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Perché Jeremy Rifkin sbaglia strada

di Philippe Bihouix

E' una buona decina di anni che Jeremy Rifkin parla di economia all'idrogeno e di tante altre meraviglie ma, fino ad ora, non si è visto niente di concreto. Ultimamente, si è messo a parlare di "Fine del Capitalismo" sulla base dei nuovi sviluppi della tecnologia. In questo articolo,  originariamente pubblicato su "Les Echos," Philippe Bihouix fa notare a Rifkin che le cose potrebbero non essere così semplici (UB)

Jeremy Rifkin è tornato alla carica: dopo la “Terza rivoluzione industriale”, adesso propone nientemeno che la fine del capitalismo o quasi, per via della gratuità universale delle comunicazioni, dell'energia e degli oggetti, i cui costi di produzione tenderanno allo zero. Dopo la rivoluzione tecnologica delle comunicazioni, verrà quella di un Internet dell'energia – basato sul dispiegamento massiccio delle rinnovabili, lo stoccaggio attraverso l'idrogeno e la “smart grid” - e quella di un Internet degli oggetti, collegati e prodotti a volontà da stampanti 3D.

La tesi seduce, ognuno ci trova qualcosa di proprio: vendicatori di un fordismo sfruttatore, edonisti che non ci vedono la messa in discussione del consumo o della mobilità (al contrario, tutto sarà gratuito), industriali allettati da nuovi mercati, ecologisti ingenui che fanno leva su un'energia pulita ed abbondante... Come sembra radioso il futuro! Sfortunatamente, Rifkin ha una tendenza comune presso gli economisti: in nessun caso si occupa della questione della disponibilità delle risorse fisiche, o della realtà materiale delle sue riflessioni.

E' il caso delle potenzialità delle stampanti 3D, il cui principio è quello di depositare strato dopo strato di polimeri o metalli. Una tecnologia senza dubbio rivoluzionaria e che apre delle prospettive. Da lì a farne la macchina a vapore del XXI° secolo o dichiarare la sparizione della produzione classica, ce ne corre.

Poiché le stampanti non possono sostituire gli impianti per le materie prime, gli altoforni, le raffinerie (anche bio), le vetrerie e persino le materie riciclate. Non possono fabbricare oggetti multi-materiali o assemblati: si può stampare la carrozzeria di un'automobile in resine, ma non un pianoforte o un computer. Per fondere la polvere di metallo, si usa un laser a fasci di elettroni, una tecnologia costosa, inimmaginabile per i privati, quindi le stampanti per consumatori a resina non fabbricano né chiodi né viti.

Infine, solo le materie prime che consentono la fusione sono utilizzabili: si continuerà a tessere e cucire i tessuti... Come fabbricherà Rifkin gratuitamente le bobine di rame dei motori elettrici per Google Cars, il silicio dei pannelli solari o le camicie di cotone? Ecco ciò che rende la sua prospettiva ben poco credibile. Peccato, poiché ha anche delle buone idee, come sulla condivisione ed il rapporto con la proprietà.

Ma è sulla componente energetica che Rifkin rimane di gran lunga irrealistico. La sua metafora di un Internet dell'energia sente l'odore dell'economia “dematerializzata” e gli permette di evitare le questioni troppo concrete. Sfortunatamente, non si immagazzina l'energia facilmente come i byte, non esiste una legge di Moore dell'energia. Per produrre, immagazzinare e trasportare l'elettricità, anche “verde”, servono grandi quantità di metalli: platino delle pile a idrogeno, neodimio dell'eolico e delle automobili elettriche, selenio ed indio dei pannelli solari... ed altri metalli rari già utilizzati in elettronica, quindi la domanda esploderebbe con una generalizzazione delle “smart grid”, degli oggetti in rete e di Big Data. La disponibilità mineraria, già in contrazione, non potrebbe stare al passo.

Al contrario, stiamo perdendo tempo prezioso. Poiché non stiamo affatto andando verso la gratuità e l'abbondanza, ma verso l'impoverimento e la penuria, il nostro sistema industriale è basato su uno stock di riserve limitato, specialmente minerale. Poiché siamo affascinati dalle novità high-tech, mentre queste in realtà ci allontanano dalle possibilità di un riciclaggio efficace e dovremo al contrario innovare con delle basse tecnologie, più basiche e dalle prestazioni inferiori. Bisognerà certamente passare per la sobrietà, poiché non ci sono soluzioni miracolose al vicolo cieco ambientale attuale. E di grazia, signor Rifkin, visiti uno stabilimento o una miniera!


Philippe Bihouix, ingegnere, è l'autore di “L'era del low tech” (Seuil, 2014)

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