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Approdo per noi naufraghi

di Elena Basile

Il titolo del libro di politica internazionale, pubblicato da Paperfirst il 4 novembre u.s., Approdo per noi naufraghi, richiama l’aspirazione principale del saggio. Chi sono i naufraghi e dove è l’approdo? I naufraghi sono innanzitutto i componenti del variegato mondo del dissenso, sono la generazione Z, ancora priva di soggettività politica ma unita per la pace e la condanna del genocidio di Gaza. Sono anche i cittadini che non votano più perché sfiduciati verso le istituzioni e la politica. I naufraghi sono inoltre coloro che votano malvolentieri, non convinti, che si arrendono perché “non c’è alternativa”.

In Italia, come in Europa, è essenziale creare un’istanza politica (a partire dai partiti dell’arco costituzionale in grado di prendere decisioni storiche di condanna del genocidio e del riarmo) che possa rappresentare le esigenze esistenti di contrasto alle politiche neoliberiste e belliciste dell’imperialismo finanziario USA, di cui l’UE è ormai l’appendice poco dignitosa.

Mi è apparso importante aprire il confronto su alcuni temi di fondo che potrebbero indicare una direzione di marcia unitaria, un denominatore comune a prescindere dalle diverse sensibilità e identità dei partiti e dei movimenti accomunati dal contrasto alle guerre in Ucraina e in Medio Oriente.

Il libro esamina i fattori geopolitici, economici, sociologici e culturali che hanno permesso la trasformazione antropologica di un elettorato incline a premiare la maggioranza Ursula, malgrado il tradimento degli interessi dei popoli europei, il rischio sempre più presente di un conflitto nucleare e la nostra evidente complicità con il genocidio del popolo palestinese.

I cambiamenti dello spazio mediatico e culturale accompagnano la fine della dialettica capitale/lavoro, la nascita della trappola del debito, la sostituzione del multilateralismo con la mitizzazione della forza e dell’unipolarismo, la scomparsa della soggettività operaia e dei corpi intermedi. Il materialismo edonistico trionfa nella società liquida, nella quale vagano individui senza radici e identità, ormai privi di aggregati sociali.

L’Unione Europea segue questa tendenza generalizzata. Grazie all’approccio Monnet, celebra la cooperazione settoriale e spazza via le basi di una costruzione politica e federale, creando una moneta unica in una regione economicamente disomogenea e risolvendo l’antitesi creditori-debitori a favore dei primi. I falsi europeisti sostengono una maggiore integrazione che, in un quadro economico privo di un interesse comune e con una governance istituzionale mancante di legittimità democratica, finisce per accentrare il potere in una burocrazia asservita ai potentati economici. Cinghia di trasmissione tra lobby e Stati nazionali, l’UE impone decisioni cruciali di politica economica e di politica estera, superando i meccanismi democratici insiti negli Stati nazionali.

La resa delle classi dirigenti europee alla militarizzazione del dollaro viene indagata nelle sue molteplici cause profonde e nei meccanismi contingenti, sintetizzabili nel finanziamento dello spazio mediatico, nel racket degli istituti di ricerca, nell’hackeraggio dei leader politici, nella sorveglianza dei flussi di denaro destinati ai paradisi fiscali.

Le prime tre parti del saggio ritraggono la situazione di fatto con una documentata analisi dei molteplici fattori in grado di porre fine al liberalismo, al multilateralismo, alle costituzioni democratiche nate nel secondo dopoguerra, all’Europa sognata da tanti umanisti. Ne emerge un ritratto impietoso dell’Occidente, artefice di barbarie e attore dalla parte sbagliata della storia, proprio nel momento in cui ricorre a ideologie che risuscitano antichi miti del passato coloniale: il suprematismo bianco, pronto a riemergere in modo ricorrente nella nostra storia.

Il saggio, tuttavia, nella sua quarta parte, si dedica a definire un possibile approdo. La domanda, ispirata a Spengler e al suo capolavoro “Il tramonto dell’Occidente”, a cui dobbiamo rispondere per ritrovare il cammino smarrito, è: cosa possiamo salvare della nostra storia, modulata sulla dialettica costante tra civiltà e barbarie?

