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Su capitalismo e imperialismo

Michael Hudson 680x496 cMichael Hudson, professore emerito di economia all’Università del Missouri-Kansas City, è uno dei più importanti economisti marxisti del mondo. Intellettuale di classe, attento nell’analisi della storia del capitalismo, fornisce sempre delle chiavi di lettura interessanti per capire il mostro contro cui ci battiamo ogni giorno. Dallo studio dell’imperialismo americano alla storia del debito passando per le sue importanti visite alla Cina, Hudson ci fornisce sempre degli spunti su cui riflettere attentamente. Ha lavorato come analista per Wall Street, scrive sulle principali riviste di economia del mondo come il Financial Times.

Con la speranza di vedere tradotti in italiano i suoi libri, sono orgoglioso di avere avuto l'opportunità di intervistarlo.

Lascio ai lettori il link al suo sito.

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Professor Michael Hudson, lei è spesso associato al pensiero di illustri economisti marxisti come Samir Amin e Giovanni Arrighi, soprattutto per aver capito che il capitalismo perdura nella sua crisi non dal 2008 ma dagli anni ‘70. Come è centrale nei suoi lavori l’imperialismo e lo sviluppo ineguale, tema fuori dalle agende di molti “compagni” specialmente quando affrontano il problema della crisi migratoria proveniente dall’Africa e dal Medio Oriente.

A suo avviso, oggi, l’imperialismo americano è in crisi oppure è vivo e vegeto come negli anni ‘90?

Gli Stati Uniti possono ancora gestire ad infinitum il passivo del bilancio governativo e della bilancia dei pagamenti. Ciò rimuove i vincoli (che altre nazioni invece continuano ad avere) alla loro spesa, sia militare che per altre porcherie, e alle acquisizioni di società straniere.

La dedollarizzazione promossa dalla Cina, dalla Russia e da altri membri dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) non porrà fine al ruolo cruciale del dollaro, ma semplicemente gli coesisterà. L’eurozona continuerà a essere una zona morta neoliberista, che imporrà l’austerità e svilupperà una intensificazione della deflazione debitoria. La crisi nel capitalismo statunitense dipende dallo scontro fra il capitale finanziario e quello industriale – e avviene, in realtà, per impadronirsi del settore pubblico e privatizzare le infrastrutture e di conseguenza le funzioni pubbliche. Lo scopo non è quello di stimolare gli investimenti e l’occupazione, ma di gonfiare i guadagni in conto capitale sugli immobili, i buoni del tesoro e le azioni. Gli economisti mainstream mettono assieme il capitale industriale e quello finanziario, e così sono ciechi di fronte a questo conflitto che affligge ovviamente anche l’Europa, ed è potenzialmente minaccioso per la Cina e la Russia. Lo sfruttamento finanziario oggi è la minaccia più immediata alla crescita economica e al tenore di vita. Scusate la lentezza ma ci sono un sacco di termini tecnici

 

Lei si è impegnato molto nello studio del funzionamento della bilancia dei pagamenti, facendo delle osservazioni importanti all’epoca della guerra del Vietnam, individuando il disavanzo prodotto come frutto delle spese militari degli USA. In questo periodo, che lo porterà alla pubblicazione di Super-Imperialism: the economic strategy of American empire, intuì l’imminente abbandono dell’ancoraggio del dollaro all’oro. Il sistema che ne emerse si regge sulla supremazia politica, ideologica e militare degli USA. Ora che siamo immersi in una fase policentrica, come potrà reagire il suo paese ai processi di dedollarizzazione promossi ad esempio dalle nazioni BRICS ma anche dalla stessa UE?

Non c’è nulla che gli Stati Uniti possano fare per evitare la dedollarizzazione. Le sanzioni e nuove aggressioni catalizzano solo la fuoriuscita. Gli Stati Uniti sono militarmente un ammasso di muscoli e hanno solo le bombe per rispondere ai tentativi esteri di liberarsi dall’Impero Americano – con naturalmente, la corruzione e le intromissioni segrete. La via preferita degli Stati Uniti per risolvere le questioni internazionali è semplicemente corrompere politici e banchieri centrali stranieri, infiltrando le economie estere e la stampa con la potente macchina manipolatrice e propagandistica della CIA e della National Endowment of Democracy. Ma il neoliberismo è sprovvisto di qualsiasi ideale o fascino, a parte la celebrazione dell’egoismo alla Ayn Rand.

