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Benedetto Croce: pregi e limiti di un autore classico

di Eros Barone

Croce PLI.jpgÈ invece in quel Croce che seppe meditare… sui meccanismi dell’autorità, della forza e della violenza nella esistenza dei singoli, delle classi, dei ceti e dei popoli, che possiamo ancora oggi trovare un aiuto contro le stoltezze pseudo-etiche che intessono la ideologia italiana incaricata di distrarci dalle vere ragioni dei conflitti… Croce sapeva bene di dovere i propri privilegi alla violenza giacobina del 1793 e ai bersaglieri che dopo il 1860 ammazzarono, nella guerra al ‘brigantaggio’, più contadini del sud di quante vittime fossero costate, tutte insieme, le guerre del Risorgimento.

Franco Fortini

Due anni fa il 70° anniversario della morte di Benedetto Croce (1866-1952) non ebbe una particolare risonanza se non in alcuni ristretti circoli accademici. Già allora la vicinanza e la distanza, tipiche delle ricorrenze anagrafiche degli autori classici, si sovrapponevano e si intrecciavano, conferendo, per un verso, un carattere quasi protocollare al giudizio consolidato sul rilievo storico del filosofo abruzzese, ma rendendo più problematico, per un altro verso, un bilancio obiettivo della sua opera. Vediamo allora di sciogliere, almeno in parte, questa antinomia, tratteggiando a grandi linee la vita e la molteplice produzione di una tra le più importanti personalità della cultura italiana della prima metà del Novecento.

 

  1. Il giovane Croce

Iscrittosi con scarso entusiasmo alla facoltà di giurisprudenza, il giovane Croce fu attratto soltanto dall’insegnamento vivo e anticonformista di Antonio Labriola, una figura chiave del marxismo teorico italiano a cavallo fra i due secoli, che lasciò un’impronta profonda nella formazione intellettuale di quell’allievo quanto mai dotato.

Fu così che Croce, il quale era di condizione agiata, insofferente dell’ambiente accademico, rinunziò a laurearsi e, trasferitosi a Napoli che d’allora in poi divenne la sua vera patria (egli era di origine abruzzese), si dedicò a studi di erudizione storico-letteraria locale. Il suo primo saggio filosofico, “La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte” (1893), lo mostra già orientato verso una radicale scissione tra scienza e storia. Erano idee che allora circolavano nella cultura europea: basti pensare a Dilthey e al suo concetto di “scienze dello spirito” nettamente contrapposte alle scienze naturali. Poco dopo (1896) ebbe inizio la collaborazione con Giovanni Gentile, che però ben presto mise in luce alcune forti divergenze di orientamento intellettuale.

L’uno e l’altro intrapresero, in quello scorcio di secolo XIX in cui il “revisionismo marxista” era di moda, due revisioni, molto diverse tra loro, del pensiero di Marx. Croce lo ridusse a mero canone d’interpretazione storica, utile soprattutto a superare la storiografia puramente erudita e a rivalutare la concezione machiavellica della politica come forza e non come astratto moralismo. Riuniti questi scritti nel volume Materialismo storico ed economia marxistica (1900), il Croce ritenne di aver liquidato una volta per tutte il marxismo teorico e si dedicò a studi di estetica e di critica letteraria.

 

  1. Il neo-idealismo crociano

Nella rivista «La Critica», fondata nel 1903 e durata fino alla fine della seconda guerra mondiale, Croce lasciò dapprima a Gentile gli argomenti filosofici e riservò a sé la critica letteraria, i cui frutti, rappresentati dai saggi su La letteratura della nuova Italia, saranno poi raccolti in sei volumi. Nel frattempo aveva pubblicato il suo libro più ricco d’influsso sulla cultura non soltanto italiana, l’Estetica (1902), che divenne in séguito il primo dei quattro volumi della “Filosofia dello spirito” (II, Logica; III, Filosofia della pratica; IV, Teoria e storia della storiografia).

