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sbilanciamoci

L’Europa difende lo Stato di diritto per affossare il welfare

di Alessandro Somma

Infrazione delle norme sullo Stato di diritto: la proposta della Commissione emendata dal Parlamento europeo si distingue per l’enfasi con cui invoca una gestione tecnocratica delle procedure destinate a individuare le violazioni dello Stato di diritto ma senza tutelare lo Stato sociale dalle ingerenze del mercato

Alcuni mesi or sono la Commissione europea ha formulato una proposta di regolamento rivolto ai Paesi membri nei quali si adottano politiche che determinano una “carenza generalizzata riguardante lo Stato di diritto” [1]. Nel testo, appena approvato con emendamenti dal Parlamento europeo[2], si prevede che queste politiche siano sanzionate con la riduzione o la sospensione dei finanziamenti relativi a impegni esistenti, e con il divieto di assumere nuovi impegni.

La proposta definisce in apertura il concetto di Stato di diritto, che comprende in particolare il principio di legalità, il principio della certezza del diritto e il principio della separazione dei poteri, ovvero il divieto di arbitri del potere esecutivo ai danni dell’indipendenza delle corti e dell’uguaglianza davanti alla legge. Questo modo di intendere lo Stato di diritto compare in altri documenti della Commissione, dove si sottolinea il nesso con la promozione dei diritti fondamentali: “non può esistere rispetto dei diritti fondamentali senza rispetto dello Stato di diritto, e viceversa”[3].

È un’affermazione importate, da cui la Commissione non trae però tutte le conseguenze del caso, oltretutto con il sostanziale avallo del Parlamento: vediamo perché.

Il nesso tra Stato di diritto e garanzia dei diritti fondamentali è l’essenza del passaggio dallo Stato di diritto allo Stato costituzionale: il primo concepito per sostituire il governo degli uomini con il governo delle leggi, e il secondo pensato per tutelare i cittadini dalla potenziale arbitrarietà di queste ultime. Di qui l’enfasi sui diritti e a monte sull’uguaglianza, da non intendere tuttavia in senso meramente formale, come uguaglianza davanti alla legge, nel solco di quanto si ricava invece dai documenti della Commissione: nello Stato costituzionale l’uguaglianza è sostanziale, implica l’impegno dei pubblici poteri a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale alla sua realizzazione.

Insomma, lo Stato di diritto cui si è soliti fare riferimento è in verità lo Stato costituzionale in combinazione con lo Stato sociale, che promuove la solidarietà insieme alla libertà. Questo non si ritrova però nella proposta della Commissione, che anche per questo è stata emendata dal Parlamento europeo attraverso il richiamo, in sede di esemplificazioni di cosa si intende per Stato di diritto, ai “diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. È però una soluzione incapace di modificare le cose: la Carta non parla di Stato sociale, né tanto meno contiene riferimenti ai diritti sociali. Si limita del resto, come la proposta originaria della Commissione europea, ad affermare che “tutte le persone sono uguali davanti alla legge”, ovvero a richiamare la sola uguaglianza in senso formale.

Altro limite della proposta della Commissione: non sanziona qualsiasi minaccia allo Stato di diritto, bensì solo quelle che offendono l’ortodossia neoliberale, ovvero che ostacolano l’obiettivo di una “gestione finanziaria sana” e l’azione di contrasto delle “politiche economiche e fiscali instabili”. Più precisamente si considerano “carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto” quelle che intralciano il lavoro delle autorità nazionali incaricate di “eseguire il bilancio dell’Unione”, o della “repressione delle frodi, della corruzione o di altre violazioni del diritto dell’Unione che riguardano l’esecuzione del bilancio”.

Qui però il Parlamento europeo non tenta alcuna correzione di rotta. Anzi, interviene sulla lista in cui si esemplificano le violazioni dello Stato di diritto per consolidare il nesso tra la sua difesa e il presidio dell’ortodossia neoliberale. Il testo emendato precisa infatti che costituiscono sfide allo Stato di diritto anche la minaccia al “corretto funzionamento dell’economia di mercato”, le insidie alla “concorrenza” e alle “forze del mercato”, e più in generale il mancato “rispetto della finalità dell’unione politica, economica e monetaria”.