 

Come economista è diventato famoso per i suoi lavori di “archeologia economica”, con cui ha ricostruito lo sviluppo delle economie dell’Età Antica. A mio avviso questo sua lavoro ha una duplice valenza. La prima è cercare di ricostruire le diversità delle strutture economiche presenti nel mondo antico. La seconda invece dimostra, in un’epoca in cui le categorie del capitalismo sembrano astoriche, la possibilità di superare anche questo modo di produzione. Lei concorda con questa mia interpretazione del suo lavoro?

Mi sono concentrato sullo scrivere una storia del debito, e sull'idea che sia necessario cancellare i debiti che tendono a essere troppo ingenti per essere ripagati senza imporre l’austerità e la guerra di classe della finanza contro il lavoro e l’industria. Un effetto secondario della mia analisi è stato quello di mostrare come proprietà terriera e monetaria nel Medio Oriente si originò nei palazzi e nei templi, separata dall’economia a base familiare. La storia mesopotamica e le origini dell’impresa economica, della proprietà terriera e della privatizzazione è qualcosa a cui nessun teorico ottocentesco avrebbe potuto pensare, perché i documenti archeologici e cuneiformi semplicemente non erano accessibili - ad Engels, a Marx o a chiunque altro in quel periodo. Sumer e Babilonia erano delle “economie miste”. I governanti avevano un interesse personale nel prevenire che emergesse un’oligarchia finanziaria terriera tale da monopolizzare la terra e ridurre il lavoro alla schiavitù – a scapito dei bisogni regi come il lavoro nelle corvée, il servizio militare e le tasse sul raccolto. Ciò mostra come l’antichità classica fosse unica nel non avere pesi e contrappesi del settore pubblico o del potere regale nei confronti della ricchezza privata. La caratteristica distintiva della civiltà occidentale è l’emersione di oligarchie tese a prevenire un governo forte capace di comprimere la loro avidità e il loro tentativo di monopolizzazione della terra e del denaro, così che queste possano ridurre le popolazioni al risarcimento forzato del debito. Il grande contrasto che vedo per gran parte della storia è tra il potere finanziario e il settore privato - che ne sta, in ultima analisi, prendendo il controllo.

 

Lei sembra contrapporre un capitale finanziario parassitario ad un capitale industriale sano. Sarebbe la finanza ad indurre politiche che riducono la capacità produttiva di un paese, con l’obiettivo di estrarre ricchezza dall’economia reale. Ritiene una contraddizione secondaria quella tra capitale e lavoro, guardando al capitalismo moderno come ad una sorta di neo-feudalesimo retto da una classe di rentiers. Altri autori marxisti non concordano con questa analisi. Penso ad esempio a Robert Kurz, secondo lui il solo scopo del capitalismo è quello di trasformare il denaro in più denaro. Il capitale necessita di essere valorizzato, altrimenti cessa di essere tale e perciò il capitalismo è obbligato all’eterna espansione. Il capitale deve trovare sempre nuovi spazi per la propria valorizzazione, per assorbire sempre nuovo lavoro vivo ed accumulare sempre maggior valore. Se un tempo le crisi di sovraccumulazione spingevano il capitale nella sovrastruttura finanziaria per accumulare capitale fittizio per qualche anno, fino allo scoglio della crisi che generalmente coincideva con un cambio di regia del paese guida dell’accumulazione mondiale, oggi è un tratto caratteristico di questa fase del capitalismo e motore principale del processo di accumulazione, almeno in Occidente. Oggi il capitalismo poggia sull’anticipazione di valore futuro e perciò il prodotto finanziario diventa la merce più importante, in una metamorfosi dettata dall’evoluzione stessa del capitalismo, che deve necessariamente superare in termini di portata la produzione dei vari settori economici. Tanto più diventa oneroso questo gioco, tanto più diventa complicato tenere viva questa molla dell’accumulazione, come ha bruscamente dimostrato la crisi del 2007-2008.

Lei come si pone nei confronti di queste letture dell’attuale fase del capitalismo?