L’arte è per Croce intuizione pura, che s’identifica con l’espressione individuale e irripetibile. Per lui è del tutto inconsistente, sul piano dell’espressione, la distinzione fra le arti (poesia, pittura, musica ecc.): esse si differenziano solo per la struttura materiale. Cadono, parimenti, tutte le classificazioni tradizionali (generi letterari, figure retoriche ecc.). Chiaramente una simile estetica metteva capo a una concezione dell’arte come incomunicabile e priva di ogni storicità (Croce negherà infatti la possibilità di una storia letteraria se non come raccolta di saggi monografici sui singoli autori).

Arte e filosofia, cioè intuizione e concetto, sono per Croce le due forme dello spirito teoretico: conoscenza dell’individuale l’una, dell’universale l’altra. A esse corrispondono le due forme dello spirito pratico: economia (volizione dell’individuale) ed etica (volizione dell’universale). Esse sono concepite come quattro categorie ideali, compresenti in ogni epoca. Distaccandosi da Hegel, padre dell’idealismo moderno, Croce integra la dialettica degli opposti (bello-brutto nell’estetica, vero-falso nella logica, utile-dannoso nell’economia, bene-male nell’etica) con una dialettica dei distinti (i distinti sono appunto le quattro forme dello spirito già ricordate). Sennonché è difficile negare che la critica di Gentile contro i “distinti” abbia colto nel segno, allorché ha fatto valere contro il pluralismo crociano, da lui definito sarcasticamente “la filosofia delle quattro parole”, l’unità inscindibile dello spirito. Croce ribatté tale critica con una replica di carattere polemico che non costituiva una vera risposta.

È pur vero, d’altronde, che Croce si attribuì, non del tutto a torto, il merito di aver rivalutato due scienze, quali l’economia e l’estetica. Restavano però fuori da questa valorizzazione le scienze della natura, confinate nel ghetto filosofico degli “pseudo-concetti”, utili come “finzioni” ma privi di ogni valore conoscitivo. Da questo punto di vista, Croce si rivelava arretrato anche sul piano dell’ideologia borghese, qualificandosi come esponente di una borghesia agraria legata a quella tradizione umanistico-letteraria che egli aveva rinnovato per meglio assicurarne la sopravvivenza. Laddove risulta evidente che non si trattò solo di una discutibile presa di posizione filosofica, ma di una scelta politico-culturale grave che contribuì a determinare, insieme con la scissione tra “le due culture” (quella umanistico-letteraria e quella tecnico-scientifica), il provincialismo della cultura italiana.

 

  1. La “religione della libertà” e il giudizio sul fascismo

Nominato senatore nel 1910, all’approssimarsi della prima guerra mondiale Croce fu neutralista. Nel primo dopoguerra l’antisocialismo e il disprezzo per la stessa democrazia borghese lo spinsero a simpatizzare in un primo tempo per il fascismo a favore del quale votò in Senato ancora all’indomani del delitto Matteotti (1924).

Con le “leggi eccezionali” e il passaggio dal ‘fascismo-movimento’ al ‘fascismo-regime’ anche la posizione di Croce cambierà. In altri termini, una parte della stessa cultura borghese, di cui Croce fu il massimo esponente, non confluì nel fascismo, ma si ridefinì, di fronte al regime, secondo le classiche modalità di una dialettica culturale liberale, ossia come un’opposizione che non muoveva da premesse di classe ma si esplicava all’interno dello stesso ceto intellettuale tradizionale. Il “Manifesto degli intellettuali antifascisti”, redatto dallo stesso Croce, comportò un’aperta rottura con Gentile, estensore del “Manifesto degli intellettuali fascisti” (1925), rispetto al quale, come si è visto, era da tempo in atto un netto dissidio nel campo filosofico.

Dal canto suo, Croce fu consequenziale sia sul piano politico che su quello sociale, poiché del fascismo non riconobbe mai la natura antiproletaria e i legami con la grande borghesia agraria e industriale; né volle mai rintracciare nella storia dell’Italia prefascista i germi del fascismo, il quale fu perciò, secondo lui, una “parentesi” nella vita del popolo italiano, una “malattia” senza antecedenti e senza conseguenze. Il carattere elusivo ed antistorico di una simile concezione non ha bisogno di essere sottolineato.

