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Perché non “credo” nella “scienza”

di Robert Tracinski*

Come spiega Robert Tracinski, oggi la politica tenta di accreditare se stessa rendendo un vuoto omaggio alla scienza, nella quale molti politici dichiarano di “credere”, per segnalare la propria superiorità intellettuale. La scienza però non è un dogma in cui credere, ma un metodo di indagine e verifica che serve a studiare la realtà, non a distinguere tra fedeli “buoni” e infedeli “spregevoli”

La scienza non si occupa di “credenze”. Si occupa di fatti, evidenze, teorie ed esperimenti

Da anni ormai, lo slogan preferito della sinistra è la frase “io credo nella scienza”. Elizabeth Warren l’ha detto recentemente in una forma molto tipica: “Io credo nella scienza. E chiunque non ci crede non ha il diritto di prendere decisioni riguardo all’ambiente”. Questa affermazione era data in risposta alla notizia che ad alcuni scienziati, scettici sul riscaldamento globale, potrebbe essere consentito di contribuire a definire la relativa politica pubblica.

Quindi quello che la Warren vuole intendere davvero dicendo “io credo nella scienza” è “io credo nel riscaldamento globale”.

Ma dobbiamo ringraziare Andrew Yang – un candidato democratico alla presidenza che è appena riuscito ad essere ammesso ai dibattiti televisivi delle primarie ottenendo più di 65.000 contributi individuali per la sua campagna – per avere proclamato questo slogan nella maniera maggiormente comica:

“Mio padre ha un Ph.D. ( ) in fisica”, ha detto, “io credo nella scienza”.

La dichiarazione ha ispirato alcune meritatissime parodie, del tipo “Mio padre era un vignettista. Io credo in Daffy Duck”. Ma, più importante ancora, dice molto di quello che più infastidisce chi non ne fa parte riguardo alla massa dei “io credo nella scienza”. Che questa riduce una questione intellettuale seria – un’intera visione del mondo e un metodo di pensiero – a marker identitario di un gruppo sociale.

Alcuni possono usare l’“io credo nella scienza” come una forma indefinita di abbreviazione per esprimere fiducia nelle capacità del metodo scientifico di ottenere risultati validi, o forse la visione che l’universo è governato da leggi naturali individuabili attraverso l’osservazione e il ragionamento.

Ma il modo in cui la maggior parte delle persone lo usa oggi – specialmente in un contesto politico – è praticamente l’opposto. Lo usano per dichiarare la fede in una affermazione che è al di fuori della loro conoscenza e che non capiscono.

Ci sono un sacco di persone oggi a cui piacciono le cose che suonano scientifiche, ma che non hanno abbastanza pazienza per la vera scienza. Sono il tipo di persone che si esalta quando Elon Musk dice loro che porterà un milione di persone su Marte, ma sembra meno eccitato nell’affrontare discussioni sulla schermatura dai raggi cosmici, o sui venti solari, o sulle fughe di idrogeno o su tutte le ragioni per cui Marte è un pianeta morto.

Preferiscono l’immaginario della “scienza” alla più prosaica realtà. Nella mia esperienza, “io credo nella scienza” è un modo veloce per dire “ho una laurea in campo umanistico”.

Il problema è la parola “credere”. La scienza non si occupa di “credere”. Si occupa di fatti, di evidenze, di teorie ed esperimenti. Non si dice “credo nella termodinamica”. O capisci le sue leggi e le loro evidenze, oppure non le capisci. “Credere” non c’entra niente.

Se volessimo fare un’affermazione corretta, “io capisco la scienza” sarebbe un inizio. “Io capisco la scienza in questa questione” sarebbe meglio. Questo implicherebbe che vi siete impegnati in uno studio di prima mano sulla specifica questione scientifica che coinvolge, per esempio, il riscaldamento globale, cosa che vi darebbe le basi per sostenere una conclusione. Se non capite le basi della vostra conclusione e invece dovete accettarla come un dogma, allora non la conoscete davvero, e di certo non siete nella posizione di giudicare gli altri e quello che devono credere anche loro.

Siccome la scienza si occupa di evidenze, questo significa che non si basa sull’”autorità”. Il motto della Royal Society è nullius in verba – “sulla parola di nessuno” – che intende riflettere la “determinazione degli accoliti a resistere al potere dell’autorità e verificare tutte le affermazioni alla luce dei fatti determinati tramite esperimenti”.

Questo è l’opposto del concetto che “io credo nella scienza” cerca di far passare. L’“io credo nella scienza” serve a utilizzare la reputazione della “scienza” in generale per dare autorevolezza a una specifica affermazione scientifica particolare, mettendola al riparo da domande e dubbi.

L’“io credo nella scienza” è quasi sempre invocato ai nostri giorni per sostenere una particolare affermazione scientifica: un catastrofico riscaldamento globale di origine antropica (ossia umana, NdVdE). E per sostenere una particolare soluzione politica: massicci provvedimenti del governo per limitare o bandire i combustibili fossili.

