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Abolire le tasse universitarie: perché non è giusto

di Marco Bollettino

Liberi e Uguali ha aperto la campagna elettorale proponendo di abolire le tasse universitarie. È un tema importante che tocca la questione del diritto allo studio e sul quale esistono pareri diversi. In questi giorni ospiteremo due opinioni opposte, quella di Marco Bollettino e quella di Alessandro Brizzi. Una versione più breve dell’intervento di Bollettino è uscita su www.stradeonline.it

Dal palco dell’Ergife di Roma, in occasione dell’assemblea nazionale di Liberi e Uguali, Pietro Grasso ha lanciato l’idea di abolire le tasse universitarie. La proposta, ha spiegato l’ex Presidente del Senato, «costa 1,6 miliardi. […] Avere un’università gratuita, come avviene già in Germania e tanti altri Paesi europei, significa credere davvero sui giovani, non a parole ma con fatti concreti. Ne beneficerà il Paese: dare a tutti la possibilità di studiare». Non si sono fatte ovviamente attendere le critiche, da tutto il Partito Democratico al Ministro Calenda che l’ha addirittura giudicata come “Trumpiana”. Ma questa proposta favorirebbe davvero i ricchi o, come affermato da Grasso, darebbe a tutti la possibilità di studiare?

 

Università per tutti

Per valutare correttamente una proposta politica, non possiamo limitarci a giudicarne le intenzioni. Dobbiamo, invece, analizzare quanto costa e se è efficace nel raggiungere gli obiettivi prefissati.

Partendo dai costi, Grasso ha parlato di 1,6 miliardi di euro, cioè la cifra che, nel 2016, è stata complessivamente pagata dagli studenti iscritti alle università pubbliche italiane. Da questa cifra, però andrebbero sottratti i 105 milioni messi a bilancio, a regime, per coprire le esenzioni e le riduzioni introdotte con lo Student Act (Legge di bilancio 2017, comma 265). Parliamo quindi di un costo complessivo di circa 1,5 miliardi.

Per quanto riguarda gli obiettivi, questi sono enunciati nel documento programmatico del gruppo di lavoro di Liberi e Uguali su Università e ricerca: «In Italia l’università è sempre più riservata ai ceti benestanti: circa l’80% di chi la frequenta, secondo Almalaurea, proviene da famiglie economicamente avvantaggiate. Tuttavia il nostro paese non si impegna a rimuovere le barriere economiche all’accesso all’istruzione terziaria. […] L’innalzamento dei livelli di istruzione attraverso la generalizzazione dell’accesso all’università rappresenta, infatti, un obiettivo strategico per tutto il paese».

Tralasciando il dato attribuito ad Alma Laurea, frutto, forse, di un’interpretazione molto creativa dell’indagine sul profilo dei laureati 2016, risulta chiaro che gli obiettivi della proposta sono principalmente due:

  • Rimuovere le barriere economiche e garantire a tutti il diritto all’accesso all’istruzione universitaria;
  • aumentare il numero di iscritti, specialmente per chi proviene da famiglie economicamente svantaggiate.

 

Le tasse universitarie sono già state abolite per i redditi bassi?

Una recente inchiesta del Sole 24 ore ha rivelato che il 36% dei 1.637.079 iscritti già gode dell’esenzione totale dalle tasse universitarie, mentre un ulteriore 30% può beneficiare di un forte sconto. Questo perché il cosiddetto “Student Act” inserito nella legge di bilancio 2017 ha creato una no tax area per gli studenti che presentano una dichiarazione ISEE inferiore ai 13.000 euro annui e forti riduzioni per chi ha un ISEE compreso tra i 13.000 e i 30.000 euro. Se non è corretto parlare di “tasse universitarie abolite per i redditi bassi” (l’imposta regionale si continua a pagare e la soglia di 13.000 euro non copre tutte le famiglie a basso reddito), tuttavia parlare di università gratuita significa intervenire e azzerare i costi principalmente per quelle categorie che oggi non beneficiano dello Student Act e cioè:

  • studenti con ISEE familiare superiore a 30.000 euro annui (o compreso tra 13.000 e 30.000 per la parte residuale);
  • studenti fuori corso da più di un anno;
  • studenti che non hanno conseguito 25 CFU nei 12 mesi precedenti.

 

Chi paga?

Individuata la platea dei beneficiari di un intervento, bisogna, quindi, stabilire chi ne sopporterà il costo. Qui, l’errore più comune è quello di confondere la “fiscalità generale” con “l’imposta sui redditi delle persone fisiche” (IRPEF) e affermare che l’onere derivante dall’abolizione delle tasse universitarie sarà ripartito secondo criteri di progressività.

È un ragionamento che non facciamo soltanto con la spesa per l’istruzione universitaria, ma anche per tante altre voci che compongono il Welfare State, come la scuola, la sanità e l’assistenza. Basta, però, dare uno sguardo al Bilancio dello Stato per accorgersi che questa equivalenza è tutt’altro che automatica. Se sommiamo tutte le spese che ho brevemente elencato (p. 160 del documento citato), otteniamo una cifra vicina ai 300 miliardi di euro (le spese sanitarie e i trasferimenti all’INPS per la spesa pensionistica non coperta dai contributi previdenziali sono le due voci più importanti). Le entrate derivanti dall’Irpef, le sole che rispettano un criterio di progressività, ammontano, invece, a 191 miliardi, circa un terzo di tutte le entrate dello Stato, al netto dell’accensione di nuovi prestiti.