I capitoli finali affrontano passaggi cruciali relativi alla mediazione con il Sud globale, al rapporto tra Europa e BRICS, alla possibilità di sfuggire al tragico destino delle potenze, esemplificato nella trappola di Tucidide. Al fine di evitare il conflitto nucleare, occorre un cambio di paradigma. La ragione tecnica, separata dalla vita e incline a creare sviluppo dominando la natura, deve essere abbandonata per ritornare ad Adorno, alla ragione legata al vissuto, al sentimento e all’immaginazione.

Di fronte alla minaccia nucleare, climatica, robotica, bisogna chiedersi se la guerra non sia la sovrastruttura ideologica teorizzata da Hobbes e sortita dalla pace di Westfalia, legata al nostro particolare percorso storico, e non un destino imprescindibile del genere umano. Le concezioni del politologo tedesco Carl Schmitt e del barone Carl von Clausewitz hanno dato alla politica la funzione essenziale di creare il nemico interno o esterno e di perseguirne il dominio col conflitto. Di fronte al rischio dell’estinzione del genere umano sul pianeta, è lecito domandarsi se la pace non debba invece essere assunta come la condizione essenziale della politica, radicata nel DNA dell’umanità, allo stesso modo in cui l’abolizione della schiavitù è entrata nel codice morale statunitense.

Ho cercato, in conclusione, di stimolare una riflessione sulle opzioni che restano in campo, riferendomi al dibattito esistente nella sinistra tedesca tra Habermas e Streeck. L’Europa federale e politica, che nulla ha a che vedere con l’odierna Unione modellata dai trattati di Maastricht e di Lisbona, potrebbe risolvere il dilemma berlingueriano dell’uscita dalla NATO? Potrebbe perseguire una politica estera di dialogo con i BRICS, ritornando agli ideali di giustizia sociale e libertà, ai beni comuni, agli obiettivi di pace e prosperità, agli interessi delle classi lavoratrici europee? Oppure è possibile sperare in un ritorno allo Stato nazionale?

Questa la sfida politica e culturale affrontata dal testo, e che richiederebbe un dibattito senza paraocchi. L’approdo, col contributo comune, potrebbe man mano profilarsi all’orizzonte.

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Comments

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Carlo Tarsitani
Thursday, 13 November 2025 11:32
Oggi vedo una "corsa agli armamenti" analoga a quella che precedette la Prima Guerra Mondiale. La gente, il popolino, non so come chiamarli, viene sedotta da una politica di potenza che promette espansione, appropriazione di ricchezza e territori. Chi si ribella, vedi Venezuela, è minacciato, sanzionato e poi, forse purtroppo, aggredito. E tutto questo si riflette incredibilmente nella vita ordinaria ogni giorno.
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Fabrice
Sunday, 09 November 2025 19:42
Conclusioni

Prima parte.

“Ciò che è vivo non ha copie, due persone, due arbusti di rosa canina non possono essere uguali, è impensabile. E dove la violenza cerca di cancellare varietà e differenze, la vita si spegne”, Vasilij Grossman ( 1905-1964), giornalista e scrittore russo, estratto da “Vita e destino”, Vasilij Grossman, Adelphi, 2008.

In conclusione e per analogia:

“Ciò che è vivo non ha copie, due nazioni geograficamente differenti, due popoli storicamente diversi non possono essere uguali, è impensabile. E dove la violenza di una dittatura finanziaria sovranazionale cerca di cancellare la loro varietà e differenza, le loro economie vitali si spengono"

Seconda parte.

“Per mettere il mondo in ordine, dobbiamo mettere la nazione in ordine. Per mettere la nazione in ordine, dobbiamo mettere la famiglia in ordine, Per mettere la famiglia in ordine, dobbiamo coltivare la nostra vita personale, Per coltivare la nostra vita personale, dobbiamo prima mettere a posto i nostri cuori.” Confucio
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Fabrice
Sunday, 09 November 2025 19:40
Per quanto riguarda invece la sua terza ed ultima domanda:


"Oppure è possibile sperare in un ritorno allo Stato nazionale?"

le do una notizia, riappropriarsi delle sovranità tipiche della Stato nazionale è autenticamente di sinistra, ecco come e perché!