Croce, d’altro canto, concepiva la libertà come l’essenza stessa della storia umana; tuttavia, questo concetto tutto interiore della libertà portava Croce a svalutare l’esigenza dell’effettiva liberazione dell’umanità da concrete e storicamente determinate situazioni di sfruttamento e di oppressione. Tale orientamento si nota sia in opere prevalentemente teoretiche, quali Il carattere della filosofia moderna (1941), sia nella Storia d’Italia dal 1871 al 1915 (1928) e nella Storia d’Europa nel secolo XIX (1938). In quest’ultima, in particolare, il concetto di “religione della libertà” oscurava i condizionamenti storici del liberalismo ottocentesco e finiva col disconoscere la necessità del momento precedente, di “rottura” violenta dell’ordine feudale (la rivoluzione francese), quale presupposto per l’instaurazione delle stesse libertà borghesi. In tal modo, però, Croce derogava alla lucida coerenza da lui dimostrata nella valutazione dei costi sociali della stessa unificazione italiana, indulgendo a un irenismo di stampo celebrativo e, in buona sostanza, spacciando un mito pedagogico per la realtà storica.

 

  1. Poesia e non poesia”

Conformemente al principio crociano della dialettica degli opposti e dei distinti, nell’àmbito della critica letteraria l’essenziale di un’analisi critica consiste nello sceverare ciò che è bello, dunque intuizione/espressione pura, da ciò che tale non è, ovvero si atteggia come un che di intellettualistico, di moralistico ecc., e quindi risulta brutto in quanto si dà per ciò che non è, per l’appunto intuizione/espressione pura.

L’esame di un’opera letteraria è pertanto una scomposizione della medesima in parti definite come poetiche e in parti definite come non poetiche (o “strutturali”). Poesia e non poesia è infatti il titolo di una raccolta di saggi, in cui tale metodo, che sarà poi praticato su scala generale, è messo alla prova. Il corollario di questo teorema è che un’opera può non possedere l’unità fittizia, intellettuale o pratica, assegnatale dall’autore, poiché nella realtà espressiva – l’unica che conti – può risolversi in una serie di distinte liriche: tale è il caso della Divina Commedia così come si configura nel volumetto per il centenario, La poesia di Dante (1921), che suscitò scandalo tra i benpensanti. Del resto, il gusto di Croce fu fortemente caratterizzato non solo da una moralità austera ma anche da un fine discernimento che lo portò, per esempio, a valorizzare il Carducci, Baudelaire e il verismo, e a condannare quelle correnti della letteratura e dell’arte del Novecento che a lui apparivano irrimediabilmente inficiate di “decadentismo” e di “morbosità” (Pascoli, Fogazzaro, D’Annunzio, Mallarmé, Proust).

 

  1. Il rapporto tra teoria e prassi in Croce e in Gentile

Uno dei motivi di interesse che giustificano l’attenzione verso il pensiero di Croce e inducono a un confronto con il pensiero di Gentile consiste nel modo profondamente diverso in cui i due maggiori esponenti del neoidealismo italiano hanno impostato e risolto un problema drammatico: la divisione fra teoria e prassi.

