io dispongo di 10 immediatamente, e posso decidere se scomporlo in 2,5+2,5+2,5+2,5, oppure in 6+2+1+1, e così via, caso per caso, settore per settore, articolo per articolo, posso agire in maniera selettiva per imprimere maggior dinamismo a un settore, piuttosto che per riequilibrare situazioni potenzialmente sbilanciate, e quindi instabili, o armonizzare e coordinare il movimento complessivo dei diversi comparti. Per questo, la formazione dei prezzi in URSS costituiva una leva potente di politica economica, al fine – per esempio – di implementare e massimizzare gli investimenti in un settore ritenuto strategico, oppure premiarne i suoi risultati in uscita (o output) aumentandone la redditività. In questo senso, non solo non è necessario, ma è pure inutile, se non controproducente, che a ogni valore merce debba per forza corrispondere un prezzo, individuato meccanicamente secondo i criteri espressi nella tabella appena esposta. È tutto spiegato meglio nel seguente paragrafo, tratto da un altro manuale:
Tuttavia, il fatto che i prezzi siano pianificati, assolutamente non significa che il prezzo stabilito per i singoli prodotti sia agganciato esattamente al loro valore. Anzi, la possibilità di deviare il livello dei prezzi dal loro valore (возможность отклонения уровня цен товаров от их стоимости ) è proprio presupposto di un’azione statale di regolazione dei prezzi (регулирование цен), condizione di un impiego pianificato del meccanismo di formazione dei prezzi per risolvere i problemi concreti di sviluppo dell’economia socialistica (для разрешения конкретных задач развития социалистического народного хозяйства). In altre parole, anche nell’economia socialistica il prezzo di quasiasi singola merce può scostarsi dal proprio valore. Il fatto che, in fase di determinazione di prezzo di una data merce, questo debba esprimerne il valore, non significa affatto che vi debba essere piena coincidenza. L’importante è che lo scostamento sia noto e, pertanto, anch’esso previsto e pianificato: pratica normale nell’economia socialistica.
Possiamo individuare i seguenti casi concreti in cui ciò avviene non, ribadiamo, per circostanze casuali, ma come prassi abituale di una consapevole politica dei prezzi, parte di una ancor più consapevole politica economica:
- prezzi di mezzi di produzione esenti da tassa di circolazione, quindi sottocosto;
- prezzi di materie prime prodotte dall’industria estrattiva, differenziati anche per regione economica;
- prezzi agricoli alla produzione volutamente ribassati, calcolati su un bilancio di spesa medio e comunque senza tener conto di eventuali rendite differenziali;
- alcuni prodotti industriali venduti a prezzo di fabbrica (себестоимость);
- alcuni prodotti industriali venduti sottocosto (molto limitata come opzione in quanto, sebbene lo Stato copra le perdite, tuttavia un siffatto processo produttivo non può sicuramente aumentare quantitativamente in quanto, maggiore sarà la produzione, maggiori saranno le perdite);
- alcuni prodotti, per esempio di cui lo Stato intende limitare il consumo, (per esempio tabacco e vodka), veduti a prezzi relativamente superiori al loro valore18.
Come osservava già sessant’anni fa A. G. Kulikov, economista dell’Accademia delle Scienze dell’URSS, il modo socialistico di produzione ha un ulteriore vantaggio rispetto a quello, meno evoluto, rappresentato dal capitalismo: la possibilità di vendere sottocosto (o alla pari) materie prime e prodotti del settore A (industria pesante), e recuperare la perdita (o il mancato incasso) in un secondo momento, con la realizzazione dei prodotti del settore B (industria leggera, beni di consumo). Ciò non vale, ovviamente, per la vendita a kolchoz o a cooperative, il cui reddito è controllato solo indirettamente, tramite il prezzo assegnato ai prodotti conferiti ai centri di distribuzione. In effetti, dal punto di vista storico saranno stati quantitativamente inferiori i casi di vendita sottocosto (e con perdite da compensare) a tali aziende cooperative. Tuttavia, per tutte le aziende pubbliche, ivi compresi i sovchoz, tale discorso si poteva e si può tranquillamente applicare. Il passaggio è riportato integralmente:
Naturalmente, lo Stato non solo non realizza, ma perde parte del valore nel momento in cui vende dei mezzi di produzione sottocosto a kolchoz o a cooperative. Invece, se il prodotto resta all’interno del circuito economico statale, ovvero, se è prodotto e consumato senza uscire dai binari della proprietà statale, lo Stato non perde nulla a vendere, per esempio, macchinari dell’industria pesante sottocosto. In questo caso, il valore corrispondente ai prodotti dell’industria pensante venduti sottocosto, si realizza (реализуется) in due modi: una parte del valore si realizza nel prezzo, e la rimanente parte di valore si realizza sotto forma di minori spese dello Stato nelle fasi produttive successive, come per esempio investimenti che sarebbero maggiori, prestiti che interesserebbero maggiormente le riserve monetarie dello Stato e che andrebbero a impattare anche sulla sfera non produttiva. Lo Stato perde inizialmente come produttore (производитель), venditore di prodotto (продавец продукции), ma recupera subito la stessa perdita come consumatore (потребитель), compratore di prodotto di industria pesante (покупатель продукции тяжелой промышленности). Per esempio, per costruire una fabbrica lo Stato perde 1 milione di rubli in materiali, strumentazione e macchinari venduti a prezzi inferiori per quell’ammontare complessivo. Tuttavia, lo Stato quel milione lo recupera subito perché, in fase di acquisto, ha risparmiato 1 milione di rubli sui fondi da assegnare alla costruzione della fabbrica, e così via.
Con questo si spiega il fatto che, a lungo andare, lo Stato è riuscito a fissare dei prezzi relativamente bassi sui prodotti dell’industria pesante, di fatto impiegata nella stragrande maggioranza all’interno del circuito della proprietà statale. In questo consiste la peculiarità dei mezzi di produzione in quanto merci nel socialismo19.
Sicuramente, noi vissuti oltrecortina quando ancora vi era questo modo di produzione, non immaginavamo neppure cosa comportasse ragionare in questi termini, soprattutto, che tipo di organizzazione complessa richiedesse tale configurazione: estremamente ramificata e specializzata da un lato e, dall’altro, con un esecutivo centrale tanto flessibile e in grado di adattarsi velocemente ed efficacemente ai continui mutamenti socio-economici, nonché forte e autorevole nella capacità di prendere decisioni e farle applicare. Tale considerazione vale anche per i cosiddetti “economisti” occidentali, autori di monografie e organizzatori di tavole rotonde (quando l’argomento era ancora à la page), estremamente deludenti sia nel merito20, che nel metodo21, dal momento che la loro analisi risultava incapace di comprendere il più semplice dei dati di fatto: ciò che trattavano con sufficienza, con supponenza e, in ultima analisi, con estrema superficialità, era un modo di produzione talmente antagonistico a quello capitalistico da imporre una totale riscrittura di TUTTE le regole del gioco, o quasi; regole che, invece, i nostri “economisti” volutamente riconducevano al loro “mondo” per evidenziare un’apparente inconsistenza di ciò che, in realtà, non volevano (o non potevano) accettare.
D’altronde, oggi come allora non vi è niente di più semplice che attaccare con argomenti risibili chi non è presente. Verrebbe da scrivere “più allora che oggi”, dal momento che l’arma più in voga attualmente della borghesia e, a quanto pare, di una certa sinistra anticapitalistica a parole, ma che non si è ancora capito, dopo trent’anni, cosa voglia rifondare, non è neppure criticare o, peggio, infierire con i classici insulti gratuiti all’italiana sull’uomo morto di turno, ma lasciarlo ben bene sotto terra, anzi, se possibile, aggiungervi qualche metro cubo così da non indurre qualcuno a scavare.
Tuttavia, la portata dell’innovazione nel campo della scienza economica, rappresentata dall’esperimento socialistico in URSS era, del tutto comprensibilmente, poco chiara anche a molti sovietici, fuori e dentro il partito. Soprattutto, era poco chiara la posta in gioco e, insieme ad essa, i fattori chiave da cui sarebbe dipeso il successo o l’insuccesso di tale esperimento. In tale contesto si colloca l’analisi (e la critica, peraltro senza sconti) dell’economista e matematico Viktor Valentinovič Novožilov (1892-1970), focalizzata proprio sulla politica, sulle linee guida e sul metodo fino ad allora seguito per la formazione dei prezzi, in questo lavoro datato 1967 di cui, per la sua scarsa reperibilità in lingue occidentali, pubblichiamo la traduzione integrale. Secondo la vulgata dell’epoca, quella che i “sovietologi” ci somministravano dall’alto della loro “scienza”, e sempre in piccole dosi, era uno “statale”, peraltro affermatissimo, fresco della massima onorificenza sovietica, il premio Lenin (1965), quindi avrebbe potuto vivere (visto il livello raggiunto in precedenza è più corretto “continuare a vivere”) di rendita, unendosi al coro dei leccapiedi del potere, di ogni potere, girando, in patria e all’estero, per seminari e conferenze dove propinare sempre le stesse minestre, riscaldate e compiacenti al punto giusto (come, peraltro, fanno ancor oggi i suoi colleghi cinesi della CASS, allineati come tanti soldatini a diffondere nel mondo il verbo del segretario di turno). Oppure, vista l’età, si sarebbe potuto tranquillamente ritirare da qualche parte a godersi quei benefit dell’epoca, come la dacia di legno in un luogo di villeggiatura, che da noi già il primo cumenda padrone di “fabbrichetta” schifava come “roba da pezzenti”, e che lì erano un segno di distinzione per i migliori servitori dello Stato.
Invece, gli ultimi cinque anni della sua vita li passò a porre interrogativi, a dare soluzioni, a cercare di lasciare qualcosa per le generazioni future, perché partissero da dove era arrivato lui e affinassero ulteriormente tecniche, metodi, sistemi su cui aveva lavorato una vita. Per questo, per l’eccezionalità del materiale, propongo, nelle pagine che seguono, la traduzione, anch’essa inedita e integrale, del testo recuperato dalla rivista di settore Ekonomika i matematematičeskie metody (“Economia e metodi matematici”), interamente in corsivo per differenziarla dalla trattazione principale (termini non in corsivo per rendere i “corsivi” originali e grassetto invece mio, per evidenziare le parti a mio avviso salienti). Il valore storico di questo documento è davvero di prim’ordine: si parla di prezzi, come erano stati intesi fino ad allora, includendo soltanto il valore dato dal tempo di lavoro necessario medio per articolo, e perché tale metodo non aveva funzionato (e non poteva funzionare): se il prezzo è falsato, e non in maniera consapevole, di modo da poterne tenere conto anche in fase di successiva pianificazione, ma in maniera inconsapevole, perché falsato metodologicamente, in linea di principio, allora a sballare è l’intero processo di pianificazione, i cui conti, i cui numeri, li elabora proprio a partire dai prezzi.
Ecco quindi, che in pieno 2019 questo scritto ci aiuta a ritornare in medias res rispetto quanto lasciato, e oltre al già citato valore storico acquista inoltre un valore d’uso parimenti importante, senza concessioni “nepistiche” (come peraltro non a caso sottolinea esplicitamente in un passaggio), fornendoci qualche strumento in più nella nostra cassetta degli attrezzi, e, lo spero vivamente, quegli stimoli a un’ulteriore approfondimento, che egli stesso auspicava e che ritengo essere oggi più che mai attuali, per chiunque si ponga come obbiettivo il superamento dell’attuale modo di produzione:
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Viktor Valentinovič Novožilov: Problemi di formazione centralizzata dei prezzi e riforma della gestione industriale22
“La difficoltà sta nel creare l’interesse personale”23
(V. I. Lenin)
La recente riforma della gestione industriale sovietica comporta non solo una ristrutturazione degli organismi dirigenziali, ma anche dei metodi di gestione. Diminuiscono i metodi amministrativi (административные методы), per lasciar spazio ai metodi economici (экономические методы) di gestione. Di conseguenza, aumenta anche l’autonomia economica dell’elemento alla base della produzione, ovvero l’azienda (предприятие). Contemporaneamente, si rafforza anche la direzione centralizzata della pianificazione (централизованное плановое руководство): si ripristina (su nuovi principi) la pianificazione settoriale (отраслевое управление).
È naturale che una così profonda ristrutturazione economica sia un compito estremamente complesso. La ristrutturazione dei metodi gestionali è decisamente più difficile del ridisegnare l’organigramma degli organismi atti alla gestione stessa. Ampliare i diritti di un’azienda è semplice. Difficile è, parallelamente a tale ampliamento, armonizzare gli interessi dei lavoratori di tale impresa con gli interessi nazionali nel loro complesso. È per questo che, in un’economia pianificata gestita razionalmente, l’autonomia dell’azienda può essere concessa solo nei casi in cui, gli interessi dell’azienda, sono armonizzati agli interessi dell’intera economia e del piano stesso. Per fare ciò, occorre creare un sistema complesso di meccanismi attuativi.
La democratizzazione della gestione (демократизация управления) dell’economia socialistica presuppone il rafforzamento e l’implementazione della direzione centralizzata (укрепление и совершенствование централизованного руководства) dell’economia nazionale. Proprio per questo, una democratizzazione di gestione non può che costituire il momento finale di un intero processo di sviluppo del sistema di gestione economica. Essa dovrà innestarsi su basi già solide di una pianificazione e di una formazione dei prezzi già ottimizzate, su un calcolo economico già ottimizzato e su una ripartizione secondo lavoro già ottimizzate allo scopo. L’elemento guida di questa catena processuale è l’ottimizzazione della pianificazione (оптимизация планирования). A collocarla in tale posizione principale è il primato della produzione (примат производства) in economia. La base teorica è invece data dalla teoria della dualità (теория двойственности) in programmazione lineare24.
Eppure ancor oggi, per esempio, la pianificazione dei prezzi è l’ultima ruota del carro nell’organizzazione dell’economia socialistica.
I metodi di pianificazione ottimale, parzialmente utilizzati nella pianificazione della produzione, non sono ancora approdati nel campo della formazione dei prezzi. In un’epoca di rigorosa centralizzazione della gestione economica, il sistema dei prezzi non è ancora impiegato allo scopo di armonizzare il calcolo economico di ciascuna azienda con l’intero piano nazionale, l’interesse locale con quello nazionale.
La possibilità di continuare a mantenere indiscriminatamente produzioni in perdita è stata persino definita un vantaggio del socialismo rispetto al capitalismo. È stato vero, indubbiamente, nelle prime fasi di costruzione dell’economia socialistica. Tuttavia, il sistema di prezzi e di calcolo economico che ne sono derivati, divergono ora, e di parecchio, dal sistema di prezzi e di calcolo economico di quella pianificazione ottimale che, a parole, si intende perseguire. Inoltre, dal momento che i prezzi definiti tramite pianificazione ottimale riflettono la legge di valore nella maniera più precisa, rispetto al suo impiego in pianificazione, insieme a tutto ciò abbiamo anche che l’attuale sistema dei prezzi diverge anche dalla legge del valore.
Secondo la legge del valore, a formare valore sono solo quei costi di impiego di lavoro il cui prodotto corrisponde pienamente ai bisogni sociali, sia dal punto di vista quantitativo, che qualitativo. Se per quantità, o per qualità, il prodotto non intercetta il bisogno sociale cui è destinato, ecco che per quanto vi siano state delle spese di produzione, esse non hanno alcun valore. Spesso, oggi, i prezzi non tengono conto di questa regola e delle esigenze cui essa sottende. Essi si basano unicamente sulle spese, quasi che qualsiasi costo di impiego di lavoro costituisca, di per sé, valore.
Un altro assunto della legge di valore è il seguente: tutti i mezzi di produzione necessari alla creazione di un dato prodotto, non devono lavorare in perdita. Ciò significa che, se nel soddisfacimento del bisogno di un dato prodotto, sono coinvolte diverse aziende, ciascuna con la propria quota necessaria a coprirne la richiesta, il prezzo stabilito deve essere in grado di coprire le spese delle aziende con maggiori costi. In pratica non avviene così: i prezzi sono determinati in base a un calcolo di costi medi di produzione per settore. Un prezzo individuato sulla media dei costi, tuttavia, manda in passivo la metà di quelle aziende il cui processo produttivo risulta più costoso di quanto si trovano poi a vendere: questo, inoltre, ha un effetto ancor più grave, ovvero priva la pratica economica di criteri, grazie a cui distinguere fra costi di produzione accettabili, perché sostenibili, e inaccettabili, perché insostenibili.
Infine, nel computo del prezzo ottimale è incluso anche il costo di usufrutto delle risorse materiali destinate alla produzione. Per esempio, godere di un finanziamento proveniente dai fondi di produzione, denaro, prestiti, ma anche risorse naturali che fino a oggi si riteneva di poter escludere dal computo dei costi di produzione, ha invece un costo. Fino alla riforma del 1965, per l’appunto, si riteneva che l’accesso a tali risorse dovesse essere gratuito e non occorresse includerlo fra gli ingredienti necessari alla determinazione del prezzo. In seguito, dimostreremo come, tale divergenza della pratica di formazione dei prezzi dalla teoria matematica di pianificazione, conduca di fatto anche alla divergenza dalla legge di valore.
Come vedremo, i prezzi attuali contengono una quantità considerevolmente inferiore di informazioni economiche, rispetto a quelle richieste dalla legge del valore e dalla pianificazione ottimale. I prezzi attualmente non restituiscono all’azienda alcuna informazione né su cosa sia necessario produrre e quanto sia necessario produrne, né su quali siano i limiti di spesa che l’attività produttiva stessa non deve superare per non andare in perdita. Inoltre, restando esclusi dal computo i fondi produttivi, il denaro a disposizione, le ricchezze naturali e le altre risorse materiali, i prezzi determinati in loro assenza non informano neppure l’azienda di come occorra impiegarle, tali risorse, in riferimento a un livello minimo di redditività che giustifichi il loro impiego.
Se ne deduce che la legge di valore sia applicata, nella nostra economica, più in apparenza, che in sostanza, più nella forma, che nel contenuto. Se le cose stanno così, è naturale che «il calcolo economico nelle aziende assuma un carattere in gran parte formale»25, che i metodi gestionali di tipo amministrativo prevalgano su quelli economici, oltre al fatto che «il lavoro delle aziende è regolamentato da un gran numero di indicatori di piano, il che limita l’autonomia e l’iniziativa dei collettivi di ciascun azienda, nonché riduce la responsabilità sul miglioramento della produzione»26.
In tale contesto, se i prezzi non sono in grado di fornire le informazioni necessarie a prendere le opportune decisioni economiche, ecco che tali informazioni pervengono alle aziende soltanto sotto forma di ordini amministrativi. Tuttavia, dal momento che le informazioni contenute nei prezzi poi si discostano da quelle contenute nelle direttive di piano, ecco apparire le sanzioni per rafforzare il rispetto di tali direttive. Tuttavia, come mostra l’esperienza plurisecolare dei processi economici, la costrizione è lo stimolo meno efficace per la produzione, a differenza dell’interessamento economico o morale alla causa. Inoltre, l’interessamento personale è tanto maggiore, quanto più il risultato del lavoro dipenda dall’iniziativa creativa del lavoratore. Pertanto, è naturale che i soli metodi amministrativi di gestione economica non bastino, e che la loro carenza sia sempre più tangibile con l’evolversi della tecnica e dell’organizzazione stessa delle attività produttive, nello sviluppo dell’economia nazionale.
Tuttavia, nel nostro attuale, complesso, sistema economico, non è per nulla semplice coinvolgere adeguatamente ogni lavoratore nel risultato del proprio lavoro. Le interrelazioni tra spese e risultati di singole produzioni sono talmente ramificate che la misura del risultato del lavoro non solo di ogni singolo lavoratore, ma anche di ogni singola azienda, è diventato il compito più difficile. È sicuramente più difficile di quando V. I. Lenin poneva per la prima volta il problema scrivendo, 45 anni durante la transizione alla NEP, che occorreva «fondare la costruzione di ogni grosso settore dell’economia nazionale sull’interessamento personale»27.
La NEP fu un ritorno temporaneo e parziale ai metodi e ai rapporti capitalistici di produzione, mentre la riforma del 1965 rappresenta un grande passo in avanti sulla strada del comunismo. Il motivo è che essa corrisponde pienamente alle caratteristiche, alle regolarità, e a quanto si è riuscito finora a tradurre in legge economica del modo socialistico di produzione e del suo motore fondamentale di sviluppo: il centralismo democratico e la sua doppia valenza, sia in senso di direzione centralizzata, che di democrazia operaia28. Inoltre, passare all’attacco è sempre più difficile che ritirarsi.
Tuttavia, oggi abbiamo a disposizione tante e tali scoperte nel campo dell’organizzazione economica, che ai tempi della NEP neppure sognavano29. Sono stati elaborati i nuovi metodi matematici di pianificazione ottimale. Sono state poste le basi per una teoria della gestione di sistemi complessi (cibernetica). È nata e ha raggiunto subito alti livelli la tecnologia di calcolo veloce, o elettronica. Questi nuovi mezzi scientifici e tecnologici permettono di conseguire grandi successi nell’armonizzare il calcolo economico di ciascuna azienda con il piano complessivo e, pertanto, gli interessi di ciascuna azienda con quelli dell’economica nazionale. Perciò, la riforma economica attuata può costituire un momento importante sulla strada di una graduale trasformazione da un “piano-direttive” a un “piano-leggi economiche”, ovvero un piano dove le direttive coincidano, nella pratica, al punto ottimale d’incontro di tutti gli interessi degli agenti economici coinvolti30. Tuttavia, per fare ciò occorre anzi tutto superare l’ostacolo più difficile, quel collo di bottiglia che impedisce una corretta organizzazione della nostra economia: ricostruire il modo di formazione dei prezzi.
È evidente, infatti, come l’attuale pratica di formazione dei prezzi diverga dal modello di prezzo della pianificazione ottimale già a monte del processo, in linea di principio. Non è, fortunatamente, il caso della pianificazione della produzione: metodi di pianificazione ottimale, sia pur in modo incompleto, sono già ampiamente utilizzati nella produzione e nei trasporti. Nella formazione dei prezzi, invece, i metodi di pianificazione ottimale non hanno ancora ricevuto il dovuto riconoscimento. Andando sul concreto, l’adozione dei prezzi ottimali di piano, alcuni economisti sono disposti ad adottarli a livello locale, ma non a livello economico nazionale31. Tali concezioni sono state alla base dell’attuale pratica di formazione dei prezzi.
Si è creata una frattura fra i principi di pianificazione della produzione (принципы планирования производства) e i prezzi. Tale frattura ha causato disorganizzazione (дезорганизация) nella nostra economia. Il piano di produzione per le aziende era una cosa, e la pianificazione dei prezzi un’altra. Il calcolo economico d’azienda spesso diverge dal piano. Risultato: l’intero apparato di pianificazione è sovraccarico (с лишней нагрузкой) di lavoro per risolvere gli inceppamenti (самоторможение) da esso derivati. È difficile stimare il danno alla nostra economia, causato da un’incorretta formazione dei prezzi. «Se un operaio danneggia un prodotto, la perdita è evidente e facilmente calcolabile. Notevolmente più difficile è valutare le perdite di una cattiva organizzazione di una linea di produzione o di una fabbrica, qualora anche fossero maggiori di quelle derivate dai pezzi difettati. Infatti, le maggiori difficoltà per un economista consistono nel cercare di individuare e misurare le perdite derivanti da una cattiva valutazione dei costi e dei risultati, anche qualora si trattasse di perdite macroscopiche, dell’ordine di miliardi di rubli: esse sono le più “invisibili” e difficili da trovare»32. Un errore a monte, nei principi e nei metodi di formazione dei prezzi, è causa di una moltitudine di errori a valle, nei conti che poi si faranno in pratica. Il motivo è semplice: un errore in linea di principio, metodologico, nel determinare i prezzi, porterà alla sottovalutazione sistematica di alcuni costi, a una altrettanto sistematica sopravvalutazione di altri costi e, di conseguenza, a decisioni economiche completamente starate, sbilanciate, inefficaci.
Questo, tuttavia, è ancora il meno. Una formazione dei prezzi basata su principi errati, che si complicano sempre più, conduce a perdite ancor più gravi, queste ultime davvero incalcolabili: stiamo parlando di eccesso di centralizzazione nella gestione delle aziende (избыток централизации управления предприятиями). Infatti, in caso di scostamento fra conto economico d’azienda e piano, e conseguente passivo di bilancio di un’azienda, è il centro di piano che coordina la sua attività a dover prendere in mano la matassa e a cercare di sbrigliarla, affrontando problemi per cui, allo stato attuale, non è in grado di avere sufficienti informazioni in tempi rapidi per risolverli.
Abbiamo capito, ora, perché nella teoria della formazione dei prezzi pianificata si nasconde un’enorme forza produttiva, che produce effetti immediati e su scala di massa, una marcia in più per il socialismo rispetto al capitalismo, ma che deve essere usata bene, altrimenti gli effetti si riverseranno, in maniera altrettanto diretta e su scala di massa, ma negativamente sulla popolazione.
Sulla duplice valenza dei costi socialmente necessari del lavoro
“I prezzi devono, il più possibile, riflettere i costi socialmente necessari del lavoro, garantire la copertura dei costi di produzione e distribuzione, oltre che l’utile noto a ciascuna azienda che operi normalmente in tale filiera”33
Il Programma del PCUS ha assegnato alla nostra pratica di formazione dei prezzi un compito preciso: dal momento che dall’attuale sistema escono prezzi che contengono informazioni economiche troppo scarse, occorre far sì che incrementino.
I costi socialmente necessari del lavoro (общественно необходимые затраты труда, in seguito abbreviati dall’Autore ОНЗТ, in traduzione resi con CSNL) sono una grandezza considerevolmente ricca di contenuti. Da un lato, essi esprimono i costi del lavoro necessari alle condizioni della produzione (по условиям производства); dall’altro, essi esprimono i costi del lavoro che la società ritiene necessario sostenere alle condizioni del consumo (по условиям потребления), tenendo conto delle proprietà di impiego non solo di quel dato prodotto, ma da tutta la produzione simile o analoga. Quando i costi necessari alla produzione di una data merce coincidono con i costi che la società può pagare per la stessa, possiamo affermare sia che la produzione di quella data merce corrisponde ai bisogni sociali, sia che è condotta in un regime economicamente sostenibile, secondo gli standard di piano.
Tuttavia, il problema di avvicinare il più possibile i prezzi reali ai CSNL, si complica enormemente non solo a causa del dibattito sui metodi di formazione dei prezzi, ma anche dei principi alla loro base, allorché i prezzi non tendono più al valore, ma a sue modificazioni (модификации). Per esempio, è comune ritenere che i CSNL siano individuabili solo in condizioni di tempo di lavoro medio, necessario alla produzione di un dato articolo, in condizioni mediamente normali. Tale espressione dei CSNL è sufficiente se eventuali differenze fra i vari costi di produzione, presi ciascuno singolarmente, mantengono un carattere del tutto casuale (per esempio, sono frutto delle diverse capacità delle squadre di lavoro sulle diverse linee). Non è sufficiente, invece, se le differenze fra i vari costi di produzione non sono frutto del caso perché, per esempio, indipendenti dalla variabile lavoro: è il caso delle differenze di macchinari sulle linee o delle risorse naturali a disposizione. In tal caso i prezzi dovranno esprimere non solo la quota di lavoro impiegata, ma anche un supplemento derivato dalle limitazioni meccaniche o naturali.