“Il vero sovranismo nasce a sinistra” di Giampiero Cinelli per L’Intellettuale Dissidente , 24 agosto 2019


Le parole in politica sono forma e sostanza del pensiero. Così, approfondendo la definizione di sovranismo, si scopre che esso, nella sua espressione più pura, ha ben poco a che fare con la retorica dei porti chiusi e si rifà invece a una visione socialdemocratica e statalista, basata sulla Costituzione italiana.

Uno degli elementi fondamentali della politica è il linguaggio. Ogni partito si definisce attraverso un suo preciso lessico e tramite sue frasi ridondanti, interpretando la realtà esterna attraverso di essi, secondo parole e concetti che le danno significato. Al giorno d’oggi, il termine che in politica impazza è certamente quello di sovranismo.
Sovranisti vengono definiti gli schieramenti di destra europei, da quelli del cosiddetto gruppo di Visegrad fino alla Lega di Salvini e al Rassemblement National di Marine Le Pen. Sovranista è un aggettivo che, al giorno d’oggi, indica generalmente chi crede nella lotta all’immigrazione, chi si dice pronto a disobbedire ai trattati e alle direttive europee, anteponendo ad essi gli interessi nazionali, ma anche chi, sui temi etici e civili, manifesta una sensibilità conservatrice, osteggiando ad esempio le coppie omosessuali, i nuovi tipi di famiglia, oltre a mostrare una netta chiusura nei confronti delle minoranze etniche e religiose, soprattutto islamiche.

Il sovranista tipo sarebbe quindi un conservatore a tutti gli effetti, intento ad affermare il primato della propria nazione a tutti i costi. Obiettivo che spesso gli vale, sui media, la definizione negativa di nazionalista. Ma se, come dicevamo nell’incipit, il linguaggio in politica è tutto, va anche sottolineato che a volte le parole possono essere rubate, manipolate, usate subdolamente per contrastare qualcuno.
A lamentare la strumentalizzazione del termine sovranismo, sono proprio coloro i quali una certa ideologia l’hanno creata, che si ritengono ormai quasi inesorabilmente danneggiati dall’azione di chi ha in mano la comunicazione di massa e che, udite udite, con la destra di Orban non c’entrano proprio nulla.