Non ho mai detto che il capitalismo industriale fosse “sano”. Se così fosse, sarebbe stato capace di resistere all’impadronimento del capitale finanziario. Non ho mai sottovalutato la tensione tra il lavoro e il capitale industriale. A mio avviso, il capitale finanziario è diventato distruttivo del lavoro e anche del capitale industriale, e minaccia di imporre l’austerità cronica in stile Grecia. Marx era ottimista su come il capitalismo industriale si sarebbe evoluto. Si aspettava che le attività bancarie si sarebbero industrializzatd invece di diventare parassitarie e usuraie. Al contrario, ciò che è accaduto – specialmente a partire dalla I Guerra Mondiale – è che l’industria si è finanziarizzata e parassitizzata. I salariati sono vittime non solo del capitale finanziario che li indebita tramite i mutui per la casa, i prestiti per gli studenti, i mutui per l’automobile e i debiti delle carte di credito, ma anche dal capitale finanziario che li spoglia dei loro fondi-pensione, manovra le aziende per comprimere ed esternalizzare l’occupazione, e distruggere la sindacalizzazione dei lavoratori. Dunque, prima della lotta fra il lavoro e il capitale industriale, entrambi si devono liberare dalla finanziarizzazione come forma di neo-feudalesimo e neo-servitù. Il capitalismo industriale si è deteriorato nel capitalismo finanziario. Per ciò che riguarda M→M’, questo viene fatto oggi non tanto dal M-C-M’, ma attraverso l’inflazione dei prezzi degli asset: facendo soldi semplicemente dalla creazione di crediti pubblici e privati per gonfiare i prezzi del mercato immobiliare. Ciò crea aumenti di capitale. Il «capitale» negli «aumenti di capitale» sono titoli finanziari e proprietà, non capitale industriale che impiega lavoro salariato ricercando il profitto dalla produzione. Il capitale finanziario e la creazione di debiti stanno prosciugando il mercato interno e l’occupazione. Ciò ferma l’espansione capitalistica e causa un collasso finanziario. La domanda è, come controbattere? Il capitale finanziario sarà annientato con una cancellazione dei debiti come nelle società dell’Età del Bronzo, o saranno i debiti a rimanere sul posto, come allo stato attuale sotto il neoliberismo del FMI foraggiato dagli Stati Uniti?

 

Lei è tra gli ideatori della MMT. Molti marxisti, come Michael Roberts, contestano al modello macroeconomico della MMT che è la redditività degli investimenti capitalistici che guida la crescita e l'occupazione, non le dimensioni del deficit pubblico. Come risponde a queste critiche?

La Teoria Monetaria Moderna (MMT) emerge dalla tradizione marxista. Hyman Minsky era un marxista, così come lo sono io, e la maggior parte è almeno di sinistra. Il deficit del bilancio statale non ha in sé nulla a che fare con l’occupazione. Dipende totalmente su COME è speso. La maggioranza del deficit risulta dal taglio delle tasse ai ricchi, dalle elargizioni e sussidi a Wall Street e al settore finanziario, dalla spesa bellica e per il complesso militare-industriale. Perciò tutto dipende dallo scopo per cui è usata la creazione di moneta. Io divido il settore privato in Finanza, Assicurazioni, e Immobili (FIRE, ndT dall’inglese Finance, Insurance and Real Estate) – il capitale finanziario – e il resto del settore privato (manodopera e industria o commercio). Altri sostenitori del MMT non hanno messo in evidenza la necessità di distinguerlo, ma conversando privatamente sono d’accordo con me sul fatto che debba essere diviso. Ciò è difficile statisticamente, perché richiede una nuova forma di calcolo del PIL e del reddito nazionale. Ho provveduto a ciò nel mio recente saggio per la Boeckler Foundation sulla contabilità e sui profitti di capitale (È disponibile sul mio sito, michael-hudson.com, e su quello di Naked Capitalism).

 

Nel mondo occidentale abbiamo visto all’opera in questo decennio un socialismo dei ricchi, con le banche centrali impegnate nel pompare soldi nel sistema finanziario per far ripartire gli investimenti. Addirittura in Europa abbiamo i titoli di stato con tassi d’interesse negativi. Eppure, dopo il QE di Mario Draghi, l’economia europea non riparte, anzi, è messa in crisi dal proprio modello mercantilista che ha regalato solo deflazione salariale e compressione dei diritti conquistati da decenni di lotte del movimento operaio. Come spiega questa situazione?

Certamente è mancata alla sinistra la teoria economica e la strategia politica. È come se sia disorientata dalla caduta dello stalinismo – e anche dalla sua riluttanza conservatrice nel vedere come il capitalismo industriale sia “finito male” e si sia trasformato nel capitalismo finanziario. L’Europa è dominata da neoliberisti di destra che scatenano una guerra di classe contro i salariati. Ha rubato la retorica socialista sfruttandola per la guerra finanziaria della destra di “tutti contro tutti”.

 

Ultimamente è spesso in Cina a tenere conferenze. Cosa possiamo imparare da comunisti dal modello economico cinese e lo ritiene un possibile modello di transizione al socialismo?

Si può anche solo dire che la Cina stia seguendo il modello ottocentesco degli Stati Uniti basato sui sussidi al settore pubblico dell’industria, protezionismo e una pianificazione anticipata. Sostanzialmente, “marxismo” è la parola cinese per “politica”. Più importante è che il sistema bancario e finanziario siano pubblici: ciò permette allo stato di annotare i debiti delle ditte (o delle famiglie) in una stretta finanziaria, invece di lasciarli alla vendita di imprenditori-squali e monopolisti. Naturalmente la Cina è un modello per la transizione al socialismo, ma ovviamente il problema è che è obbligata a un aumento delle spese militari e talvolta deve intraprendere delle dure politiche per difendersi dai tentativi statunitensi di destabilizzarla e minacciarla.