Le differenze di costo derivate da mezzi di produzione diversamente efficienti, non avvengono per caso, ma necessariamente.
Se, per un motivo o per un altro, durante la produzione di una data merce siamo obbligati a impiegare mezzi di produzione aventi diversi gradi di efficienza, allora anche i CSNL dovranno essere individuati sia sulle linee che operano nelle condizioni produttive medie e migliori, che su quelle peggiori. Se assumessimo come dato le sole CSNL medie, non solo bareremmo, ma non riceveremmo neppure da tali prezzi le informazioni per una scelta ottimale dei mezzi di produzione: occorre invece conoscere il valore limite (предельнй) dei CSNL; in questo caso, i prezzi non si muovono più verso il valore puro, ma verso sue modificazioni.
Passiamo ora, da queste considerazioni a carattere generale, alla nostra pratica. Dall’esperienza maturata, siamo convinti della necessità di conteggiare, nei prezzi, anche il maggiore o minore grado di investimenti per unità di prodotto realizzata (фондоемкость), così come la rendita differenziale (дифференциальная рента) derivata dalle diverse situazioni produttive, più o meno favorevoli per disomogeneità non di intensità di lavoro, ma di condizioni ambientali o mezzi di produzione. Gli schemi matematici della pianificazione ottimale mostrano come i prezzi, in grado di allineare calcolo economico aziendale e piano, debbano includere anche le risorse materiali impiegate. Questo significa che il prezzo ottimale deve necessariamente orientarsi verso una modificazione del valore. Tuttavia, la concezione oggi diffusa è che i CSNL debbano essere costruiti basandosi solo sul tempo di lavoro socialmente necessario, che è alla base del valore. Perfetto, ma così facendo il conto economico d’impresa (il bilancio, che deve tener conto anche di quanto investito, della rendita differenziale, dell’intercambiabilità fra merci, compensazioni, ecc.) sarà sempre incompatibile, non coordinabile, con un piano che è stato redatto tenendo conto invece di prezzi che, purtroppo a loro volta, non hanno considerato questi fattori e si sono unicamente basati sul costo del lavoro.
Il motivo è che alla base della nostra iniziativa, della nostra pratica progressista ed evoluta di pianificazione, non abbiamo una riduzione del prezzo al semplice tempo di lavoro, ma un suo arricchimento con altre informazioni derivate da tutti i costi socialmente necessari alla sua produzione. In tali condizioni, le nostre linee di progresso per una nuova pratica della formazione dei prezzi o sono contestate (da alcuni economisti), o conducono (altri economisti) a teorie eclettiche di formazione dei prezzi che complicano ulteriormente situazioni già complicate, giungendo peraltro a conclusioni errate.
Una di queste, per esempio, afferma l’equivalenza fra valore e costi socialmente necessari. Così fosse, visto che il valore è dato dal lavoro mediamente impiegato per la produzione di quel dato articolo, ai costi socialmente necessari così individuati dovremmo aggiungere anche tutte le altre spese per fare il prezzo finale: grado di intensità del denaro investita per quel dato articolo (фондоемкост товара), piuttosto che la sua intercambiabilità (взаимозаменяемость) o capacità di essere scambiabile con altri articoli simili, eccetera. Tale ipotesi è impraticabile, così come è impraticabile sommare patate con carote: le formule infatti per il ricavo dei diversi fattori che, secondo tale teoria, concorrerebbero alla formazione del prezzo ottimale, coinvolgono grandezze disomogenee e incomparabili fra loro. Il risultato sarebbe un estremo arbitrio nel definire equivalenze e, di nuovo, si ricadrebbe in errori operativi con conseguenze anche gravi.
Ripartiamo, pertanto, dal valore per ribadire, attraverso una sua più attenta analisi, alcuni concetti chiave. Secondo la legge del valore, possiamo calcolarne l’entità e compiere su di esso ragionamenti di tipo economico grazie al fatto, che fra esso e produzione da esso ottenuta, esiste un rapporto di proporzionalità che rende possibile scambiare la seconda sulla base del primo, meglio, delle equivalenze stabilite in base al primo. Il valore è calcolato sui CSNL medi per unità di prodotto. Abbiamo visto che non possiamo fermarci qui, perché i CSNL medi non tengono conto delle produzioni più svantaggiate, sia in termini di mezzi di produzione, che di accesso alle risorse. Compiamo allora un passo ulteriore: se è vero che è necessario il mantenimento di un rapporto di proporzionalità al fine dello scambio merce-denaro-merce, è vero anche che tale rapporto di proporzionalità si mantiene egualmente sia considerando i CSNL medi, sia considerando i CSNL limite. In altre parole, i prezzi sono proporzionali ai CSNL non solo quando la formazione dei prezzi segue il valore, ovvero i costi medi del lavoro impiegato, ma anche quando considera sempre il costo limite e, pertanto, non il valore puro ma una sua modificazione.
Ecco, quindi, che i prezzi sarebbero sempre proporzionali ai CSNL, presi tuttavia su basi, su principi diversi da quelli attuali. Dobbiamo, infatti, prendere tutti atto che se è vero che il prezzo nasce dal valore, tuttavia solo in alcuni casi equivale, coincide con esso: il valore di un singolo pezzo prodotto sarà dato dai CSNL medi, il prezzo dai CSNL differenziali34 (дифференциальные, rappresentanti il limite estremo riscontrato di forbice di costi sostenuti per unità di prodotto fra le diverse linee produttive).
Aggiungiamo ora un altro elemento: se, in un’economia di scala, i costi di produzione su linee di montaggio diminuiscono con l’incrementare dei pezzi prodotti (perché, una volta montata la linea, è decisamente più conveniente continuare la produzione di quel dato articolo, piuttosto che cambiare ancora macchinari, pezzi, materiali, in questo caso il prezzo differenziale rifletterà la variazione di costo del lavoro sociale, necessaria all’aumento (прирост) della produzione di una data merce. A questa considerazione si aggiunga il fatto che, nell’attuale fase di produzione di merci, l’azienda riceve autonomia decisionale non sugli obbiettivi di piano da raggiungere per ciascun articolo, ma solo su un suo incremento relativamente piccolo (сравнительно небольшой прирост). Ecco, quindi, che appare ancora più necessario, al fine di definire i margini di prezzo entro cui è possibile incrementare la produzione di un dato articolo senza lavorare sottocosto, conoscere non i CSNL medi, ma quelli differenziali.
Facciamo un esempio. I costi socialmente necessari medi di un dato articolo sono 10 rubli a pezzo; aumentando la quantità, tali costi scendono a 8 rubli a pezzo. Se il prezzo insisto a prenderlo sui costi medi, faccio un errore, perché comprando a 10 come Stato dall’azienda, sono sopra di 2 rubli rispetto al costo effettivo di produzione. Non solo: se per assurdo decido di spingere sul risparmio fissando il prezzo di acquisto dall’azienda a 9 rubli a pezzo, in realtà non ci sarà nessun risparmio (экономия) ma, anzi, una sovraspesa (переплата) di 1 rublo rispetto al costo reale.
Facciamo un altro esempio. I costi socialmente necessari medi di un dato articolo sono 10 rubli a pezzo, mentre i costi socialmente necessari differenziali, per motivi di obsolescenza della maggior parte dei macchinari in circolazione, o per i materiali impiegati, sono ben il doppio: 20 rubli a pezzo. Ora, esiste la possibilità di sostituire questo prodotto con un altro, equivalente per valore d’uso ma con costi socialmente necessari differenziali assai più contenuti: 15 rubli a pezzo. Ebbene, se io considero i costi limite, differenziali (предельные (дифференциальные) затраты) per formare il prezzo, mi renderò immediatamente conto che mi conviene passare a questo articolo decisamente più economico, che consentirebbe all’economia nazionale un reale risparmio. Se, invece, considero i costi socialmente necessari medi, mi sarò doppiamente tirato la zappa sui piedi da solo: non solo continuerò a produrre in perdita metà della produzione, e con un margine mostruoso del 100% nella punta estrema di sofferenza, ma se i costi medi dell’articolo che potrei sostituire con minori costi limite (15 rubli a pezzo) ha, per qualche motivo, un costo medio maggiore di 10 rubli al pezzo, io nella mia miopia metodologica non considererò neppure il risparmio che avrei mettendolo in linea al posto del primo, anzi, lo considererò economicamente svantaggioso, continuando invece a sprecare in realtà risorse preziose.
Da questi semplici esempi, appare chiaramente come il dibattito su quale orientamento debbano avere i prezzi di piano nella loro definizione (costi medi o limite) assuma, di fatto, un’enorme e concreta importanza. Qualora il dibattito si risolvesse ancora su posizioni errate, andremmo incontro a perdite (потери) di dimensioni incomparabilmente maggiori rispetto a quelle generate da semplici errori sul lavoro, o da scelte sbagliate di produzione o di allocazione risorse locali, o da errori di valutazione di singoli costi in un calcolo economico.
Un errore di formazione prezzi a monte, in linea di principio, è causa di numerosi, ulteriori, errori a cascata, contro i quali è sempre più difficile lottare man mano che il processo produttivo si completa, in primis, perché passano inosservati (незаметны, in quanto appaiono sotto le sembianze di un corretto calcolo economico) e, in secundis, perché, derivando dal calcolo economico stesso, man mano che il bilancio procede a formarsi, nel corso del tempo, avremo sempre più errori, sempre più scostamenti, sempre più difficili da individuare e da correggere: il tutto, per colpa di un errore metodologico a monte.
L’orientamento verso i costi limite incontra, a volte, l’obiezione che la merce sarebbe, in tal caso, più costosa, a differenza dei prezzi presi sui costi medi. Tale obiezione mostra, ancora una volta, come sia difficile rendersi conto di errori sorti da una scorretta formazione dei prezzi. La reale costosità delle merci dipende non dai prezzi, ma dal grado di spese in essi comprese. Per la società nel suo complesso, le merci non divengono meno costose soltanto perché vengono loro assegnati artificialmente prezzi bassi. Se i prezzi ribassati, infatti, conducono a errori di calcolo in una massa tanta e tale da generare, subito dopo, un’affannosa corsa ai ripari con spese extra subito a valle della fase di prezzatura, ecco che una convenienza solo sulla carta si trasformerà in una costosità reale.
Un’altra obiezione contro l’orientamento dei prezzi verso i costi limite, è che la produzione, in tal caso, avrebbe interesse a mantenere tecnologie obsolete. Chi lo sostiene, dimentica tuttavia il fatto che i costi limite mutano con il progresso scientifico-tecnologico. Esso sistematicamente, di anno in anno, diminuisce i costi limite di riproduzione della merce, grazie all’ingresso di nuova tecnologia e all’uscita di scena di strumenti di lavoro obsoleti. Già Marx, tanto tempo fa, aveva dimostrato che, anche equiparando i prezzi ai costi limite, questi ultimi dovessero continuare a scendere, grazie al progresso scientifico-tecnologico e, al contempo, mantenessero sempre un margine di differenza di resa ed efficacia fra i vari costi considerati. In una lettera ad Engels datata 7 gennaio 1851, Marx scrive:
la legge della rendita, così come Ricardo la presenta, in una formula semplicissima35, a prescindere ulteriori conclusioni che potremmo trarre da essa, non presuppone la diminuzione della produttività del terreno, ma soltanto la condizione per cui, malgrado la produttività del terreno generalmente crescente con lo sviluppo della società, la produttività di diversi appezzamenti sarà, dopo tutto, ancora differente, piuttosto che successivi investimenti di capitale sullo stesso, identico, terreno, produrranno risultati differenti36.
Questa affermazione vale oggi più di quando visse Marx, in quanto la velocità del progresso tecnologico oggi è decisamente maggiore di cento anni fa. Inoltre, questa affermazione non è importante soltanto perché spiega la differenziazione di prezzo in agricoltura, ma è fondamentale perché analizza la legge del valore nella sua interezza. Le differenze di efficienza fra i diversi mezzi di produzione impiegati sono frutto del progresso tecnologico stesso. Ciò vale non solo in agricoltura, ma anche nell’industria: infatti, la comparsa di nuovi, più efficienti, mezzi di produzione in molti settori, oggi si verifica in lassi di tempo talmente brevi, che è materialmente impossibile adeguare l’intero parco macchinari alle nuove tecnologie nello stesso lasso di tempo. Per questo motivo, si trovano contemporaneamente in funzione, sullo stesso articolo, diversi macchinari di diversa efficienza. Tali differenze, poi, sono mitigate dal fatto che anche i nuovi macchinari invecchiano presto (obsolescenza) per l’ingresso di nuovi modelli, con cui vengono sostituiti i macchinari più obsoleti, ribaltando così i rapporti di efficienza fra i macchinari considerati. Tuttavia, tutto questo non fa altro che confermare ulteriormente, e su grande scala, l’esistenza di una considerevole forbice di macchine a diversa efficienza messe in funzione per lo stesso fine nello stesso tempo. Pertanto, lo schema di Marx, che spiega la formazione dei prezzi in agricoltura in condizioni di crescita di produttività del terreno, può essere impiegato anche per chiarire il ruolo dei costi limite nelle condizioni di progresso tecnologico in industria37.
Tuttavia, come spesso accade, anche nelle obiezioni errate alla formazione dei prezzi orientata ai costi limite, esiste un fondo di saggezza pratica (практическая мудрость). Infatti, esse sembrano quasi esprimere, sia pur in maniera non chiara, un ammonimento a orientare i prezzi su costi limite effettivi (фактические). È un ammonimento corretto: l’orientamento dei prezzi ai costi limite va effettuato non in maniera automatica, meccanica, quindi limitata, scoordinata e superficiale, ma all’interno delle condizioni poste dal piano, ovvero le condizioni in grado di comprendere i costi limite nel piano ottimale (в оптимальном nдане); ecco quindi che non parliamo di semplici costi limite, ma di CSNL limite (o differenziali); solo allora i prezzi riusciranno a orientare efficacemente l’azione stessa di piano verso decisioni ottimali di organizzazione e pianificazione economica.
La determinazione dei prezzi in base ai CSNL limite corrisponde a quanto indicato nel Programma del PCUS, laddove i prezzi devono «garantire la copertura dei costi di produzione e l’utile noto a ciascuna azienda che operi normalmente in tale filiera». Riguardo proprio quest’ultimo soggetto economico, ovvero le aziende della filiera, orientare i prezzi sui costi medi porterebbe la metà peggiore di loro, operante in condizioni tecnologiche e ambientali peggiori, a chiudere la produzione in passivo: eppure, parliamo di aziende che sono tutte socialmente necessarie, in quanto tutte coinvolte nel soddisfacimento dei bisogni sociali così come assegnato dal piano.
Nei materiali del Plenum di settembre 1965 del CC del PCUS, dedicato al «miglioramento della gestione industriale, sul perfezionamento della pianificazione e sul rafforzamento dell’incentivazione economica della produzione industriale», sono indicati i principi fondamentali di pianificazione ottimale della produzione e dei prezzi, fra cui i seguenti punti: i piani economici devono essere ottimali, ovvero costruiti su un principio di ottimizzazione (оптимальность); la redditività (рентабельность) deve indicare, di ciascuna azienda, la propria efficacia produttiva; l’usufrutto di fondi produttivi e di risorse monetarie deve essere monetarizzato, ovvero entrare in bilancio aziendale come voce di spesa; i prezzi devono avvicinarsi ai CSNL e devono tenere conto anche della qualità produttiva, non solo degli indicatori di quantità. In particolare, l’ingresso nelle voci di spesa dell’usufrutto di fondi produttivi e di risorse monetarie, condurrà a un aumento dei prezzi pianificati, in quanto non più basati sui semplici costi di produzione ma su più fattori (per l’appunto, fondi di produzione e investimenti). Ciò significa che il prezzo pianificato considererà non più soltanto il valore, ma da esso partirà per calcolare un importo che tenga conto anche delle suddette modificazioni a esso.
La linea di pensiero secondo cui anche le modificazioni al valore possono essere espressione dei CSNL al pari di esso, non è ancora largamente impiegata. Eppure, non solo essa discende dalla teoria stessa del valore di Marx, ma è Marx stesso a indicarne tale sviluppo.
Marx ha notato come, in presenza di una divisione proporzionata del lavoro (Verteilung proportioneil), «i prodotti dei vari gruppi vengono venduti al loro valore (Werten, a un livello di sviluppo più alto ai loro prezzi di produzione - Produktionspreisen) oppure a prezzi, determinati da leggi generali (durch allgemeine Gesetze bestimmte), che sono delle modificazioni del valore e dei rispettivi prezzi di produzione (Modifikationen dieser Werte resp. Produktionspreise sind)»38.
Questa osservazione di Marx non è stata letta con la dovuta attenzione. Invece, il suo significato è molto importante. Ci dice, infatti, che le modificazioni del valore, «determinate da leggi generali», riflettono anch’esse i CSNL, esattamente come il valore puro. Il motivo è che, nella produzione mercantile, la proporzionalità nella divisione del lavoro sociale è possibile solo attraverso lo scambio di equivalenti di lavoro socialmente necessario.
Naturalmente, non tutte le modificazioni al valore riflettono lavoro socialmente necessario. Per esempio, fino a oggi i prezzi sono stati costruiti sotto forma di «valore medio» (усреденная стоимость). Anche questa è una modificazione di valore, per cui l’utile di azienda entra a far parte del prezzo in proporzione ai costi medi di produzione. Il problema, come già evidenziato, è che il valore medio non riflette correttamente i costi di produzione di quel dato prodotto: non solo in fase di prezzo di produzione ma anche, a catena, con valutazioni parimenti errate dei costi aggiuntivi di tale prodotto, legati alle fasi successive come trasporto e distribuzione. Ecco, pertanto, che il processo deve essere armonizzato da monte a valle, occorre definire e, successivamente, seguire metodicamente, le condizioni di una proporzionalità della produzione verso i bisogni sociali (проpорциональность проиводства потребностям) che essa è chiamata a soddisfare. Solo così le modificazioni al valore rifletteranno i costi socialmente necessari di lavoro.
In cosa consistono, pertanto, quelle leggi generali che determinano i modelli di modificazione del valore a cui Marx si riferisce nella frase sopra citata?
I modelli matematici, applicati all’economia, possono aiutare a rispondere a questa domanda. Partiamo, ancora una volta, da Marx. Il prezzo di produzione è “determinato non solamente dal valore della merce particolare, ma dal valore complessivo di tutte le merci. Un mutamento di valore della merce A può essere compensato da un mutamento di valore in senso contrario della merce B, cosicché il rapporto generale rimane invariato.39” Da questo possiamo dedurre la conclusione che il prezzo di produzione di un singolo articolo sia un dato parziale, tratto dal valore complessivo dell’intera quantità di merci di quella data tipologia. Se è così, allora il prezzo di produzione è il riflesso particolare dell’insieme di tutti i CSNL necessari alla produzione di quel dato prodotto, ovvero occorsi entro tutte le diverse circostanze e con tutte le diverse rese delle diverse linee di produzione su cui quel prodotto è stato realizzato40.
Infatti, in un mondo ideale dove tutto è prodotto secondo eguali condizioni, con eguali mezzi e risorse e senza alcun limite alle stesse, tale prezzo sarebbe direttamente proporzionale al valore. In presenza, tuttavia, di limitazioni all’accesso di risorse e mezzi, ecco che il prezzo diviene proporzionale non più al solo valore, ma alle modificazioni del valore che tengono conto di tali limitazioni. Quando il grado di sviluppo delle forze produttive è basso, e i tempi della loro crescita sono lenti, questo si ripercuote in genere su tutta l’economia, dove a dominare sono modi e mezzi di produzione analogamente scadenti. In questa omogeneità al ribasso, i CSNL si possono ancora individuare sui costi medi, per quel poco che si riesce a produrre con quei bassi standard. Diverso è, invece, il caso di gradi di sviluppo in incremento e tempi sempre più veloci. In tal caso, per coprire i bisogni crescenti, tutti i mezzi in campo sono impiegati in produzione, vecchi e nuovi, meno efficienti e più efficienti. Ecco nascere quella differenziazione che porterà, per una misurazione più accurata, a calcolare i CSNL differenziali, e non solo sulla produzione, ma su tutte le fasi lavorative successive fino alla immissione in consumo finale e contestuale acquisizione.
In questa scarsità di risorse migliori (migliori mezzi di produzione, migliori siti produttivi, migliori risorse naturali), sorge la necessità di regole comuni per stabilire il limite ammissibile di efficienza per il loro impiego. Questo è chiaramente visibile nei modelli matematici di piano ottimale: i moltiplicatori di Lagrange-Kantorovič (множители Лагранжа - Канторовича) possono essere applicati per individuare il massimo di risultati o il minimo di costi vincolati a condizioni di scarsità certe, a differenza del capitalismo dove tutto avviene in maniera incontrollata. Grazie a loro, utile dell’azienda ed efficienza economica complessiva possono essere armonizzati fra loro, così come il calcolo economico aziendale con il piano ottimale. Nel calcolo economico, essi si manifestano come pagamento per i fondi di produzione e i mezzi di circolazione, per gli investimenti e per le ricchezze naturali.
Quali costi di lavoro riflette quindi la modificazione ottimale di valore (оптимальная модификация стоимости)? Essenzialmente due aggiunte, legate alla produzione di ciascuna singola unità di prodotto:
a) l’aggiunta di tutti i costi di lavoro lungo tutte le filiere del prodotto, dalla produzione fino al suo impiego finale da parte della società;
b) aggiunta del reddito nazionale, inteso come somma di tutti i prezzi di tutti i prodotti finiti;
Nel piano ottimale, queste due aggiunte per ogni tipo di merce sono identiche. L’uguaglianza fra di esse significa che la produzione è proporzionale ai bisogni: per quella merce è stato speso tanto lavoro, quanto ne era necessario alla società per la sua produzione – ecco i CSNL.
Nella realtà tale rapporto di identità è un processo di “tendere a”. Il piano ottimale è il piano migliore, ovvero il piano che meglio corrisponde alle leggi economiche del socialismo. In esso abbiamo, da un lato, il minimo di costi di lavoro per prodotto finale dato alla società e, dall’altro, il massimo di reddito nazionale, ottenibile nelle condizioni di costo del lavoro date. Il minimo di costi si ottiene grazie a una contestuale selezione, tesa a questa finalità, di varianti di piano e di singoli progetti; il massimo di reddito nazionale si ottiene grazie alla massima corrispondenza possibile della produzione ai bisogni sociali. In caso di sproporzione fra produzione e bisogni, infatti, il lavoro speso in eccesso non produce valore. È semplice spreco. Per questo motivo solo il lavoro impiegato in produzione che poi è effettivamente consumata, ovvero che intercetta i bisogni sociali, concorre a formare il reddito nazionale vero e proprio.
Così, le due aggiunte cui si è appena accennato, a cui è proporzionale la modificazione di valore stessa, hanno a che vedere col minimo di costi di lavoro sul prodotto finito consumato dalla società e col massimo di reddito nazionale possibile disponendo di tali risorse date. Perciò, comparando i costi individuali di produzione (calcolati col metodo del pagamento per le risorse impiegate) al prezzo ottimale (оптимальная цена, pari alla modificazione ottimale di valore), noi determiniamo in quale misura queste spese corrispondono al minimo generale di costi di lavoro. Comparando, invece, il prezzo di realizzo della merce con il prezzo ottimale, noi determiniamo in quale misura, e quantitativa, e qualitativa, la merce prodotta corrisponde ai bisogni sociali. Di conseguenza, il prezzo ottimale (modificazione del valore) è il criterio che distingue in ogni produzione, i costi necessari da quelli superflui. Queste proprietà della modificazione ottimale di valore significano, inoltre, che essa esprime i CSNL differenziali nelle condizioni ottimali date di pianificazione economica.
Rapporto fra pianificazione dei prezzi e pianificazione della produzione
“Ampliando l’autonomia economica dell’azienda, il partito e il governo dell’URSS condurranno, d’ora in avanti, una politica omogenea che unisca le sfere della pianificazione delle grandi linee di sviluppo della produzione, del progresso tecnico, degli investimenti, dei prezzi, dei salari e delle finanze”41.
Per quanto sia notevole la capacità dei prezzi di fornire informazioni, è tuttavia insufficiente, da sola, per un’economia di piano. Anche nella migliore attività di pianificazione, allorché i prezzi riflettano esattamente i CSNL differenziali, tuttavia una serie di quesiti economici resterebbe senza risposta. I prezzi non ci dicono nulla, per esempio, della quantità di produzione che può essere realizzata a un costo dato, così come della quantità di produzione che può essere acquistata a un dato prezzo in un dato tempo. Non ci parlano né del dettaglio dei costi di produzione, né della sua richiesta in futuro.
Alla fine, per il calcolo del totale di spesa di un settore economico, di una regione, o dell’intera economia nazionale, sono necessari gli indicatori aggregati (суммарные показатели) dei costi di produzione di un dato articolo (o gruppi di articoli), piuttosto che i costi medi e le dimensioni quantitative in base a cui esso è in produzione. I prezzi ottimali sono inadeguati a questo fine, in quanto risentono del loro stretto legame con i CSNL limite e, pertanto, offrono informazioni non corrette.
Così, la capacità informativa dei prezzi è confinata a quella parte di economia nazionale cui essa fa riferimento: l’accrescimento minimo di produzione di un dato articolo. Tale “minimo”, ovviamente, è posto in relazione all’intera economia nazionale e ci parla: a) dei costi di lavoro sociale, dovuti a tutte le relazioni, dirette e indirette, fra i costi di riproduzione ampliata di un dato articolo e delle altre merci; b) dei risultati ottenuti, ovvero dell’incremento di reddito nazionale dovuto alla messa in consumo effettiva di tale articolo.
Sono informazioni sufficienti per completare, localmente per la propria parte, un piano assegnato sui principi del calcolo economico, oltre che per apporre piccoli correttivi. Tuttavia, sono informazioni insufficienti per variazioni sostanziali di piano e, soprattutto, per redigere il piano stesso in una prospettiva pluriennale. Un campo di azione limitato (possibili solo pochi cambiamenti di piano) e un altrettanto breve orizzonte temporale, riscontrabili nelle informazioni contenute nei prezzi, sono quanto mai avvertibili allorché si tratta di risolvere quelle questioni, che affliggono una parte significativa dell’economia nazionale, piuttosto che interessano la politica degli investimenti.
Perciò, anche in presenza di una formazione dei prezzi ottimale, le aziende devono ricevere dagli organismi di piano quelle informazioni che i prezzi non sono in grado di dare, ma che sono indispensabili per una gestione economica pianificata , perlomeno nei confronti dell’andamento economico nazionale. Di quali informazioni stiamo parlando? La risposta ce la potrà fornire soltanto un’analisi sufficientemente concreta della questione, a partire da informazioni, a carattere generale eppur indispensabili, come: quantità di merce da produrre, piani tariffari per le materie prime e per le risorse in generale lungo il corso degli anni (criteri di efficienza per gli investimenti, per i fondi produttivi d’azienda, per i tassi di rendita differenziale, ecc.), dinamiche salariali, prezzi di piano dei beni fondamentali fissati per anni. Queste informazioni ce le potrà offrire soltanto un piano prospettico economico nazionale.