Il sovranismo è una truffa?
Sebbene la maggior parte dell’opinione pubblica non lo immagini minimamente, la corrente sovranista più pura nasce a livello extra-parlamentare, da piccole associazioni che si rifanno a una cultura socialdemocratica e statalista. Niente a che vedere con la messa a bando delle coppie omosessuali o la pantomima del presepe di meloniana memoria. Al contrario, tanti riferimenti politici che affondano le radici nella ben nota cultura progressista, incentrata sul keynesismo e sul concetto, in voga nella Prima Repubblica, di “Stato imprenditore”.
Si fanno chiamare appunto “sovranisti costituzionali” (per differenziarsi dai “cattivi” dei fili spinati), perché pensano che la nozione di sovranismo sia già insita nella versione primigenia della Costituzione del 1948, lì dove, ad esempio all’articolo 11, si accettano solo “limitazioni” e non cessioni di sovranità. “In condizioni di parità”, che oggi essi non ravvisano affatto.
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Costituzione italiana, art. 11
Essi pongono l’accento sul titolo terzo della Carta fondamentale, quello meno conosciuto dei Rapporti Economici, in cui secondo la loro analisi ci sarebbero tutte le ragioni per rigettare l’adesione all’Unione europea. Non solo perché l’articolo 47 recita che “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”, ma in sostanza poiché in questa parte del testo costituzionale emerge una evidente differenza di pensiero tra il modello economico di Maastricht e quello concepito dai padri costituenti.
Maastricht è la consacrazione del libero mercato e della globalizzazione, siccome difende la libera circolazione dei fattori della produzione: cioè le merci, i servizi, il capitale e le persone. La Costituzione italiana, invece, pur restando liberale e consentendo l’iniziativa individuale, non dà per scontato che tali fattori non possano essere limitati e disciplinati, in virtù della giustizia sociale e della piena occupazione.
Emblematico ad esempio l’articolo che ammette l’esproprio a fini di interesse pubblico:
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale.
Costituzione italiana, art. 42 comma III
Una previsione che in Ue sarebbe vista come un ostacolo alla concorrenza, così come le partecipazioni pubbliche nell’azionariato delle aziende e gli aiuti di Stato, attività che la nostra Costituzione ispira e che dall’Europa sono rese assai difficili, oltre che stigmatizzate come un esempio di bieco dirigismo.
E poi il punto chiave per i sovranisti costituzionali, ossia la Banca Centrale. Essi non hanno dubbi che questa debba essere controllata dal governo e debba finanziare direttamente la spesa e il debito pubblico. Un sacrilegio infatti, a loro avviso, il famoso “divorzio” del 1981. Fu soprannominato così l’atto con cui si decideva che la Banca d’Italia non dovesse più acquistare i titoli rimasti invenduti, una prassi che teneva bassi gli interessi sul debito e assicurava liquidità costante, anche grazie agli scoperti di conto che il Tesoro poteva sfruttare.
La loro visione può non piacere ma è sicuramente molto più avanzata di quella dei sovranisti “mediatici”, che si limitano a dire che batteranno i pugni sul tavolo e chiuderanno i porti, e soprattutto testimonia una visione politica molto più vicina alla cultura di sinistra che a quella destrorsa. Il sovranismo di sinistra insomma esiste, se così vogliamo definirlo. E come non potrebbe esistere se torniamo con la mente a chi gridava “Patria o muerte” (dicono si chiamasse Ernesto Guevara. Anche se lui, bisogna precisare, era molto meno democratico).
Del resto, basta consultare la Treccani per leggere, alla voce “Sovranismo”, non il ritratto di qualche bifolco del Wyoming, ma anzi la seguente definizione:
Posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovranazionali di concertazione
Questo lo hanno ben chiaro certi piccoli movimenti più o meno sconosciuti che fanno i loro primi passi in politica, presentandosi alle elezioni comunali o regionali. Qualche nome? Il Fronte Sovranista Italiano di Stefano D’Andrea e il Movimento Popolare di Liberazione di Moreno Pasquinelli. Prima o poi, forse, li leggeremo anche sulle schede elettorali nazionali e lì, almeno, potremo farci notare dicendo che a noi non suonano poi così nuovi.

Riferimento:

https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/italia/il-vero-sovranismo-nasce-a-sinistra/
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Fabrice
Sunday, 09 November 2025 19:22
Le ragioni per le quali la sua seconda domanda è utopistica sono ben spiegate dal Prof Sergio Cesaratto, arrivano!

L’EUROPA PUO’ CAMBIARE?, Prof. Sergio Cesaratto.

