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sinistra

Potere al popolo? Sì, ma rimaniamo coi piedi per terra

di Davide Restano

Il 4 marzo si vota e le forze politiche concorrenti stanno tutte uscendo allo scoperto ognuna con il proprio programma e le proprie proposte. E’ presente il Pd ovvero il partito che negli ultimi anni si è distinto per una attività di governo ultra-liberista, filo-atlantista, amica del capitalismo transnazionale e dei suoi interessi; segue il partito del cavaliere intento a negoziare con il compare Salvini in quello che ormai più che una trattativa sembra il simpatico giochino delle tre carte, “il 3% c’è il 3% non c’è, leghisti fate il vostro gioco”. Favoriti sono i cinquestelle nonostante negli ultimi tempi la Di Maio & Company, sia nelle politiche sull’immigrazione sia nell’atteggiamento verso l’Unione Europea, abbia rivisto i suoi piani spostandosi sempre più verso posizioni moderate, conservando intatta l’indole giustizialista nella lotta alla corruzione.

La novità delle prossime legislative sembra essere un movimento, sorto alla fine del 2017, il quale mira a portare avanti la causa di una sinistra degna di tal nome. Si parla ovviamente di Potere al Popolo. La sua discesa in campo rappresenta un’interessante occasione per riflettere sulla situazione della sinistra italiana e di tutti quei movimenti che si oppongono all’attuale ordine costituito.

Potere al Popolo è nato solo pochi mesi fa ma il suo sembra essere stato un parto atipico. Marx diceva infatti che qualsiasi emancipazione è innanzitutto coscienza di essere oppressi, e secondo il filosofo solo quando gli oppressi si rendono conto di appartenere tutti ad una medesima categoria di individui accomunati dai medesimi interessi essi sviluppano una vera coscienza di classe. Potere al Popolo sembra invece sorgere da una spontanea e rinvigorita disposizione all’impegno politico relativa ad alcune frange di attivisti, le quali hanno indubitabilmente saputo coinvolgere nel progetto un certo numero di persone semplici come casalinghe, operai, ed immigrati. Tuttavia l’impressione che Potere al Popolo non nasca da un vero e proprio contesto di massa, e che la massa debba dunque ancora conquistarsela, resta. E allora una riflessione si rende necessaria. Il popolo non è un ente di natura, quello italiano specialmente scaturisce da una cultura e da istituzioni le quali sin dalla loro comparsa hanno voluto “fare gli italiani”. Esso raccoglie in sé il maggior numero di soggetti appartenenti ad una data società, è ad esempio la massa di individui su cui ha fatto presa il movimento cinquestelle diffondendo una vera e propria pedagogia della incazzatura che dai giorni dei vaffaday sino ad oggi si riversa interamente sulla classe politica corrotta e spendacciona. La pedagogia della rabbia e la cosiddetta questione morale sono due facce della stessa medaglia. Negli ultimi dieci anni suddetta pedagogia ha riunito ampi strati della società civile fruttando ai pentastellati un vasto bacino elettorale. Potere al popolo nasce saltando tale fase la quale è non solo propedeutica alla competizione elettorale ma anche necessaria affinché le masse siano pronte a recepire il senso delle lotte che i suoi candidati intendono portare avanti. Stando a Marx, materialista sì ma evidentemente non in tutto, nel caso della lotta per l’emancipazione del proletariato la coscienza precede l’atto e non viceversa. Dunque per qualunque forza politica intenzionata ad inserire la propria visione della realtà all’interno dell’attuale scenario politico-sociale muovere i primi passi attuando una preliminare attività di formazione pare doveroso, specie se si considera che molti italiani sono cresciuti istruendo se stessi non leggendo Stato e Rivoluzione di Lenin ma guardando Uomini e Donne di Maria de Filippi. Oppure, nel migliore dei casi, andando al cinema a vedere l’ultima perla di Hollywood, industria definita da Nancy Fraser come la grande macchina del capitalismo cognitivo capace di trasmettere al pubblico valori e principi conformi agli scopi del pensiero dominante. Per la filosofa statunitense poi quale sia il comune denominatore di questi valori è presto detto, neoliberismo e ultra-individualismo a go go. Con tale moltitudine dovrà fare i conti Potere al Popolo, a cui spetta l’arduo compito di farsi portavoce degli autentici interessi di un soggetto, il popolo, ormai reso im-politico e dunque non compatibile con gli obbiettivi del movimento sorto per difenderne gli interessi. Potere al Popolo parte non avendo né potere né popolo. Si può parlare di bene della collettività, di dignità dell’uomo e della donna, di giustizia sociale a menti educate da X-Factor (classico esempio di riscatto personale attraverso la sola via individuale) oppure dalla pornografia (lampante esempio di degradazione e dell’uomo e della donna) ed essere compresi? Senza dimenticare le varie multinazionali nemiche dei lavoratori ma che ci vestono praticamente tutti. Ripromettersi di cambiare le cose senza prima poter promuovere una comprensione “di massa” delle dinamiche che hanno condotto all’attuale stato di alienazione delle fasce popolari è quantomeno un azzardo. Pier Paolo Pasolini nella famosa massima “ il vero dramma non sta nel non potersi esprimere ma nel non poter essere compresi” sembra prefigurare il rischio che corre Potere al Popolo. Avere come referente un popolo incapace di percepire la miserevole condizione in cui si trova e non ancora in grado di iniziare un percorso di liberazione.

Aggiungiamo che da troppi anni ad una sinistra davvero popolare è precluso uno strumento ancora oggi decisivo, nonostante internet, allorché si tratta di trasmettere messaggi alle masse e di forgiare le loro coscienze. La Tv. Lo hanno da tempo capito persino i grillini i quali dopo un’ostinata iniziale astensione si sono arresi alla potenza divulgativa di Madame la telé. Svantaggi questi che rischiano di rendere inconsistente e prettamente simbolica la partecipazione di Potere al Popolo alla prossima tornata elettorale, e pur riconoscendo e apprezzando lo sforzo di chi si mette in gioco in prima persona, non si può non dolersi del fatto che laddove una sinistra degna può solo atti simbolici a uscirne vincitore è l’ordine costituito. Quest’ultimo ha infatti la possibilità di sfruttare la partecipazione alle elezioni di forze politiche anti-sistema per legittimare ulteriormente se stesso, potendo dare l’impressione di aprire democraticamente a tutti la corsa al parlamento occultando il fatto che poi nessuno, a parte lui, possa davvero vincerla.

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