Ma queste due posizioni coinvolgono una complessa serie di differenti affermazioni scientifiche – che le temperature globali si stiano innalzando, che gli esseri umani ne siano i principali responsabili, che i risultati saranno catastrofici per la vita umana, che le temperature in aumento possano essere arrestate – unite a una serie di affermazioni in campo politico ed economico. Per esempio: che l’azione di proibire i combustibili fossili sarebbe più efficace rispetto a utilizzare la ricchezza resa disponibile dai combustibili fossili per aiutare gli esseri umani ad adattarsi ai cambiamenti climatici futuri.

Lo scopo dello slogan è bypassare qualsiasi discussione significativa su queste differenti affermazioni, mischiandole in un solo pacchetto – e in una proposta politica.

Il trucco è far sembrare che essere in disaccordo con una qualsiasi di queste differenti affermazioni sia equivalente a rigettare il metodo scientifico e la stessa visione scientifica del mondo.

Storicamente, la cosa non ha senso. Esistono molte teorie, perfino nel passato recente, che erano diffusamente accettate dal “consenso” scientifico e che sono state poi smentite, e ci sono state molte teorie inizialmente scartate dal mainstream come stupidaggini, che sono poi state confermate come vere. Guardate alla storia delle placche tettoniche, o del vento solare, entrambe ci hanno messo decenni per ottenere l’accettazione da parte del mainstream nei loro rispettivi campi. O considerate la recente conclusione che le ricerche sull’Alzheimer possono essere state mal indirizzate per decenni, sulla base dell’adozione prematura di una teoria errata.

La questione non è soltanto che gli scienziati si possono sbagliare. Il punto è che la scienza è difficile.

Il metodo scientifico è molto potente, ma le materie che tenta di comprendere sono spesso estremamente complesse, insormontabili. E gli stessi scienziati sono esseri umani – soggetti a condizionamenti, punti deboli e conformismo (ricorda un geologo: “Quando ero studente all’MIT mi venne detto che i bravi scienziati non lavoravano su idee folli come la deriva dei continenti”).

Ma quando i politici proclamano “io credo nella scienza” quello che stanno facendo è proclamare la fede nel consenso attuale. Pensate che Elizabeth Warren e Andrew Yang abbiano studiato seriamente la scienza climatica? No, credono nel riscaldamento globale e nelle sue soluzioni politiche preferite perché è stato detto loro che un consenso di scienziati ci crede (e perché questa credenza conferma i loro pregiudizi politici). Notate che l’affermazione della Warren si rivolgeva a un gruppo di scienziati scettici riguardo al riscaldamento globale, guidati da un illustre fisico, William Happer. Da quando uno scienziato è qualcuno che “non crede nella scienza”? Quando si discosta dal “consenso”.

Le persone che dicono cose di questo tipo, probabilmente non lo sanno, ma stanno solo ripetendo a pappagallo l’eredità del filosofo della scienza del XX secolo, Thomas Kuhn, responsabile di aver elevato il consenso al di sopra dei fatti. Egli sosteneva che le evidenze e gli esperimenti non possono distinguere le teorie tra vere e false, perché gli scienziati avrebbero sempre interpretato e razionalizzato i risultati, facendo aggiustamenti ad hoc alle loro teorie, in modo da sostenere i loro preconcetti scientifici. Se si fosse trattato di stabilire perché il “consenso” poteva sbagliarsi, questa analisi sarebbe stata tutto sommato corretta. Ma Khun sosteneva che questa era l’unica maniera in cui poteva funzionare la scienza, che non esistevano strumenti oggettivi per risolvere i disaccordi, che il passaggio da una vecchia teoria a una nuova non poteva essere “forzato dalla logica e dall’esperienza neutrale”. Pertanto una rivoluzione scientifica, detta “cambio di paradigma” – fu lui a coniare il termine – era sempre di base una questione di cambiamento del consenso sociale.

Come ho detto, questa è un’eccellente descrizione del fallimento del consenso scientifico. E ci porta indietro al reale significato dell’ “io credo nella scienza”. Si tratta di un modo di dichiarare la propria lealtà al consenso sociale. Nel caso di Andrew Yang, è un modo di raccontare al suo pubblico che lui è letteralmente nato e cresciuto all’interno del gruppo sociale giusto, quello che si trastulla nella sua auto-immagine di essere “pro-scienza” e la usa per differenziarsi dai propri rivali politici, che lui dipinge come oscurantisti religiosi fanatici “anti-scienza”.

Ecco che cosa intendo quando dico che si tratta di un omaggio fatto alla scienza da parte di persone che in generale non la capiscono granché. La scienza qui viene usata non per descrivere metodi specifici o teorie, ma per fornire un simbolo di identità tribale.

Il quale serve, ironicamente, per dimostrare la mancanza di interesse nei principi basilari della vera scienza.


* Robert Tracinski ha studiato Filosofia all’Università di Chicago e per più di vent’anni ha scritto di politica, mercati e politica estera. Ha pubblicato su dozzine di quotidiani, dal Chicago Tribune al San Francisco Chronicle, ed è intervenuto in molte trasmissioni radio e televisive, da Rush Limbaugh al “The O’Reilly Factor”.

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