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doppiozero

Perché Freud è ancora necessario

a cura di Nicole Janigro

1567460708644.jpg amo freud perche non hamai smesso di cercare Introduzione

di Nicole Janigro

Di Freud oggi sappiamo tantissimo, ogni suo oggetto, lettera, testo, incontro è stato studiato e interpretato. Alla Biblioteca del Congresso, sono ora consultabili tutte le sue carte: ci sono le opere, l’elenco e gli appunti dei libri letti, l’enorme epistolario. Durante la sua esistenza Freud conserva un senso ben preciso di quanto fosse possibile mostrare in pubblico e quanto si dovesse mantenere privato. È forte la sua preoccupazione che gli aspetti intimi, i “tristi segreti”, potessero esser utilizzati contro di lui. Nella sua Autobiografia, malato, convinto di essere prossimo alla fine, dopo la diagnosi di cancro alla mandibola, nel 1924, Freud propone «una nuova combinazione di elementi oggettivi e soggettivi», anche se, scrive, «il pubblico non ha diritto di saperne di più», «né dei miei rapporti personali, né delle mie battaglie, né delle mie delusioni, né dei miei successi». Quello che prevale è il Freud che distrugge le lettere alla fidanzata, che dice «ho parlato di me stesso più del consueto o più del necessario», perché «tutte le mie personali esperienze non hanno alcun interesse se paragonate ai miei rapporti con questa scienza». Il segno e lo stigma della sua vita sono affidati a queste righe: «Anzitutto mi feriva l’idea che per il fatto di essere ebreo dovessi sentirmi inferiore e straniero rispetto agli altri».

La sua idea di terapeuta era quella di un analista neutrale, eppure il suo studio era stracolmo di immagini, oggetti, riproduzioni, quadri, tappeti e mobili. Una casa museo, dove era circondato da tutto quello che serviva al suo lavoro, ma anche al suo spirito. Chi arrivava non ci poteva credere: figure archeologiche egiziane, greche, romane, cinesi. Un’atmosfera onirica. Un insieme particolare di casa e studio, di intimità e formalità: un po’ come accade durante un’analisi.

Freud studioso e collezionista continua a incuriosire, Freud teorico e clinico continua a interrogare. Il rapporto tra parole e immagini, come nella mostra parigina di qualche mese fa, Freud. Du regard à l’écoute (curata da Jean Clair, catalogo Gallimard), apre nuove prospettive sulla genesi delle sue scoperte.

A ottant’anni dalla sua morte, i versi scritti da Auden In memoria di Sigmund Freud, settembre 1939, “se spesso sbagliava e a volte era assurdo, per noi non è più una persona, ormai, ma tutta un’atmosfera di opinione”, dicono bene i numerosi motivi per cui ha senso chiedersi: Perché Freud è ancora necessario?

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Stile e forma in Freud

di Pietro Barbetta

Freud è un tipo d’intellettuale raro, scomparso. Medico, filosofo, studioso di letterature e mitologie, antropologo, viaggiatore curioso, cosmopolita, ebreo. Per l’ultima delle sue qualità, l’essere ebreo, i suoi concittadini e colleghi lo hanno denigrato. Poi, dopo l’annessione, hanno cercato di farlo sparire con altri sei milioni di correligionari. Per le altre qualità elencate, è difficile trovare qualcuno che le riassuma in una sola persona.

Si conoscono le sue straordinarie doti di scrittore, i suoi casi clinici sono vere e proprie opere letterarie. I suoi denigratori sostengono che sono senza successo. Meno male, questa è la prima ragione della necessità di Freud oggi. In un tempo dove la competizione esasperata costringe i giovani a distrarsi dalle loro passioni per inseguire una carriera fatta di impact factor, è bene dubitare del successo. Ai giovani, Freud ha da insegnare lo stile, la necessità di istoriare l’esperienza, di mantenere la memoria.