È all’interno di tale cornice, ovvero di una pianificazione prospettica, che possiamo porre in correlazione diretta i limiti dei prezzi ottimali ai limiti degli stessi CSNL differenziali. Anche per questi ultimi, infatti, vale quanto affermato in precedenza, ovvero che da soli non possono bastare alla stesura di un piano economico: essi, infatti, sono validi nel presente, dove concorrono al completamento degli obbiettivi attuali di piano. Parlando invece di ciò che verrà, i CSNL differenziali futuri sono ignoti, tanto quanto ignoto è il grado di sviluppo che assumeranno le diverse forze produttive nel corso degli anni.
Per l’elaborazione di un piano prospettico di sviluppo economico, che tenda a ridurre il più possibile il totale dei CSNL sul prodotto finito, sono indispensabili i dati aggregati dei costi totali di tutti i beni economici più importanti, insieme a quelli dei mezzi destinati alla loro produzione. Accanto a ciò, sono parimenti necessari indicatori del grado di investimenti per unità di prodotto realizzata e del grado di sfruttamento delle risorse naturali più importanti.
Nel futuro immediato, questi indicatori dovranno servire a pianificare i percorsi ottimali di progresso tecnologico e determinare il tasso di efficacia degli investimenti sul territorio. Tale meccanismo dovrà avere come obbiettivo il raggiungimento della massima efficacia complessiva degli investimenti, mantenendo l’equivalenza fra aumento di domanda di posti di lavoro da parte delle aziende e aumento dei posti di lavoro effettivamente creati. Entrambi i piani, quello relativo alla produzione e quello dei prezzi per i beni più importanti, dovranno essere stilati contemporaneamente. La pianificazione dei prezzi deve essere coordinata a quella della produzione, a ogni livello. Le nostre carenze in materia di formazione dei prezzi sono dovute, anzi tutto, a questo distacco, ben noto agli addetti ai lavori, fra le due attività di pianificazione. Tale pratica non solo è contraria alla legge del valore, ma è anche incompatibile con la teoria matematica della pianificazione ottimale.
Secondo la legge del valore, la proporzionalità (пропорциональность) e la valenza economica (экономичность) della produzione materiale sono direttamente connesse al principio equivalenza (эквивалентность) nello scambio fra i vari prodotti, in base al lavoro in essi contenuto. Violando il principio di equivalenza, sorgono sia sproporzioni (диспропорции) a livello di composizione della struttura produttiva, sia distorsioni che interessano lo sviluppo delle forze produttive, con forme meno efficienti che non solo sopravvivono, ma crescono a scapito di quelle più efficienti. La programmazione matematica considera piano e prezzi come due facce della stessa medaglia (математическое программирование рассматривает план и цены как две стороны одной медали).
L’esigenza di correlare i prezzi al piano di produzione, deve essere soddisfatta tramite l’elaborazione non solo di metodi di pianificazione, ma anche di organismi dirigenti adeguati. Infatti, il sistema territoriale di direzione dell’industria (attraverso i sovnarchoz), non è stato finora in grado di operare una razionale formazione dei prezzi. Solo all’interno di un disegno complessivo di pianificazione, i vari settori economici acquisiranno correttamente le informazioni contenute nei CSNL differenziali per singoli prodotti, così come nell’efficacia differenziale di impiego di questi prodotti da parte dei consumatori.
La via maestra per elaborare prezzi ottimali da un lato e piano economico ottimale dall’altro, è data da un percorso di progressivo allineamento del reddito differenziale, ottenuto dalla realizzazione di un dato prodotto, ai costi differenziali occorsi per la produzione di quello stesso prodotto.
Il reddito differenziale (дифференциальный доход) dell’economia nazionale per ciascun prodotto, è espresso tramite il prezzo di domanda (цена спроса). Si definisce prezzo di domanda il prezzo massimo (максимальная цена) a cui può essere venduto l’intero quantitativo di merce immesso in distribuzione in un lasso di tempo normale (medio). In un piano ottimale, il prezzo di domanda si ricava dal grado con cui tutti i consumatori ripartiscono le loro spese secondo la maggiore o minore utilità dei prodotti acquistati. Il prezzo di domanda riflette, pertanto, quella porzione di lavoro che la società ritiene indispensabile investire per la produzione di pezzi aggiuntivi di un dato prodotto (il massimo accettabile – максимально допустимый), tenendo conto inoltre della sua qualità (proprietà utili), a confronto con altre merci analoghe, coi prezzi di altre merci e con le dimensioni del reddito.
I costi differenziali (дифференциальные затраты) si possono definire prezzo di offerta (цена предложения), intendendo con questo termine il prezzo minimo (наименьшая цена), in grado di coprire le spese di produzione di una data merce attraverso l’intero processo produttivo, considerando che tutti i produttori impieghino i mezzi di produzione più efficienti disponibili al momento.
Il metodo principale di compensazione fra prezzi di domanda e prezzi di offerta consiste nel regolare l’offerta, ovvero quantità e qualità della produzione, delle merci importate ed esportate, delle scorte di magazzino (riserve – ресервы). Il fine a cui deve essere diretta l’intera attività di regolazione di questi componenti, è il mantenimento di un equilibrio stabile (устойчивое равновесие) tra domanda e offerta.
Come regolare l’offerta? Andando a incidere sui costi differenziali, premiandone alcuni e penalizzandone altri. In che modo? Determinando i prezzi a partire dai costi differenziali di produzione ottenuti nelle migliori condizioni lavorative possibili. Ecco quindi che, la diminuzione delle spese di produzione data dal progresso scientifico-tecnologico, comporterà automaticamente anche una sempre minore redditività dei processi lavorativi e delle tecnologie più obsolete.
Regolare l’offerta è il metodo principale, ma non l’unico. Vi sono infatti anche casi, in presenza di squilibri crescenti fra le due curve tali da creare carenze di produzione, in cui è necessario intervenire a valle del processo, alzando il prezzo pianificato in direzione del prezzo di domanda, qualora sia impossibile restare sul prezzo di offerta. Tale tipo di compensazione fra domanda e offerta accade, per esempio, in caso di macchinari troppo obsoleti e inefficienti, di percentuali di scarto che sforano il preventivato o di tempi di produzione che si allungano (maggiori spese di produzione), piuttosto di abbassamenti improvvisi della domanda di quel dato prodotto (dovuti a mutamenti di gusto, per esempio) e conseguente creazione di scorte impreviste (e inutili): tutti casi su cui occorre intervenire compensando le perdite maturate e operando le necessarie misure correttive per evitare che ciò si ripeta.
Ovviamente, l’ottimizzazione (оптимизация) di un piano settoriale siffatto con i prezzi di piano parimenti individuati, si realizza grazie alla messa in opera di varianti di piano (варианты плана) che tendano, con la loro azione, ad avvicinare il più possibile i prezzi di offerta a quelli di domanda.
Quale grado di approfondimento deve avere questo lavoro su pianificazione e prezzi? Distinguiamo due casi o, meglio, due possibilità.
Nel caso in cui sia possibile calcolare i costi differenziali per ogni singolo prodotto, avremo l’ottimizzazione di piano e prezzi allorché, per ogni singolo prodotto, il prezzo di domanda sarà equivalente al prezzo di offerta.
Nel caso di una produzione complessa, che coinvolga diversi prodotti entro un unico processo tecnologico, l’ottimizzazione sarà data dall’equivalenza fra il totale generale dei prezzi di offerta dell’intero gruppo di prodotti coinvolti, e il totale dei prezzi di domanda ottenuto sommando ciascuno di essi.
I bilanci di domanda e offerta (балансы спроса и предложения) possono essere stilati sia per singole merci, che per aggregati (укрупненные группы) di prodotti. A prezzi più dettagliati corrisponderanno, naturalmente, piani di produzione più dettagliati.
Nelle attuali condizioni, la migliore approssimazione di una concreta gestione economica ai suoi modelli ottimali, a mio parere, è quella offerta dal sistema di pianificazione tramite bilancio economico (хозрасчетная система планирования) del Prof. Vasilij Sergeevič Nemčinov (1894-1964). Tale sistema può essere impiegato per una pianificazione congiunta di produzione e prezzi.
Secondo tale sistema, le aziende devono presentare agli organismi di piano le proprie offerte circa le condizioni, secondo cui esse sono pronte a completare ciascun ordine pianificato di produzione loro assegnato (con precisi riferimenti all’assortimento, alla qualità, alle scadenze e ai prezzi).
Gli organismi di piano ed economici, quindi, assegneranno i loro ordini (заказы) a partire da quelle aziende che offriranno le condizioni migliori per un loro effettivo completamento.
Abbiamo trattato altrove delle iterazioni di tipo matematico, necessarie alla creazione di un piano prospettico secondo questo sistema, in grado di conciliare calcolo economico e piano42.
Naturalmente, anche il sistema di pianificazione tramite bilancio economico, da solo, non è in grado di garantire il raggiungimento dell’optimum. Il piano e i prezzi definiti mediante questo sistema, saranno tanto più in grado di avvicinarsi al piano e ai prezzi ottimali, quanto più attendibile (достоверный) sarà il flusso di informazioni economiche e quanto più esatte saranno le iterazioni di tipo matematico da cui essi risulteranno.
In tale sistema di pianificazione:
a) tutti gli obbiettivi di piano saranno raggiunti dai mezzi di produzione, nessuno escluso;
b) nel piano saranno coinvolte solo quelle varianti produttive che richiederanno minori spese, e respinte tutte le altre;
c) il calcolo economico sarà definito in accordo al piano di produzione e ai prezzi in sede stessa di stesura di piano (в самом процессе составления плана).
Conclusione
Il Plenum di settembre (1965) del CC del PCUS e le Risoluzioni del XXIII Congresso del Partito hanno posto le basi per una profonda riorganizzazione dell’industria. La realizzazione di questo compito non può che essere graduale. Il sistema dei prezzi, complicatosi notevolmente nell’epoca di rigida centralizzazione appena trascorsa, non prevedeva una maggiore autonomia gestionale delle aziende. Il problema, per i sostenitori di questo sistema, è che con il complicarsi dei rapporti economico-sociali, ovvero con il loro progressivo sviluppo, il prezzo contiene sempre meno informazioni economiche, rispetto a quante ne avrebbe bisogno l’azienda per un’autonoma risoluzione dei propri problemi economici. Pertanto, il compito principale della ristrutturazione in corso è avvicinare sempre più i prezzi ai CSNL. Le sorti del corrente e futuro andamento economico del nostro Paese dipendono, in gran parte, dal completamento di questo obbiettivo. Comprendiamo, quindi, l’importanza fondamentale assunta dalla teoria della formazione dei prezzi pianificata. In generale, sbagliare il prezzo di un singolo prodotto provoca, già di suo, non pochi errori di calcolo; tuttavia, sbagliare proprio i principi alla base della formazione dei prezzi provoca a cascata una massa incalcolabile di errori di calcolo e perdite.
Eppure, fino a poco fa non solo i metodi, ma anche i principi della formazione dei prezzi pianificata erano aspramente combattuti. La pratica era affidata a una riproduzione meccanica della legge del valore, abbinata alla teoria della pianificazione ottimale, un miscuglio che ha prodotto la situazione oggi sotto gli occhi di tutti. Ultimamente, invece, abbiamo constatato una sempre maggiore attenzione, da parte di tutti gli economisti sovietici, ai problemi della formazione dei prezzi. Anche qui, finché si è trattato di aggiungere nei costi anche i finanziamenti esterni, l’impiego dei fondi di produzione e le riserve monetarie, risolvere il problema è stato relativamente semplice. Il difficile, infatti, è arrivato quando si è trattato di analizzare approfonditamente la struttura dei prezzi (структура цены): qui, purtroppo siamo ancora agli inizi.
Il difficile è davanti a noi: occorre elaborare metodi di formazione dei prezzi, tali per cui sia possibile raggiungere un legame sufficientemente stretto fra piano dei prezzi e piano di produzione di ogni singola merce.
A nostro avviso, la soluzione di questo problema risiede nello sviluppo di quel sistema, elaborato dal compianto Vasilij Sergeevič Nemčinov43 e da lui chiamata, con una felice definizione, sistema di pianificazione tramite bilancio economico.
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“Passare all’attacco è sempre più difficile che ritirarsi” (Наступать же всегда труднее, чем отступать). Cari compagni, ho deciso di condividere questa traduzione integrale con voi in quanto questo brano è rimasto inedito fino a oggi, pur sussistendo le condizioni materiali e i finanziamenti, specialmente prima della caduta del Muro, perché si attivassero su questi temi enti universitari, case editrici e scuole di partito, piuttosto che economisti e intellettuali indipendenti; è un vero peccato, perché l’Autore in maniera molto semplice spiega, anche per chi come me non ha una laurea in economia, molte questioni dirimenti relative alla costruzione di un’economia autenticamente socialistica, ovvero a totale proprietà dei mezzi di produzione e a conduzione pianificata.
Lo fa accettando la sfida di un’economia sempre più complessa, dove le gavette di un comunismo da caserma non bastano più a soddisfare i bisogni crescenti di una popolazione sempre maggiore e sempre maggiormente interessata a sviluppare le proprie potenzialità creative all’interno di rapporti sociali sempre più ramificati e “abbraccianti” (cfr. lat. complexere) sfere sempre più evolute di cultura materiale e immateriale. Lo fa non, come qualcuno ancor oggi trova comodo in quanto presunta “frontiera” di un socialismo del XXI secolo, “aprendo le gabbie” di un capitalismo di Stato, quindi “ritirandosi”, di fatto, abdicando all’elaborazione teorico-pratica e limitandosi a reclamare la propria fetta di torta in una spartizione capitalistica del bottino. Al contrario, Novožilov passa all’offensiva, puntando a implementare quel sistema, già esistente, dove TUTTA la ricchezza è prodotta socialmente e immediatamente ripartita, senza interventi “di sponda” o “di rinterzo”. Per questo lo considero un documento prezioso.
Lo considero tale, anche per un ulteriore motivo: ben si presta a introdurre le tematiche svolte in questa seconda parte di IV capitolo, tematiche che dopo aver sfogliato queste pagine acquistano un’altra valenza, più pratica, concreta, legata a problemi di non semplice soluzione per chiunque studi una possibile transizione al socialismo.
Le tre trasformazioni della riproduzione allargata
Il paragrafo è dedicato alla riproduzione allargata nel modo socialistico di produzione. Si tratta di uno degli argomenti più complessi da sviluppare, sia a livello di impostazione teorica, sia a livello di applicazioni pratiche per garantirne un corretto funzionamento.
Dobbiamo, infatti, immaginare il processo di sviluppo dei rapporti economici e sociali come la risultante storicamente data, il punto di incontro – e di sintesi originale, mai uguale a sé stessa – fra una trasformazione, da un lato, e una stratificazione, dall’altro.
Il nostro capocordata cita a questo proposito Marx, una sua osservazione molto acuta (e oggi altrettanto poco nota, al di fuori di un numero sempre più esiguo di “addetti ai lavori”):
le categorie elementari sono espressione di rapporti, in cui un concreto sottosviluppato può già trovare una prima realizzazione, senza aver sviluppato quella ricchezza di rapporti o relazioni, espressi idealmente dalla categoria più concreta; allo stesso tempo, il concreto più sviluppato mantiene in sé la categoria precedente, come rapporto subordinato44
Come sottolinea subito dopo Syroežin, “in ogni tappa di sviluppo (e quindi complicazione – усложение) sociale, i singoli fenomeni, semplici unità di base, categorizzati precedentemente, si conservano, ma come parte subordinata, più o meno residuale di un nuovo, più ricco e complesso, insieme concreto di relazioni.”
La riproduzione allargata, in questa cornice, è da intendersi anch’essa soggetta a questo continuo arricchirsi e complicarsi di relazioni e rapporti produttivi, da un lato, in cui però sopravvivono – come parte subordinata, residuale – anche “vecchi” fenomeni, obsolescenze destinate a divenire irrilevanti, fino a scomparire, ma solo col passare del tempo, a un ritmo determinato dalla maggiore o minore velocità della riproduzione allargata stessa.
Ora SE lo sviluppo dei rapporti sociali è, fondamentalmente, dato dalla combinazione di un doppio processo di trasformazione e stratificazione, il primo diretto, determinato dal piano, il secondo indiretto, determinato dalla “resistenza passiva” all’estinzione di vecchi processi e strutture, ALLORA
- per individuarne in modo consapevole lo svolgimento, per prevedere e agire consapevolmente sul suo andamento, e non subirlo, e non chiedersi poi “perché il piano non ha funzionato”, occorre:
- NON SOLO riconoscere l’esistenza di entrambi i processi fondamentali che lo determinano, MA ANCHE analizzare correttamente le CATEGORIE ELEMENTARI (Einfachen Kategorien) che lo compongono, che ruolo assumono nella struttura economica così configurata e che funzione o funzioni, e in che misura, assumono;
- NON SOLO completare la mappatura di tali CATEGORIE ELEMENTARI, ma anche AGIRE ATTIVAMENTE SULLA STESSA, introducendo NUOVE CATEGORIE con un doppio lavoro di ingegneria sociale, da un lato, e aggiornamento attento e costante, dall’altro. In particolare, Syroežin nota in apertura paragrafo:
-
Includere il progresso scientifico-tecnologico (научно-технический прогресс) all’interno del ciclo di produzione e riproduzione economica, in quanto sfera autonoma di riproduzione;
-
Includere la scelta consapevole (сознательный выбор) fra le fila delle forze creative della società, attive all’interno dell’economia sociale, in quanto fattore del processo riproduttivo e del processo di autoregolazione in generale; includere anche i rapporti fra quelle persone, collegate a al processo di scelta consapevole, nel processo riproduttivo, al pari dei rapporti economici;
-
Ampliare anzi, meglio, arricchire la dimensione, il peso specifico dei rapporti e delle proporzioni (мера соотношения и пропорций) del processo di riproduzione allargata, sviluppando appieno un’efficiente attività di intensificazione (интенсификация).
Come è possibile notare, già di primo acchito, la riproduzione allargata non è più dipendente soltanto dal progresso scientifico tecnologico, ma da un complesso di rapporti sociali, di cui Syroežin individua i TRE MOMENTI CHIAVE appena citati.
Successivamente, il nostro Autore cerca di inquadrare il fenomeno in oggetto, ovvero la riproduzione allargata, in questo contesto di continuo e rapido sviluppo socioeconomico. Scricchiolano categorie consolidate nella loro definizione statica da decenni, come quella del settore A (produzione dei mezzi di produzione) e settore B (produzione dei beni di consumo), in quanto anche l’industria pesante si occupa di beni di consumo (industria automobilistica) e anche l’industria leggera si occupa di mezzi di produzione (per esempio, produzione e trasformazione alimentare domestica). Proprio per questo motivo, la pianificazione assume sempre meno un ruolo esterno, sovrastrutturale e sempre più un ruolo strutturale, fino a divenire parte, essa stessa, della struttura economica. Come egli nota, citando Lenin, “nelle argomentazioni sul limite fra struttura e sovrastruttura nel modo socialistico di produzione, non di rado si trascura il fatto che ogni sistema di rapporti sociali
- è un particolare organismo sociale, che
- possiede particolari leggi che ne regolano
a) la nascita,
b) il funzionamento e
c) il passaggio a una forma superiore,
- la trasformazione in un altro organismo sociale”.
Tutti gli elementi componenti la struttura sono quindi interessati dal processo di riproduzione e in tutti, come nota sempre Syroežin, avvengono tre trasformazioni:
a) da materia prima a prodotto finito;
b) da lavoro a valore;
c) da possibilità decisionale (potenza, molteplice) a decisione (atto, uno).
La prima trasformazione è antica quanto la prima pietra e il primo osso trasformati in utensili nella storia del genere umano. Da allora a oggi, questa trasformazione ha via via abbracciato ogni sfera dell’essere, allargando il proprio campo di azione, nonché si è sempre più perfezionata e specializzata, alimentata com’è dal progresso scientifico-tecnologico. L’Autore, a sessant’anni dalla vittoria del Grande Ottobre, non va oltre nel differenziare fra approcci capitalistico e socialistico circa questa prima, importante, trasformazione: esula anche da questo scritto, in quanto parliamo di possibilità immense, dal punto di vista tecnico-ingegneristico, trasformate in precise scelte operative e progettuali che conducono alla produzione di precisi beni di consumo secondo precise modalità. Mi limito, tuttavia, ad accennare che occorrerebbe, invece, differenziare in quanto la scienza e la tecnica “asettiche” non esistono e, a maggior ragione, non esistono “asettiche” scelte produttive: brevetti “scomodi” lasciati a marcire in cantina, economia su materiali impiegati per abbreviare il più possibile il ciclo di vita del prodotto e garantirne un più veloce riacquisto, “innovazioni” (che spesso non sono nemmeno tali) introdotte come il buon Sergej Bubka alzava di continuo il record del mondo di salto con l’asta: un centimetro alla volta, un record alla volta, un premio in denaro alla volta. Inutile dire che un’ingegneria socialistica del prodotto deve ragionare secondo linee e parametri diametralmente opposti, includendo – oggi più che mai – anche la variabile ambientale sin dalla fase di progettazione.
Della seconda trasformazione abbiamo parlato, neanche a farlo apposta, nel lavoro di Novožilov appena tradotto: la cenoobrazovanie, ovvero la formazione dei prezzi, non può non partire dalla legge del valore, e da lì svilupparsi con tutte le casistiche e problematiche accennate in quella decina di pagine. Interessante è la notazione di Syroežin della differenza SOSTANZIALE fra capitalismo e socialismo circa l’applicazione di questa trasformazione. Essa, infatti, rappresenta il discrimine nella produzione mercantile capitalistica, di qualunque tipo essa sia, aggiungeremmo oggi (ovvero capitalismo a proprietà totalmente privata dei mezzi di produzione o a proprietà mista degli stessi – capitalismo di Stato). Non vi possono essere produzioni in perdita, non vi possono essere lavori in perdita, non solo nel settore privato, ma con quote sempre maggiori di “autonomia” anche in quello pubblico. Soprattutto, non può essere fissata in un dato prezzo, definito in modo capitalistico, una precisa ripartizione della quota di utile incassato dalla realizzazione di un dato prodotto, in servizi alla persona e alla comunità (cultura, formazione, educazione, assistenza socio-sanitaria, ecc.): al massimo, possiamo avere sul prelievo fiscale indiretto (IVA, accise) dei decimi di percentuale che, aggiunti, vanno a finanziare una SINGOLA voce di spesa, in genere imprevista, come mossa di ripiego.
Inoltre, in tale politica di ripartizione in beni e servizi essenziali alla collettività di tale reddito, frutto del gettito fiscale, è possibile individuare almeno due limiti, uno clamorosamente evidente, l’altro molto meno, ma non per questo meno attuale (in tempi di cosiddetto “federalismo fiscale”
Il primo limite è insito nella scarsa efficacia del meccanismo stesso di prelievo indiretto in un modo capitalistico di produzione (sia per motivi strutturali, sia per le condizioni effettive di “discrezionalità” (evasione fiscale) nell’ottemperanza allo stesso date dal caso specifico del Belpaese). Non saprei sintetizzarlo con parole migliori di queste:
I bassi redditi domandano servizi, assistenza e sanità pubblica, ma non contribuiscono al loro finanziamento (e lo stesso fanno gli evasori). Gli alti redditi, non sono sostanzialmente interessati al welfare universale, mentre contribuiscono (o dovrebbero) al loro finanziamento. Dunque, hanno un incentivo a evadere ed eludere per acquistare servizi (privati) solo in caso di necessità (si pensi alle assicurazioni sanitarie o alle pensioni integrative). Infine, i redditi medi domandano welfare in misura rilevante (spesso di qualità come per istruzione e sanità) finanziandolo per la maggior quota. Senza però avere la certezza di ricevere in cambio un servizio pubblico commisurato alla spesa sostenuta, spesso anche a causa dei limiti di reddito che li escludono dall’accesso. E perciò con il rischio concreto di pagare due volte lo stesso servizio. E con incentivi all’evasione non dissimili da quelli degli altri contribuenti ma con minori possibilità di riuscita, data la stessa natura dei redditi (da lavoro dipendente e pensioni)45.
Il secondo limite, quello meno evidente, ci riporta, ancora una volta, a quanto evidenziato da Syroežin in questo passaggio e, nelle pagine precedenti, dal saggio di Novožilov. Lo Stato incamera, e va bene. Poi deve redistribuire in scuola, salute, infrastrutture, ecc. e va ancora bene. Ma come definire realisticamente le risorse da mettere a disposizione? Sulla base di prezzi di acquisto. Ma quali prezzi, se non ha ancora fatto neppure le gare di appalto? Come calcolare i cosiddetti “costi presunti” e non sforare? E qui… “Fuit Troia”, direbbe il barbone di Treviri!
Infatti, quando torniamo a parlare di pubblica amministrazione e, soprattutto, di spesa pubblica, arriviamo a un paradosso (che, a ben pensare, paradosso non è): tutto lo studio sui prezzi pianificati e sulla formazione dei prezzi fatto in URSS e non solo, in altre parole, QUELLO CHE IL CAPITALISMO AFFERMA, CON TONI ALTISONANTI, DI BUTTAR FUORI DALLA PORTA, IN ULTIMA ANALISI, E’ COSTRETTO A FAR RIENTRARE DI NASCOSTO DALLA FINESTRA! In altre parole, anche se non esiste una correlazione puntuale, pianificata, precisa fra entrate e uscite, anche se la gestione “pianificata” delle stesse si esaurisce poco dopo l’incasso da parte dello Stato e si perde, cammin facendo, lungo i mille rivoli di una spesa pubblica che “naviga a vista” secondo gli umori del governo di turno, TUTTAVIA una gestione razionale della stessa sarebbe già RESA PROBLEMATICA A MONTE: guarda caso, proprio quando si tratta di definire i prezzi standard su cui elaborare e programmare la successiva ripartizione del gettito fiscale! Come infatti evidenzia questo contributo da un saggio del prof. Gianfranco Viesti 46,
Al di là del riferimento al gettito fiscale, definire i fabbisogni standard per quantificare i costi dei servizi pubblici è certamente opportuno. Il passaggio da un sistema di finanziamento basato sulla spesa storica ad uno basato su parametri oggettivi di fabbisogno è tuttavia assai complesso. Non solo tecnicamente; ma perché esso richiede un’azione politica di mediazione degli interessi delle diverse comunità coinvolte. L’uso di diversi indicatori tecnici può infatti produrre esiti assai differenti. Le esperienze del nostro paese lo indicano chiaramente: i criteri di ripartizione del Fondo Sanitario Nazionale, che contrariamente a quanto originariamente previsto dalla legge 662/96 sono stati poi principalmente basati solo su una quota capitaria corretta per l’età; i fabbisogni standard dei Comuni, che sono rimasti molto vicini ai valori della spesa storica; i nuovi criteri, dal 2008 in poi, di riparto del Fondo di Finanziamento Ordinario delle Università, che sono discrezionalmente variati tutti gli anni47.