Qual’ è la domanda di riserva? No, l’Europa non può cambiare. Un frequente equivoco è che l’errore europeo sia stato quello di anteporre l’unione monetaria all’unione politica, creando una moneta unica senza Stato fra Stati senza moneta. Una moneta senza Stato significa che laddove l’unificazione valutaria creasse squilibri, non vi è un’entità statuale volta a riequilibrarli attraverso trasferimenti fiscali.
Stati senza moneta implicano che quelli più deboli rischiano di ammalarsi al primo spiffero, una volta perduta la sovranità monetaria di aggiustare il cambio e di garantire il valore nominale del proprio debito pubblico. Tutto questo è giusto: un’unificazione monetaria presuppone una solidarietà politica.
Ma é questa possibile in Europa? La risposta è largamente negativa. Uno Stato Federale europeo dotato di un bilancio cospicuo e retributivo non godrebbe del consenso dell’opinione pubblica dei Paesi più ricchi, sebbene sarebbe ben visto dai Paesi più poveri. Qualche briciola i Paesi più forti sarebbero disposti anche a dare, ma in cambio della definitiva cessione della sovranità fiscale da parte dei Paesi periferici ( sovranità fiscale già zoppa vista la cessione della sovranità monetaria).
L’economista conservatore Hayek l’aveva già fatto notare nel 1939: una federazione di Stati disomogenei può solo esistere con uno Stato federale minimo, uno Stato che si limiti a fissare le regole e poco più; uno Stato “ordoliberista”. L’unione monetaria che abbiamo o quella che ci avviamo ad avere, in peggio non in meglio, è dunque l’unica possibile. Siffatta unione politico-monetaria svuota del tutto lo Stato nazionale dei poteri monetari e fiscali, privando le classi lavoratrici del loro terreno naturale di conflitto: il proprio Stato nazionale.
La democrazia si riduce così alle lotte per le libertà civili, coerentemente ritenute centrali dai radicali, il resto lo fa il mercato. L’incompatibilità fra euro ed Europa sovranazionale da un lato, e democrazia dall’altro, è totale.
L’euro disvela così la propria vera natura spazzando via la retorica europeista. Esso è uno strumento disciplinante delle classi lavoratrici, in particolare nell’indisciplinato sud, Francia inclusa. Non è vero che l’euro sia un fallimento, esso è un successo. Tommaso Padoa Schioppa ( 1940-2010 ) ci aveva del resto ammonito: l’euro rinsegnerà la durezza del vivere che le recenti generazioni popolari hanno smarrito con lo Stato sociale e la (quasi) piena occupazione.”

tratto da “Sei Lezioni di Economia. Conoscenze necessarie per capire la crisi più lunga e come uscirne”, Prof. Sergio Cesaratto, Imprimatur, pag. 349, 2016. Cap. 5, Par. “L’Europa può cambiare?”

NB Prof. Sergio Cesaratto è fra i più noti economisti critici internazionali. Ha studiato alla Sapienza, dove ha conseguito il dottorato e all’Università di Manchester. E’ professore ordinario di Politica monetaria e fiscale dell’Unione Economica e Monetaria europea, Economia della crescita e Post-Keynesian Economics all’Università di Siena
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Fabrice
Sunday, 09 November 2025 19:00
Quindi, la Basile partendo da presupposti errati poiché salta con nochalance le assolutamente fondamentali premesse storiche fattuali sul perché e per come l'UE è nata ( vedasi precedente post ) e allora arriva a conclusioni errate:

"L’Europa federale e politica, che nulla ha a che vedere con l’odierna Unione modellata dai trattati di Maastricht e di Lisbona, potrebbe risolvere il dilemma berlingueriano dell’uscita dalla NATO? Potrebbe perseguire una politica estera di dialogo con i BRICS, ritornando agli ideali di giustizia sociale e libertà, ai beni comuni, agli obiettivi di pace e prosperità, agli interessi delle classi lavoratrici europee? Oppure è possibile sperare in un ritorno allo Stato nazionale?" , Elena Basile, riferimento: passaggio finale dell'articolo

Le prime sue due domande sono utopistiche!

Le ragioni per le quali la sua prima sua domanda è utopistica è ben spiegata da Alessandro Orsini:

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/perche-e-impossibile-distinguere-nato-usa-e-unione-europea

Le ragioni per le quali la sua seconda domanda è utopistica è ben spiegata dal giurista e magistrato Luciano Barra Caracciolo ( https://it.wikipedia.org/wiki/Luciano_Barra_Caracciolo ) in questa sua Lectio Magistralis, arriva!

