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la citta futura

Sarebbe questa la vostra ripresa?

di Carmine Tomeo

A dieci anni dall’inizio della crisi il divario italiano rispetto alle maggiori economie europee si allarga, in termini di Pil e di salari. Crescono le diseguaglianze, ma si portano avanti le stesse ricette economiche antipopolari. Occorre ribaltare il tavolo

Pochi giorni fa il governo ha passato la prova sul voto del Def (il Documento di economia e finanza), in sostanza il principale strumento della programmazione economico-finanziaria; il documento, attraverso il quale il governo indica la strategia economica e di finanza pubblica nel medio termine e la sottopone al voto parlamentare. Il Parlamento ha dato così il via libera alla Nota di aggiornamento del Def ed allo scostamento di Bilancio. Una votazione nella quale, tra l’altro, si è consumata l’ennesima pantomima di Mdp, che ha espresso voto contrario alla relazione del ministro Padoan - per l’approvazione della quale i voti del partito dei (quasi) fuoriusciti dal PD sono ininfluenti - ed ha votato a favore della risoluzione sullo scostamento di bilancio - dove i voti di Mdp sono necessari a non mettere in crisi il governo. A nulla valgono le giustificazioni secondo le quali il voto contrario avrebbe determinato l’applicazione automatica delle norme di salvaguardia, con aumenti dell’Iva. C’è da ricordare, infatti, che il pareggio di bilancio in Costituzione e le clausole di salvaguardia non sono cadute dal cielo: il primo è stato votato in Parlamento nel 2011; l'aumento automatico dell'IVA è stato introdotto tra le norme di salvaguardia dal governo Renzi, che ci ha impacchettato questo bel regalino nel 2015. Ed il PD, che allora poteva contare su Bersani, D’Alema e Speranza (quest’ultimo non presente in parlamento nel 2011, ma sedeva tra i banchi del PD nel 2015) votò compatto entrambi i provvedimenti.

Il voto sulla Nota di aggiornamento del Def dimostra, non solo che Mdp non riesce ad uscire dalla maggioranza di governo; ma soprattutto che, per quanto tenti di rifarsi una verginità politica, il partito dei (mai del tutto) scissionisti è ancora (e non può essere diversamente, né cambierà natura) un soggetto politico pienamente dentro l'ideologia neoliberista. Ideologia alla base di quei provvedimenti antipopolari che hanno accomunato i governi da Monti a Letta, da Renzi a Gentiloni, che si sono retti su maggioranze ampie costituendo nei fatti quel Partito della nazione auspicato dal segretario nazionale del PD. Una base ideologica che ha prodotto le politiche ed i meccanismi economici che massacrano da anni chi non appartiene alle classi sociali privilegiate.

Il risultato è nel rapporto Lavoro e capitale negli anni della crisi: l’Italia nel contesto europeo elaborato dalla Fondazione Di Vittorio, che delinea un quadro ben lontano dalla ripresa con la quale continuamente si riempiono la bocca i rappresentanti del governo. “La più grave crisi dal dopoguerra ad oggi, per unanime giudizio degli analisti, non è ancora in Italia definitivamente alle spalle”, afferma l’istituto di ricerca della Cgil, secondo il quale “Non sono ancora riparati – come i dati dimostrano – i danni provocati nel tessuto produttivo dalla recessione”.

I decimali di punto di incremento del Pil che tanto entusiasmano il governo ad ogni nuovo rapporto Istat, non hanno permesso di recuperare i quasi nove punti percentuali di prodotto che l’Italia ha perso negli anni della crisi. Così, siamo al punto che “La distanza - in termini di variazioni del prodotto - dalla media della zona Euro si è dilatata fino a superare 10 punti percentuali nel 2016”. A questo dato si aggiunga la contenutissima dinamica salariale e già il quadro complessivo si mostra nella sua drammaticità. I salari nominali di chi lavora in Italia, tra il 2007 e il 2016 sono aumentati molto meno della media della zona euro (-5,7%). In termini reali, nel 2016 i salari in Italia si sono attestati “ancora sotto il valore registrato nel 2007 (7 decimi di punto in meno). Nello stesso anno in Spagna i salari sono stimati a +5.7% rispetto al dato pre-crisi, in Francia a +9.5% e in Germania a +10.8%”.