L’Autore quindi sottolinea la necessità di “scelte politiche”48, denunciando gli enormi margini di errore provocati dagli studi di settore dei cosiddetti “tecnici” o, meglio, la Commissione Paritetica Tecnica incaricata di quantificare la ripartizione del gettito fiscale dallo Stato a una specifica Regione italiana, secondo criteri specifici e validi per tale Regione soltanto:
Scelte fondamentali per il benessere dei cittadini italiani vengono così sottratte alle sedi di mediazione e decisione politica e affidate ancora una volta a “tecnici”, con l’utilizzo di grandi basi-dati da essi costruite, presumendo falsamente che ciò consenta decisioni indipendenti ed equilibrate. Nelle Commissioni, le risorse necessarie per finanziare le competenze trasferite vengono calcolate caso per caso, e indipendentemente dalle regole che valgono per quantificare le risorse pubbliche statali necessarie nelle altre regioni.49
Che dire, di questa Caporetto totale, se non che il nostro studio, l’approfondimento che abbiamo finora condotto in queste pagine, si dimostra ancora una volta non solo valido e attuale, ma avanti anni luce rispetto a queste conclusioni?
Da una parte il Prof. Viesti, giustamente, denuncia che ripartire le risorse secondo la legge dei due polli di Trilussa è iniquo e – giusto qualora importasse ancora a qualcuno, anticostituzionale, in quanto lo Stato ha il dovere di determinare “i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117) e può intervenire direttamente “quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali” (art. 120)50.
Dall’altra, tuttavia, Viesti oppone a chi scioglie nodi gordiani con drastici tagli di spada l’opzione di una “mediazione e decisione politica” che, calando tale considerazione nel nostro attuale, tutt’altro che idilliaco quadro sociale, politico, istituzionale, fa rima con “discrezionalità”, nel migliore dei casi, e “corruzione, concussione, abuso in atti d’ufficio” nel peggiore. Per questo lo studio di Novožilov sui prezzi differenziali non solo potrebbe costituire un’ottima base di partenza per uno studio sui prezzi delle prestazioni sociosanitarie, dell’educazione, della cultura applicabile a livello nazionale, ma che davvero potrebbe essere in grado di abbracciare, da un lato, l’intera complessità di situazioni presente sul nostro territorio e, dall’altro rappresentarne una valida soluzione. Quando, a livello politico, un partito operaio presenta la propria proposta politica di alternativa, non può non affrontare anche questi problemi, per controbattere ai luoghi comuni di una propaganda reazionaria che ormai, i numeri parlano da soli, fa sempre più breccia negli stessi proletariato e sottoproletariato.
Pertanto, studiare tale trasformazione, appropriarsi delle leggi che la regolano, è importante nell’attuale modo capitalistico di produzione, ma INDISPENSABILE in un modo socialistico di produzione, dove siamo noi, non un capitalista che non c’è più, a fissare i prezzi di tutto: materie prime, semilavorati, prodotti finiti, servizi. La legge del valore entra, da protagonista, in ogni centro di calcolo, dall’amministrativo di una piccola cooperativa di produzione agricola, al cervellone centrale del Gosplan.
La terza trasformazione è quella a cui conduce il processo di pianificazione e decisionale vero e proprio, dal molteplice all’uno, in un processo di scelta che – a maggior ragione per quanto appena affermato – non può non essere consapevole, sia a livello di individuazione di tutte le possibilità offerte, sia a livello di valutazione delle stesse in funzione sia dell’obbiettivo prefissato, che del campo di esistenza generale, la visione d’insieme, entro cui la scelta è condotta e su cui tale scelta, inevitabilmente, avrà impatti e ricadute maggiori o minori a seconda della scelta intrapresa.
A proposito di valutazione, Syroežin insiste particolarmente su questo punto, affermando che è possibile sottoporre tutti i processi possibili a comparazione:
Anche in questo caso, i risultati sono del tutto comparabili fra loro, dal momento che, per ogni tipo di attività creativa dell’uomo è possibile, in base alle risorse materiali necessarie, ai risultati attesi e al tempo di lavoro previsto,
a. determinare quali e quante operazioni compiere in ciascun suo elemento,
b. confrontare tali operazioni con le condizioni e le risorse esterne esistenti.
Parliamo, infatti, della possibilità di confrontare fra loro composizione e comportamento di
diversi sistemi
diversi elementi appartenenti allo stesso sistema
diverse trasformazioni interne allo stesso elemento
diverse varianti di una stessa singola trasformazione.
Il tutto, partendo dal presupposto che ogni macro-processo o micro-processo studiato, può essere considerato come una somma (s1, s2, s3 ... sn) di diverse trasformazioni “t” comparabili fra loro, come è possibile dedurre da questa tabella:
|
a livello qualitativo |
a livello quantitativo in termini |
|
|
assoluti (quantità a, b, c, z) |
relativi (strutturali) |
|
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s1= t1a+t1b+t1c+t1z |
s1= at1a+bt1b+ct1c+zt1z |
s1= %t1a+%t1b+%t1c+%t1z |
|
s2= t2a+t2b+t2c+t2z |
s2= at2a+bt2b+ct2c+zt2z |
s2= %t2a+%t2b+%t2c+%t2z |
|
s3= t3a+t3b+t3c+t3z |
s3= at3a+bt3b+ct3c+zt3z |
s3= %t3a+%t3b+%t3c+%t3z |
|
… |
... |
... |
|
sn= tna+tnb+tnc+tnz |
sn= atna+btnb+ctnc+ztnz |
sn= %tna+%tnb+%tnc+%tnz |
Non esiste, pertanto, un “senso unico” impresso al corso degli eventi: un esempio fra tutti, purtroppo nel male, la catastrofica combinazione di scelte disastrose, e i conseguenti effetti a cascata che denotarono quella parabola discendente della seconda metà degli anni Ottanta, paradossalmente chiamata dall’allora segretario del PCUS “ristrutturazione” (перестройка); scelte compiute con sempre maggiori forzature, senza nessun controllo puntuale e periodico degli effetti cui esse stesse conducevano nel medio termine, fondando la “continuazione dell’esperimento” unicamente sulla base della propria autorità e del potere assoluto di disfare, in questo caso, anziché di fare. Qui, tuttavia, l’Autore, che nulla sapeva di quanto sarebbe accaduto qualche anno più tardi, sembra quasi un voler “tirare la volata” alla seguente affermazione di Robert Havemann, già citata in chiusura dell’Introduzione a questo lavoro, ma che dopo 256 pagine mi sento ancora non solo di sottoscrivere ma, in barba a qualsiasi regola e convenzione editoriale (vantaggi di un testo che non sarà mai pubblicato, se non in regime di samizdat, o ciclinprop) di riprendere integralmente qui sotto, a maggior ragione, soprattutto, a maggiore “ragion veduta”, dopo essere arrivati a metà traduzione, a metà di questa “via normale” verso la cima prefissata:
Il possibile è una componente indissolubile della realtà proprio come tutto ciò che di volta in volta si attua. Sulla base della dialettica, possibilità e realtà formano un'unità contraddittoria. Esse possono essere separate solo concettualmente, ma in realtà sono indissolubilmente legate fra loro. Il reale si accende continuamente nel possibile, e nuove possibilità scaturiscono continuamente dalla realtà in sviluppo. Il reale nel senso più ampio, tutto l'essere del nostro mondo, è in pari tempo possibilità e realtà51.
E ancora:
La concezione dialettica del nesso fra casualità e necessità, come ora si rivela anche nella meccanica quantistica, ci riporta a idee reali della libertà umana. Comprendiamo in modo nuovo la nostra reale possibilità d’influire sulle cose, di trasformarle e modificarle. Se rifiutiamo la concezione classico-meccanica secondo cui il futuro sarebbe completamente determinato, ciò naturalmente non significa che consideriamo il futuro completamente indeterminato. Il futuro resta in parte determinato dal passato, ma non in maniera definitiva e assoluta. […] Noi acquistiamo libertà in quanto modifichiamo le necessità, creiamo nuove possibilità e variamo il possibile52.
Questo passaggio dal Regno della Necessità (Reich der Notwendigkeit) al Regno della Libertà (Reich der Freiheit) il quale, tuttavia, “può fiorire soltanto sulle basi” del primo (das aber nur auf jenem Reich der Notwendigkeit als seiner Basis aufblühn kann)53, è indubbiamente il cardine marxiano su cui Havemann svolge il proprio ragionamento; ma non solo, rappresenta anche il fulcro della terza trasformazione di cui ci parla il nostro capocordata.
È proprio la TERZA TRASFORMAZIONE a ricoprire un ruolo da protagonista nell’architettura di una pianificazione complessiva, sistemica, ottimale. La prima, infatti, si muove in un ambito di manovra già predefinito, laddove i suoi risultati in uscita sono sì fondamentali, essenziali, ma necessitano di ulteriori mediazioni di tipo politico-economico per incidere sul sistema nel suo complesso; la seconda entra invece nel merito di un calcolo economico immediato, ma ancora troppo specifico, limitato allo spazio di quell’elemento dato entro quei limiti posti dai vincoli esterni di piano. Ecco quindi che l’onere di muoversi nell’intero sistema, fra le due strutture, quella dei bisogni e quella dei risultati tesi alla loro risoluzione, al fine di allinearle fra loro lungo i cardini espressi dalla legge economica fondamentale del socialismo, ricade principalmente sulla terza trasformazione.
Si tratta di un compito non da poco, sia perché
- l’obbiettivo finale è l’armonizzazione dell’intero sistema in tutto il suo complesso (ordini di grandezza), sia perché
- il punto di equilibrio individuato fra le due strutture per ogni elemento non sarà mai statico, ma dinamico, in quanto a ogni elemento in entrata possono corrispondere diverse varianti in uscita (scelta fra più varianti che incrementano progressivamente con l’incrementare dei possibili mutamenti di tutti gli elementi del processo).
Torniamo però al nostro elemento campione e alle sue trasformazioni. Syroežin elabora questo diagramma che ne riassume, di fatto l’andamento processuale:

Il procedimento è sempre lo stesso:
- un elemento si trova a dover gestire una trasformazione economica (I, II o III tipo non importa) lungo la diagonale alto-sx / basso-dx del diagramma;
- dal momento dell’assegnazione del compito da parte degli enti di piano, egli dovrà gestire la fase di approvvigionamento (entrata вход):
1. attivando quei meccanismi di interessamento (механизмы заинтересованности), per esempio, in grado di ottenere il massimo di resa con il minimo di spesa (caso classico, ma non unico, l’interessamento dipende dagli obbiettivi di piano prefissati che potrebbero privilegiare altri parametri, qualità, innovazione, compensando le maggiori spese con un corrispondente maggior investimento);
2. sulla base di tali meccanismi, l’elemento elaborerà criteri di scelta (критеры выбора) conseguenti e coerenti all’impostazione data
3. procedendo quindi all’approvvigionamento (scelta in entrata выбор по входам).
- secondo meccanismi analoghi, lo stesso elemento dovrà quindi procedere alla realizzazione del prodotto finito, al risultato finale (uscita выход):
1. tenendo conto dei meccanismi di interessamento alla base delle specifiche commissionate;
2. sulla base di tali meccanismi, l’elemento elaborerà criteri di scelta conseguenti e coerenti all’impostazione data per la produzione del bene commissionato
3. procedendo quindi alla produzione vera e propria dall’inizio alla fine (scelta in uscita выбор по выходам).
Come è facile notare, in tutte e tre le trasformazioni lo stesso elemento che le opera si pone in relazione a queste due strutture come protagonista di una duplice azione e, di conseguenza, una duplice scelta:
- LA PRIMA VOLTA come CONSUMATORE (потребитель, “parte” della struttura dei bisogni sociali e, al contempo, selezionatore in rapporto alla struttura di beni e servizi prodotti da altri e di cui esso stesso abbisogna)
- LA SECONDA VOLTA come FORNITORE (поставщик, “parte” della struttura dei beni e servizi prodotti e, al contempo, selezionato in rapporto alla struttura dei bisogni sociali altrui cui è chiamato a rispondere).
In tale cornice, lo stesso prodotto utile in economia sarà oggetto di una duplice misurazione,
- prima come risultante di più ingredienti in entrata
- poi come risultato esso stesso in uscita (essendo divenuto a sua volta ingrediente (unico o insieme ad altri) del soddisfacimento di un bisogno dato).
Sorge quindi la necessità di poter misurare le due strutture in modo omogeneo, compatibile fra loro, al fine di scegliere le condizioni di entrata (условия входа) e le condizioni di uscita (условия выхода) ottimali. Il passo successivo, pertanto, e ltrettanto necessario, sarà di individuare una base comune fra queste due strutture per compiere tale misurazione.
La terza trasformazione come anello di congiunzione fra le due strutture ed elemento decisivo per il successo della riproduzione allargata
Anche questo paragrafo raccoglie una serie importante di note alla traduzione di Syroežin, in quanto la segue passo passo, interpolandosi ad essa, e aggiungendo approfondimenti e commenti laddove necessario.
Davvero la terza trasformazione è il momento cruciale della gestione economica dell’intero sistema, di una sua conduzione virtuosa. La scelta è tanta, e varia: infatti, “per ciascun gruppo definito di elementi in entrata, scelti in tale fase da un dato elemento strutturale, è possibile lavorare su un ventaglio di diverse opzioni di beni e servizi in uscita”.
Occorre quindi scegliere la migliore. A questo punto, il nostro capocordata compie un’altra operazione di economia comparata. Torna un passo indietro, al modo di produzione antecedente. Il capitalismo, a questo proposito, sapeva come muoversi; “nel modo di produzione precedente al nostro, infatti, sia la scelta in entrata, che quella in uscita, erano subordinate ad un solo e unico criterio globale (e ad un egualmente unica forma) di accumulazione della ricchezza. Cardine dell’intera procedura di autoregolazione economica era il valore con il suo corrispondente sistema di misurazione”. Nel capitalismo non importa quindi un’analisi dei bisogni reali, del valore d’uso, della qualità che esuli da questo dogma (e si avvicini, magari un po’ di più, al dato reale): tutto passa in secondo piano, premettendo che sarà la “mano invisibile” del “libero mercato”
- a intercettare il “bisogno reale”, quando invece anche in questo “libero” modo di produzione l’offerta influenza pesantemente la domanda, tramite condizionamenti ideologici esterni (consumismo), in grado di generare bisogni fittizi. A questo proposito, questa intervista fatta nel 1975 a Pier Paolo Pasolini esprime molto bene tale critica:
Sono caduti dei valori, e sono stati sostituiti con altri valori. Sono caduti dei modelli di comportamento e sono stati sostituiti da altri modelli di comportamento. Questa sostituzione non è stata voluta dalla gente, dal basso, ma sono stati imposti dal nuovo potere consumistico, cioè la nostra industria italiana plurinazionale, e anche quella nazionale degli industrialotti, voleva che gli italiani consumassero in un certo modo, un certo tipo di merce, e per consumarlo dovevano realizzare un altro modello umano54.
- il miglior valore d’uso (per la palese falsità di questo punto vedasi, a questo proposito, il sempre più ridotto ciclo di vita di un prodotto55) e
- la migliore qualità (anche qui, vedasi l’impiego sempre più al ribasso di materiali più scadenti per ridurre il più possibile i costi di produzione a parità di prezzo al dettaglio)56.
Nel socialismo questo velo di ipocrisia borghese cade. Non è così. Abolendo sia la legge della giungla sopra descritta, sia quel fenomeno colto quasi mezzo secolo fa da Pasolini con eccezionale acume, e definito, attribuendolo a Marx, “genocidio delle culture viventi, reali, precedenti”57 non solo le due scelte, quella legata alla struttura dei risultati e quella legata alla struttura dei bisogni non sono vincolate fra loro, ma si crea anzi una loro oggettiva indipendenza (объективная независимость) dal punto di vista operativo.
Tale indipendenza, se correttamente sfruttata da un punto di vista economico, costituisce in realtà la chiave (ключ) non solo per risolvere le contraddizioni che potrebbero emergere da un mancato coordinamento fra le due strutture, ma anche per ottenere risultati migliori dal punto di vista della legge fondamentale del socialismo, ovvero di una produzione finalizzata al soddisfacimento dei bisogni sociali.
Cosa è, ancora una volta, alla base di tale diversità fra capitalismo e socialismo? Una situazione essenzialmente inedita data, lo ricordiamo, dalla proprietà sociale dei mezzi di produzione e dalla conduzione pianificata dell’economia. È questo che rende possibile operare in modo del tutto svincolato dai vincoli capitalistici l’unione e l’armonizzazione fra le due strutture. Occorre quindi concentrarsi sulla terza trasformazione e studiarne le modalità attuative all’interno del processo di autoregolazione economica. Per esempio, tale autoregolazione rende necessaria la creazione elementi speciali (pianificatori), che fissano i limiti per le scelte in entrata e in uscita di ciascun altro elemento del sistema.
Tali elementi regolatori possono agire in tre classi, o modalità:
1. ricostruttiva
2. selettiva
3. difensiva
La I classe implica la ricostruzione, totale o parziale,
- della composizione organica del prodotto finale,
- delle finalità per cui è costruito (bisogni da soddisfare) e, di conseguenza,
- della tecnologia impiegata e
- dei mezzi di produzione sulla linea atti a realizzarlo.
Syroežin parla di transistor e chip, la parabola dell’industria automobilistica negli ultimi 40 anni è un altro possibile esempio:

Naturalmente il pianificatore, nel momento in cui decide di attuare una modifica sostanziale all’architettura del prodotto, tale da comportare un riscrivere in parte o in toto il processo produttivo, dovrà saper conciliare progresso scientifico-tecnologico, bisogni reali, e investimenti di risorse. Un esempio fra tutti, creare una macchina ipertecnologica in una situazione invernale da -40°C o estiva da +40°C, anche nel migliore dei mondi possibili, in un ipotetico Bengodi dove i soldi arrivano con uno schiocco di dita, forse, non è la scelta ottimale per chi non voglia vedersi tornare schede madre bruciate o saltate. Lo stesso discorso potrebbe, e dovrebbe, essere condotto su quanta elettronica, quanti automatismi siano realmente essenziali a una buona e sicura guida, ecc. Non è questa la sede per aprire un dibatto sul valore d’uso di un autoveicolo, l’importante è capire di quale tipo di trasformazione stiamo parlando: la prima categoria, la ricostruzione delle funzioni del sistema economico, crea nuovi modelli di beni e servizi. Attiene alla sfera degli investimenti.
La II classe implica la selezione, a livello gestionale, di processi produttivi esistenti, decidendo scala di produzione, materiali, tecniche. Tramite la scelta di quel regime particolare di funzionamento fra tutti quelli possibili, determina
- la quantità di beni e servizi da realizzare,
- la qualità specifica di ciascuno di essi, oltre che
- quali produzioni eliminare per obsolescenza o perché non più necessarie.
Attiene alla sfera infrastrutturale.
La III classe implica la difesa del tipo di produzione e di funzionamento scelti. Essa fa sì che avvenga l’esecuzione concreta del lavoro deciso precedentemente, delle quantità e delle qualità scelte dalla seconda classe, tutelando lo svolgimento regolare del ciclo riproduttivo di beni e servizi. La terza classe attiene alla sfera dell’esercizio concreto della produzione.
Una abbinata esemplificativa di foto, quale la seguente, ci può aiutare a comprendere con un caso pratico queste tre trasformazioni. Dopo un repentino ammodernamento, a tappe forzate, grazie al già citato accordo con la FIAT (I classe di trasformazione) Nell’aprile 1970 usciva dalle linee di montaggio di Tol’jatti la prima auto:

Era una VAZ-2101. Il 21 dicembre 1973 usciva la milionesima, una VAZ-2103. A parte i doppi fari anteriori (sul modello della Fiat 124 special, esportata anch’essa in URSS come parte della convenzione siglata fra la casa automobilistica di Torino e il Paese dei Soviet), quanto riportato esemplifica proprio la II classe di trasformazione: utilizzare quel che c’è per apporre varianti migliorative cambiando stampi (scegliendo fra gli esistenti, senza aggiungerne di nuovi), introducendo elementi preesistenti (provenienti da altri percorsi produttivi), e lavorando soprattutto sulla quantità (produzione in scala). L’esecuzione materiale, è la III classe di trasformazione:

Queste tre classi non riguardano un solo punto, un solo elemento del sistema. È possibile individuarli in ogni zona: zone di partenza, di destinazione e intermedia. Moltiplicando ogni trasformazione per ogni zona otterremo una griglia strutturale del processo di riproduzione (структурная решетка процесса воспроизводства), una matrice quadrata (3 x 3) di nove aree di attività complessivamente, considerate in base alla loro collocazione sia in rapporto alla struttura del sistema nel suo complesso, che in definizione alla loro funzione all’interno del sistema. Lo schema che ho ricavato associa a zone e funzioni delle sigle, che torneranno ben presto utili:
|
Attività ricostruttive in zona di partenza (RP) |
Attività ricostruttive in zona intermedia (RI) |
Attività ricostruttive in zona di destinazione (RD) |
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Attività di selezione in zona di partenza (SP) |
attività di selezione in zona intermedia (SI) |
attività di selezione in zona di destinazione (SD) |
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Attività difensive in zona di partenza (DP) |
Attività difensive in zona intermedia (DI) |
attività difensive in zona di destinazione (DD) |
Come sottolinea l’Autore, questa classificazione ci consentirà di costruire, per ogni situazione specifica,
- un grafico delle attività dominanti che le caratterizzano e, successivamente,
- il diagramma preciso del processo di riproduzione della merce.
Non è tutto: Syroežin porta al limite questa intuizione. Recuperiamo le nove sigle (funzione+zona), le nove situazioni di trasformazione possibili. Ebbene, ciascuna di esse può essere messa in relazione con le altre: in tal caso, la prima costituirà il punto di partenza, la seconda il punto di arrivo. Un abbinamento che gli organismi di piano non subiranno, questa volta, in modo fortuito, ma lo prevederà e lo gestirà del tutto consapevolmente. Cosa rappresenta, materialmente, questo abbinamento?
La relazione quantitativa fra i blocchi di tale griglia costituisce una relazione quantitativa fra i gruppi di libertà di scelta (gruppi di creatività массы творчества) di cui ciascun blocco dispone.
Ciascuna di queste relazioni è riprodotta collocando ciascuno dei nove blocchi lungo riga e colonna di una matrice quadrata di 9x9, come segue:
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RP |
RI |
RD |
SP |
SI |
SD |
DP |
DI |
DD |
|
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RP |
rp-rp |
rp-ri |
rp-rd |
rp-sp |
rp-si |
rp-sd |
rp-dp |
rp-di |
rp-dd |
|
RI |
ri-rp |
ri-ri |
ri-rd |
ri-sp |
ri-si |
ri-sd |
ri-dp |
ri-di |
ri-dd |
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RD |
rd-rp |
rd-ri |
rd-rd |
rd-sp |
rd-si |
rd-sd |
rd-dp |
rd-di |
rd-dd |
|
SP |
sp-rp |
sp-ri |
sp-rd |
sp-sp |
sp-si |
sp-sd |
sp-dp |
sp-di |
sp-dd |
|
SI |
si-rp |
si-ri |
si-rd |
si-sp |
si-si |
si-sd |
si-dp |
si-di |
si-dd |
|
SD |
sd-rp |
sd-ri |
sd-rd |
sd-sp |
sd-si |
sd-sd |
sd-dp |
sd-di |
sd-dd |
|
DP |
dp-rp |
dp-ri |
dp-rd |
dp-sp |
dp-si |
dp-sd |
dp-dp |
dp-di |
dp-dd |
|
DI |
di-rp |
di-ri |
di-rd |
di-sp |
di-si |
di-sd |
di-dp |
di-di |
di-dd |
|
DD |
dd-rp |
dd-ri |
dd-rd |
dd-sp |
dd-si |
dd-sd |
dd-dp |
dd-di |
dd-dd |
Individuando su questa griglia i processi interessati, si è in grado di ricostruire una mappa via via sempre più completa del sistema e, soprattutto, che tipo di orientamento e configurazione si sta attribuendo allo stesso tramite il piano. Lascio intatta, qui di seguito, la conclusione a cui il nostro capocordata arriva, perché riassume un po’ il senso di tutta l’operazione e, soprattutto, la portata della sua intuizione e della validità di un metodo assolutamente innovativo nel definire consumo di risorse, cause ed effetti in un ambiente controllato quale quello di un’economia di piano.
Lo sviluppo di ciascun blocco è correlato alle limitazioni al processo di riproduzione nel sistema economico intero, in quanto è proprio fra i blocchi che è ripartito il reddito netto nazionale che è creato nel sistema. Da come il reddito netto sarà, pertanto, ripartito, dipenderà quale libertà di scelta sarà realizzata all’interno di ciascun blocco.
La sfera tecnico-scientifica: elemento chiave della riproduzione dell’economia socialistica
Riproducendo il titolo dell’ultimo paragrafo di questo capitolo, mi sono reso conto della necessità di una precisazione, meglio, di una premessa. Il progresso scientifico-tecnologico, inteso dal nostro capocordata, è tutto fuorché quel simbolo iconico, a metà fra una panacea e un refugium peccatorum, che la pubblicistica ufficiale sovietica, ancora in quegli anni, diffondeva nell’immaginario collettivo. Questo esempio è tratto da un manuale di economia politica per le scuole di partito:
Nello sviluppo della produzione l’obbiettivo principale è accelerare i tempi del progresso scientifico-tecnologico, realizzare una politica tecnologica unitaria, accelerare l’intensificazione delle attività produttive e i ritmi di crescita di produttività del lavoro. Ciò significa che, nel nuovo piano quinquennale, saranno elaborati e introdotti nel ciclo produttivo nuovi macchinari, strumenti, materiali e processi tecnologici, che supereranno persino i migliori fra gli attuali modelli nazionali e stranieri58.
Riassumendo per sommi capi, se si fossero cambiate le macchine, più in generale pompati i circuiti produttivi di risorse e di innovazione, di “progresso scientifico-tecnologico”, ovvero se si fosse raggiunto l’“obbiettivo principale” (главная задача), tutti i problemi sarebbero stati risolti, tutte le difficoltà superate, tutte le contraddizioni sciolte. Il progresso scientifico-tecnologico, nell’immaginario collettivo (ma non solo, purtroppo) era chiamato a rispondere a carenze di ogni genere, quasi come se la valorizzazione produttiva di una nuova scoperta avrebbe, come per incanto, “sciolto” scomodi nodi gordiani, semplicemente sollevando più in alto l’asticella. Non era un loro “mito” soltanto: anche oggi, in Occidente, costruiamo autoveicoli automatizzati in grado di inchiodare se la macchina davanti si arresta bruscamente, con sensori e telecamere ovunque; peccato che, ancora oggi, le prime cause di incidente sono “distrazione, mancata precedenza e velocità elevata”59. In altri settori, leggiamo non più su carta, ma “su internet” (considerato non mezzo ma “luogo” dell’informazione pura, senza mediazioni) dati e opinioni su cui non riusciamo a esercitare il benché minimo esercizio critico-razionale riducendoci, tutt’al più, a contraddittori ridotti a rissa da stadio. In altre parole, questa mal riposta “fede” nel progresso, è tipica del nostro tempo e sarebbe ipocrita denunciare la speranza, anch’essa mal riposta, di molti dirigenti sovietici, nel progresso come toccasana in grado di togliere, con l’invenzione giusta, le castagne dal fuoco.