Ma c’è un’altra questione che rende Freud ancora più necessario: l’Edipo. Non il ridicolo triangolino mamma-papà-figlio. Mi riferisco a Sofocle, alla forma della tragedia, che anticipa la forma dell’inconscio. La tragedia incomincia quando tutto è già accaduto. Un re buono, illuminato, razionale, che ha sempre governato in modo saggio, si scopre criminale parricida, costretto a contrarre un matrimonio proibito e ad avere figli immondi. Il lato osceno della nostra esistenza. L’esistenza che si nasconde, come la bella Sulamita, seduta all’ombra di colui che aveva desiderato.

Pietro Barbetta, psicoterapeuta, è direttore del Centro milanese di terapia della famiglia e insegna Teorie psicodinamiche all’Università degli Studi di Bergamo.

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Cura e scienze della psiche

di Anna Ferruta

Il pensiero di Freud 'necessario' nell'attualità del nostro tempo riguarda due dimensioni fondamentali.

Una è l'interesse per l'esplorazione dell'ignoto, di ciò che ancora non si conosce, a costo di violare convinzioni ritenute acquisite una volta per tutte, allo scopo di integrare nuovi orizzonti di libertà e acquisire risorse nella concezione del soggetto umano. Freud ha cercato di comprendere l'intreccio tra psiche e soma, tra io e altro, tra ideologia e soggettività, seguendo le tracce dei grandi scienziati che lo avevano preceduto (Copernico, Darwin). Il suo modo di intendere il funzionamento psichico affonda le radici nell’inconscio e nel sogno, nel mondo interno del bambino abitato da fantasie e pulsioni sessuali (il piccolo Hans), nella psicopatologia (il delirio paranoico di Schreber) ed è presente in tutta la cultura e la vita sociale del nostro tempo. Un’analisi scientifica del vivente è un compito complesso e ambizioso, richiede passione e coraggio.

L'altra dimensione riguarda il metodo: Freud è convinto dell’inscindibile legame tra terapia e conoscenza. La specificità 'scientifica' freudiana consiste nel raccogliere dati ed esperienze esponendosi alle relazioni con l'altro. Ha inaugurato un metodo di ascolto di ciò che è oscurato, zittito, taciuto, rimosso, confinato in territori marginali della mente umana (sogno, lapsus, atto mancato, sintomo, delirio).

La com-passione come conoscenza dell’Altro, come veicolo di identificazione e di riconoscimento dell’ineliminabile alterità dell’altro, simile e inconoscibile: una sufficiente condivisione che amplia ciò che costituisce la base di comunicazione e costituzione dei soggetti umani.

Si vanno moltiplicando studi sulle forme di comunicazione emotiva tra chi prova un dolore e chi vi assiste come testimone partecipe, che può sentire il dolore dell’altro pur rimanendo se stesso, potendo quindi comprendere, soccorrere, consolare.

In psicoanalisi il nesso cura-conoscenza è strutturale: il buon funzionamento dello psichesoma consente di legare e slegare continuamente nessi relazionali, affetti, significati, in un incessante lavoro di trasformazione contenitore-contenuto, proprio come avviene nel sogno.

Anna Ferruta, psicoanalista, con funzioni di training della SPI e dell’IPA, già Segretario Scientifico del Centro Milanese di Psicoanalisi e Segretario Scientifico Nazionale della SPI.

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Freud necessario

di Claudia Baracchi

Freud, o del creare raccordi: tra visibile e invisibile, veglia e sonno, passato remoto e possibilità future, principio di realtà e sogno, individuo e tessitura della vita. Freud, o della forza di unire, tracciando corrispondenze tra mondi all’apparenza lontanissimi, eppure risonanti nel pathos della discontinuità. Molte sue intuizioni restano imprescindibili, tra cui il nesso disagio e disturbi della memoria, l’attenzione al piccolo e trascurabile, la dimensione terapeutica dell’espressione, della parola che dà voce, del ricordo, della ripetizione. Non meno necessari sono certi suoi modi: la libertà di avventurarsi (anche errando) da non specialista in ambiti di ricerca diversi, il movimento fuori da ogni disciplina nota, l’audacia immaginativa, la capacità di cogliere l’arte e la letteratura come vie conoscitive non meno della scienza.