 

La domanda è inevitabile. Come spiega la riduzione del numero di disoccupati grazie alla politica economica di Donald Trump e in generale che giudizio ne dà?

La crescita nell'occupazione è in larga parte dovuta a lavori sottopagati, a pensionati anziani forzati a tornare nella forza lavoro, e a famiglie sostenute da tre lavori. L’occupazione non ha permesso ai salariati di accumulare più risparmi o di accedere di più agli alloggi. La maggior parte dei salari aggiuntivi sono versati come pagamento dei debiti, tasse più alte o come previdenza sociale e trattenute sanitarie, non come consumi. L’economia sta affrontando una pesante deflazione del debito che porta alla chiusura di molte vendite al dettaglio, ristoranti e altre imprese.

 

Sanders, Ocasio-Cortez, l’esperienza della rivista Jacobin segnano l’emergere di una tendenza riformista e socialdemocratica nella sinistra americana. Che giudizio si sente di dare a questa onda rosé che ha cambiato il volto del Partito Democratico?

Il Partito Democratico non è stato cambiato per nulla. È controllato da un ridotto “Comitato Nazionale Democratico” (DNC), che rimane pro-Wall Street, neoconservatore e a favore della classe dei grandi donatori. In un’economia che si sta polarizzando, non ci può essere alcun “centrismo”. Essere un centrista per un cambiamento progressivo è supportare lo status quo – che sta diventando sempre più polarizzato e finanziarizzato. Quando è minacciato da delle idee economiche di sinistra, il Partito Democratico sposta l’attenzione verso l'identità sessuale, l'identità razziale ed etnica – qualsiasi identità eccetto quella di avere in comune l’essere salariati! Non penso che il Partito Democratico così costituito sia riformabile. E negli Stati Uniti, nessun terzo partito ha molte possibilità, quindi il partito deve essere completamente smantellato: per far ciò ci vorrà molto tempo. Detto questo, Alexandria Ocasio-Cortez è una politica nata. Sta facendo un buon lavoro, per quanto può essere fatto. Sanders è traballante in politica estera ed è un socialdemocratico – intendo dire che se gli Stati Uniti avessero un sistema parlamentare come in Europa, i sondaggi darebbero ai Democratici circa solo l’8%. Il loro ruolo è di prevenire la nascita di un vero partito di sinistra.

 

Un'ultima domanda professore, com’è per lei essere comunista nel paese più anticomunista del mondo?

Ero molto conosciuto. Wall Street non si preoccupava delle mie posizioni politiche, solo se le mie previsioni e le mie analisi fossero giuste o sbagliate. Gli economisti di punta di Wall Street erano marxisti, perché chi altro potrebbe comprendere meglio il capitalismo? (Un indizio: sta tutto nello spremere plusvalore). Quando il mio libro Super-Imperialism fu pubblicato nel 1972, i maggiori acquirenti erano la CIA e il Dipartimento della Difesa. Herman Kahn mi assunse allo Hudson Institute, e il Dipartimento della Difesa diede una donazione di $ 85.000 (attuali 472.000 euro) a me perché spiegassi come lavora l’imperialismo. Lo avevo scritto per lettori socialisti, ma il governo statunitense lo usò come un manuale. Viceversa, non ero conosciuto negli ambienti accademici. Nel 1969-72, ai corsi post-laurea della New School for Social Research, non importava se avessi ragione o torto, solo se avessi gli slogan giusti e supportassi i loro finti marxisti. Il problema era che non avevano idea del fatto che il marxismo fosse basato sull’economia politica classica, e non erano mai mai arrivati a leggere il III volume de Il Capitale per discutere il capitalismo finanziario. Usai le Teorie sul Plusvalore di Marx come mio libro di testo per il corso sulla contabilità del reddito nazionale, che offese la facoltà stalinoide di Bob Heilbroner, Steve Hymer e altri “marxisti borghesi” cui non piacevano davvero le idee economiche di Marx. Questo è il motivo per cui l’ho lasciata. Nel 1973 ero già uno degli economisti meglio pagati in Nordamerica per le mie previsioni, consultazioni per case di brokeraggio e consulenti finanziari, e poi per il governo canadese e l’Istituto delle Nazioni Unite per la Formazione e la Ricerca (UNITAR). Me la sono cavata bene.

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