Come ormai scriviamo da centinaia di pagine, il lato organizzativo e gestionale è importante tanto quanto un nuovo macchinario o una nuova tecnologia, frutto di una recente, rivoluzionaria, scoperta. Senza nulla togliere alla forza dirompente del progresso scientifico-tecnologico, così come non è una macchina robotizzata a fare un buon automobilista, piuttosto che la rete telematica a creare un cittadino informato, allo stesso modo occorre criticare un certo substrato meccanicistico (fideistico) alla base di una visione economico-sociale imperniata principalmente o, peggio ancora, unicamente, su di esso.
Con l’introduzione nei circuiti economici di nuova tecnologia, c’è il rischio che le distorsioni esistenti aumentino, anziché diminuire: l’innovazione non è né buona, né cattiva, di per sé; essa trasforma, in genere accelerandone il metabolismo, processi già esistenti. Ecco perché occorre collocare, prima di diventare un novello “apprendista stregone”, tale innovazione tecnologica all’interno di un percorso di attenta valorizzazione e armonizzazione sistemica, sia della singola applicazione, che dei processi in cui essa stesso interviene; in altre parole, occorre compiere un’attenta analisi strutturale che parta dalle risorse per arrivare al bisogno sociale soddisfatto all’interno di un quadro generale, pianificato, per l’appunto, che valuti l’impatto di tale innovazione su ciascun processo ed elemento di ciascuna zona, interessata direttamente e non.
D’altro canto, è errato rispondere all’innovazione con chiusure conservatrici o, peggio ancora, luddistiche. Come l’esperienza stessa del Paese dei Soviet ha dimostrato, a fine anni Ottanta buona parte dell’insoddisfazione della crescente “opinione pubblica” sovietica, si è giocata (ed è stata giocata ad arte dai cosiddetti “riformatori” che hanno portato l’URSS allo sfascio) su questo apparente “divario”, soprattutto sui beni di consumo, divario peraltro non giustificato da nessuna motivazione politica, del tipo: “la mia macchina fotografica non ha il tuo autofocus giapponese perché non serve, ma non solo, in mezzo al permafrost siberiano il mio otturatore non si inceppa, il tuo si”; per inciso, non avrebbero neppure potuto affermarlo, dal momento che le leve di plastica di avanzamento della pellicola e di riarmo dell’otturatore delle ultime Zenit, fatte al risparmio al posto di quelle in metallo del decennio precedente, in piena “perestrojka”, dopo un po’ restavano in mano al fotografo di bisonti mimetizzato nel ghiaccio, creando problemi analoghi a quelli presentati da un’elettronica in tilt per la bassa temperatura.
Nulla di tutto questo, quindi: tuttavia, sicuramente un prodotto, una forma merce in un modo socialistico di produzione, deve avere un’altra “filosofia”, un’altra concezione, sia di produzione che di impiego (e di smaltimento), lungo tutto il suo ciclo di vita, entro cui (e solo entro cui) collocare un doveroso confronto con l’innovazione e la prototipia resi continuamente disponibili dalla ricerca scientifico-tecnologica. Aggiungo, sempre a scanso di equivoci, una volta risolti i necessari problemi di isolamento dalle temperature glaciali e raggiunto un grado di affidabilità dei meccanismi di messa a fuoco automatica, non tanto al fotoamatore e alle sue foto della domenica, quanto al nostro fotografo naturalistico dell’esempio precedente, avrebbe fatto indubbiamente piacere avere a disposizione del proprio tele da 1000 mm un mezzo che gli consentisse di cogliere dettagli prima impensabili; impensabili perché, fino ad allora, allorché magari agiva anche con successo e la maggiore possibilità possibile sull’apposita ghiera di messa a fuoco per far emergere, per esempio, i dettagli dell’iride dell’animale, lo stesso si muoveva e vanificava un’attesa di ore; problemi analogamente vissuti anche dai fotogiornalisti sportivi, o dai reporter in zone di guerra. Questione di attimi a cui un’innovazione tecnologica avrebbe indubbiamente fornito l’indispensabile aiuto, e su cui la produzione sovietica, dalla seconda metà degli anni Settanta, iniziò purtroppo colpevolmente a glissare, pagando un caro prezzo dopo la caduta del muro, quando finì sbranata pezzo a pezzo dalla concorrenza, soprattutto giapponese (quella tedesca (Leica, Rolleiflex) e svedese (Hasselblad) puntavano ad altre fasce di reddito e segmenti di utilizzo).
Questo breve preambolo è, pertanto, necessario a introdurre cosa realmente ci propone, il nostro capocordata, in questo paragrafo: creare, gettare le basi per una “grammatica”, intesa come insieme di nozioni di base, dell’innovazione scientifico-tecnologica nel modo socialistico di produzione.
Si parte, quindi, anzi tutto dalla cosiddetta “iniziativa di investimento” (инвестиционная инициатива), ovvero, quale prototipo immettere in produzione?
Ovviamente, questa domanda è possibile solo in un sistema evoluto, con un’alta capacità di specializzazione delle attività produttive e una altrettanto diffusa attività di prototipia e avviamento della stessa alla produzione: in condizioni di scarsità e arretratezza economica, il problema di scegliere non si pone e, come si suol dire, “si prende ciò che passa il convento”.
Per individuare e distinguere i tratti rilevanti di discontinuità di questa nuova grammatica, rispetto al precedente modo di produzione, occorre quanto meno accennare a una sua critica analitica. Ecco perché il nostro Autore, a questo punto, presenta brevemente la politica di investimenti in ricerca scientifica nel modo capitalistico di produzione.
Noto, per inciso, come nessuno, oggi, a guida di Paesi se-dicenti socialistici, compia operazioni di questo tipo: meglio restare immersi nel capitalismo globalizzato e globalizzante e proclamarsi socialisti (o comunisti), proclamando piani trentennali da compiersi entro il 2050, ancor meglio senza spiegare come e, soprattutto, senza farsi troppe domande su quello che, qui ed ora, si sta facendo e come lo si sta facendo: d’altronde, in qualche modo occorre pure giustificare e legittimare la “diversità” di un partito unico al potere.
Syroežin introduce l’argomento con un diagramma di flusso, che illustra il meccanismo degli investimenti all’interno del modo capitalistico di produzione:

Possiamo subito notare come, le organizzazioni tecnico-scientifiche, deputate alla ricerca, abbiano due committenti: lo Stato e il privato, ovvero le aziende (in quanto attori principali del ciclo di riproduzione della merce, qui definite come organizzazioni che creano il reddito netto).
Partiamo da queste ultime: la loro, è iniziativa di investimento diretta, di cui sono le uniche responsabili.
Di quale responsabilità stiamo parlando? Nell’introdurre sul mercato, ovvero nel lanciare la produzione su vasta scala di nuovi modelli, le aziende sono pienamente responsabili, nel senso che il mancato acquisto, ovvero il fallimento dell’iniziativa stessa, condurrebbe facilmente al loro stesso fallimento.
Tale responsabilità è pertanto NECESSARIAMENTE soggetta a due condizioni, connaturate allo stesso modo capitalistico di produzione:
1) le aziende capitalistiche impegnate nel sistema di riproduzione, ovvero nella produzione su scala industriale, esercitano un’influenza decisiva sul plusvalore prodotto e, soprattutto, a loro redistribuito;
2) tali aziende sono interessate a nuovi modelli, nella misura in cui essi costituiscano la via per acquisire una quota sempre maggiore di plusvalore.
In buona sostanza, OCCORRE UN RITORNO e la misura di tale ritorno deve essere COSPICUA TANTO DA GIUSTIFICARE L’INVESTIMENTO OPERATO: questo, a prescindere dalla visione più o meno miope (navigazione a vista, profitto immediato o il contrario) o dalla maggiore o minore liquidità dell’investitore.
Dall’altra parte del diagramma, abbiamo il secondo committente: le istituzioni statali (in alto a sinistra), che riescono a concentrare nelle proprie mani “parti di reddito netto”, scrive Syroežin. Ora, a parte il fatto che questa bipartizione è causa di scoordinamento e dispersione delle già poche risorse investite, parliamo davvero di RIMASUGLI, aggiungerei impietosamente.
Consideriamo, a puro titolo esemplificativo, il 2015 in un Paese come il nostro, famoso a livello mondiale per la sua “attenzione alla ricerca”, anche per dare un volto concreto al diagramma di Syroežin. “Nel 2015 il Pil ai prezzi di mercato è stato pari a 1.636.372 milioni di euro correnti, con un aumento dell’1,5% rispetto all’anno precedente”60. Facciamoci ora del male: accostiamo questo dato a quanto complessivamente investito, dal sistema Italia per ricerca e sviluppo (abbreviata R&S nei documenti del CNR), ovvero 20.317,6 milioni di euro (ottenuti sottraendo al totale di 22.157 milioni di euro i 1.839,4 milioni provenienti dall’estero)61; la percentuale di risorse investite in R&S rispetto al PIL nazionale, sommando insieme fondi pubblici e privati, arrivava alla mirabolante cifra di 1,241%. Continuiamo a farci del male: il capitale privato investito in R&S ammontava complessivamente a 11.682,8 milioni di euro (sommando gli 11.077 provenienti dalle aziende ai 605,8 del cosiddetto privato “non profit”), pari al 57,50% del totale. Terminiamo col colpo di grazia: il restante quarantadue e mezzo per cento finanziato dallo Stato, pari a 8.634,8 milioni di euro, a quanta percentuale di PIL del 2015 ammonta? Quanto ha investito, in quell’anno (e non solo) la Repubblica Italiana per promuovere “lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica” (Art. 9 della Costituzione)? Rullo di tamburi… lo 0,527679525% del PIL nazionale!62
Vero, obbietteremmo da buoni “avvocati del diavolo”, ma i soldi entrati nelle casse dello Stato son stati molti di meno, non certo il PIL, “non siamo mica in URSS”. Va bene: parliamo, pur sempre di 450.796 milioni di euro (Assestato 2015)63. Di questi 450 e rotti miliardi di euro, quanti ne ha destinati lo Stato in R&S? Sempre quegli 8 e mezzo abbondanti di prima, ovvero lo 1,915%. Per uno Stato che mise, oltre mezzo secolo fa, al punto 9 della propria Costituzione la frase sopra riportata, c’è solo da vergognarsi.
Eppure, è grazie a questi finanziamenti che i centri di ricerca pubblici (Università, CNR) sono ancora in grado compiere un lavoro che esuli da quelle necessità immediate di risultati concreti necessari ai laboratori e centri privati e, se con questi pochi soldi fanno letteralmente miracoli (l’aumento delle pubblicazioni e dei brevetti depositati l’anno scorso), è solamente grazie ai nostri ricercatori, che sono sempre meno e meno pagati ma, nonostante tutto, non mollano64.
Syroežin, infine, accenna anche al ruolo centrale delle banche, in quanto elementi che concentrano il reddito netto creato (звены, накапливающие созданный чистый доход) per poi ripartirlo (tramite i prestiti concessi alle aziende) nell’iniziativa di investimento. Ovviamente, la banca che concede un prestito all’impresa la quale, a sua volta, lo chiede per finanziare la propria iniziativa di investimento, lo fa a un tasso di interesse tale da rendere l’intera operazione redditizia. Tutto questo, ovviamente, non fa che complicare la delicata situazione di un’impresa e del suo scoperto esistente. In Italia, poi, definita da uno studio sull’argomento di Bankitalia (datato 2013) “bank-centred”, per l’appunto, con un ruolo degli istituti di credito “pervasivo”, tale dipendenza accentuata non fa altro che evidenziare il percorso a ostacoli di investimenti in R&S tramite prestiti concessi col contagocce, per lo più in virtù di “rapporti” consolidati di conoscenza diretta della capacità di solvenza del possibile, futuro, creditore (relationship lending)65.
Se questa è la logica, sostanzialmente immutata da quando scriveva Syroežin, del modo capitalistico di produzione, anzi oggi estesa, mutatis mutandis (i vari capitalismi “con caratteristiche locali”), a tutto il globo, la logica del modo socialistico di produzione deve essere diversa: deve esserlo, perché diversa è la legge fondamentale che la governa, il criterio a cui il funzionamento sistemico si deve, necessariamente, uniformare.
Qui iniziano i problemi, nel senso che proprio a questo punto i parametri di efficienza, di progresso, di sviluppo non solo possono, ma devono differenziarsi fra i due modi di produzione: se da una parte c’è il profitto, dall’altra c’è la collimazione della struttura dei bisogni “B” con quella dei risultati “R”. Alla luce di tale cartina di tornasole, di tale criterio, una scelta economica giudicata ottimale in un sistema potrà NON esserlo nell’altro, se non addirittura dannosa.
È proprio su questa variante a quella che oggi è universalmente considerata la “via normale” che ora ci vuole portare il nostro capocordata; una via per nulla semplice, visto che è da trent’anni che ragioniamo, a destra come a sinistra, lungo i cardini di un “pensiero unico” non perché tutti la pensiamo alla stessa maniera, ma perché riducendo ai minimi termini ciascuna opinione, pur differente, anzi, apparentemente antagonistica, pur complessa e articolata, arriviamo alla stessa “grammatica”.
Il suo ragionamento parte da un principio molto semplice. Affinché all’iniziativa di investimento sia garantito il dovuto spazio, e il meccanismo degli investimenti eserciti la necessaria influenza sull’autoregolazione dell’economia socialistica, è anzitutto necessario che il meccanismo di valutazione economica dell’iniziativa di investimento corrisponda sempre al criterio di realizzazione della legge economica fondamentale del socialismo.
Per esempio, nella letteratura scientifica spesso si propone di valorizzare (оценивать) e incentivare (стимулировать) il progresso scientifico e tecnologico, tenendo nella dovuta considerazione il cosiddetto effetto consumatore sul prezzo del prodotto (потребительский эффект в цене продукта). Tale effetto è riassumibile in questi termini: la propensione all’acquisto e al consumo di un nuovo, recente, articolo aumenta se è percepito come “innovativo”. Pertanto, il nuovo prodotto, tecnologicamente più avanzato, una volta immesso al consumo, si porrebbe immediatamente a confronto con quello vecchio, obsoleto, andandone a prendere il posto: così, il progresso scientifico-tecnologico sarebbe AUTOMATICAMENTE incentivato dalla scelta del consumatore stesso. Tale comparazione, tuttavia, ha senso soltanto se l’insieme dei “vecchi” e dei “nuovi” prodotti mantiene un minimo di comunanza (нечто общее) con il criterio generale di autoregolazione del sistema.
Siroežin scrive come tale condizione funzioni nel capitalismo, dove i prodotti nuovi e quelli in sostituzione sono determinanti ai fini della fetta di mercato per ciascuna azienda a esso partecipante: in altre parole, determinano la quota di plusvalore di cui un dato capitalista si appropria tramite la realizzazione commerciale del prodotto. È la legge della “carota” (o, in caso di minacce di licenziamenti e chiusure, il “bastone”), sotto il cui continuo pungolo stimolare il progresso scientifico-tecnologico.
Il risultato è, tuttavia, un progresso scientifico-tecnologico che si muove in maniera scoordinata, con prodotti nuovi che si accumulano in maniera altrettanto disordinata a fianco dei vecchi invenduti, con conseguenti crisi di sovrapproduzione e ulteriori redistribuzioni (e lacrime e sangue per le classi subordinate) nel processo di spartizione intercapitalistica del plusvalore.
Non è tutto: in un mercato globalizzato come il nostro, ormai la R&S su prodotti di consumo di massa da tempo risultano NON essere il fattore decisivo:
- primo, perché conta di più dare VELOCEMENTE una risposta produttivo-commerciale a una domanda, sparsa per il mondo e sempre più “mobile, qual piuma al vento”, come nell’ormai troppo volubile mercato dell’automotive, che ci sta facendo un po’ compagnia in queste pagine di studio. Pensiamo alla Žiguli, prodotta ininterrottamente in tutte le sue varianti (dalla VAZ-2101 alla VAZ-2107) per quasi mezzo secolo, dal 1970 al 201466, e pensiamo a quanto scriveva un gruppo di ricercatori del Politecnico di Torino un anno più tardi:
As stated above, one of the main issues faced by companies operating in a mature market such as the automotive one is that of becoming slow in taking decisions and thus failing to react effectively to market change67.
In altre parole, conta arrivare PRIMA degli altri, non necessariamente con un prodotto migliore;
- secondo, perché l’appeal rappresentato dalla “innovazione”, meglio, dalla percezione massificata della stessa, si è ormai appiattito su standard di accettazione (e quindi di propensione all’acquisto a un prezzo maggiore rispetto al precedente modello) di gran lunga inferiori a quanto le case costruttrici sono in grado di offrire. Due esempi, il primo sempre tratto dal lavoro dei ricercatori del Politecnico:
Another issue is that the prevailing functionality of products in the automotive market now exceeds that which can be utilized by customers. Consequently, making even better products no longer yields superior profits. Instead, innovations that enhance a company’s ability to bring products rapidly to market – and to customize offerings in a responsive, useful manner – become the mechanism for achieving an advantage.
In altre parole, la R&S servono se aumentano le capacità di reazione dell’azienda (di cui al punto primo), fare una macchina migliore ma arrivare tardi a coprire un segmento di mercato “scoperto” non aiuta, anzi.
Il secondo esempio è di qualche giorno fa: il quotidiano economico Nikkei (日経), un giornaletto che nel 2015 ha acquistato il Financial Times e costituisce il giornale di settore più importante al mondo, con due edizioni giornaliere e oltre tre milioni di tiratura cartacea, pubblicava una notizia bomba, rimbalzata poi in tutto il mondo. La Apple starebbe per lanciare, per i “mercati emergenti”, un Iphone dal costo ridotto e “quasi tutte” le funzionalità dei modelli più costosi68. Obbiettivi: “to win customers in emerging markets and retake ground in China lost to Huawei Technologies and other rivals”, ovvero riconquistare fette di mercato, e “boost sales for Apple next spring, when the life-cycle of new flagship iPhones -- scheduled to be unveiled Sept. 10 -- would naturally begin to slow”, ovvero mantenere alto il fatturato a “fine stagione”, quando la vendita dei modelli lanciati proprio in questi giorni comincerà a calare.
Insomma, con un saggio di profitto sempre più in calo, e un conflitto interimperialistico sempre più aspro (USA-RPC e reciproche sfere di influenza), la R&S diventa persino un elemento di possibile “disturbo” in una competizione sempre più serrata e sempre più tesa a raschiare il fondo del barile, ovunque ci siano quattro soldi da spillare.
Pertanto, se già da tempo nel capitalismo questa condizione funziona sempre meno, a maggior ragione NON può funzionare, come condicio sine qua non, nel socialismo. Qui, infatti, non si applica la legge della giungla, o del bastone e della carota; al contrario il criterio globale di realizzazione della funzione di sistema è la collimazione della struttura dei bisogni (B) con la struttura dei risultati (R). Tradotto, il ruolo di un nuovo prodotto immesso in consumo, può essere del tutto analogo a quello che va a sostituire, sia in termini di funzione che di prezzo; in tal caso, ci sarebbero degli indubbi vantaggi ad applicare la condizione sopra descritta. Tuttavia, potrebbe anche non essere del tutto equivalente al “vecchio” prodotto, così come potrebbe intervenire sulle due strutture senza alcuna conseguenza sui prodotti preesistenti. In altre parole, questo nuovo articolo potrebbe, in modo del tutto pianificato e consapevole, aggiungersi, e non sostituirsi, ad altri prodotti che, altrove, potrebbero essere considerati “obsoleti”; ciò, nel socialismo, accade proprio perché, avanti anni luce rispetto alla Apple della notizia di questi giorni, i “vecchi” articoli potrebbero rappresentare ancora la risposta ottimale, in termini di risultato, a un segmento di bisogni su cui il prodotto nuovo non può o non è stato concepito per agire. In questo caso, si dice che le strutture dei bisogni e dei risultati aumentano, crescono aggiungendo un segmento che non modifica sostanzialmente, tuttavia, le strutture di bisogni e risultati preesistenti.
Inoltre, occorre rivedere anche l’aspetto del costo unitario del lavoro impiegato per prodotto. Consideriamo lo scenario idilliaco di una linea di produzione completamente automatizzata, con recupero avvenuto delle spese di ammodernamento: più automazione minor costo del lavoro e, in un’economia di scala, minor prezzo al consumo con conseguente aumento del potere d’acquisto del consumatore, a parità del salario da lui percepito. Perfetto. Se il prodotto va effettivamente a sostituire il precedente. Se ciò invece non accade, anche un ridotto costo della manodopera di un nuovo prodotto non potrà determinare una riduzione del costo del lavoro in generale. Una produzione in aggiunta, infatti, e non in sostituzione, fa saltare qualsiasi semplicistica equazione secondo cui innovazione equivale sempre a “risparmio”, come invece lo vedrebbe il capitalista, di forza lavoro, con conseguenti tagli e massimizzazione del profitto: nel caso in cui il prodotto si aggiunga, e non sia sostitutivo, anche l’innovazione creerà nuovi posti di lavoro, anziché ridurli. Di questo, IL PIANIFICATORE NON PUO’ NON TENERNE CONTO.
Per questo, l’innovazione tecnologica sul prodotto deve essere sempre accompagnata, in modo che segua una logica coerente al modo di produzione di cui fa parte, quella della legge fondamentale sopra ricordata, ed essere essa stessa non solo partecipe, ma componente organica, a tutti gli effetti, di tale meccanismo di continua ristrutturazione e redistribuzione socializzata di risorse e flussi produttivi e riproduttivi della merce. Esprimere invece valutazioni di merito in modo automatico, schematico, superficiale, su politiche generali di investimento come quella appena descritta, costituisce una forte incongruenza con l’andamento generale del modo socialistico di produzione e, di fatto, rallenta lo sviluppo scientifico-tecnologico anziché favorirlo, in quanto lo imbriglia entro paradigmi di forma merce e di rapporti mercantili a esso contraddittori, perché non rispondenti a quell’allineamento fra struttura dei bisogni B e struttura dei risultati R che, invece, è la forza motrice del nostro modo di produzione. La riflessione di Syroežin, a quarant’anni di distanza e con continui ed epocali mutamenti del globo terrestre, è ancora attuale.
Questa riflessione porta l’Autore a una prima conclusione: il meccanismo di investimenti funziona solo quando i segmenti economici, che rendono possibile l’attuazione della legge economica fondamentale, dispongono pienamente dei fondi, che rendono possibile l’iniziativa di investimento. In altre parole, occorre che chi fa ricerca sia sostenuto nei suoi sforzi da adeguate risorse, chi sviluppa prototipi e ne individua un possibile impiego su scala industriale altrettanto, così come chi li realizza nel concreto (I, II e III zona): il tutto, il Nostro non smette mai di ripeterlo, secondo un obbiettivo, che è insieme anche criterio della legge economica fondamentale, che non è il profitto, neppure lo “stare dentro” ai costi fine a se stesso, bensì ciò che egli descrive come “l’allineamento delle due strutture”, soddisfare i bisogni sociali con i risultati del lavoro sociale. Questo, in un modo socialistico di produzione, deve essere l’unico principio ispiratore e ordinatore di ogni attività economica.
Ricapitolando, siamo in prossimità della fine di questo capitolo, il lavoro di traduzione e ricerca svolto, possiamo quindi unire idealmente il lavoro di Novožilov e di Syroežin in un unicum, dove le conclusioni a cui giungono entrambi costituiscono condizione necessaria ma non sufficiente e ciò perché, soprattutto, ciascuno di loro si occupa di un ambito specifico del sistema economico che occorre integrare e, soprattutto, armonizzare entro il quadro complessivo di costruzione del sistema. In particolare, Novožilov e i suoi prezzi differenziali costituiscono un ottimo contributo, forse decisivo, per gestire quella che egli definisce l’altra faccia della medaglia di una pianificazione produttiva che, senza pianificazione dei prezzi, resterebbe monca. Tuttavia, anche dopo tale ristrutturazione, tale impianto resterebbe ancora monco, scoordinato e, in ultima analisi, inefficace se non controproducente nei propri risultati, in assenza di quella vera e propria ristrutturazione, a livello gestionale, decisionale o, più semplicemente, di organigramma, che è parte invece del lavoro di ricerca di Syroežin.
Anche in questo caso, la sua denuncia della mancanza di fondi per chi esegue ricerca e sviluppo a livello pratico, quando si tratta di concretizzare tutto il lavoro di ricerca pura che, altrimenti, resterebbe confinato ai soli aspetti teorici, pone proprio l’accento su questo tipo di carenza, suggerendone peraltro in parallelo la propria soluzione. Molti dei paragrafi successivi sono tesi a esplicitare, con ulteriori argomentazioni ed esempi pratici, questa tesi.
Esordisce, per esempio, denunciando come i lavoratori della ricerca siano “impegnati nel lavoro potenzialmente più produttivo in assoluto, nel senso socialistico del termine. Eppure, gli stessi sono esclusi dalla gestione dei fondi destinati all’iniziativa di investimento. Tali fondi arrivano loro a giochi fatti, solo dopo che è stata decisa da altri l’entità dell’iniziativa di investimento e le varie destinazioni dei fondi stessi”. Fa eccezione soltanto la ricerca scientifica pura (фундаментальная наука).
Eccoci giunti a un paradosso (парадокс), sintetizza l’Autore, che abbiamo provato a riassumere nello schema che segue. Il meccanismo di investimento finanzia la ricerca teorica pura, ma poi lì si ferma; manca ogni coordinamento con le fasi successive di progetto, di piano strutturato o ricerca comunque applicata, il meccanismo si inceppa, in quanto i segmenti dedicati alle scienze applicate, quelli che materialmente eseguono i compiti di investimento assegnati, non hanno alcun accesso alla ripartizione e disposizione dei fondi di investimento. Altri decidono per loro, con criteri che si rivelano, in genere MIOPI in quanto incapaci di andare oltre a una redditività, intesa come taglio dei costi:

Invece, ci ricorda Syroežin, le modalità di concentrazione dei fondi destinati all’iniziativa di investimento debbono essere concordi alle dimensioni e alla composizione organica dell’iniziativa di investimento, alla sua durata nel tempo e all’impatto, alla «risonanza» (резонанс), che da essa si propaga lungo tutte le direttrici del sistema economico.