Questo significa che già oggi, più di un terzo di quelle spese che, in modo naif, reputiamo essere coperte da una fiscalità progressiva sul reddito, in realtà vanno a gravare su altre imposte, che di progressivo non hanno nulla, come l’IVA. Possiamo serenamente pensare che questa spesa aggiuntiva sarà totalmente a carico delle fasce di reddito più alte e non si tradurrà in un trasferimento netto di risorse dai redditi più bassi a quelli più alti? La proposta di Liberi e Uguali non fornisce alcuna indicazione precisa su come verranno individuate le coperture per cui, a oggi, non è dato saperlo.

Facciamo, però, finta che venga presentata una proposta che, in modo dettagliato, spiega come modificare l’Irpef per prelevare 1,5 miliardi esclusivamente dai redditi più alti (es. sopra i 100.000 euro). Perché usare questo gettito extra per finanziare una misura che beneficia, in gran parte, i figli di famiglie ad alto reddito e non per ridurre una tassa regressiva, come l’IVA, che oggi finanzia una parte della spesa sanitaria?

 

Ma almeno si raggiunge l’obiettivo?

Nell’ultimo anno, grazie anche agli sconti garantiti dallo Student Act, si è verificato un piccolo aumento nelle immatricolazioni universitarie. Siamo però lontani dai numeri del passato e dai livelli raggiunti negli altri paesi europei. Perché?

Frequentare l’università costa molto e non sono certo le tasse universitarie la vera barriera all’ingresso per chi proviene da una famiglia con reddito medio basso. Molte ragazze e ragazzi decidono, infatti, di non proseguire gli studi perché non possono permettersi di rinunciare a un reddito per 3-5 anni, perché pensano, magari a torto, che la formazione universitaria non darà loro gli strumenti per migliorare la propria condizione o perché, in fase di orientamento, non hanno ricevuto le informazioni utili per scegliere in modo corretto la facoltà che più rispondere alle proprie capacità e aspirazioni. Ci sono, infine, i costi complessivi dell’università, che oltre le tasse comprendono vitto, alloggio, trasporto e materiale didattico che in tanti casi, purtroppo, impediscono a tanti “capaci e meritevoli” di accedere ai gradi più alti dell’istruzione.

Per stimare questi costi, possiamo utilizzare un comodo strumento realizzato dal Sole 24 Ore. Ecco alcuni esempi:

  • Mario, studente con ISEE di 25.000€, proviene dalla Provincia di Cuneo e si è iscritto al Politecnico di Torino, soggiornando in una residenza universitaria e mangiando in mensa. Nei 5 anni di frequenza, spenderà, in media, circa 40.910€. Di questi, solo 4.110€ (poco più del 10%) sono costituiti dalle tasse universitarie, mentre i costi maggiori sono per la sistemazione (15.500€), per il vitto (12.000€) e per il materiale didattico (8.300€);
  • Luca, compagno di camera di Mario alla residenza universitaria, ha un ISEE di 100.000€ e si è iscritto anche lui al Politecnico. Spenderà nei 5 anni 49.452€. Stavolta le tasse universitarie costituiscono più del 25% dei costi (12.652€).

Cambiando i vari parametri, ovviamente, si modificano anche i costi, ma due cose risultano evidenti:

  • se la famiglia di Mario ha difficoltà a pagare l’università del figlio non è certo a causa delle tasse universitarie, ma di tutti gli altri costi;
  • l’eventuale abolizione delle tasse universitarie porta maggiori benefici a chi non può beneficiare degli sconti contenuti nello Student Act. Non si tratta solo di famiglie ad alto reddito ma anche di studenti fuori corso.

In conclusione, la proposta di Liberi e Uguali non solo non è efficace nel favorire l’accesso alla formazione universitaria ai figli di famiglie a basso reddito, ma va a beneficiare, in gran parte, proprio chi non ne avrebbe alcun bisogno.

 

Una proposta “costituzionale”

Esaurita la pars destruens, può essere utile provare a costruire una proposta che, equivalente nei costi, sia invece efficace nel promuovere l’accesso all’istruzione terziaria per chi proviene da una famiglia a basso reddito. Fortunatamente, seguendo il dettame costituzionale, non è difficile farlo.

Articolo 34

“La scuola è aperta a tutti.

L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.

I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.”

Innanzitutto la Costituzione non afferma che tutti hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi; parla, invece, di capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi. È a loro, quindi, che dobbiamo rivolgerci. È sufficiente eliminare le tasse universitarie, per permettere a chi proviene da una famiglia di reddito medio basso di frequentare un corso di laurea? Abbiamo visto che la risposta è negativa. È necessario andare oltre e coprire i costi del vitto, dell’alloggio, dei trasporti e del materiale didattico.

Ogni studente, meritevole anche se privo di mezzi, ha bisogno di almeno 10.000€ di borsa di studio per avere la possibilità di accedere alla formazione universitaria. Con 1,5 miliardi di euro a disposizione, possiamo abolire le tasse universitarie per tutti, oppure creare borse di studio da 10.000€ l’anno, da assegnare con criteri precisi e rigorosi, sia in termini di reddito e traguardi di apprendimento, sia, perdonatemi, in termini di competenze (qualche laureato in più in materie scientifiche non farebbe male a questo paese). Se fate i conti, vengono fuori 150.000 borse di studio. Su una platea di 1.600.000 iscritti, fa quasi il 10%. Non mi sembra poco.

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