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gliocchidellaguerra

L’Fmi non ne becca una: 100% di stime errate

di Andrea Muratore

L’economia è il regno dell’incertezza e, anzi, un celebre adagio che circola tra gli addetti ai lavori nella disciplina sottolinea come il ruolo dell’economista sia quello di spiegare domani perché ieri non si è riusciti a prevedere ciò che sarebbe accaduto oggi. Una battuta che basterebbe da sola a mettere nell’angolo coloro che si ostinano a ritenere l’economia una branca delle hard sciences, una disciplina maneggiabile attraverso stime, regressioni e modelli capaci di avere il crisma dell’universalità, come esperimenti ripetuti in laboratorio.Questo, nelle intenzioni di una serie di economisti di origine o formazione anglosassone, svilisce l’economia negandone il ruolo di scienza sociale, intrinsecamente connessa al contesto in cui un sistema viene ad emergere e a precise dinamiche politiche. La volontà di governare l’economia con equazioni e modelli considerati universalmente validi porta a negare i presupposti politici che, ad esempio, spingono a definire in maniera più o meno elevato l’effetto di moltiplicazione che un aumento o diminuzione della spesa pubblica avrà sul totale del Pil (tragicamente previsto al ribasso dal team Fmi che nel 2010 si occupò della Grecia) o concetti come quello di “Pil potenziale” e output gap alla base della recente diatriba tra governo italiano e Commissione Europea sulla manovra.

E proprio per questo motivo di recente l’Fmi è salito sul banco degli imputati per la sua incapacità di adattare la statistica al mondo reale. “Il problema di fondo è legato strettamente all’ idea di potere esaminare un mondo probabilistico con criteri deterministici”, scrive Italia Oggi. “I modelli previsionali degli analisti finanziari e del Fmi non possono funzionare in quanto asimmetrici alla realtà che hanno la presunzione si debba adattare ai loro modelli stessi astrali mentre la logica suggerisce l’ ovvio contrario e cioè che siano i modello ad adattarsi alla realtà. La presunzione di volere che la realtà si adatti ai modelli e non viceversa è la manifestazione più evidente di quanto un modello socioculturale che ha per decenni dominato il nostro mondo sia fallito nei fatti”.

A certificarlo un economista che lavora per la stessa istituzione chiave del Washington Consensus, di recente tanto allarmata per la tenuta dell’Italia quanto poco presente nel dibattito sulla dominante volatilità che agita gli scenari borsistici globali. “Prakash Loungani”, affermato studioso del Fmi, “ha compiuto ricerche circa l’accuratezza delle previsioni degli analisti-economisti. Utilizzando dati tratti da una pubblicazione chiamata Consensus Forecasts (pubblicata dal Consensus Economics), Loungani ha dimostrato che per oltre tre decenni tra le 150 recessioni registrate solo due sono state previste, il tasso di errore è poi salito al 100% nonostante il continuo aggiornamento dei modelli previsionali”.

Lo scoppio della Grande Recessione ha accelerato una tendenza consolidata all’accrescimento della volatilità borsistica, finanziaria e produttiva che l’interconnessione tra le economie ha finito per esacerbare. La famosa domanda dalla Regina Elisabetta II ai vertici del governo inglese dopo i primi fallimenti bancari negli Stati Uniti e gli effetti a cascata che investirono il Regno Unito (“come avete fatto a farvi sfuggire tutto questo?”) nella sua semplicità è l’uovo di Colombo dell’economia contemporanea, di cui il Fmi è l’organismo rappresentativo per antonomasia. L’ipocrisia che vuole incidere nella pietra presupposti economici dettati da logiche prettamente politiche (dalla necessità del contenimento della spesa all’utilità delle misure di austerità per ridurre i debiti dei Paesi) porta a costruire modelli compiacenti che si scontrano con la realtà, tutt’altro che immanente e variegata nei diversi contesti in cui un Paese si trova nel momento di un boom o di una crisi economica.

La stessa idea che sia il gioco delle aspettative razionali a determinare gli andamenti di lungo periodo e la concezione degli agenti economici come enti perfettamente capaci di capire cosa massimizzi la propria utilità è un’assunzione arbitraria elevata a dogma a partire dagli Anni Settanta. Frederich von Hayek, nel discorso di accettazione del Nobel per l’Economia del 1974, sintetizzò il problema in maniera emblematico: “Questa visione ha conseguenze paradossali…, infatti riguardo al mercato ed alle strutture sociali abbiamo una grande quantità di fatti non misurabili che come tali vengono semplicemente trascurati considerando come rilevante solo ciò che è misurabile che rappresenta la minima parte delle informazioni che servono… Come professione abbiamo combinato un grande pasticcio”. Fu profeta inascoltato. E il Fmi odierno testimonia come le problematiche da lui sollevate siano tutt’altro che superate dalla realtà odierna. Con grave pregiudizio delle nazioni a cui la principale organizzazione economica internazionale propina le sue “ricette” anticrisi.

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