Per questo, nel considerare le questioni relative all’iniziativa di investimento, occorre tener presente alcuni momenti chiave:
1. È necessario riconoscere il carattere produttivo del lavoro nella sfera scientifico-tecnologica, attuare misurazioni adeguate a esprimere l’equivalenza quantitativa fra i risultati utili in uscita e il grado di realizzazione della legge fondamentale del modo socialistico di produzione, quindi la capacità dei risultati di tale lavoro di incidere sull’avvicinamento fra le due strutture B e R; individuare quindi quanto l’innovazione sia in grado di raggiungere tale obbiettivo, comporterà l’individuazione preliminare di misuratori adeguati a tale scopo, il loro collaudo e, contestualmente, elaborare un apparato di calcolo in grado di valutare i flussi di informazioni relativi a questa nuova equivalenza;
2. È necessario trasferire i fondi, destinati a modificare un andamento preesistente del ciclo riproduttivo di beni e servizi (essenzialmente per imprimere un nuovo corso all’intero processo di autoregolazione economica) direttamente nelle mani delle organizzazioni tecnico-scientifiche;
3. È necessario creare un meccanismo di investimento tale per cui, le risorse dell’iniziativa di investimento, siano suddivise fra gruppi di organizzazioni tecnico-scientifiche, facenti parte di uno stesso ciclo di iniziativa. Tale ciclo potrà differire da gruppo a gruppo. Di conseguenza, occorrerà definire i meccanismi in grado di assegnare a ciascun gruppo la giusta concentrazione di risorse al fine di portare a buon fine l’iniziativa di investimento.
A questo proposito, Valerij Leonidovič Makarov (1937-), matematico economista attualmente ancora direttore scientifico dell’Istituto centrale di matematica economica della Accademia delle Scienze di Russia (CEMI RAN – ЦЭМИ РАН), in un suo saggio del 1985 parla proprio di “unità del processo di elaborazione, introduzione, diffusione e utilizzo delle innovazioni” (единство процесса разработки, внедрения, распространения и экплуатации новшеств), proponendo l’impiego della seguente tabella di controllo69:

Occorre notare come, una pur semplice schematizzazione, razionalizzazione, operata tramite una simile scheda compilata, condivisa in un database i cui campi possano essere aggregati e disaggregati per settore economico, regione (provincia o municipalità), orizzonte temporale, non solo sarebbe stata di estremo ausilio al pianificatore, ma avrebbe anche fornito indicazioni concrete ai centri di ricerca circa la bontà e le ricadute del proprio lavoro, anche aldilà del singolo progetto, oltre a condividere ulteriormente dati, procedure, metodi, e coordinare meglio sforzi e lavoro di ricerca, onde evitare di “scoprire più volte l’acqua calda”, cosa che spesso accade quando la mano destra non sa cosa fa la sinistra.
Per portare a buon fine l’iniziativa di investimento, i segmenti della sfera scientifico-tecnologica devono ovviamente essere interessati ad essa. Tale interesse, secondo il nostro Autore, si suscita in due modi:
1. Con la piena responsabilità economica e giuridica sia sull’iniziativa che si assume, che sui fondi economici messi a disposizione per la stessa;
2. Con contratti (договор) in cui i segmenti della sfera scientifico-tecnologica figurano come committenti (заказчик) e gli altri elementi della sfera economica come esecutori (исполнитель) del loro ordinativo (заказ).
In realtà, potremmo parlare di un doppio ordine. Il primo, più che un ordine è una istanza, che arriva – per esempio – dall’azienda al centro di ricerca, perché provveda alla soluzione di una problematica con risposte innovative. Il secondo, è quello che dal centro di ricerca vincola l’azienda all’esecuzione della soluzione ingegnerizzata e al ritorno economico del maggior margine di utile (“rendita”, nel linguaggio di Syroežin) generato dall’introduzione nel ciclo produttivo di tale innovazione. Ritorna a questo punto, ancora una volta, la riflessione sul prezzo differenziale di Novožilov: in questo caso – per esempio – minori costi di produzione dovuti a un’innovazione tecnologica commissionata dai centri di ricerca, comporterebbero un ritorno ai centri stessi in termini di maggior parte di quell’utile in più generato dalla loro innovazione. Questo permetterebbe loro, quindi, di finanziare ulteriormente le loro ricerche con l’acquisto di macchinari, strumenti di laboratorio, ecc.
Infatti, specifica Syroežin, “se gli esecutori aumenteranno il loro reddito netto, in virtù dell’innovazione apportata grazie ai loro committenti, i segmenti della sfera scientifico-tecnologica, tale aumento ritornerà per la maggior parte a finanziare la stessa ricerca che lo ha generato”. Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo il suo lavoro: solo così il principio di giustizia (nel senso socialistico del termine) sarà pienamente rispettato, giacché la redistribuzione dei fondi di investimento premierà i capaci e i meritevoli, degni di riceverli per continuare le proprie ricerche.
Non è un caso, quindi, se Syroežin chiude questa analisi con il ruolo “sostanziale e di prospettiva nel meccanismo dell’iniziativa di investimento socialistica”, che andrebbe alla rendita (рента) lungo la catena processuale dalla ricerca alla produzione, intesa come aumento di utile derivato dall’innovazione introdotta. Tale meccanismo risulterebbe utile, in quanto meccanismo informativo delle sproporzioni fra nuovi bisogni sociali e la distribuzione reale dei mezzi per il loro soddisfacimento. La rendita può costituire, se bene impiegata, una delle leve interne di regolazione economica del meccanismo di investimento, in grado di collegare i risultati in uscita verso segmenti dell’economia non appartenenti alla sfera scientifico-tecnologica (e privi di accesso a qualsiasi iniziativa di investimento), alla catena di rapporti interni intercorrenti fra i diversi blocchi sequenziali (эшелона) della ricerca scientifica.
Quanto appena accennato, permette al Nostro di tracciare uno schema generale del meccanismo di investimento adeguato “alle condizioni di autoregolazione economica di una formazione socialistica matura” (условиям самонастройки общественного хозяйства развитой социалистической формации):
Ricostruiamo il ciclo proposto, soggetto per soggetto, funzione per funzione:
- Istituti statali: sono gli organismi deputati a
1. definire le norme e le procedure attuative con cui i vari blocchi della sfera degli investimenti interagiranno fra loro;
2. fissare il tetto, fra le uscite del bilancio statale, delle risorse per la ricerca;
3. agire sulle organizzazioni che concentrano il reddito netto perché finanzino anch’esse nella misura indicata le riserve di bilancio, da un lato, e le riserve di credito, dall’altro;
- Organizzazioni che creano il reddito netto;
1. sono promotori di istanze verso le organizzazioni tecnico scientifiche deputate all’ingegnerizzazione (organizzazioni ingegneristiche);
2. sono esecutori delle soluzioni innovative individuate dalle organizzazioni ingegneristiche, su loro ordine, tramite contratto in cui queste ultime figurano come mandanti;
3. nella creazione, o formazione, di nuovo reddito netto creato grazie a tale innovazione, parte ritornerà - secondo contratto – all’organizzazione ingegneristica [per la precisione, la maggior parte di esso], parte resterà a loro e, infine, parte andrà all’apparato di accumulazione del reddito netto;
- Organizzazioni che concentrano il reddito netto;
1. ricevono il reddito accumulato e lo concentrano nelle loro mani;
2. ricevono le norme attuative dagli Istituti statali;
3. riforniscono le Riserve di bilancio e le Riserve di credito legate al PST;
4. non promuovono più direttamente alcuna iniziativa di investimento;
Questo è un dato molto importante: nello schema di Syroežin, la ripartizione degli investimenti fra ricerca e sviluppo, ristrutturazione delle basi tecnico-materiali e, come conseguenza di questo, ristrutturazione delle funzioni economiche, è ora trasferita agli organi di gestione centrale del progresso scientifico-tecnologico.
- Sfera scientifico-tecnologica, suddivisa in tre blocchi
1. zona di partenza (ricerca, исследованиe);
2. zona intermedia (progetto, проэкт);
3. zona di destinazione (ingegnerizzazione, конструирование).
1. ricerca:
- l’unica a fare ricerca scientifica pura
- ENTRATA: studio dell’ambiente circostante sui limiti
a. «natura-economia» («природа — хозяйство»)
b. «materia-coscienza» («материя — сознание»)
- USCITA: risultati utili a ulteriori ricerche in zona intermedia.
- FINANZIAMENTO: dalle riserve di bilancio del PST
- SALDO: dalla rendita della zona intermedia
2. progetto:
- l’unica ad avere a che fare sia in entrata che in uscita con organizzazioni scientifiche
- ENTRATA: risultati della zona di partenza
- USCITA: progetto dalle singole innovazioni e scoperte, ottenuto ricombinando, raggruppando, accostando in parallelo o in sequenza i risultati in entrata di modo da realizzarne possibili applicazioni
- FINANZIAMENTO: dalle riserve di credito del PST
- SALDO: dalla rendita della zona di destinazione
3. ingegnerizzazione:
- l’unica a detenere l’iniziativa di investimento e a esercitarla in nome e per conto dell’intera filiera della ricerca scientifica, di cui costituiscono la parte terminale
- ENTRATA: risultati della zona intermedia
- USCITA:
a. rapporto con le aziende, con i cantieri, con siti produttivi
b. ingegnerizzazione di uno o più progetti (o sua parte) in applicazione concreta, creando dispositivi o complessi scientifico-tecnologici e assegnando alle aziende il compito di introdurli nella filiera produttiva
- FINANZIAMENTO: dalle riserve di credito del PST
- SALDO: dalla cessione di parte dell’utile creato ex novo dalle aziende esecutrici di quanto ingegnerizzato, tramite contratto.
Possiamo ora esaminare da vicino i rapporti funzionali fra ciascuno di questi elementi: sostanzialmente, due blocchi della sfera degli investimenti, progetto e ingegnerizzazione, esercitano la loro attività sulla base di rapporti creditizi che intercorrono con gli elementi che concentrano nelle loro mani il reddito netto. Il saldo di tale credito avviene al momento dell’incasso delle competenze per la loro prestazione in favore dell’elemento successivo della catena di investimento.
In particolare, le organizzazioni che creano il reddito netto provvedono a saldare direttamente, con parte di tale reddito creata ex novo, le organizzazioni ingegneristiche («конструкторская организация»), uniche a detenere l’iniziativa di investimento. Iniziativa che deve essere molto oculata, perché resa possibile grazie a un prestito che va saldato proprio grazie alla bontà del lavoro svolto dagli esecutori materiali dei frutti del loro lavoro di ingegnerizzazione. A loro volta, parte di tale utile deve servire a saldare le organizzazioni della zona intermedia, che hanno reso possibile il successo del loro lavoro grazie al progetto, al semilavorato scaturito dalle loro ricerche, tese a individuare possibili applicazioni pratiche a quanto scoperto nella prima zona. Anche per gli elementi dediti alla progettazione, vale la stessa logica del segmento precedente: la loro opera è possibile grazie alla concessione di un credito, che è saldato grazie ai frutti della bontà del loro lavoro. Parimenti, una volta saldato il debito, anche a loro resterà da regolare i conti con la zona a monte, quella della ricerca. Ecco, quindi, che il reddito netto creato ex novo e ceduto in gran parte alle organizzazioni ingegneristiche, di mano in mano arriva fino ai laboratori scientifici dediti alla pura ricerca, finanziati dal bilancio statale e da tale porzione di reddito netto (rendita).
In chiusura di capitolo, Syroežin ci invita a compiere un importante passo ulteriore. Anzi, per certi versi la sua conclusione è spiazzante, dopo averci portato in uno scenario di numeri e conti che tornano sulla base di addizioni e sottrazioni, in una parola trasferimenti, di reddito creato ex novo. “Vi ho fatto vedere la casistica più semplice”, sembra dirci; “vi ho insegnato a camminare, ora imparate a correre e, infine, a volare”. PER FARLO, ANCORA UNA VOLTA CI CHIEDE DI CAMBIARE PROSPETTIVA. PIÙ UTILE NON NECESSARIAMENTE SIGNIFICA MAGGIOR PRODOTTO DERIVATO DA MAGGIORE EFFICIENZA, MAGGIORE EFFICACIA DEL PROCESSO PRODUTTIVO. IN UN SISTEMA SOCIALISTA, DOVE TUTTO È COLLEGATO, PIÙ UTILE SIGNIFICA ANCHE MENO SPRECHI, SIGNIFICA PRODOTTO CHE “FUNZIONA”, OVVERO CHE CENTRA IL BISOGNO COME UNA FRECCIA CENTRA IL BERSAGLIO, SENZA SCORTE LASCIATE A MARCIRE PERCHÉ INUTILIZZATE, OLTRE CHE CON MENO SCARTI E MERCE DIFETTOSA POSSIBILE.
A differenza del capitalismo, infatti, dove la domanda è indotta dall’offerta, è condizionata dall’offerta, dove l’offerta ha bisogno di una domanda volubile e vogliosa di consumo, intrisa di consumismo fino al midollo, per inondare il mercato di prodotti usa-e-getta, da comprare e ricomprare, da cambiare e scambiare, il socialismo di tutto ha bisogno meno che di questo: un prodotto che deve essere concepito per servire sempre meglio e durare sempre di più, un prodotto che deve essere riparabile, prima ancora che sostituibile, un prodotto che deve rispondere a esigenze reali su cui incentrare progettazione e ingegnerizzazione come si è appena accennato; un prodotto che sia quindi il risultato di una concezione completamente diversa, se non diametralmente opposta, in grado di smascherare il carattere di feticcio assunto dalla merce in Occidente, perché semplicemente, oggettivamente, migliore; un prodotto, a questo punto, che sia in grado di fare il percorso opposto dalle Fiat 124 divenute Žiguli in terra sovietica; fare il percorso opposto e, poco alla volta, contribuire anch’esso alla diversità, al radicale antagonismo, non solo della tipologia assunta dalla sua forma particolare di merce fra le merci ma, in quanto simbolo concreto, della proposta politico-ideologica su cui esso si fonda, fino al midollo.
Per questo Syroežin conclude affermando che, la procedura appena descritta, si differenzierà realmente da quella attuale (ovvero realmente stimolerà novità in grado di modificare il rapporto fra le strutture dei bisogni e dei risultati “B” e “R”), se la quota di reddito netto, che resterà nelle tasche delle aziende che lo creano, dipenderà non più solo dalla massa di reddito creata ex novo, ma anche dall’“effetto consumatore” (потребительский эффект) generato dai mutamenti provocati dall’ingresso dei risultati in uscita dalla sfera degli investimenti.
A tal fine, anticipa il nostro capocordata riferendosi agli argomenti toccati nelle prossime pagine, saranno necessari cambiamenti nel meccanismo di cooperazione fra elementi strutturali non solo nella sfera degli investimenti, ma anche in tutte le altre sfere economiche. Infatti, un’iniziativa di investimento responsabile non necessariamente è chiamata ad agire sulla massa di reddito netto; necessariamente, invece, è chiamata ad agire sul grado di realizzazione della funzione economica generale di sistema, ovvero avvicinare le strutture dei risultati “R” a quelle dei bisogni “B” cui tali risultati sono destinati. Per questo, il meccanismo appena illustrato contribuisce a integrare i rapporti, le relazioni, collegate all’iniziativa di investimento, nel quadro dei rapporti economici funzionali all’autoregolazione dell’economia socialistica.
Questo capitolo è stato estremamente ricco di contenuti e spunti. Giunti a metà testo tradotto, avvertiamo come capire l’essenza, oltre che la validità - ancora oggi! - di quanto finora introdotto e analizzato, costituisca un’occasione davvero utile non solo per riflettere con materiali inediti sulla breve, e ancora troppo sconosciuta, storia del Paese dei Soviet, ma anche per l’elaborazione teorica di un modo socialistico di produzione che sia realmente superamento dialettico dell’attuale, e non semplice lotta di posizione o, peggio ancora, cedimento totale alla sua logica di fondo, strutturale, “legge economica fondamentale”, si sarebbe detto nel lessico di allora, a prescindere, a questo punto, da chi sia dentro la stanza dei bottoni: è la stessa stanza dei bottoni a dover essere buttata giù e ricostruita su fondamenta COMPLETAMENTE diverse.
Infatti, il punto a cui Syroežin ci ha finora condotto, testimonia di una ricerca, quella sovietica, che scopriamo ogni giorno essere stata non solo estremamente complessa e profonda, ma efficace, coerente, e in grado di rispondere a molti quesiti non solo di ieri, ma anche dell’oggi e di una possibile costruzione alternativa, AUTENTICAMENTE socialistica, del futuro. Appare, pertanto, sempre più chiaro come il senso di questo nostro attacco alla cima, parete dopo parete, seracco dopo seracco, sia acquisire basi e strumenti in grado di comprendere realmente il cammino intrapreso dalle menti migliori di questo Paese, che rappresenta un caso unico nella breve storia dell’umanità e accennare, nei limiti delle mie scarse capacità di interprete e di studioso a tempo parziale, alle punte massime di ricerca ed elaborazione teorica da loro raggiunte. L’auspicio è che sia possibile, per le menti più acute e allenate della mia, una volta raggiunti insieme questa cima, affinare ulteriormente gli strumenti presentati, così da attaccare e conquistare nuove cime, sempre più alte.
Cari compagni, buona lettura.
* * * *
Capitolo 4
L’autoregolazione nei sistemi economici (parte II)
4.3. La riproduzione, meccanismo interno di autoregolazione dell’economia socialistica
La combinazione fra pianificabilità e riproduzione allargata è da considerarsi come il cardine dell’autoregolazione economica nel socialismo. Al fine di garantire il funzionamento delle leggi economiche del socialismo, occorre:
-
Includere il progresso scientifico-tecnologico all’interno del ciclo di produzione e riproduzione economica, in quanto sfera autonoma di riproduzione;
-
Includere la scelta consapevole nella serie delle forze creative della società, attive all’interno dell’economia sociale, in quanto fattore del processo riproduttivo e del processo di autoregolazione in generale; includere anche i rapporti fra quelle persone, collegate a tali scelte consapevoli, nel processo riproduttivo, al pari dei rapporti economici;
-
Ampliare anzi, meglio, arricchire la rete di relazioni e proporzioni all’interno della riproduzione allargata, sviluppando appieno un’efficiente attività di intensificazione (интенсификация).
Con la transizione a un nuovo modo di produzione, tale mutamento radicale inevitabilmente porta a cambiamenti altrettanto radicali nella suddivisione in blocchi del processo di riproduzione allargata e, pertanto, anche a mutamenti delle «regole» (правило) che ne regolano l’interazione fra loro.
Tuttavia, tale mutamento non può essere arbitrario: guardando il problema da un punto di vista dialettico, esiste un filo che unisce passato e presente, per cui la precedente forma di riproduzione allargata della merce sopravvive, nel corso del processo di sviluppo sociale, come caso particolare (частный случай) all’interno di uno schema, di un’architettura, ben più evoluta e complessa.
Scrive Marx, illustrando il metodo dell’economia politica ed esaminando il rapporto fra categorie elementari (per es. il denaro) e l’insieme concreto che si pone allo studioso in tutta la sua complessità (per es. il capitale):
le categorie elementari sono espressione di rapporti, in cui un concreto sottosviluppato può già trovare una prima realizzazione, senza aver sviluppato quella ricchezza di rapporti o relazioni, espressi idealmente dalla categoria più concreta; allo stesso tempo, il concreto più sviluppato mantiene in sé la categoria precedente, come rapporto subordinato70.
Il senso di questa affermazione è abbastanza evidente: in ogni tappa di sviluppo (e quindi complicazione – усложение) sociale, i singoli fenomeni, semplici unità di base, categorizzati precedentemente, si conservano, ma come parte subordinata, più o meno residuale di un nuovo, più ricco e complesso, insieme concreto di relazioni.
Se aggiungiamo il fatto che, col mutare della legge economica fondamentale relativa al modo di produzione:
-
si ampliano i confini del processo economico;
-
cambia la sostanza della produttività del lavoro;
-
sorge una nuova forma di equivalenza, che comprende in sé il vecchio caso particolare, un tempo esso stesso forma di equivalenza del vecchio modo di produzione;
appare assolutamente chiara la necessità di fare evolvere, di conseguenza, anche lo schema di riproduzione allargata.
Attorno a questo problema si sta verificando un dibattito molto acceso nella scienza economica. Un tipico punto di vista è il seguente:
Alcuni economisti sostengono che “i rigidi confini tra produzione dei mezzi di produzione (settore A) e produzione dei beni di consumo (settore B) stanno per essere erosi”71. Non possiamo essere d’accordo con questa affermazione. Dal momento che vi sarà sempre una distinzione fra consumo produttivo (производственноe потребление, impiego intermedio di risorse nel ciclo produttivo) e improduttivo (непроизводственное потребление, impiego finale dei beni di consumo propriamente detti), vi sarà sempre una barriera fisica e materiale fra i tipi di produzione a essi corrispondenti. Per esempio, anche se aumenterà la produzione, nell’industria pesante, di beni destinati all’impiego diretto da parte della popolazione (autoveicoli, per esempio) e dal lungo ciclo di vita, ciò non comporterà una “erosione” dei confini fra la produzione di mezzi di produzione e beni di consumo72.
A nostro avviso, qui si tendono a confondere due piani: la “barriera fisica e materiale fra i corrispondenti tipi di produzione” in effetti si manterrà per sempre, dal momento che, nella sua forma fisica, materiale, un trattore sarà sempre diverso da una bicicletta, anche se la loro tecnologia di produzione, in certi punti, potrebbe coinvolgere lo stesso tipo di macchinari. Per quanto riguarda, invece, “consumo produttivo e improduttivo”, stiamo parlando di categorie storicamente determinate, ovvero soggette a rapporti economici. Col mutare di tali rapporti, anche la capacità descrittiva di tali categorie man mano si riduce fino a divenire insufficiente.
Un altra discussione, invece, verte su quale categoria di relazioni, sovrastrutturale (надстроечная) o strutturale (базисная), sia propria dell’attività stessa di pianificazione, ovvero a quale di queste due categorie appartenga il lavoro di queste persone finalizzato alla realizzazione della pianificabilità.
Il contenuto della legge di sviluppo pianificato… consiste nella proporzionalità della produzione sociale… La forma dello sviluppo pianificato e proporzionale è spesso detta pianificazione, il cui compito è, per l’appunto, pianificare l’attività di Stato e società. Per definizione, tale forma appartiene alla sovrastruttura, mentre il suo contenuto esprime un rapporto produttivo. Tuttavia, la legge oggettiva di cui sopra, i rapporti produttivi che essa esprime, non possono collocarsi certo nella sovrastruttura. La pianificabilità presuppone la pianificazione, ma collocandosi su piani diversi. Portarle sullo stesso piano non fa altro che confondere il meccanismo di azione delle leggi oggettive73.
In realtà, a confondersi in questo ragionamento sono due argomenti: la linea di confine fra struttura (базис) e sovrastruttura (надстройка) e l’appartenenza di diverse forme di rapporti sociali alla prima o alla seconda. In effetti, se si parte dal principio che il contenuto dei processi economici interessi solo la produzione sociale in quanto tale, va da sé concludere che la pianificazione sia un processo esterno, extra-economico, sovrastrutturale, realizzato dallo Stato in relazione all’economia stessa.
Tuttavia, se la legge economica fondamentale amplia l’ambito di applicazione del processo economico di autoregolazione all’intera economia sociale nel suo complesso, dal momento che è l’intero complesso dell’economia sociale a provvedere l’intero flusso di beni materiali e immateriali, oltre che di servizi, ecco che la linea di confine fra struttura e sovrastruttura trasla, si sposta più in là, e processi che prima non appartenevano alla struttura, divengono strutturali.
Engels scrive: “Ma in uno stato di cose razionale che oltrepassi la spartizione degli interessi, come nel caso degli economisti, l'elemento spirituale, certamente, apparterrà anch'esso agli elementi della produzione e, in economia, troverà anche il suo posto fra i costi di produzione74”. Anche la pianificazione, ovvero l’impiego consapevole di una pianificabilità oggettivamente parte del modo socialistico di produzione, non può quindi che rappresentare un elemento immateriale, potremmo dire nell’accezione di cui sopra spirituale, di estrema importanza per la vita dell’economia socialistica. Nelle argomentazioni sul limite fra struttura e sovrastruttura nel modo socialistico di produzione, non di rado si trascura il fatto che ogni sistema di rapporti sociali è “un particolare organismo sociale, che possiede particolari leggi che ne regolano la nascita, il funzionamento e il passaggio a una forma superiore, la trasformazione in un altro organismo sociale”75.
Il processo di riproduzione, in quanto cardine dell’autoregolazione economica, si sviluppa lungo tutti gli elementi strutturali fondamentali di qualsiasi sistema economico si voglia prendere in considerazione, come abbiamo già avuto modo di vedere nel primo diagramma illustrato in questo capitolo. In ogni elemento strutturale, a sua volta, avvengono contemporaneamente tre trasformazioni.
La prima trasformazione è da materia prima a prodotto finito (преобразование материала в продукт). La sfera gigantesca dell’attività e della strumentazione ingegneristica è al servizio di tutte queste trasformazioni nella nostra economia. È impossibile ricondurre queste trasformazioni a dei tratti che le pongano economicamente a paragone, ed è questa una caratteristica importante di questo tipo di trasformazione.
La seconda trasformazione è da tempo di lavoro a valore (преобразование рабочего времени в стоимость). In un regime di proprietà privata dei mezzi di produzione e di appropriazione padronale del plusvalore, tale trasformazione regolava l’intero processo sociale di riproduzione della merce, ovvero l’intera autoregolazione economica. Era, essenzialmente, grazie a questa trasformazione, assurta al ruolo di criterio alla base dell’autoregolazione capitalistica, che tipi di produzione qualitativamente diversi potevano essere messi economicamente a paragone fra loro. Con l’avvento del socialismo e della proprietà privata dei mezzi di produzione, questa trasformazione cessa di essere criterio di autoregolazione economica.
Continua a influire, certamente, sul processo di autoregolazione, in quanto è in essa che si forma la massa di reddito netto a disposizione del sistema economico e, di conseguenza, è in base a essa che si definiscono i limiti di manovra economicamente sostenibili. Tuttavia, un conto è determinare sulla sua base la sostenibilità economica di ogni singola operazione (o aggregati limitati delle stesse), procedimento tipico del modo capitalistico di produzione; un altro conto è, invece, poter disporre per l’allocazione delle risorse di un’intera massa di reddito netto nazionale, i cui contorni – certamente – sono delineati e determinati dalla somma dei risultati della trasformazione in valore, ma la cui ripartizione e funzionamento interni rispondono a logiche complessive di soddisfacimento di bisogni sociali, laddove il surplus in un settore PUÒ E DEVE andare a coprire, “a perdere” si direbbe in una logica capitalistica, il finanziamento di un altro settore (sanitario, scolastico, assistenziale, per fare solo tre esempi), al fine di garantirne la pubblica fruizione: una differenza fondamentale.
La terza trasformazione, che avviene in ogni elemento strutturale, è da libertà di scelta (indeterminatezza dell’azione) all’insieme dei diversi risultati complessivi all’interno del sistema (преобразование свободы выбора (неопределенности деятельности) в разнообразие совокупных результатов системы). Anche in questo caso, i risultati sono del tutto comparabili fra loro, dal momento che, per ogni tipo di attività creativa dell’uomo è possibile, in base alle risorse materiali necessarie, ai risultati attesi e al tempo di lavoro previsto,
a. determinare quali e quante operazioni compiere in ciascun suo elemento,
b. confrontare tali operazioni con le condizioni e le risorse esterne esistenti.