"VON HAYEK E LA COSTRUZIONE EUROPEA. CON ADDENDUM ", Luciano Barra Caracciolo per Orizzonte 48 Blog, 26 luglio 2013

La "intenzionalità" di von Hayek e la sua manifesta idoneità a costituire la fonte ispiratrice della "costruzione UE", si rinvengono con coerenza nella notorietà e nella autorevolezza tributatagli da quegli stessi uomini che, simultaneamente (negli anni 70-80), si accingevano a trovare una "strada" di realizzazione politica.
Riportiamo il brano tratto dal post sopra linkato:
" Il libro che stiamo discutendo contiene una autentica “chicca”, che non potevo non segnalare. Alle pagg.118-124 viene infatti discusso un saggio di Hayek del 1939, “The Economic Conditions of Interstate Federalism”. In questo saggio Hayek discute le condizioni di un ordine internazionale rivolto alla pace.
Hayek pensa ad una federazione di Stati, e la cosa davvero interessante è la sua discussione, come dice appunto il titolo, delle conseguenze economiche di una tale federazione. Con logica stringente, Hayek dimostra che una federazione fra Stati realmente diversi porta necessariamente all'impossibilità di un intervento statale nell'economia, e quindi alla vittoria di politiche economiche liberiste (il che ovviamente dal suo punto di vista è un bene). Infatti una federazione per essere stabile ha bisogno di un sistema economico comune e condiviso, e quindi della libera circolazione di merci e capitali, e questo porterà ovviamente a una perdita di controllo dei singoli Stati sulle loro economie. Si potrebbe allora pensare che il controllo statale si sposti al livello federale. Il nuovo super-stato federale si riprenderebbe quei poteri di controllo sull'economia che i singoli Stati avranno perso. Hayek risponde di no. Perché l'intervento statale sull'economia presuppone la capacità di mediare fra interessi contrapposti, di accettare compromessi ragionevoli, che non ci sono, o sono più difficili, fra popoli di Stati diversi. Come scrive Streeck riassumendo Hayek,

"in una federazione di stati nazionali la diversità di interessi è maggiore di quella presente all'interno di un singolo stato, e allo stesso tempo è più debole il sentimento di appartenenza a un'identità in nome della quale superare i conflitti stessi (…). Un'omogeneità strutturale, derivante da dimensioni limitate e tradizioni comuni, permette interventi sulla vita sociale ed economica che non risulterebbero accettabili nel quadro di unità politiche più ampie e per questo meno omogenee (pagg.121-122)"

Si tratta ovviamente della stessa tesi che abbiamo sostenuto più volte nel nostro libro e in questo blog: non esiste un popolo europeo che possa essere la base sociale di uno “Stato sociale europeo”. E' impressionante la lucidità di Hayek, che aveva capito tutto questo nel 1939. Tanto di cappello. Ma la cosa davvero impressionante sono gli attuali “intellettuali di sinistra” che questa cosa non la capiscono nemmeno oggi, 2013, nemmeno dopo che tutto ci è stato squadernato davanti. E magari sono gli stessi che pensosamente si interrogano sui motivi della crisi della sinistra"

Proseguimento:

https://orizzonte48.blogspot.com/2013/07/von-hayek-e-la-costruzione-europea.html

PS continua nel prossimo post
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Fabrice
Sunday, 09 November 2025 18:38
Come al solito la Basile salta con nochalance le assolutamente fondamentali premesse storiche fattuali sul perché e per come l'UE è nata, chissà come mai......, comunque, eccole arrivano!

"Unione Europea voluta dalla CIA. Ecco le prove del coinvolgimento dei padri fondatori.", Francesco Amodeo, 17 gennaio 2014

In questa fase di crisi acuta dell’Euro e dell’Europa sentiamo troppo spesso dire che questa non è l’Europa che volevano i padri fondatori.


Vogliono farci credere che quella che stiamo vivendo è una fase transitoria, difficile e tortuosa a causa di qualche errore di percorso ma sicuramente superabile dato che non è questa l’Europa che i padri fondatori avevano concepito e presto si realizzerà il progetto iniziale di un’Europa nata con l’intento di unire i popoli.

Tutto falso, la realtà documentata venuta fuori da documenti ufficiali incontrovertibili di cui i media non hanno mai parlato, testimonia l’esatto contrario. Chi ha concepito, creato e finanziato l’Unione Europea aveva bisogno di un’Europa debole, di un Europa in crisi, di Stati e Governi senza potere decisionale e di popoli senza sovranità.