Ma quello che, particolarmente oggi, mi sembra del tutto necessario, è l’esercizio consapevole di sopportare in sé elementi divergenti, di comporre conflitti di improbabile risoluzione. Non solo la teorizzazione dell’ambivalenza, dell’Unheimlichkeit che inquieta l’interiorità, ma lo sforzo di sostenere l’insostenibile, di affermare le differenze in quanto differenze, di tenerle insieme in tensione. Questo nella sua portata tanto psichica quanto politica. Come quando, tardi nella vita, Freud, europeo orgoglioso e al contempo disilluso, in Mosè e il monoteismo immagina il gesto originario dell’ebraismo, e per estensione della cultura europea, provenire da fuori, dal non ebreo e non europeo: da un egiziano in fuga. Edward Said trovò questo “irrisolto senso di identità” uno dei lasciti più “fruttuosi” di Freud: cura il senso di alienazione in patria e apre a quella che Freud chiamò una “nuova patria più ampia”. Ampia quanto il mondo. Un mondo che resta a venire, in cui le differenze non siano solo da superare, o da tollerare, ma vissute come infinita ricchezza.

Claudia Baracchi, analista filosofa, insegna Filosofia morale all’Università di Milano-Bicocca, fa parte di Sabof (Società di analisi biografica a orientamento filosofico).

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Un guerriero d'altri tempi

di Clementina Pavoni

Sigmund Freud fu un combattente, un guerriero d’altri tempi, un eroe antico: un profeta del Vecchio Testamento come lo definisce Jung.

Nella Interpretazione dei sogni, riferendo il racconto del gesto di sottomissione del padre di fronte al cristiano che lo insulta in quanto ebreo gettando il suo bel berretto di pelliccia nuovo in mezzo alla strada, il piccolo undicenne si ribella e sovrappone all’immagine del proprio padre il gesto eroico di un altro padre, in qualche modo mitico: “A questa situazione […] ne sovrapposi un’altra, molto meglio rispondente alla mia sensibilità, la scena cioè in cui il padre di Annibale, Amilcare Barca, fa giurare al figlio davanti all’ara domestica che si vendicherà dei Romani. In Psicopatologia della vita quotidiana dichiara: Sulla storia dei Bàrcidi probabilmente pochi lettori la sanno più lunga dell’autore. Quindi davvero un amore, un’identificazione per il grande nemico dei romani, l’eroe fenicio, dello stesso ceppo del popolo ebraico.

Freud condusse per tutta la vita un confronto serrato con l’immagine della morte, una sorta di lotta da cui non si esce se non sconfitti, come Annibale.

Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo, è l’esergo dall’Eneide di L’interpretazione dei sogni. Anche Freud, come Dante, si accompagna a Virgilio per il viaggio nelle ombre dello sconosciuto, del remoto, dell’inconscio. In qualche modo nel mondo dei morti.

Ma una piccola vittoria sulla morte Freud la mette a segno nel suo scritto Al di là del principio di piacere quando intravvede nelle cellule germinali di alcuni microorganismi l’immagine di una potenziale immortalità. E nella psiche di ciascuno la lotta e l’impasto tra le due pulsioni, di vita e di morte. Una lotta per la vita che Virginia Woolf testimonia nel suo incontro con Freud molto malato ed esule a Londra: “Un uomo molto vecchio, rattrappito e danneggiato […] con difficoltà di esprimersi, ma attento. Un immenso potenziale … un fuoco antico di cui rimane qualche guizzo”.

Clementina Pavoni, psicologa analista, è membro ordinario dell’AIPA e presidente del Laboratorio analitico delle immagini (LAI).

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L’altra metà del pensiero

di Romano Màdera

Prima ancora delle teorie, la scoperta epocale di Freud è la pratica del colloquio analitico: un luogo e un tempo scavati fuori dai vincoli della comunicazione ordinaria. La stanza e l’ora dell’analista sono un enclave libero e protetto nel quale può esprimersi e riconoscersi la dialettica delle Maschere Sociali e dei Doppi Impresentabili con il loro corteo sintomatico. Perché l’incontro/scontro sia possibile serve una persona, l’analista, che, rinunciando all’espressione e al riconoscimento della sua vita personale, metta a disposizione se stesso per rendere possibile l’espressione e l’autoriconoscimento dell’altro, in uno spazio sgombro dalla minaccia della condanna.