Nelle condizioni di un socialismo maturo, è proprio questa trasformazione a correlare l’attività di un singolo elemento (in quanto parte di un sistema) al criterio generale di autoregolazione economica.
La possibilità di ridurre tutte le trasformazioni in ogni elemento della struttura a un’unica grandezza comparabile, è alla base di tutte le successive valutazioni economiche di comparazione quantitativa.
Così, l’elemento di novità e differenza principale dell’autoregolazione e, di conseguenza, della riproduzione fra modo socialistico di produzione e i precedenti, consiste nel fatto che il processo si svolge su due «piani» diversi.
La trasformazione del tempo di lavoro in valore attiene al «piano» (плоскость) specifico, limitato, entro cui le condizioni individuali di riproduzione degli elementi della struttura economica si rapportano alle limitazioni economiche complessive imposte alla riproduzione stessa.
Il secondo «piano» è invece determinato dal rapporto fra il terzo tipo di trasformazione in ogni elemento e il criterio fondamentale di autoregolazione del sistema; quest’ultimo, lo ricordiamo, esige l’allineamento progressivo di due strutture: quella dei beni e servizi prodotti con quella dei bisogni sociali dichiarati.
Consideriamo ora il seguente schema:

Come è facile notare, in tutte e tre le trasformazioni lo stesso elemento che le opera si pone in relazione a queste due strutture come protagonista di una duplice azione e, di conseguenza, una duplice scelta: una volta come consumatore (потребитель, “parte” della struttura dei bisogni sociali e, al contempo, selezionatore in rapporto alla struttura di beni e servizi prodotti da altri e di cui esso stesso abbisogna) e un’altra volta come fornitore (поставщик, “parte” della struttura dei beni e servizi prodotti e, al contempo, selezionato in rapporto alla struttura dei bisogni sociali altrui cui è chiamato a rispondere).
In tale cornice, lo stesso prodotto utile in economia sarà oggetto di una doppia misurazione, prima come risultante di più ingredienti in entrata e poi, divenuto a sua volta ingrediente (unico o insieme ad altri) del soddisfacimento di un bisogno dato, come risultato esso stesso in uscita.
Sorge quindi la necessità di poter misurare le due strutture in modo omogeneo, compatibile fra loro, al fine di scegliere le condizioni di entrata (условия входа) e le condizioni di uscita (условия выхода) ottimali. Il passo successivo, pertanto, e altrettanto necessario, sarà di individuare una base comune fra queste due strutture per compiere tale misurazione.
Tale delicata funzione è ricoperta dalla terza trasformazione, che rappresenta proprio quella fase di concretizzazione della creatività dello sceglitore nella singola scelta operativa adottata, avvalendosi del legame plurivoco, a più uscite possibili (неоднозначная связь), fra scelta in entrata e scelta in uscita (между выбором по входам и выбором по выходам).
Per dimostrare questo, partiamo da un presupposto: per ogni elemento strutturale è possibile porre queste due scelte in relazione fra loro e, per ciascun gruppo definito di elementi in entrata, scelti in tale fase da un dato elemento strutturale, è possibile lavorare su un ventaglio di diverse opzioni di beni e servizi in uscita.
Nel modo di produzione precedente al nostro, infatti, sia la scelta in entrata, che quella in uscita, erano subordinate ad un solo e unico criterio globale (e ad un egualmente unica forma) di accumulazione della ricchezza. Cardine dell’intera procedura di autoregolazione economica era il valore con il suo corrispondente sistema di misurazione.
Nel socialismo non è così. Non solo le due scelte non sono vincolate fra loro, ma si crea anzi una loro oggettiva indipendenza (объективная независимость) dal punto di vista operativo. Tale indipendenza, se correttamente sfruttata da un punto di vista economico, costituisce in realtà la chiave (ключ) non solo per risolvere le contraddizioni che potrebbero emergere da un mancato coordinamento fra le due strutture, ma anche per ottenere risultati migliori dal punto di vista della legge fondamentale del socialismo, ovvero di una produzione finalizzata al soddisfacimento dei bisogni sociali.
Nelle nuove condizioni date dalla transizione al modo socialistico di produzione, ci troviamo di fronte a una situazione essenzialmente inedita76, data dal collegamento in un totale unico di tutte le scelte, realizzate nei singoli elementi strutturali dell’economia: nasce, quindi, la necessità oggettiva di collegare fra loro limiti e criteri di autoregolazione del sistema nel suo complesso. A tale scopo sono individuati appositi elementi, con il compito di fissare i limiti per le scelte in entrata e in uscita di ciascun altro elemento del sistema. Con il loro avvento all’interno della struttura economica, cominciamo ad apprezzare anche l’efficacia della loro azione e il loro contributo all’attuazione della legge economica fondamentale del nostro modo di produzione.
Basandoci su questi elementi, oggettivamente necessari, e in grado di concretizzare la pianificabilità tramite un insieme coordinato di scelte consapevoli, siamo in grado di ricavare un quadro progettuale completo circa la struttura del processo di riproduzione nell’economia socialistica, oltre che le condizioni della sua realizzazione. La scelta che si compie, in qualsiasi elemento strutturale, nelle condizioni di trasformazione del terzo tipo, conduce a diversi risultati utili. Tali risultati possono, a loro volta, essere distinti in tre grandi classi, in rapporto alla diversa funzione sociale ricoperta.
La I classe comprende le attività collegate a interventi strutturali di ricostruzione di funzione (реконструкция функции) del sistema economico, grazie a una continua innovazione. Tale attività porta alla creazione di prototipi di beni e servizi precedentemente assenti nel flusso dei risultati potenziali del sistema economico. I prototipi di beni e servizi possono possedere diversi gradi di innovazione. Un prodotto industriale rivoluzionario come concezione e tipo di produzione richiesta, è in grado di incidere in maniera importante sulla base materiale di molti interi settori della produzione. Lo era stato a suo tempo il transistor, per esempio, oggi peraltro soppiantato dal silicio. Senza tale radicalità, gli interventi di innovazione possono essere anche minimi, comportando piccoli mutamenti sia di caratteristiche che di funzioni, ma ciò nonostante parliamo sempre di un prodotto nuovo.
La II classe comprende invece le attività che producono mutamenti NON strutturali sul sistema. Ciò avviene quando sono immessi, nel flusso di beni e servizi, nuovi prodotti ottenuti creati sfruttando condizioni materiali già disponibili. In altre parole, si agisce sulla possibilità di agire su leve preesistenti che attivano determinate funzioni, bloccandone altre, fra la varietà disponibile di scelta all’interno della base materiale data. Compaiono così nuovi modelli di beni materiali e nuovi tipi di servizi, attivando e disattivando opzioni, creando molteplici possibili alternative senza mutare né macchinari, né manodopera e preparazione professionale della stessa. I beni e i servizi prodotti secondo questi parametri, saranno frutto di una riproduzione basata su una parte fissa e una variabile (условно-постоянный), laddove tuttavia le scelte agiranno soltanto su parametri esistenti, senza crearne di nuovi.
La III classe comprende infine le attività che difendono il regime di produzione scelto. Sono dirette verso l’esterno, contro possibili movimenti di disturbo da lì provenienti. Anche per questa attività di prevenzione e tutela, sono necessari creatività, spirito d’iniziativa, oltre che nuovi mezzi di difesa, resi necessari anche in questo caso dall’evoluzione sociale e dai nuovi bisogni da essa generati.
La I classe, la ricostruzione delle funzioni del sistema economico, crea nuovi modelli di beni e servizi. La II classe, ovvero la scelta di quel regime particolare di funzionamento fra tutti quelli possibili, determina la quantità di beni e servizi da realizzare, la qualità specifica di ciascuno di essi, oltre che determinare chi fra loro non dovrà essere più realizzato per obsolescenza o perché non più necessario. La III classe, ovvero la difesa del regime di funzionamento scelto, fa sì che avvenga la realizzazione pratica delle quantità e delle qualità scelte dalla seconda categoria, tutelando lo svolgimento regolare del ciclo riproduttivo di beni e servizi.
La I classe di attività attiene alla sfera degli investimenti, la II a quella infrastrutturale. La III classe è invece quella deputata all’esecuzione materiale77.
Queste tre classi non riguardano un solo punto, un solo elemento del sistema. È possibile individuarli in ogni zona: attività ricostruttiva in zona di partenza, e così via per le zone di partenza, di destinazione e intermedia. Sviluppando il procedimento otterremo una griglia strutturale del processo di riproduzione (структурная решетка процесса воспроизводства), una matrice quadrata (3 x 3) di nove aree di attività complessivamente, considerate in base alla loro collocazione sia in rapporto alla struttura del sistema nel suo complesso, che in definizione alla loro funzione all’interno del sistema.
Questa classificazione ci consentirà di costruire, per ogni situazione specifica, un grafico delle attività dominanti che le caratterizzano e, successivamente, schemi che descrivano con precisione il processo di riproduzione della merce.
La relazione quantitativa fra i blocchi di tale griglia costituisce una relazione quantitativa fra i gruppi di libertà di scelta (gruppi di creatività массы творчества) di cui ciascun blocco dispone. Ciascuna di queste relazioni è riprodotta collocando ciascuno dei nove blocchi lungo riga e colonna di una matrice quadrata di 9x9.
Lo sviluppo di ciascun blocco è correlato alle limitazioni al processo di riproduzione nel sistema economico intero, in quanto è proprio fra i blocchi che è ripartito il reddito netto nazionale che è creato nel sistema. Da come il reddito netto sarà, pertanto, ripartito, dipenderà quale libertà di scelta sarà realizzata all’interno di ciascun blocco.
La struttura qui presentata del processo di riproduzione della merce descrive
una regolazione condotta internamente al sistema, sia che si parli di limitazioni
alla stessa, che di criterio di autoregolazione economica.
4.4. La sfera tecnico-scientifica: elemento chiave della riproduzione dell’economia socialistica
La sfera degli investimenti è la base dello sviluppo tecnico-scientifico della riproduzione sociale. Condizione fondamentale per la riproduzione ampliata dell’intera economia socialistica è una maggior creazione di prototipi, molti dei quali saranno destinati successivamente alla messa in ciclo su vasta scala. Gli elementi strutturali dell’economia si differenziano per funzione e origine, numero di esemplari prodotti e prototipia a essi connessa.
La prima questione a cui è necessario dare risposta è: quale prototipo immettere in produzione? Definiamo iniziativa di investimento (инвестиционная инициатива) l’impostazione in questi termini della questione e la sua soluzione.
Storicamente (e logicamente) l’iniziativa di investimento nasce, da un lato, con una sempre maggiore specializzazione delle attività produttive e, dall’altro, con l’aumentare degli elementi che si occupano a tempo pieno di creare nuovi prototipi e traghettarli alla loro riproduzione su scala industriale. La base di partenza, su cui funzionano tali elementi strutturali, è il reddito netto generato all’interno del sistema economico: esso, di fatto, costituisce la fonte unica della riproduzione ampliata all’interno di tale sistema. La forma entro cui tale movimento si realizza, diviene l’iniziativa di investimento.
In tale quadro, è necessario definire con precisione una concezione (концепция) dell’iniziativa di investimento, in grado di
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indicare quali elementi economici occorra sviluppare, in quale forma e con quale grado di responsabilità economica (ovvero, di investimenti diretti). Inoltre, tale concezione deve
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comprendere i risultati dell’iniziativa di investimento, definirli quantitativamente e qualitativamente, e collegare tale definizione in generale ai risultati di funzione di sistema. Infine, si devono
creare regole per individuare il campo di applicazione dell’iniziativa di investimento, ovvero entro quali rapporti economici possa esercitare la propria attività, nonché quali elementi siano deputati alla sua realizzazione e quali alla sua ricezione, una volta realizzata.
Parimenti necessarie sono le procedure per la sua definizione ed esercizio, anche dal punto di vista giuridico. È molto importante che gli indicatori dei risultati e le attività di incentivazione rivolte agli elementi coinvolti nell’iniziativa, siano entrambi collegati, coerenti, armonizzati al risultato finale della funzione principale dell’intero sistema.
Nel diagramma che segue, è illustrato il meccanismo degli investimenti all’interno del modo capitalistico di produzione.

Gli elementi, alla base della formazione del reddito netto, sono le stesse aziende che contribuiscono principalmente al ciclo di riproduzione della merce e, la loro, è iniziativa di investimento diretta, di cui sono le uniche responsabili (ответственная инвестиционная инициатива). Tale responsabilità è in genere soggetta a due condizioni, connaturate allo stesso modo capitalistico di produzione:
1) le aziende capitalistiche impegnate nel sistema di riproduzione, ovvero nella produzione su scala industriale, esercitano un’influenza decisiva sul plusvalore prodotto e, soprattutto, a loro redistribuito;
2) tali aziende sono interessate a nuovi modelli, nella misura in cui essi costituiscano la via per acquisire una quota sempre maggiore di plusvalore.
La scelta di introdurre sul mercato, ovvero lanciare la produzione su vasta scala di nuovi modelli, spetta agli elementi titolari dell’iniziativa di investimento che si assumono la piena, reale responsabilità di tale scelta: il mancato acquisto, ovvero il fallimento dell’iniziativa stessa, condurrebbe facilmente al loro stesso fallimento. Per questo, possiamo affermare che i meccanismi di mercato e di concorrenza costituiscano i cardini di un esercizio responsabile dell’iniziativa di investimento nel capitalismo.
Gli elementi che accumulano e concentrano il reddito netto per reinvestirlo (e ricavarne ulteriore profitto) sono, in genere, le banche. La richiesta di fondi segna un momento importante dell’iniziativa di investimento, così come la richiesta di prototipi da produrre su vasta scala. La freccia corrispondente indica come le banche ripartiscano questi fondi in investimenti di capitale.
Il sistema di organizzazioni di ricerca tecnico-scientifica si colloca nel ruolo di esecutore in relazione a due committenti: le aziende, creatrici di reddito netto e portatrici dell’iniziativa di investimento, e le istituzioni statali, che riescono a concentrare nelle proprie mani parti di reddito netto tramite le tasse e, con tali risorse, cercano di finanziare le organizzazioni tecnico-scientifiche per studi e ricerche che esulino dalle necessità immediate di risultati concreti, tentando così di superare le contraddizioni derivate dalla responsabilità del privato di giustificare la propria iniziativa di investimento con un ritorno in termini di profitto che, in molti casi, non solo non è immediato o non è per nulla sicuro, ma non è neppure previsto.
Torniamo ora al nostro campo. Affinché all’iniziativa di investimento sia garantito il dovuto spazio, e il meccanismo degli investimenti eserciti la necessaria influenza sull’autoregolazione dell’economia socialistica, è anzitutto necessario che il meccanismo di valutazione economica dell’iniziativa di investimento corrisponda sempre al criterio di realizzazione della legge economica fondamentale del socialismo.
Per esempio, nella letteratura scientifica spesso si propone di valorizzare (оценивать) e incentivare (стимулировать) il progresso scientifico e tecnologico, tenendo nella dovuta considerazione il cosiddetto effetto consumatore sul prezzo del prodotto (потребительский эффект в цене продукта). Il nuovo prodotto, tecnologicamente più avanzato, una volta immesso al consumo, si porrebbe immediatamente a confronto con quello vecchio, obsoleto, che sarebbe così “naturalmente” sostituito. Tale comparazione, tuttavia, ha senso soltanto se l’insieme dei “vecchi” e dei “nuovi” prodotti mantiene un minimo di comunanza (нечто общее) con il criterio generale di autoregolazione del sistema.
Tale condizione funziona nel capitalismo, dove i prodotti nuovi e quelli in sostituzione sono determinanti ai fini della fetta di mercato per ciascuna azienda a esso partecipante: in altre parole, determinano la quota di plusvalore di cui un dato capitalista si appropria tramite la realizzazione commerciale del prodotto.
Tale condizione NON funziona nel socialismo. Nel nostro sistema, il criterio globale di realizzazione della funzione di sistema è la collimazione della struttura dei bisogni (B) con la struttura dei risultati (R). Il ruolo di un nuovo prodotto immesso in consumo, potrebbe anche non essere del tutto equivalente al “vecchio” prodotto, così come potrebbe intervenire sulle due strutture senza alcuna conseguenza sui prodotti preesistenti.
Inoltre, anche un ridotto costo della manodopera di un nuovo prodotto, rispetto alle produzioni esistenti, proprio per questo motivo non può determinare una riduzione del costo del lavoro in generale.
Pertanto, il meccanismo di investimenti è operativo solo quando i segmenti economici, che rendono possibile l’attuazione della legge economica fondamentale, dispongono pienamente dei fondi, che rendono possibile l’iniziativa di investimento.
Nella situazione attuale, invece, parliamo sì di sfera scientifico-tecnologica come area decisiva su cui si gioca gran parte dello sviluppo dell’economia socialistica; certamente i suoi lavoratori sono impegnati nel lavoro potenzialmente più produttivo in assoluto, nel senso socialistico del termine. Eppure, gli stessi sono esclusi dalla gestione dei fondi destinati all’iniziativa di investimento. Tali fondi arrivano loro a giochi fatti, solo dopo che è stata decisa da altri l’entità dell’iniziativa di investimento e le varie destinazioni dei fondi stessi. Fa eccezione soltanto la ricerca scientifica pura (фундаментальная наука), quella che studia i principi fisici, biologici, chimici, ecc. ma non le sue applicazioni.
Assistiamo, pertanto, a un paradosso (парадокс). Nella ricerca scientifica pura facciamo passi da gigante, ma il meccanismo di investimento (инвестиционный механизм) attuale rallenta poi le tappe successive a tali scoperte: la trasformazione delle idee in progetti (проекты), in piani strutturati (конструкции) e, più in generale, in tutte le forme operative cui tali scoperte possono e debbono dare seguito. Il motivo è semplice: le discipline scientifiche «di settore», i segmenti dedicati alle scienze applicate, sono sì quelli che materialmente eseguono i compiti di investimento assegnati, ma non hanno alcun accesso alla ripartizione e disposizione iniziali dei fondi destinati all’iniziativa di investimento.
Invece, le modalità di concentrazione dei fondi destinati all’iniziativa di investimento debbono essere concordi alle dimensioni e alla composizione organica dell’iniziativa di investimento, alla sua durata nel tempo e all’impatto, alla «risonanza» (резонанс), che da essa si propaga lungo tutte le direttrici del sistema economico.
Per un’idea di cosa comporti la mancanza di tale coordinamento, possiamo rifarci, ancora una volta, al caso concreto dello sviluppo nel campo idroelettrico: da un lato, ci mostra la forte capacità del nostro sistema economico di mobilitare enormi quantità di fondi da investire in progetti di vastissima scala; dall’altro lato, tuttavia, ci mostra anche la debolezza dell’attuale meccanismo economico nella scelta fondata di tali progetti e nella corretta valutazione degli effetti collaterali e di medio e lungo termine.
La riproduzione delle attività legate alla sfera scientifico-tecnologica deve essere rispondente al criterio (критерия) del medesimo sviluppo scientifico-tecnologico. Oggi, invece, si tende a sostenere grandemente quei settori che offrono all’economia notevoli risparmi, senza considerare minimamente cosa questo possa comportare in termini di ricadute sul flusso generale di beni e servizi e, cosa ben più grave, come e quanto le innovazioni così generate possano favore l’accostamento fra le strutture dei bisogni sociali e dei risultati.
Per questo, nel considerare le questioni relative all’iniziativa di investimento, occorre tener presente alcuni momenti chiave:
1. È necessario riconoscere il carattere produttivo del lavoro nella sfera scientifico-tecnologica, attuare misurazioni adeguate a esprimere l’equivalenza quantitativa fra i risultati utili in uscita e il grado di realizzazione della legge fondamentale del modo socialistico di produzione, elaborare un apparato di calcolo in grado di valutare questa nuova equivalenza;
2. È necessario trasferire i fondi, destinati a modificare un andamento preesistente del ciclo riproduttivo di beni e servizi (essenzialmente per imprimere un nuovo corso all’intero processo di autoregolazione economica) direttamente nelle mani delle organizzazioni tecnico-scientifiche;
3. È necessario creare un meccanismo di investimento tale per cui, le risorse dell’iniziativa di investimento, siano suddivise fra gruppi di organizzazioni tecnico-scientifiche, facenti parte di uno stesso ciclo di iniziativa. Tale ciclo potrà differire da gruppo a gruppo. Di conseguenza, occorrerà definire i meccanismi in grado di assegnare a ciascun gruppo la giusta concentrazione di risorse al fine di portare a buon fine l’iniziativa di investimento.
Per portare a buon fine l’iniziativa di investimento, i segmenti della sfera scientifico-tecnologica devono ovviamente essere interessati ad essa. Tale interesse si suscita in due modi:
1. Con la piena responsabilità economica e giuridica sia sull’iniziativa che si assume, che sui fondi economici messi a disposizione per la stessa;
2. Con contratti (договор) in cui i segmenti della sfera scientifico-tecnologica figurano come committenti (заказчик) e gli altri elementi della sfera economica come esecutori (исполнитель) del loro ordinativo (заказ).
Ecco allora che, se gli esecutori aumenteranno il loro reddito netto, in virtù dell’innovazione apportata grazie ai loro committenti, i segmenti della sfera scientifico-tecnologica, tale aumento ritornerà per la maggior parte a finanziare la stessa ricerca che lo ha generato. Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo il suo lavoro: solo così il principio di giustizia (nel senso socialistico del termine) sarà pienamente rispettato.
Ecco perché un ruolo sostanziale, e di prospettiva, nel meccanismo dell’iniziativa di investimento socialistica, lo può giocare infine anche la rendita (рента), in quanto meccanismo informativo delle sproporzioni fra nuovi bisogni sociali e la distribuzione reale dei mezzi per il loro soddisfacimento. La rendita può costituire una delle leve interne di regolazione economica del meccanismo di investimento, in grado di collegare i risultati in uscita verso segmenti dell’economia non appartenenti alla sfera scientifico-tecnologica (e privi di accesso a qualsiasi iniziativa di investimento), alla catena di rapporti interni intercorrenti fra i diversi blocchi sequenziali (эшелона) della ricerca scientifica.
Quanto appena accennato, ci permette di tracciare uno schema generale del meccanismo di investimento che sia adeguato, a nostro parere, alle condizioni di autoregolazione economica di una formazione socialistica matura. Secondo lo schema proposto, gli elementi che formano il reddito netto restano separati da quelli che lo concentrano nelle loro mani, esattamente come nello schema attuale. Tuttavia, a differenza di quest’ultimo, gli elementi che concentrano reddito netto qui non promuovono più alcuna iniziativa di investimento. Infatti, la ripartizione degli investimenti fra ricerca e sviluppo, ristrutturazione delle basi tecnico-materiali e, come conseguenza di questo, ristrutturazione delle funzioni economiche, è ora trasferita agli organi di gestione centrale del progresso scientifico-tecnologico:
Come da schema, la stessa sfera scientifico tecnologica è suddivisa in tre blocchi: zona di partenza (ricerca, исследованиe), zona intermedia (progetto, проэкт) e zona di destinazione (ingegnerizzazione, конструирование).
La zona di partenza opera, in ingresso, sui limiti «natura-economia» («природа — хозяйство») e «materia-coscienza» («материя — сознание»). È la ricerca scientifica pura applicata allo studio dell’ambiente circostante, in entrata, e a risultati utili a ulteriori elaborazioni scientifiche, in uscita.
Tali elaborazioni sono compiute dalla zona intermedia, l’unica ad avere a che fare sia in entrata che in uscita con organizzazioni scientifiche: i risultati scientifici in ingresso sono ricombinati, raggruppati, accostati mediante processi in parallelo o in sequenza secondo un progetto, per l’appunto, in grado di verificarne sperimentalmente fattibilità, modalità di impiego delle risorse e bontà dei risultati in uscita.
Tali risultati costituiscono gli indispensabili dati in ingresso della zona di destinazione, che si occupa dell’applicazione concreta di tali progetti, ovvero della ingegnerizzazione di dispositivi o complessi scientifico-tecnologici (risultato in uscita) in quanto detentori fondamentali dell’iniziativa di investimento e, in tale meccanismo di investimento, attuatori della stessa in nome e per conto dell’intera sfera scientifico-tecnologica. Col termine «organizzazione ingegneristica» («конструкторская организация»), per inciso, intendiamo tutte quelle organizzazioni che ricoprono la funzione appena descritta: per esempio, sono da intendersi quei segmenti che si occupano della costruzione di nuovi stabilimenti, piuttosto che di urbanistica residenziale, in quanto tutti operanti nella “zona di destinazione” dell’iniziativa di investimento.
Come mostra lo schema, due blocchi della sfera degli investimenti, progetto e ingegnerizzazione, esercitano la loro attività sulla base di rapporti creditizi che intercorrono con gli elementi che concentrano nelle loro mani il reddito netto. Il saldo di tale credito avviene al momento dell’incasso delle competenze per la loro prestazione in favore dell’elemento successivo della catena di investimento: nella fattispecie,
- gli elementi della sfera “ingegnerizzazione”, in virtù della loro responsabilità diretta nella conduzione dell’iniziativa di investimento, per ricostruire la funzionalità di quegli elementi economici alla base della formazione di reddito netto, ricevono in cambio parte di quell’incremento di reddito netto che, con la loro opera, hanno contribuito a realizzare, e con esso saldano sia le spettanze degli elementi della sfera “progetto”, verso cui sono debitori dei servizi svolti, sia i debiti contratti con gli elementi finanziatori. A loro volta,
- le organizzazioni della sfera “progetto”, ricevono dalle organizzazioni della sfera “ingegnerizzazione” il pagamento per i loro servizi; pagamento, reso possibile dal precedente incasso, da parte delle organizzazioni ingegneristiche, della porzione di reddito netto creato ex novo dalle aziende esecutrici; si tratta, pertanto, della “rendita” come forma di pagamento (рентные платежи); una volta incassata tale rendita, possono quindi saldare il debito contratto con gli elementi finanziatori.
Questa procedura si differenzierà realmente da quella attuale (ovvero realmente stimolerà novità in grado di modificare il rapporto fra le strutture dei bisogni e dei risultati “B” e “R”), se la quota di reddito netto, che resterà nelle tasche delle aziende che lo creano, dipenderà non più solo dalla massa di reddito creata ex novo, ma anche dall’“effetto consumatore” (потребительский эффект) generato dai mutamenti provocati dall’ingresso dei risultati in uscita dalla sfera degli investimenti.
A tal fine, saranno necessari cambiamenti nel meccanismo di cooperazione fra elementi strutturali non solo nella sfera degli investimenti, ma anche in tutte le altre sfere economiche. Di questo, parleremo nei prossimi capitoli. Per ora, ci basti ribadire che un’iniziativa di investimento responsabilenon necessariamenteè chiamata ad agire sulla massa di reddito netto; necessariamente, invece,è chiamata ad agire sul grado di realizzazione della funzione economica generale di sistema, ovvero avvicinare le strutture dei risultati “R” a quelle dei bisogni “B” cui tali risultati sono destinati. Per questo, il meccanismo appena illustrato contribuisce a integrare i rapporti, le relazioni, collegate all’iniziativa di investimento, nel quadro dei rapporti economici funzionali all’autoregolazione dell’economia socialistica.









































