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Quella corsa al gas naturale dietro la guerra in Siria

Paolo Mauri

La guerra civile in Siria è stata “venduta” al pubblico occidentale esclusivamente come un’insurrezione popolare per sollevare al-Assad ed ottenere una forma di governo più democratica. Sappiamo che questo è vero solo in minima parte, sappiamo degli interessi geopolitici nell’area e perché certe potenze occidentali e le petromonarchie del Golfo hanno sobillato questa rivolta che ha portato la bandiera dell’Isis a sventolare a poche decine di kilometri da Damasco; il rifiuto della Siria, tra il 2010 e il 2011, di consentire il passaggio sul proprio territorio del gasdotto Qatar-Turchia è da solo del tutto sufficiente a spiegare le origini del tentativo di sovvertimento del regime di Bashar al-Assad.

Ma i gasdotti e gli interessi strategici delle potenze globali non sono gli unici motivi per i quali è stata provocata la guerra in Siria: esiste una nuova corsa al gas naturale che da qualche anno sta coinvolgendo il Mediterraneo Orientale. Il cosiddetto “Bacino del Levante”, ovvero quella porzione di territorio che va dalla Siria al sud di Israele e che ne comprende anche il tratto di mare antistante, è candidato a diventare la nuova frontiera dello sfruttamento di gas: tutta l’area è infatti interessata da diversi giacimenti che non sono ancora stati resi produttivi attraverso gasdotti e GNL (Gas Naturale Liquefatto).

BacinoPetroliferoLevante 2

Oltre ai giacimenti “Leviathan” e “Tamar” nell’offshore israeliano che sono in fase di implementazione e che si collegheranno all’Europa tramite il futuro gasdotto “East Med”, esistono altre zone produttive in fase di esplorazione al largo di Cipro, del Libano e della Siria.

A Cipro già da quasi un anno è operativa Eni che a fine 2015 stipulò col Ministro dell’Energia cipriota un contratto di licenza per la ricerca di idrocarburi in 3 aree nell’offshore orientale dell’isola. Anche la compagnia francese Total nello stesso periodo ha visto rinnovate le sue concessioni di ricerca per un periodo di due anni, mentre la joint venture formata da ExxonMobil/Qatar prevede di terminare la propria attività esplorativa entro il 2018; tutti sintomi quindi di un vivo interesse per l’area geografica in questione.

In Libano, inoltre, la scorsa settimana è stata assegnata la prima gara per lo sfruttamento delle risorse di cinque blocchi offshore, due dei quali sono andati al consorzio formato da Total, Eni e dalla russa Novatek.

La gara ha subito circa 3 anni di ritardo a causa dell’instabilità politica dell’area e a causa delle pressioni di Israele che rivendica parte del territorio interessato dai permessi di ricerca per un totale di 860 kmq.

Si capisce quindi come il normalizzarsi della situazione siriana stia dando via libera alle compagnie petrolifere che si stanno accordando per lo sfruttamento e la commercializzazione delle risorse energetiche nel Bacino del Levante, la cui parte settentrionale, ovvero quella compresa tra Libano e la Siria meridionale, non è mai stata oggetto di una campagna di ricerca approfondita.

Gli accordi vedono infatti diversi attori protagonisti: oltre ad Eni – che sembra avere la maggior fetta delle concessioni di ricerca nel Mediterraneo Orientale – Total, Novatek ed Exxon, gli Stati coinvolti cercano, ovviamente, di capitalizzare al meglio questa nuova “corsa al gas”.

Il già citato gasdotto “East Med” sarà frutto di un accordo tra Italia, Israele, Cipro e Grecia e collegherà i giacimenti dell’offshore israeliano all’Europa via Grecia e Italia (quindi tramite il TAP). Il piano prevede un investimento privato di 6/7 miliardi di dollari per la costruzione della più lunga linea sottomarina al mondo (2200 km) entro il 2025. Nei piani di commercializzazione rientrerà quindi con ogni probabilità anche il Libano, secondo il progetto dell’Ad di Eni, Descalzi, di “Mettere a fattore comune le risorse future e le infrastrutture di trasporto e di export di Israele, Cipro ed Egitto, l’area potrebbe diventare un hub regionale del gas e fornire anche un importante contributo alla sicurezza energetica europea”. E’ previsto di portare il gas estratto dall’area in comune ai tre Paesi, che forse presto diventeranno quattro, a Damietta (Egitto) dove Eni controlla gli stabilimenti di liquefazione della spagnola Union Fenosa; progetto che interessa molto anche Tel Aviv per portare il proprio gas estratto dai giacimenti “Leviathan” e “Tamar” tramite gasdotti sottomarini sino al porto egiziano, per avere un secondo e importante canale di commercio con l’Europa che gli consentirebbe di mettersi al sicuro dalle “bizze” della Turchia, che per il momento provvede alla totalità del trasporto del gas estratto davanti alle coste di Israele.

Un capitolo a parte meriterebbe la situazione dell’Egitto, che grazie alla scoperta recente di un nuovo giacimento “supergiant” (il giacimento Zohr è in grado di produrre 850 miliardi di metri cubi di gas) effettuata sempre da Eni nel “fan del Nilo” – ovvero in quella parte di mare interessata dai depositi del fiume egiziano – si è trovato di colpo a diventare un Paese esportatore di gas quando è sempre stato un importatore. Il Cairo infatti si aspettava di importare da Tel Aviv 68 miliardi di metri cubi di gas nel corso di 15 anni, ma la scoperta e lo sfruttamento di Zohr hanno ribaltato le carte in tavola. La soluzione dell’hub energetico, con la partecipazione di tutti i Paesi coinvolti nella nuova corsa al gas, sembra essere quindi quella che accontenta tutti quanti.

La Siria e le sue riserve offshore restano però ancora la grande incognita: ora che al-Assad resterà, più o meno saldamente, a reggere le sorti di Damasco grazie all’aiuto – ovviamente non gratuito – di Mosca, è plausibile che si assista a due scenari diversi.

Il primo vedrebbe l’ingresso della Siria nell’accordo internazionale per l’hub energetico e per l’utilizzo di East Med, ma richiederebbe un pesante contributo “diplomatico” da parte della Russia per far digerire ad Israele la partecipazione di un Paese nemico ad uno scenario di tal tipo; il secondo, forse molto più plausibile, vedrebbe la gestione della risorse di idrocarburi nel Levante siriano da parte di Mosca e Ankara con accordi bilaterali con compagnie europee come l’Eni, da sempre partner privilegiato della Russia, e la Total, e quindi il collegamento con il Trans-Anatolian Gas Pipeline per la distribuzione attraverso l’implementazione di quella linea che è stata una delle cause scatenanti della guerra civile in Siria oltre al gasdotto qatariota: l’Arab Gas Pipeline.

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