Ma non è tutto. La proposta emendata dal Parlamento europeo si distingue anche per l’enfasi con cui invoca una gestione tecnocratica delle procedure destinate a individuare le violazioni dello Stato di diritto. Prevede infatti la costituzione di un “gruppo di esperti indipendenti” chiamato a collaborare nell’identificazione delle carenze “che compromettono, o rischiano di compromettere, i principi della sana gestione finanziaria e la tutela degli interessi finanziari dell’Unione”. Passa così dal Parlamento l’affermazione di un fondamento dell’ortodossia neoliberale, quello per cui il governo dell’ordine economico deve essere spoliticizzato, se non altro per essere messo al riparo dal conflitto redistributivo.

È difficile che questa proposta passi. Deve essere adottata con procedura legislativa ordinaria e questo significa che il Consiglio dovrà approvarla così come è, oppure che sarà necessaria una seconda lettura[4]. Il tutto mentre molto prima terminerà l’attuale legislatura, e mentre sarà difficile che la prossima accetti di approvare un testo pensato soprattutto per colpire la destra sovranista, nonostante l’ossequio all’ortodossia neoliberale sia un suo carattere distintivo.

Detto questo, la vicenda documenta che neppure questa legislatura è indenne da critiche. Il Parlamento europeo dominato dalla grande coalizione si è infatti eretto a fedele custode del meccanismo che oramai affligge qualsiasi trasferimento di fondi europei agli Stati membri: quello per cui è condizionato all’adozione di misure che alimentano l’ortodossia neoliberale, ovvero abbattono la spesa sociale, promuovono le privatizzazioni e le liberalizzazioni, e mortificano il lavoro dipendente. Un meccanismo che in alcun modo può tenere insieme la tutela dello Stato di diritto e la difesa dello Stato sociale.

Conosciamo bene questo schema in quanto è alla base della cosiddetta assistenza finanziaria fornita ai Paesi più colpiti dalla crisi del 2008: iniziata come crisi del settore bancario, e poi proseguita come crisi del debito provocata dai salvataggi degli istituti di credito. Lo stesso schema ha però ispirato tutti le fasi salienti dello sviluppo della costruzione europea: dall’allargamento a sud, accompagnato dall’intervento del Fondo monetario internazionale in Portogallo, all’allargamento a est, gestito attraverso la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Passando per la disciplina dei fondi strutturali, nati per trasferire ricchezza dai Paesi ricchi ai Paesi poveri, e nel tempo assorbiti anch’essi nel vortice del mercato delle riforme: consessi solo a chi mostra fervore neoliberale, pena la loro sospensione o revoca[5].

L’Europa avrebbe invece bisogno di ben altre condizionalità: quelle che tutelano lo Stato di diritto e nel contempo presidiano il nesso con lo Stato sociale. Condizionalità con cui ridurre o sospendere i finanziamenti europei agli Stati che non promuovono attivamente la buona occupazione e il contrasto del lavoro precario e sottopagato, o che non destinano risorse sufficienti alla tutela della salute e dell’ambiente, all’istruzione pubblica, al sistema pensionistico, alla lotta alla povertà e all’allargamento della forbice tra ricchi e poveri.

È evidente che lo Stato di diritto è un punto di riferimento imprescindibile per lo stare insieme come società. Altrettanto evidente è che esso non può ridursi a presidio dell’ortodossia neoliberale e della centralità dei mercati e del principio di concorrenza. Perché questo distrugge lo Stato sociale e induce i governi ad alimentare la xenofobia e a promuovere l’identità fondata su valori premoderni, buoni solo a occultare le vere ragioni della crisi dell’Unione europea: il suo costituire un motore inarrestabile di ingiustizia e insicurezza sociale.


Note
[1] Proposta di Regolamento sulla tutela del bilancio dell’Unione in caso di carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto negli Stati membri del 2 maggio 2018, Com/2018/324 final.
[2] Emendamenti del Parlamento europeo alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla tutela del bilancio dell’Unione in caso di carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto negli Stati membri del 17 gennaio 2019, P8_TA-PROV(2019)0038.
[3] V. ad es. la Comunicazione Un nuovo quadro dell’Ue per rafforzare lo Stato di diritto dell’11 marzo 2014, Com/2014/158 final.
[4] Art. 294 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
[5] V. A. Somma, Europa a due velocità. Postpolitica dell’Unione europea, Reggio Emilia, 20176, p. 145 ss. 

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