Per primo Freud ha liberato la potenza di senso, svalutata e compressa, della dimensione simbolica depositata nelle forme degli scarti del linguaggio, dei gesti, delle immagini, del sogno. Pur senza arrivare alla piena rivalutazione del pensare figurale/simbolico rispetto a quello logico/concettuale, ha delineato, nell’analisi del testo onirico, i lineamenti di una grammatica e di una sintassi del procedere per metafore e metonimie, per anfibolie e sincronie.

Infine ha scoperto, senza volerlo, in una trovata da serendipità, il modo per interrogare possibilità di senso che nascono dall’esperienza biografica, quando le vie tradizionali hanno cominciato a farsi afone. Ha offerto così, a una antichissima e nuova filosofia come modo di vivere, il suo alveo più promettente.

Romano Màdera, analista filosofo, fa parte dell’AIPA, del LAI e di SABOF.

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La Legge del desiderio

di Massimo Recalcati

La concezione freudiana dell’inconscio resta per un verso vittima dell’ontologia. L’inconscio freudiano è il luogo dell’archè, dell’archeologico, dell’archivio, del passato inestinguibile. L’indistruttibilità del desiderio che troviamo in chiusura della Traumdeutung sembra avallare questa concezione dell’inconscio come traccia già scritta, iscrizione infantile. Dall’altra parte il testo di Freud ci consegna una eredità che squarta questa configurazione ontologica dell’inconscio. Lo stesso concetto di indistruttibilità del desiderio può essere letto in un modo eccentrico rispetto alla figura del passato che ritorna e si ripete. Freud parla anche di una “voce” del desiderio, di un Wunsch che diviene vocazione. In questo caso il desiderio coincide con la Legge; con una Legge alternativa a quella sadica e patibolare del Super-io.

È la Legge del desiderio come luogo dove l’Io è tenuto ad avvenire. Non nel senso dell’archeologia ma della ripresa in avanti, del non ancora avvenuto. L’ostacolo maggiore all’accesso di questo inaudito “sollen” che coincide con il proprio Es (Wo es war soll Ich werden) è costituito dalla pulsione di morte (Todestrieb). È questa la figura più scabrosa che Freud ci lascia in eredità e che merita di essere profondamente ripensata ad un secolo di distanza. Qui Freud mostra che l’indistruttibilità del desiderio può avere una terza declinazione. Non la ripetizione della petizione infantile del desiderio rimosso; non la voce del desiderio che diviene Legge; ma una sconcertante pulsione a chiudere; il carattere fascista del desiderio. La pulsione gregaria si perverte e anima la spinta mortifera e melanconica alla chiusura di fronte alla contingenza illimitata della vita. L’autoconservazione diviene meta della pulsione sino alla propria distruzione. Questa natura fascista del desiderio che fa del confine identitario una sorta di nuovo oggetto pulsionale, oggi più che mai, ci chiama ad una responsabilità alta. Come impedire che il desiderio melanconicamente fascista della pulsione di morte trionfi? Come preservare l’apertura illimitata della trascendenza del desiderio di fronte alla sirena mortale del ritorno alla quiete dell’inerte? Ad una vita già morta?

Massimo Recalcati, psicoanalista, dirige l’IRPA (Istituto di ricerca di psicoanalisi applicata), ha fondato Jonas Onlus (Centro di clinica psicoanalitica per i nuovi sintomi) e Divergenze, Associazione per le pratiche della cura e della clinica.

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La psicoanalisi nel postumano

di Riccardo Bernardini e Ludovica Blandino

L’era digitale sta operando profondi cambiamenti individuali, sociali, culturali, politici. Gli algoritmi regolano la nostra vita in modo sempre più sofisticato, mentre i computer hanno raggiunto un tale livello di coscienza che, si potrebbe dire, l’intelligenza artificiale ha iniziato a pensare e sognare per noi. Con l’avvento delle tecnologie di quinta generazione (5G), uomo e intelligenza artificiale daranno vita una realtà ibrida ancora difficilmente immaginabile.