Insomma, in Italia si produce meno valore che in altri Paesi europei e la ricchezza prodotta va sempre meno ai salari, aumentando i divari sociali. E le crescenti diseguaglianze - conferma la Fondazione Di Vittorio - giocano un ruolo determinante come fattore recessivo e deflattivo. Non è un caso, quindi, che “solo in Italia e Spagna i consumi nel 2016 sono ancora sotto il valore del 2007 (-4.7% e -5.5% rispettivamente)”. Diseguaglianze sottolineate anche nel Rapporto 2017 dell’Asvis, Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, che mostra come “Il divario fra il reddito disponibile equivalente ricevuto dal 20% della popolazione con più alto reddito (quintile più ricco) e quello del 20% della popolazione con più basso reddito (quintile più povero) è, in Italia, molto elevato ed è aumentato nell’ultimo decennio”. Nel frattempo, anche gli investimenti fissi hanno subìto una contrazione rilevante, “provocando una drammatica contrazione della capacità produttiva”, che ovviamente si riflette negativamente sull’occupazione. Il quadro che ne viene fuori è drammatico: “Con una caduta eccezionale della produzione e dell’occupazione, la ripresa è più lenta e le proiezioni sul PIL al 2018 allargano ancora il divario che si è prodotto negli ultimi anni rispetto alle altre grandi economie continentali”. Eccola la ripresa tanto e troppo spessa annunciata con lo stile di un vecchio banditore di paese.

Eppure siamo ancora a Def in cui si prevedono nuovi regali alle imprese (non sono bastati gli oltre 20 miliardi già regalati con pessimi, prevedibilissimi, risultati), tagli alla spesa pubblica, solo spiccioli da recuperare dalla lotta all'evasione fiscale, mentre - sono dati Istat - in Italia l’economia sommersa e illegale vale 208 miliardi (pari al 12,5% del Pil), di cui una buona fetta (quasi 80.000.000.000 di euro) è il frutto dell'impiego di lavoro irregolare. Emerge, quindi, che i lavoratori pagano due volte l'ingordigia della parte più ricca della società: obbligati, come classe sociale, a farsi carico del peso più ampio della fiscalità generale e al tempo stesso costretti spesso a rinunciare ai più elementari diritti di civiltà del lavoro, perché costretti ad accettare qualunque impiego, anche precario o irregolare che garantisce alle classi dominanti maggiori margini di profitto. E nel frattempo, governi compiacenti con gli evasori approvano finanziarie in accordo alle regole del pareggio di bilancio tagliando servizi e stato sociale, colpendo in tal modo, una volta di più, le categorie sociali più deboli.

Un Def, quindi, quello approvato pochi giorni fa, che si aggiunge a dieci di anni di regressione economica, alla quale hanno dato il proprio contributo governi guidati e sostenuti da professori, tecnici, politici di centrodestra e centrosinistra accomunati dall'idea della necessità delle misure di austerità. E se, come sottolinea il rapporto, gli investimenti privati sono crollati, l'intervento pubblico è andato in un'unica direzione: quella orientata a favorire un capitalismo arraffone ed a colpire le classi popolari. Intanto, viene progressivamente svenduto quel che rimane del patrimonio produttivo italiano e si continua a far passare provvedimenti che rispondono alla logica del pareggio di bilancio e delle peggiori misure di austerità.

E' ovvio che in queste condizioni non ci salverà alcuna politica (tra l'altro di impossibile applicazione) di riduzione del danno. Occorre, semmai, ribaltare il tavolo.

