Print Friendly, PDF & Email
Print Friendly, PDF & Email
micromega

L’Italia può uscire dall’euro?

Problemi e difficili soluzioni

di Enrico Grazzini

euro-uscita-510-okSi può uscire dalla trappola dell'euro e dell'Europa a guida tedesca? O saremo costretti a rimanere per sempre legati alle catene dell'eurozona, anche se l'euro-marco continua manifestamente a produrre una terribile crisi in tutta Europa, e in Italia in particolare? Quali sarebbero gli effetti dell'uscita dell'Italia? E' possibile lasciare la moneta unica e la politica deflazionistica ad essa indissolubilmente legata senza portare l'Italia alla rovina, ma anzi creando le condizioni per uno sviluppo sostenibile e autonomo?

La risposta non deriva solo da calcoli economici ma dipende dalle capacità politiche dei governi nazionali e dalle dinamiche internazionali. Infatti, dopo il dollaro, l'euro è la seconda valuta di riserva per le banche centrali di tutti i paesi del mondo e la sua rottura potrebbe provocare non solo la crisi della UE ma una crisi geopolitica internazionale. Non a caso l'euro è sostenuto, in quanto valuta internazionale non competitiva nei confronti del dollaro, anche dall'amministrazione Obama.

 

La tragedia dell'euro

E' indubitabile che, come hanno denunciato giustamente e con forza Alberto Bagnai1 e molti altri autorevoli economisti internazionali e nazionali, l'ingresso nell'euro sia stato un errore enorme e grossolano.

Print Friendly, PDF & Email
marx xxi

La capitolazione finale: l'hausmanizzazione monetaria è compiuta

di Pasquale Cicalese

“..Se la Germania pretende di continuare a vendere più di quanto compra, e incita addirittura tutta l'Europa a seguirla nell'accrescere gli squilibri globali, o accetta moneta fasulla o il default dei debitori. Ancora una volta, in Europa un altro secolo breve è già cominciato.”. Guido Salerno Aletta, La zavorra parla tedesco, MilanoFinanza 23 agosto 2014.

cina europa bandiereHanno il fuoco sotto il sedere. E gli rode, gli rode tanto. Hanno adottato all’unisono nel 2014 un nuovo verbo: investimenti! Come mai? Operano, secondo loro, dal lato della domanda e dell’offerta al contempo. Ne hanno necessità per un dato: dal 2008 nell’eurozona gli investimenti sono crollati del 20-25%, mai visto dal dopoguerra. Ma, aggiungono, devono essere corredati da “riforme strutturali”, in primis il mercato del lavoro. Sognano, come sognavano nell’estate del 2011. La Germania adottò il Piano Hartz IV del mercato del lavoro nel 2003 con i minijob, la contrattazione aziendale e con una feroce deflazione salariale.

Risultato? La percentuale degli investimenti in rapporto al pil in quel paese non arriva al 18% (esattamente il 17,9%) e lì ci sono 5 mila miliardi di euro di liquidità che non vengono investiti, parcheggiati in depositi e prodotti assicurativi e finanziari a rendimento zero; se lo si rapporta allo stato comatoso dell’economia italiana, dove la percentuale è pari al 17%, ci possiamo rendere conto che sbatteranno contro un muro. Nessuno in Europa ammoderna impianti, aumenta le spese in ricerca e sviluppo, costruisce infrastrutture, investe in alta ricerca: tutti operano in un sistema economico vecchio di almeno 20 anni. In Italia anche peggio: durante le Considerazioni Finali del 2009, quando ancora era governatore della Banca d’Italia, Draghi ebbe modo di affermare che “negli ultimi vent’anni la nostra è stata una storia di bassi consumi, bassi salari, bassi investimenti”.