Per Gentile il pensiero crea la realtà e la sussume nella propria attività categorizzante; per Croce il pensiero arriva sempre sulla realtà ‘post festum’, ossia quando questa si è già compiuta e, in un certo senso, si è solidificata: ciò significa che è quindi un pensiero rivolto al passato e da questo sussunto. Croce distingue nettamente tra teoria e prassi; Gentile tende invece a risolvere le due realtà nel pensiero che agisce e nell’azione che pensa. Ci si può chiedere allora quale dei due sia più vicino alla sensibilità intellettuale del nostro tempo. Si può usare la dottrina kantiana della “cosa in sé” come reagente: se la “cosa in sé” è una realtà, vuol dire che ha ragione Croce: la teoria e la prassi sono divise. La realtà di Gentile è invece la “cosa in sé” che prende coscienza di sé stessa nell’agire; la realtà di Croce, come si è notato poc’anzi, viene dopo, non esiste se non è consapevole, mediata dal pensiero. Da questo punto di vista, Croce si trova a mezza strada fra il positivismo e l’idealismo, perché il pensiero per lui è coestensivo alla prassi, ossia ad una realtà che gli è estranea. E invero la prassi è il grande problema di Croce, in quanto essa, da una parte, è il motore dello spirito, il ‘prius’ della realtà; dall’altra, è il ricettacolo dove va a finire tutto ciò che non è il pensiero.

In questa contraddizione - l’essere, cioè, per metà un idealista e per metà un positivista – sta tutta la modernità e la problematicità di Croce. Il Novecento, la cui estensione reale raggiunge l’inquieta e confusa propaggine storica che corrisponde ai nostri giorni, sembra aver sancito il fallimento dell’identità di teoria e pratica: identità che è l’obiettivo di ogni ideologia e la prospettiva di ogni rivoluzione. Così, rispetto alla ragione illuministica e alla ragione hegeliana la nostra situazione si è rovesciata e la ragione contemporanea si configura in termini critici e scetticheggianti, non creativi e non costruttivi; parimenti, l’uomo è oggi oggetto, non soggetto della storia. Sennonché questo rovesciamento ci avvicina a Croce, ma, sia pure in modo paradossale, ci rende necessario Gentile.

 

  1. Un grande atleta della cultura

Per oltre un quarantennio Croce esercitò in Italia un vero predominio culturale, che fu paradossalmente favorito dal fascismo stesso con la sua avversione a ogni moto d’idee proveniente dall’estero. Ciò nondimeno, il campo in cui egli ha avuto più scarsi e modesti seguaci è proprio la filosofia (su questo piano va riconosciuta semmai, fra i due Dioscuri del neo-idealismo italiano, la superiorità teoretica di Gentile e della sua scuola). Grandissimo invece è stato l’influsso da lui esercitato, grazie anche alla cristallina chiarezza della sua prosa, sui critici letterari e sugli storici. E questo ancor oggi, nonostante i limiti che qui non si è mancato di segnalare, è il lascito più prezioso della sua opera di indomito, infaticabile e impareggiabile atleta della cultura.


Nota bibliografica
Asor Rosa, A., La cultura, in Storia d’Italia, 4 - Dall’Unità a oggi, t. II, Einaudi, Torino 1975
Contini, G., La parte di Benedetto Croce nella cultura italiana, Einaudi, Torino 1989
Croce, B., Materialismo storico ed economia marxistica. Saggi critici, Laterza, Bari 1951
Id., Il carattere della filosofia moderna, Laterza, Bari 1945
Id., Storia d'Italia dal 1871 al 1915, Laterza, Bari 1947
Id., Storia d'Europa nel secolo decimonono, Laterza, Bari 1948
Id., Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale. Teoria e storia,  Laterza, Bari 1950
Id., Logica come scienza del concetto puro, Laterza, Bari 1947
Id., Filosofia della pratica. Economica ed Etica, Laterza, Bari 1957
Id., Teoria e storia della storiografia, Laterza, Bari 1954
Id, Conversazioni critiche, 2 voll., Laterza, Bari 1950
Id., La letteratura della nuova Italia, 6 voll., Laterza, Bari 1914-1940
Fortini, F., Croce e delizia in «il manifesto» del 22 aprile 1990, p. 29
Garin, E., Intellettuali italiani del XX secolo, Editori Riuniti, Roma 1974
Gramsci, A., Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Einaudi, Torino 1948
Luporini, C., Il marxismo e la cultura italiana del Novecento, in Storia d'Italia, V. I documenti,t. II, Einaudi, Torino 1973
Sasso, G., Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Morano, Napoli 1975
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