Comments

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clau
Sunday, 22 October 2017 17:25
“Rovesciare il tavolo” dice tutto e non dice niente, se non si fanno proposte precise, ma soprattutto se non ci si organizza politicamente per impostare e realizzare un diverso sistema sociale (il che può avvenire soltanto in modo cruento e non “democratico”), che superi l’attuale sistema basato sullo sfruttamento della forza-lavoro per il profitto del capitale.
Inoltre, l’attuale politica antioperaia ed antiproletaria italiana, è in perfetta linea con quanto sostenuto da Pci e Cgil fin dalla costituzione del Comitato di liberazione nazionale (CLN), infatti, in un libricino-intervista dei primi anni del secondo dopoguerra, dal titolo: “I sindacati oggi in Italia”, Giuseppe Di Vittorio, mitico segretario generale del sindacalismo italiano, che allora era la sola Confederazione Generale del Lavoro (CGdL) e tra i più influenti dirigenti del Pci, spiegava che, nonostante che le condizioni di vita della classe operaia italiana fossero veramente miserevoli, il sindacato unitario attuò deliberatamente una politica di contenimento salariale per favorire la ricostruzione delle aziende distrutte dalla guerra. Costoro, cioè Pci e Cgil, sono sempre stati tra i più convinti sostenitori degli abbondantissimi aiuti statali alle industrie della prestigiosissima famiglia Agnelli, che poi abbiamo visto com’è andata a finire…
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Vincesko
Friday, 20 October 2017 11:43
Errata corrige:
Ma le sue misure furono 1/5 del totale della scorsa legislatura e molto più eque e quindi ancor meno recessive...
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Vincesko
Friday, 20 October 2017 11:11
1. FISCAL COMPACT
Rammento che fu il debole Berlusconi, nel Consiglio europeo del 24 e 25 marzo 2011, a negoziare e ad accettare il fiscal compact (che peraltro fu resa condizione necessaria per poter beneficiare, ove occorresse e lo si richiedesse, dell’aiuto del MES),
CONSIGLIO EUROPEO 24 E 25 MARZO 2011 CONCLUSIONI
http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/it%/ec/120304.pdf
Il relativo DdL costituzionale fu presentato dal governo Berlusconi nel mese di settembre 2011.
Poi votato e introdotto in Costituzione nel 2012 durante il governo Monti, col voto favorevole di PDL, PD, Scelta Civica e Lega Nord.
http://parlamento16.openpolis.it/votazione/camera/pareggio-di-dibilancio-in-costituzione-tu-dll-c-4205-abb-a-voto-finale/37608

2. L’AUSTERITA’ E LE MANOVRE CORRETTIVE: BERLUSCONI BATTE MONTI 4-1
Su richiesta della Merkel, in piena crisi da spread e rischio di default dell'Italia, MONTI fu giudicato la persona più adatta e scelto da Napolitano per completare l'attuazione delle richieste contenute nella famosa lettera della BCE del 5/8/2011, che Berlusconi, a causa del veto di Bossi, non aveva potuto completare (in particolare, l'eliminazione delle pensioni di anzianità, concentrate soprattutto a Nord).
Ma le sue misure furono molto più eque e quindi meno recessive di quelle di Berlusconi (vedi IMU, patrimonialina sui depositi, TTF).
A dimostrazione di ciò, basta confrontare gli ammontari delle manovre correttive (i numeri sono più eloquenti di tante parole):
Riepilogo delle manovre correttive (importi cumulati da inizio legislatura):
- governo Berlusconi-Tremonti 266,3 mld (80,8%);
- governo Monti 63,2 mld (19,2%);
Totale 329,5 mld (100,0%).
LE CIFRE. Le manovre correttive, dopo la crisi greca, sono state: • 2010, DL 78/2010 di 24,9 mld; • 2011 (a parte la legge di stabilità 2011), due del governo Berlusconi-Tremonti (DL 98/2011 e DL 138/2011, 80+60 mld), (con la scopertura di 15 mld, che Tremonti si riprometteva di coprire, la cosiddetta clausola di salvaguardia, con la delega fiscale, – cosa che ha poi dovuto fare Monti – aumentando l’IVA), e una del governo Monti (DL 201/2011, c.d. decreto salva-Italia), che cifra 32 mld “lordi” (10 sono stati “restituiti” in sussidi e incentivi); • 2012, DL 95/2012 di circa 20 mld. Quindi in totale esse assommano, rispettivamente: - Governo Berlusconi: 25+80+60 = tot. 165 mld; - Governo Monti: 22+20 = tot. 42 mld. Se si considerano gli effetti cumulati da inizio legislatura (fonte: “Il Sole 24 ore”), sono: - Governo Berlusconi-Tremonti 266,3 mld; - Governo Monti 63,2 mld. Totale 329,5 mld. Cioè (ed è un calcolo che sa fare anche un bambino), per i sacrifici imposti agli Italiani e gli effetti recessivi Berlusconi batte Monti 4 a 1. Per l'iniquità e le variabili extra-tecnico-contabili (immagine e scandali), è anche peggio.
Il lavoro ‘sporco’ del governo Berlusconi-Tremonti
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2747515.html oppure
http://vincesko.blogspot.com/2015/05/il-lavoro-sporco-del-governo-berlusconi.html
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