In un mondo sempre più regolato da paradigmi di performatività, velocità e aggiornamento, la comunicazione digitale ci costringe ad abitare “spazi incerti ed esposti, dove non siamo mai pienamente” (Merlini, Ubicumque, 2015). Assistiamo così alla comparsa di nuove problematiche cliniche – dalla internet addiction all’isolamento digitale –, indotte proprio da quegli stessi strumenti che promettono di ottimizzare le nostre vite. Vi è inoltre una domanda crescente di terapie online, talora erogate attraverso chatbot nelle quali il professionista è sostituito da software con competenze pseudo-psicologiche, che pongono inedite questioni tecniche e deontologiche.

A fronte di uno scenario inquietante ma, evidentemente, non esente da potenti risvolti seduttivi, che impone di riconsiderare in modo radicale le idee di soggettività, sofferenza e cura, la psicoanalisi si dimostra attuale nel contrastare queste nuove forme di attacco alla “capacità di pensare” e, al tempo stesso, nel difendere il “fondamento relazionale” della vita umana. Al di là delle differenze di scuola, la psicoanalisi conferisce dignità all’inalienabile sofferenza individuale, offre ascolto alla dimensione inconscia che abitiamo e valorizza il rapporto interpersonale come fattore primario e imprescindibile della cura. Una risposta al perenne richiamo della soggettività, reso oggi forse ancora più urgente dal sogno di una nuova identità imperitura, molteplice e diffusa, a cui il postumano ci espone.

Riccardo Bernardini è presidente dell’IPAP (Istituto di Psicologia Analitica e Psicodramma, Scuola di Specializzazione in Psicoterapia) e segretario scientifico della Fondazione Eranos.
Ludovica Blandino, psicologa psicoterapeuta, è candidata della SPI.

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Freud scienziato scomodo

di Alessandra Campo

La psicoanalisi di Freud è la migliore teoria del soggetto di cui disponiamo: migliore perché laica, lucida, scomoda e, soprattutto, sperimentale. A differenza della stragrande maggioranza delle altre “psi”, infatti, essa non si comporta, nei riguardi della sofferenza psichica come Freud rimproverava Rank di comportarsi con i traumi-incendi, vale a dire limitandosi a spostare la lampada a petrolio che li ha scatenati. La psicoanalisi rifiuta il modello meccanico di causalità del post hoc (incendio) ergo propter hoc (lampada a petrolio), e lo rifiuta perché non si limita ad allontanare, via cognitiva o comportamentale, le cause “prossime” o manifeste del fuoco promettendo al paziente successi facili e a costo zero. Freud puntava a intervenire sulle “condizioni iniziali” dell’incendio e, quando vi riusciva, tentava di modificarle. Ma nessuno, nemmeno lui, sapeva quando, come e se la rettifica dell'originario processo di rimozione sarebbe avvenuta.

La psicoanalisi, perciò, non è scientifica se scientifica significa "protocollabile". I suoi risultati non sono prevedibili né con anticipo né con esattezza. Ma, siamo sicuri che questo sia possibile da parte della scienza che oggi gode di così buona stampa? I fisici del CERN sanno forse già ora quando la prossima onda gravitazionale o particella di antimateria sarà rilevata? Più che meno esatta o meno scientifica, direi che la psicoanalisi è solo meno comoda e Freud, del resto, lo sapeva bene: l’incontro con un neutrino o un’onda gravitazionale ci crea meno problemi di quello con i nostri escrementi.

Alessandra Campo, assegnista di ricerca in filosofia teoretica presso l'università dell'Aquila.

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Pantaléone
Saturday, 09 November 2019 20:11
Nevrosi, dove il soggetto si perde all'infinito nella triangolazione, papà, mamma ed io, parlando Freud sta parlando di Eudipus e della castrazione simbolica del soggetto, una cura che mira in definitiva alla riabilitazione di un sistema di socializzazione malato e disumanizzato.
Il soggetto moderno è assegnato a rompere con ciò che rimane in lui di non riducibile alla società commerciale.
Ci sono solo nel collettivo, le storie individuali sono solo gli effetti e i sintomi di un sistema sociale, che pretende di curare i mali che esso stesso ha generato.
Sulle nevrosi sessuali queste sono state effettivamente prodotte in una fase in cui il capitalismo era di tendenza vittoriana.
Ciò conferma quanto detto sopra.
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