L’Europa Unita doveva essere dominata e gestita dalle elite americane che l’hanno voluta e doveva essere caratterizzata da una sinarchia invisibile che avrebbe continuato a mantenere in maniera ingannevole l’involucro della democrazia.

Se le elite anglo americane fungevano da padrini di questo processo alle elite franco-tedesche era affidato il ruolo di “capozona” dell’Unione europea.

E’ un progetto franco-tedesco, infatti, quello da cui nasce l’Unione Europea con la CECA (comunità economica del carbone e dell’acciaio) promosso proprio da Francia e Germania (Shuman e Monnet) poi portato avanti da Mitterand e Kohl. Ed è palese che un progetto franco-tedesco preveda il dominio della Francia e della Germania sugli altri paesi europei fatta esclusione per l’Inghilterra che come anticipato appartiene ad un livello gerarchico superiore insieme agli USA.

Questa Europa che stiamo vivendo oggi è esattamente la realizzazione di quel progetto e soprattutto l’euro che è palesemente un fallimento dal punto di vista dei popoli e dei lavoratori è il successo di chi lo ha concepito.

Chi sono i padri fondatori dell’Unione Europea ? Chi c’è dietro di loro e quali intenti volevano perseguire ?

Jean Monnet

Nel 1950, Monnet decise fosse venuto il momento di tentare un passo irreversibile verso l’unione dei paesi europei. Prepara, con alcuni collaboratori, il testo di quella che sarà la Dichiarazione Schuman dove per la prima volta verrà ufficialmente annunciato il progetto dell’Unione Europea.

Nel 1952 Jean Monnet diventò il primo presidente dell’Alta Autorità della Comunità europea del carbone e dell’acciaio del 1952 giudicata il primo importante passo di cessione di sovranità statali ad un ente sovranazionale.

Egli sosteneva che: “Non ci sarà mai pace in Europa se gli stati si ricostituiranno su una base di sovranità nazionale” E’ Monnet ad aver redatto il Victory program per l’America durante la seconda guerra mondiale dove si dice chiaramente che “L’America deve diventare l’arsenale della democrazia”.

Possibile che chi professa l’egemonia americana possa parallelamente aver contribuito a formare l’Unione Europea che se fosse diventata davvero ricca e forte avrebbe contrastato quell’egemonia stessa ?

Robert Schuman

Presidente del Consiglio francese, fu ministro degli esteri ed è stato il primo presidente dell’Assemblea Parlamentare Europea

La Dichiarazione Schuman portò alla creazione della CECA e costituì il punto di partenza del processo di integrazione europea che condusse poi alla formazione dell’Unione Europea.

E’ stato Presidente del Movimento Europeo (il cui fondatore e primo Segretario nazionale è stato Joseph Retinger fondatore del Club Bilderberg.)

Giscard D’estaing

E’stato Presidente Della Repubblica francese, ed ha presieduto la Convenzione Europea dalla quale poi è nata la Costituzione europea. (Bocciata nei paesi dov’è stata proposta con il referendum com’è’ avvenuto nella stessa Francia.) Sarà poi Il Trattato di Lisbona del 2007 approvato senza referendum a riprendere quasi totalmente le disposizioni della bocciata Costituzione.)

E’ stato Presidente del Movimento Europeo.

Per l’Italia sappiamo che tra i padri fondatori si annoverano De Gasperi (Movimento Europeo/Bilderberg) poi Spinelli (Movimento Europeo/Bilderberg) poi Prodi (Bilderberg). Per la Germania Adenauer (Bilderberg).

Ma perchè nessuno ci racconta chi c’era dietro questi uomini ?


Perché se lo facessero diventerebbe chiaro a tutti chi ha voluto l’Europa Unita, quali erano gli scopi precisi; perché è stato accelerato il processo di unificazione e soprattutto perché volevano un’Europa debole, in perenne crisi e subordinata agli USA.

