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linterferenza

Minacce di guerra nucleare: verità o propaganda?

Michele G. Basso

Non passa giorno senza che i giornali riportino terrificanti dichiarazioni di generali, alti funzionari americani o europei, politicanti in cerca di notorietà, giornalisti, che parlano di un inevitabile attacco atomico preventivo, degli USA o della NATO alla Russia e alla Cina, nonché alla Corea del Nord.

Paul Craig Roberts scrive:

“Il loro folle piano è questo: Washington ha circondato Russia e Cina con basi anti-missili balistici per creare uno scudo contro un loro attacco di rappresaglia. Però, da queste basi USA anti-ABM è anche possibile lanciare un attacco nucleare missilistico non individuabile contro Russia e Cina, riducendo in tal modo il tempo di preavviso a soli cinque minuti e lasciando alle vittime di Washington poco o nessun tempo per prendere una decisione.

I neoconservatori ritengono che il primo attacco di Washington sia in grado di danneggiare così gravemente le capacità di ritorsione russe e cinesi che entrambi quei governi si arrenderebbero rinunciando a lanciare una loro risposta. I dirigenti russi e cinesi giungerebbero alla conclusione che le loro forze ridotte avrebbero scarse possibilità che la maggior parte dei loro ICBM possano superare lo scudo ABM di Washington, cosa che lascerebbe quindi intatta la maggior parte degli Stati Uniti. Una rappresaglia debole da parte di Russia e Cina costituirebbe semplicemente un invito ad una seconda ondata di attacchi nucleari degli Stati Uniti che potrebbe cancellare le città russe e cinesi, uccidendo milioni di persone e lasciando entrambi i paesi in rovina.

In breve, i guerrafondai americani scommettono che le leadership russa e cinese si sottomettano piuttosto che correre il rischio di una distruzione totale.”(1)

Non c’è dubbio che nelle alte sfere della politica e delle forze armate americane ci siano fautori di tale folle politica, ma è probabile che che gli elementi determinanti della classe dirigente la considerino troppo rischiosa. Quale sarà, allora, la spiegazione di questa eccezionale e fragorosa levata di scudi? La risposta può essere questa: continuare la politica di Obama con altri mezzi. Obama aveva capito che il periodo di dominio incontrastato degli USA nel mondo era finito, e voleva impedire che Russia e Cina si collegassero con le grandi potenze economiche, quali Germania e Giappone; perciò aveva suscitato guerre in zone strategiche, impedendo il libero commercio sulla via della seta e ai confini della Russia, alleandosi spregiudicatamente con le forze più diverse, nazisti in Ucraina, Stato islamico e Al Qaeda in Medio oriente, pirati somali… Lo scopo non era tanto di colpire le due grandi potenze, quanto di riportare sotto il proprio controllo l’Europa, il Giappone, la Corea del sud, le Filippine. Una volta che il terrore avesse spinto gli alleati a entrare nei grandi contenitori TTIP e TPP, lo scopo sarebbe stato raggiunto. Era una forma estrema di protezionismo mascherato da liberismo, e Obama, maestro di neolingua orwelliana, era bravo a presentarla come una vittoria del libero commercio.

L’opposizione più forte a questo piano venne dall’interno, trasversale ai due partiti, e persino la Clinton fu indotta a dirsi contraria al TPP.

Dopo il fallimento del progetto originario, il piano che, per comodità, continuiamo a chiamare di Obama, è stato modificato: non sarà il TTIP, ma la Nato a impedire l’avvicinamento delle economie dell’Europa alla Russia, una sorta di commissariamento militare, uno stato d’assedio, mirante anche, con continue provocazioni, a far prevalere in Russia forze particolarmente sciovinistiche, che condizionino o anche sostituiscano Putin, in modo che la tensione resti permanente.

Questa politica ha ottenuto alcuni successi, per esempio l’elezione di Macron, che potremmo definire clintoniano, pronto, come Hollande, all’avventura coloniale in Siria a fare da testa d’ariete a tutto vantaggio degli USA. E le continue e spesso inverosimili accuse ad Assad dimostrano che il presidente siriano è involontariamente utile agli USA, che si guardano bene dal farlo fuori fisicamente. Col pretesto di cacciare Assad, gli USA tengono invischiati in Siria Russia, Turchia, Arabia S., monarchie del Golfo, Francia e Inghilterra, e la loro vendita di armi raggiunge traguardi impensabili fino a poco tempo fa.

La situazione per gli USA è meno favorevole in Pakistan, dove la tragicomica presunta liquidazione di Bin Laden ha rappresentato, non certo la causa, ma il sintomo di un progressivo allontanamento da Washington e di un avvicinamento alla Cina. Ed è proprio la forza di attrazione di questa enorme potenza economica che porterà al fallimento della politica USA in Oriente. Il Giappone potrà approfittare delle tensioni create dagli USA in Corea – si litiga con la nuora coreana per mandare un messaggio alla suocera cinese – per riarmarsi alla grande. Ma un Giappone armato non sarà più un satellite USA.

Determinante per Washington sarà la guerra interna. Non siamo più alle schermaglie, Trump ha destituito il capo della FBI, la via per l’incriminazione della Clinton è ormai aperta, ma pure quella dell’impeachement di Trump. Non è detto che si fermi a questi scontri legali, è probabile che aumentino i falsi suicidi, gli incidenti stradali pilotati, le morti improvvise di personaggi in piena salute fino al giorno prima, gli scontri tra diverse “tifoserie”. Alla fine di questo periodo, chiunque vinca, l’America non si ritroverà “nuovamente grande”, ma ridimensionata. E la ridotta forza economica e politica non sarà più in grado di sostenere l’immenso apparato militare in tutto il mondo.

In questa lotta interborghese, i lavoratori non devono farsi coinvolgere. Molti avranno già capito che le promesse di Trump di nuovi posti di lavoro valgono quanto quelle di Obama. Devono far valere le loro rivendicazioni, dentro i sindacati esistenti, laddove questi si mostrano sensibili, o formarne di nuovi, quando quelli sussistenti si dimostrano servi dei padroni. Devono, soprattutto, approfittare di queste divisioni della borghesia per gettare le basi di un partito dei lavoratori indipendente dalla borghesia e dal suo stato.


Note
(1) Paul Craig Roberts, “Le regole di Sauron a Washington”, strategic-culture.org,, 14 5 2017. Tradotto da Comedonchisciotte.

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