Comments
Quello che scrivi in merito ai dubbi che ti assalgono appare chiaro, ciò che resta nella penombra o non visibile nella caverna delle idee è il legame tra valore e prezzi che hai in testa. Marx consapevole della non esistenza di una funzione lineare assumendo il comunismo dei capitalisti risolse a suo modo il problema e ragionò diffusamente in termini di prezzi.
Il riferimento a prezzi più alti e bassi è un poco infelice dato che già paesi capitalisti diversi per avere una differente storia e una propria individuale struttura dei prezzi non sono immediatamente comparabili e poi si dovrebbe sapere che unità di misura si usi. Dall'esempio numerico giocando aritmeticamente si può avere un paese con prezzi più elevati e un saggio di sfruttamento minore. Per inciso durante il periodo di accumulazione accelerata nell'URSS il tasso di utile che sarebbe di sfruttamento nel capitalismo dovette essere elevato per forza di cose.
Anche lo specialista sovietico fa un riferimento formale alla teoria del valore ma poi ragiona in termini di rapporti di scambio o prezzi.
Non scoraggiarti sul padroneggiare Marx o la matematica o il gioco delle bocce, non è come per il plusvalore, nessuno può acquisirne di padronanza sottraendola a te perciò il valore che acquisisci e mostri è letteralmente soltanto tuo.
Con simpatia.
Comunque, se smettesse di padroneggiare Marx e ne lasciasse un poco anche agli altri si aumenterebbe la produzione di estratti di essenze.
Uscendo dallo scherzo, vorrei segnalare che il Parlamento Europeo ha ufficializzato la messa al bando dei comunisti. E lo ha fatto attraverso la criminalizzazione della storia sovietica staliniana e la rimozione del significato di Stalingrado. È sempre stato così, ma oggi più che mai, dall'atteggiamento verso quella storia, la nostra storia, si pone il discrimine tra i complici collaborazionisti dell'infamia, i falsi comunisti, e i veri compagni.
Con simpatia.
Per quanto riguarda Stalin, quel povero cristo, che fino al giorno prima appariva sulla Pravda a fianco del tuo mito (perché tu ti riferisci a miti, non a personaggi reali e alle loro luci o ombre), è morto per davvero. Per una delazione. Io ti avrei sicuramente preceduto, ma ho idea che nemmeno tu te la saresti passata meglio: c'è sempre qualcuno, che fino ad allora non era nessuno e che è ansioso di diventare qualcuno, che va a pescare nel passato, e anche se non trova nulla la inventa... salvo poi essere riabilitato post mortem. Ma questa è storia. Ti lascio al mito, visto che la tua infatuazione settaria, come tutte le infatuazioni del resto, non ammette vergogna, e ti lascio anche l'ultima parola.
Stammi bene.
paolo
Inoltre il tentare di affermare di possedere una logica non significa averne una di fatto.
L'espressione "pensare in maniera realistica alla realtà" è un poco confusa e impropria, volendo uno potrebbe vedervi delle contaminazioni metafisiche, ma si capisce che vorresti dire che pensi in modo categoriale e oggettivante e non estrai essenze.
Le parole che riporti di Paolo Selmi sono in effetti leggermente ambigue- ma non nel senso che tu prrtendi sostenere- tuttavia si intuisce chiaramente il senso che egli vuole esprimere.
Se si ipotizza un prodotto netto di 1000 unità di prezzo unitario in una società capitalistica in cui i salari nominali siano 500 la metà va ai lavoratori.
In una società socialista o comunista i salari nominali possono essere 800 e dunque l'80% del prodotto netto va ai lavoratori.
Se nella società capitalistica i lavoratori spuntano un salario nominale di 800 ma i capitalisti impongono condizioni per cui continuano a appropriarsi del 50% il prezzo globale sarà 1600 e quello unitario maggiore.
Le affermazioni "i prezzi si basano necessariamente sul valore", " scostamento dei prezzi dai valori medi" sono equivoche e denunciano uno scolasticismo esoterico non superato e con cui non si è fatto i conti. Ciò significa anche non padroneggiare ancora bene Marx.
Ma come scrivi il tuo impegno a approfondire ti sarà proficuo e limerai certe imprecisioni che suscitano falsi dubbi.
Con simpatia.
Dopo l'ingresso nel PCUS, e doveroso corso di formazione, era diventato direttore di un ufficio postale con sotto duecento persone. Sua moglie era segretaria scolastica nel Conservatorio di Baku. Qui aveva iniziato, a sessant'anni e due bypass, come operaio in una fabbrica di bottoni e, nel giro di qualche anno, era diventato capo modellista: con quel salario manteneva tre figli negli studi, con l'aiuto della moglie che contribuiva con piccoli lavori domestici. E questo per tutti gli anni che ho frequentato la loro famiglia: oggi spero che facciano i nonni a tempo pieno... glielo auguro di cuore. A proposito di revisionismi presunti e vera etica del lavoro, che ho riscontrato in tutti i cittadini ex-sovietici che ho ho avuto la fortuna di conoscere qui in Italia. Un brindisi al compagno Shaig: на здоровье! anzi... Sağ ol!
Paolo
ti ringrazio di questo commento al IV capitolo, di cui hai trovato interessanti su 136 pagine quelle quattro righe perché, come da sempre accade nella Storia di questo essere antropomorfo chiamato uomo, utili a individuare il "Blasphemavit!" (rispetto alla propria concezione) da cui poi far partire i propri giudizi di condanna su tutto il resto (degna conclusione del tuo intervento).
Premessa doverosamente di metodo: qui nessuno, me per primo, diverrà "esperto" di nulla. Tuttavia, TRA ESSERE ESPERTI E NON SAPERNE NULLA, c'è di mezzo un mare che si può e si DEVE colmare. Altrimenti, ci saranno sempre persone che, come hai appena fatto, pensano che con qualche repulisti ogni tanto si risolva il tutto e "si meravigliano" che non abbia ancora recitato il credo e dato caccia a nessun traditore (eppure qualche colpevole mi sembra di averlo nominato... ma si vede che non è nella tua lista...). Quello, se avrai ancora voglia di farlo, fallo dopo. Sporcati prima un po' le mani con le cose pratiche, metti i piedi nel fango dei casini di tutti i giorni, di uno che deve far quadrare conti che non quadrano, che deve rispettare degli obbiettivi che uno ha posto dall'alto senza chiedersi neppure se fattibili o meno, e forse qualcosa capirai anche dei fiumi di parole che versi contro i tuoi nemici dialogando, anche tu in terza persona, coi tuoi amici immaginari. Oppure vai avanti a suon di revisionismi e crucifige: ognuno è libero di divertirsi come vuole.
Permettimi di dissentire anche nel merito, per fortuna la testa oggi non si rischia. Probabilmente non hai MAI né conosciuto, né parlato con un ex membro del PCUS: io - guarda te che sfortuna ha certa gente! - ne ho conosciuti diversi, dovendo distribuire loro il pane nel centro di prima accoglienza dove servivo. Uno di loro si chiama Shaig, lo ricordo ancora con affetto: veniva da un paesino agricolo al centro dell'Azerbaigian, quindi era andato a Baku dove aveva lavorato in una fabbrica di condizionatori (ma dai! facevano anche i condizionatori!) e da lì, iniziato un cursus honorum che lo aveva portato a girare mezzo medioriente, grazie all'esportazione che faceva l'URSS di tali prodotti in altri Paesi, fra cui per esempio la Siria. Dopo anni di kandidat, dove doveva dimostrare NEI fatti di esserne degno, visto che l'accesso al partito comportava assunzione di cariche e responsabilità, diventava membro del PCUS sostenendo un esame teorico di DUE ore.
Tutto puoi dire, tranne che non fossero scelti su basi di fidelizzazione e di adesione incondizionata alla causa. Tuttavia, si sa come si nasce, non si sa come si muore, specialmente
- se una società si evolve
- se tutto è in mano al partito
- se (proprietà transitiva, non virus del demonio) il numero di persone che devono occuparsi di tutto TRIPLICA rispetto ai tempi di Stalin. Questa tabella, primo risultato sulla rete, niente di che, mostra
anno - nr membri PCUS - candidati - totale comunisti
1917 350000 0 350000
1927 786288 426217 1212505
1937 1453828 527869 1981697
1941 2490479 1381986 3872465
1945 3965530 1794839 5760369
1950 5510787 829396 6340183
1955 6610238 346867 6957105
1960 8017249 691418 8708667
1965 10811443 946726 11758169
1970 13395253 616531 14011784
1972 14109432 521857 14631289
1973 14330525 490506 14821031
1977 15365600 628876 15994476
1981 16732408 698005 17430413
1986 18288786 715592 19004378
1988 18827271 641515 19468786
1989 18975725 512097 19487822
1990 18856113 372104 19228217
1991 0 0 16516066
https://www.sovtime.ru/kpss/chislennyij-sostav-kpss
Se i membri del pcus erano 6.6 milioni nel 1955, nonostante la selezione, l'accesso ristretto ecc. nel 1989 erano quasi 19 milioni. Tendenza all'aumento costante, come puoi vedere, a prescindere dal capo. Parlo anche di questo, nei capitoli precedenti. Di cosa non ha funzionato anche da quel punto di vista. Sono solo qualche centinaio di pagine, i capitoli precedenti, non era l'argomento principale, ma qualche appunto di lavoro l'ho preso: vai pure a cercarlo che lo trovi, se ti degni di leggere.
Altrimenti, vai pure avanti che la ricetta sia
- lettera anonima, dove si dice che uno, visto dal delatore in una foto sulla Pravda a fianco di Stalin, nel 1922-24 ospitava Trockij
- conseguente arresto (DICEMBRE 1937)
- fucilazione (SETTEMBRE 1938)
Quell'uno, uno dei tanti, si chiamava Boris Markovic Tal' (1898-1938)
https://colonelcassad.livejournal.com/5293790.html
La sua storia non ti interesserà, tanto era un traditore...
se vuoi, comunque, l'articolo la propone, copiaincolla su yandex traduzioni e qualcosa esce fuori.
Stammi bene, Eros, l'indirizzo mail lo conosci, se vuoi andare avanti a polemizzare vai per favore avanti su quello.
Paolo Selmi
Quando citi la tesi di Ricardo che i prezzi internazionali sono influenzati dai rapporti di forza, ti accorgi che dai ragione alla mia tesi, fondata proprio sulla distinzione tra prezzo e valore, e sul fatto che in uno scambio internazionale in cui una merce viene ceduta da un paese, l'URSS, ad un prezzo inferiore a quello medio-normale ad un altro paese capitalistico, i rapporti di forza non arridono certamente al paese che vende?
Il fatto è che io sono abituato a cercare di pensare in maniera realistica alla "realtà effettuale delle cose", non a scambiare i miei desiderata per la realtà. I miei desiderata sono gli obiettivi che mi propongo di raggiungere, ma che posso raggiungere solo se vedo le cose in maniera spietatamente realistica.
Prendo atto di quanto dice Paolo Selmi, ma per ora non rimuove le mie perplessità. Non conosco la problematica. Cercherò di approfondire.
La merce destinata all'esportazione dall'URSS era UNA MINIMA parte di quella prodotta, ERA GESTITA INTERAMENTE dallo STATO, che si avvaleva:
1. di accordi bilaterali
2. agenzie di intermediazione (non capitalisti che compravano e rivendevano, ma agenzie come la CATTANEO di Genova /che curava anche le Praktica oltre che le Zenit e le Kiev) che prendevano la commissione sul venduto, direttamente dai sovietici.
Il prezzo di vendita comprendeva, come per le importazioni:
- costo FOB
- nolo
- spese a destino (dogana più logistica più consegna più rivendita al dettagliante, IL QUALE DOVEVA ATTENERSI AL PREZZO INDICATO DAL GROSSISTA, OVVERO DIRETTAMENTE DA MOSCA/BERLINO/PRAGA (nel caso delle Flexaret)/ecc.)
- UTILE PIANIFICATO.
Su quell'utile, che ritornava in madrepatria, si finanziavano DIRETTAMENTE progetti di ricerca e sviluppo, di ammodernamento delle infrastrutture, ecc. IL PROFITTO capitalistico, rientrato in Patria, era IMMEDIATAMENTE SOCIALIZZATO.
Inoltre: il cambio RUBLO-DOLLARO era nominale, non reale (ovvero era una misura del valore). I dollari con cui avvenivano i pagamenti, o le sterline, o i marchi tedeschi, servivano per investimenti DIRETTAMENTE in tale valuta per poi consentire importazioni dirette in ospedali, fabbriche, scuole di macchinari non ancora prodotti in terra sovietica, piuttosto che di materie prime.
Il commercio estero in un Paese socialista, essendo INTERAMENTE ad appannaggio della collettività, del resto consente questo e altro: una NIVA 4x4 in export sull'Italia diventa un macchinario da ospedale in import dalla Germania, ecc. CHE IL PIANO PUO', TEMPORANEAMENTE, PER FAR FRONTE A UN'EMERGENZA, O PER TENTARNE DI COPIARE IL MODELLO E PRODURLO POI IN LOCO, O PER UNA DELIBERATA POLITICA DI SCAMBI BILATERALI, DECIDERE DI ACQUISTARE ALL'ESTERO.
Torno veloce al tuo primo punto. Questo lavoro non è la critica all'economia politica del capitalismo e alla formazione del plusvalore in tale modo di produzione. A tal scopo, avevo a suo tempo tradotto un manuale sovietico per la formazione dei quadri locali che puoi trovare qui:
https://www.resistenze.org/sito/ma/di/fo/mdfojb21-021234a001.pdf
in particolare, al cap. III paragrafo 1.1 "1 La produzione di plusvalore: legge economica fondamentale del capitalismo" pp. 35-44
Vedasi anche la parte sul "profitto commerciale" (torgovaja pribyl') alle pp. 53-55.
Sul carattere del "surplus", come lo hai chiamato in un altro commento, o utile, in un modo socialistico di produzione, la natura è completamente diversa da quello capitalistico, in quanto è PIANIFICATO, ovvero SI TRATTA DI UNA QUOTA PIANIFICATA PER GARANTIRE
- i servizi, a volte anche essenziali, e i benefit assegnati ai lavoratori dell'azienda stessa (responsabile, a differenza delle aziende capitalistiche, della copertura assistenziale e sociale dei lavoratori /nidi/asili/mense/dormitori per chi viene da fuori/case popolari/ecc)
- la parte di reddito netto destinata a ricerca e sviluppo
- la parte che entra nel bilancio statale per reinvestimento immediato nelle spese pianificate di cui loro sono parte integrante alla voce ENTRATE
- la parte che va a fare scorta, perché ci vuole anche quella in tempi di magra
Ci riaggiorniamo, grazie di tutto e
ciao!
paolo
Karl Marx ha spiegato che il profitto nasce dalla produzione e non dallo scambio semplice.
La natura violenta e disumana del capitalismo deriva dal fatto che il processo formale di estrazione di plusvalore domina e indirizza il processo produttivo controllato dai capitalisti per i quali i lavoratori sono solo merci e bestie da cui estrarre plusvalore. Il concetto di estrazione non si limita a aspetti tecnici ma rappresenta un sistema di (dis)valori e di forma di vita. Il solo scopo della produzione sociale è l'estrazione di plusvalore e la valorizzazione del denaro, il che unisce violenza, sfruttamento e irriducibili contraddizioni.
Se il lavoro crea il prodotto sociale e netto il passaggio dai valori ai prezzi non è tema di una equazione matematica e soprattutto è una riflessione che giustamente pretende dare una spiegazione dei rapporti di scambio che si osservano nella realtà fattuale. Nel capitalismo l'accumulazione di valore di scambio da parte del capitalista (che non vuole la merce) rappresenta l'unico valore che struttura il potere e definisce i rapporti sociali. In un sistema socialista e comunista si deve assumere che non sia così: i rapporti sociali, i valori tra cui quelli spirituali condivisi e la struttura organizzativa superano la falsa coscienza, il feticismo della merce e la subordinazione alla mera accumulazione di denaro. Ma sia in un paese capitalistico che in uno socialista o comunista rrstano rapporti di scambio o prezzi fondamentali per la produzione del sovrappiù, sebbene la loro formazione non arbitraria non soggiaccia alle stesse logiche. Paradossalmente ma neanche tanto un sistema socialista centralizzato e con le dovute tecnologie e procedure può definire prezzi convotrenziali in modp più efficiente del sistema capitalistico contemporaneo.
Gli eccellenti e essenziali contributi di Paolo Selmi mostrano che un delicato problema dell'Unione Sovietica fu la definizione di prezzi adeguati e'probabilmente non solo per ragioni di tecnica gestionale ma pure per qualche conflitto politico e sociale di interesse.
Ancora un poco troppo "scolasticamente esoteriche" sono le tue considerazioni sui prezzi specie internazionali. Che nella loro definizione come insegnava già Ricardo sono influenzati dai rapporti di forza. Un paese comunista può definire ragioni di scambio che siano convenienti e accidentalmente espressi in moneta internazionale.
Un disastro è quando i leader di un paese socialista sono degli assoluti incapaci e privi di cervello.
Cerco di segnalare qualcosa che teoricamente non mi convince nella sua lettura.
1-Selmi sostiene che in URSS i prezzi erano più bassi perché non vi era sovraccaricato il profitto capitalistico. Ciò suggerisce l’idea che il profitto sia un’aggiunta, un sovraccarico, del capitalista sul prezzo di vendita. Questa idea, un luogo comune agli antipodi della teoria del valore-lavoro (luogo comune teso ad escludere che il profitto sia, in primis, una conseguenza del plusvalore, ovvero, qualcosa che ha a che fare con lo sfruttamento, cioè un residuo del valore prodotto dai lavoratori del quale il capitalista si appropria), è confutata da Marx in “Salario, prezzo, profitto”: poiché tutti i capitalisti potrebbero operare questo sovraccarico si eliderebbero, si neutralizzarebbero, vicendevolmente, finendo per ridurlo a semplice fatto nominale, monetario (tutte le merci aumentano, si gonfiano, proporzionalmente e contrastano vicendevolmente gli aumenti di ogni singola merce). Invece, il profitto non è altro che l’espressione monetaria di una quota del prodotto sociale (risultata dal mercato, un residuo della vendita sul mercato, che ha alla base il plusvalore) di cui il capitalista si appropria. Non è una cifra che si aggiunge arbitrariamente sul prodotto. Se così fosse, dovremmo attribuire al capitalista il potere magico di aumentare con la sua parola divina il valore di un prodotto (e ciò, naturalmente, al netto degli scostamenti e delle oscillazioni tra valore e prezzi dovuti ai meccanismi di mercato, alla legge della domanda e dell’offerta e alla concorrenza).
2-Però Selmi, citando Novozilov, dice anche che la politica dei prezzi è una politica economica dello stato sovietico ma che, in ogni caso, la fissazione dei prezzi non è arbitraria ed è ancorata al valore-lavoro (come è naturale, visto che siamo ancora nella fase socialistica e non comunistica; e visto che nella fase socialistica non è scomparsa la legge del valore). Perciò, gli scostamenti dei prezzi dal valore-lavoro medio non sono altro che leve di politica economica per raggiungere determinati obiettivi. Pertanto, la legge del valore-lavoro vige sia nel sistema capitalista che nel sistema socialista. Soltanto che per Selmi sembra trattarsi, non di un’unica legge, ma di due leggi diverse: una per il sistema socialista, senza profitto capitalistico, e una per il sistema capitalistico, con il “sovraccarico” del profitto. Queste diverse leggi tali rimarrebbero anche quando i due sistemi entrano in relazioni di scambio, attraverso importazioni ed esportazioni. Cosicchè, lo scambio non avverrebbe all’interno di un comune sistema mondiale di scambi, con un valore di scambio che si determina su base mondiale, con regole comuni, ed ogni sistema scambierebbe mantenendo le sue leggi e secondo il suo sistema..
3-Ecco perché, secondo questo ragionamento, i prezzi delle esportazioni sovietiche erano più bassi. Non per dumping, ma perché prive del sovraccarico del profitto.
Non concordando con la premessa sulla natura del profitto, non concordo neppure su questa conclusione.
Sicuramente è una osservazione incontestabile che i beni prodotti in URSS non dessero luogo a profitto capitalistico (a parte l’accantonamento del surplus, che non c’entra col profitto). Ma una volta entrati nello spazio di scambio mercantile mondiale essi concorrono all’estrazione di plusvalore e al profitto capitalistico. In essi è contenuta quella quota di valore che determina il profitto. Il loro prezzo di mercato è più basso, ma il loro valore è uguale a merci analoghe e va considerato sempre in relazione al valore-lavoro mondiale medio effettivo o aspettato. Cosicchè, se il sistema capitalistico importa merci a prezzo più basso del settore dei mezzi di produzione sovietico, consente al capitalista un risparmio dei costi del capitale costante che si traduce in un maggior profitto. Se importa merci del settore prodotti di consumo a prezzo più basso, queste possono essere vendute più a buon mercato ai propri lavoratori, e, di conseguenza, si possono erogare loro salari più bassi, risparmiando sul capitale variabile. Il che si traduce in un maggior profitto; oppure si possono vendere al prezzo corrente nel proprio paese, incrementando direttamente la quota di profitto.
Il meccanismo, in fondo, è quello che si instaura con i paesi del terzo mondo.
Sul piano pratico, quanto dice Selmi non sarebbe errato. In fondo i profitti vengono realizzati nel sistema capitalistico. Ma vengono realizzati nel sistema capitalistico, non sovraccaricati. Le merci contengono già il valore da cui scaturisce il profitto. Vengono realizzati perché la legge del valore è unica, mentre i meccanismi di mercato (nel quale necessariamente il sistema socialista entra quando scambia col sistema capitalistico) generano profitti e prezzi diversificati.
Nello spazio internazionale capitalistico, in cui entra un paese socialista e non viceversa, i prezzi si basano necessariamente sul valore delle merci scambiate (ma anche nello sistema socialista, come abbiamo visto), poiché i prezzi non sono altro che valore convertito in termini monetari (con tutti i problemi e le oscillazioni implicati). Non sono cifre stabilite arbitrariamente (come avverrebbe, per es., se il capitalista potesse sovraccaricarli con la sua quota di profitto desiderata). Perciò, lo scambio commerciale URSS/mondo capitalistico non poteva non fondarsi sul valore di scambio formato capitalisticamente, poiché non poteva esserci un valore sovietico e uno, poniamo, italiano o tedesco. Se la merce sovietica veniva importata a prezzi più bassi, semplicemente il valore (unico, mondiale) veniva realizzato dai capitalisti occidentali (o attraverso la rivendita al prezzo di mercato più alto (che potrebbe anche esprimere il suo valore effettivo mondiale) o attraverso risparmi di costi, come risparmio di capitale costante o variabile (mezzi di produzione o salari). L’URSS ci perdeva e il sistema capitalistico ci guadagnava, come avviene tuttora con le produzioni delocalizzate, per es.
Non so se è giusta la mia impressione, ma credo che noi pensiamo al socialismo già in termini di comunismo e, spesso, li confondiamo. Il comunismo presuppone uno sviluppo mondiale e condizioni diverse che devono essere preparate e consolidate.
Recuperato il testo, come sempre mi accade, ehm... per vie traverse! :-)
https://economicsociologydotorg.files.wordpress.com/2016/12/socialist-accounting-by-karl-polanyi-with-preface.pdf
E meno male che in inglese qualcosa si trova sempre, altrimenti il passo successivo sarebbe stato "Sozialistische Rechnungslegung" o... il prestito interbibliotecario! :-)
Tra l'altro ci sono arrivato partendo da una sua recensione accurata: https://economicsociology.org/2016/12/02/the-early-karl-polanyi-interpreting-socialist-accounting/
Tra l'altro, nel 1924, sempre lui scriveva un seguito: "The Functionalist Theory of Society and the Problem of Socialist Economic Accounting (A Rejoinder to Professor L. von Mises and Dr Felix Weil)" (Die funktionelle Theorie der Gesellschaft und das Problem der sozialistischen Rechnungslegung’, Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik 52(1), 1924, pp. 218–27.) che ho recuperato in "Economy and society: Selected Writings", anch'esso recuperato per vie MOLTO traverse. Una pausa pranzo MOLTO produttiva...
Grazie di tutto Mario
scappo al timbro
ciao!!!
paolo
Ti segnalo un lavoro di Karl Polanyi, che forse anticipa quello che tu stai affrontando, La Contabilità Socialista. Il testo è ora riportato nel volume La Libertà in una Società Complessa, https://www.ibs.it/liberta-in-societa-complessa-libro-karl-polanyi/e/9788833904160
Una sintesi di quel testo si trova in http://www.cesmep.unito.it/WP/3_WP_Cesmep.pdf
Mi sembra che Polanyi non sia più ritornato su quelle ricerche; successivamente si dedica alla storia dell'economia, soprattutto in chiave antropologica.
Grazie di tutto e
ciao!
paolo
Immagine perfetta! E scusami se non riesco mai a fare una cosa semplice, lineare... "normale", mettendo a dura prova la tua pazienza! :-)
Un abbraccio
Paolo
ringrazio come sempre Tonino per la generosa ospitalità. Segnalo soltanto che, in upload, manca un'immagine delle Ziguli che uscivano dalla linea di produzione. E' la settima, in bianco e nero piccolo formato, dall'alto in questa pagina web: https://bibiauto.club/obzoryauto/russia/kopeyka.html
Accostando l'immagine di questi due bimbi all'imponente catena di montaggio, il discorso delle prime due pagine acquista un senso compiuto. La si può vedere a p. 216 (la numerazione segue quella dei primi tre capitoli) del file contenente il IV capitolo completo (I e II puntata) e liberamente scaricabile da qui: https://www.academia.edu/40396441/La_semina_e_il_raccolto._Ricerche_analisi_e_traduzione_integrale_di_Pianificabilit%C3%A0_pianificazione_piano_di_Ivan_Michajlovi%C4%8D_Syroe%C5%BEin_II_parte_IV_capitolo
La carne al fuoco è tantissima, le quasi 140 pagine a corredo della traduzione di questo IV capitolo, ivi compresi ampi stralci dell'autobiografia di Bajbakov e la pubblicazione integrale di un saggio finora inedito di Novožilov, offrono a mio avviso molti spunti che necessitano di una non breve decantazione. Penso però che fino all'anno prossimo non riuscirò a chiudere il V capitolo, se si dovesse rivelare "denso" come questo. Vantaggi di non aver nessuna scadenza, nessun cartellino da timbrare, mi prenderò il tempo necessario per studiarlo, dopo la traduzione, prima di pubblicarlo. Nel frattempo, grazie per l'attenzione, per gli spunti che vi verranno in mente e che mi vorrete comunicare per proseguire sempre più e sempre meglio questa ricerca e... buona lettura a tutti!
Paolo