L’unica volta che sui media hanno parlato delle vere origini dell’Europa Unita è accaduto 14 anni fa ossia il 19 Settembre del 2000 quando un articolo del Telegraph britannico mai ripreso da altri media ha rivelato che:

http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/1356047/Euro-federalists-financed-by-US-spy-chiefs.html

Documenti governativi americani resi di dominio pubblico mostrano che i servizi segreti americani condussero una campagna negli anni ’50 e ’60 per dare impulso ad un’Europa unita. Finanziarono e diressero il movimento federalista europeo. I documenti sono stati trovati da Joshua Paul, un ricercatore della Georgetown University di Washington. Essi comprendono file resi pubblici dai National Archives. Il principale strumento di Washington per forgiare l’agenda europea fu l’American Committee for a United Europe [ACUE], costituito nel 1948.

In pratica l’organizzazione che ha dato ufficialmente vita all’Unione Europea era in realtà un Comitato americano nato è finanziato proprio dagli Usa (Rockefeller Fondation e Ford Foudation)che più di ogni altra nazione avrebbe dovuto temere che un Europa unita ed una moneta unica forte potevano scardinare l’egemonia statunitense e quella del dollaro negli scambi internazionali.Questa è la prima grossa anomalia.

Ma chi era il Presidente dell’Acue e da dove provenivano i suoi membri ?

Primo Presidente del “Comitato” fu William Donovan, capo dell’ufficio USA dei servizi strategici durante la Seconda Guerra mondiale (Office of Strategic Services, OSS), precursore della CIA. Vice presidente fu Alen Dulles, direttore della CIA dal 1953 al 1961. Presente nel consiglio troviamo anche Walter Smith, nominato nell’ottobre 1950 primo direttore della CIA. Poi abbiamo Paul Hoffman, ex ufficiale dell’OSS, capo dell’amministrazione del “Piano Marshall” e presidente della Fondazione Ford, che divenne capo dell’ACUE verso la fine degli Anni Cinquanta.


In pratica i fondatori del ACUE che è stata la culla dell’Unione Europea erano tutti uomini dei servizi segreti americani e quindi l’integrazione europea è stata una creatura del Dipartimento di Stato e della CIA.




Un progetto ad ogni evidenza che completava il piano di dominio americano e che i membri delle stesse elite e gli stessi finanziatori hanno diviso in tre fasi:

“Piano Marshall”, nel 1948-1952, (dominio economico). NATO dal 1949 (dominio militare) Unione Europea (dominio politico/commerciale/culturale).

E come ha annunciato Brzezinski , Consigliere Usa per la sicurezza nazionale nonché fondatore della Commissione Trilaterale nel suo saggio “La grande scacchiera”: "L’Europa Unita serve da strumento di colonizzazione Usa e testa di ponte verso il continente asiatico."

Proseguimento:

https://web.archive.org/web/20150318054847if_/http://francescoamodeo.net/2014/01/17/unione-europea-voluta-dalla-cia-ecco-le-prove-del-coinvolgimento-dei-padri-fondatori/

Per maggiori info, compratevi il suo libro sull'argomento:

https://www.macrolibrarsi.it/libri/__la-matrix-europea.php

ne vale ogni singolo cent!

Da notare anche che su Byoblu TV, Francesco Amodeo ha avuto un programma settimanale "La Matrix Europea" dove spiegava per bene anche tutti questi scheletri negli armadi sui pupari merikani della UE, e che hanno fatto? Gli hanno chiuso il programma, e come mai ? Messora ha cambiato totalmente linea editoriale ed è diventato amicone di Ugo Mattei ( https://it.wikipedia.org/wiki/Ugo_Mattei ) che , guardo caso , che strana coincidenze..., anche lui come la Basile ha la fissa utopistica su integrazione europea con sogno federalista annesso, ma proprio delle strane coincidenze, non c'è che dire....!!

PS continua nel prossimo post!
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Lorenzo
Sunday, 09 November 2025 16:15
Sognare non costa nulla.
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