Print Friendly, PDF & Email
sollevazione2

Commissione UE: vince di nuovo la Merkel

di Leonardo Mazzei

Mentre l'Istat dà i numeri del nuovo Pil all'europea, Juncker dà i nomi di chi vigilerà sull'ortodossia austeritaria

jyrki-katainen 590-490Giornate di numeri per l'Europa. Ma anche di nomine. Ieri l'Istat ha sfornato il suo primo compitino per abbellire i conti. Altri ne seguiranno a breve. Oggi è toccato invece a Juncker l'annuncio della composizione dell'esecutivo dell'UE. Occhi puntati sul commissario agli Affari Economici, in pratica il successore del mitico Olli Rehn. Come previsto, sulla ruota di Bruxelles è uscito il nome del francese Pierre Moscovici, che avrà però due supervisori: il ben noto Jyrki Katainen, ed il meno conosciuto ma altrettanto "fidato" (per Frau Merkel, ovviamente) Valid Dombrovskis.

Che relazione c'è tra la notizia della "rivalutazione" del Pil e le nomine europee? In un certo senso nessuna: si tratta di due adempimenti già previsti da tempo, privi di ogni legame diretto od indiretto. Eppure, se ci pensiamo un legame c'è. Ed è quello che spesso tiene insieme sostanza ed apparenza delle cose.

La revisione nominale del Pil, che ovviamente non sposta di una virgola i dati della crisi, quelli della disoccupazione, eccetera, serve a dare un po' d'ossigeno ai decisori politici - illuminante, oltre che patetico, è il caso italiano, immortalato dalle furberie di quart'ordine di un Renzi -, mentre i nomi di Juncker servono a chiarire che la direzione di marcia del mostro eurista non cambia. Appunto, da una parte le apparenze, dall'altra la sostanza.

Print Friendly, PDF & Email
blackblog

La danza della pioggia

Un bilancio provvisorio della "eurocrisi" con l'aiuto dei dati ufficiali

di Claus Peter Ortlieb

disoccupati25255b525255dBenché la Germania finora continui a contarsi fra i vincitori della crisi, e la Grande Coalizione continui a godere della stessa popolarità dei governi federali precedenti, e che, secondo un sondaggio condotto nell'aprile 2014, l'80% dei tedeschi si dica "globalmente soddisfatto dello stato del nostro paese", sono apparentemente numerosi quelli che, malgrado tutto, pensano ci sia qualcosa di sospetto, e sentono che il "paradiso tedesco" (secondo la  Wirtschaftswoche del 19 aprile) è minacciato, e che alla fine dei conti toccherà ancora al "contribuente tedesco" pagare per i danni fatti dai paesi europei in crisi. Da qui, l'appello pressante a mettere fine alla crisi senza indugi, e di conseguenza l'avvertimento che rischia di durare ancora un po', fa sì che troviamo nei media sempre più tentativi volti a produrre con la maggior forza possibile degli annunci di fine della crisi - annunci, il cui ottimismo, del resto, si limita spesso al solo titolo, mentre l'articolo vero e proprio ragiona secondo un modo di vedere le cose ben diverso.

"Die Welt", per esempio, intravvede la fine del tunnel il 3 aprile, e titola: "La Grecia si appresta ad effettuare una clamorosa rimonta". Lì pe lì, si crede ad un pesce d'aprile in ritardo, ma velocemente si arriva a comprendere che l'articolo è del tutto serio, salvo che non concerne altro che un aspetto parziale  - ed anche non particolarmente pertinente - della catastrofe greca: "Per evitare un terzo piano di salvataggio, Atene considera il suo ritorno sui mercati finanziari, solo due anni dopo il fallimento. Sarebbe un record", spiega l'occhiello.

Print Friendly, PDF & Email
orizzonte48

Le "due crisi" e il nodo della sovranità

Draghi al telefono con Merkel

Quarantotto

Draghi-Merkel"Il Cancelliere tedesco Angela Merkel avrebbe chiesto chiarimenti al presidente della Bce, lamentando il fatto che Draghi avrebbe posto maggior accento sull’opportunità di riforme strutturali piuttosto che sulla necessità di mantenere l’austerità di bilancio, per rafforzare la crescita in Europa. Lo rivela il Der Spiegel. Ma la Bce smentisce: «È inesatto il fatto che la Merkel abbia chiamato Draghi per contestare le frasi dette a Jackson Hole», afferma il portavoce della Bce, senza fornire i dettagli ma confermando implicitamente che ci sia stata la telefonata. «Il contenuto della conversazione - aggiunge il portavoce - non lo commentiamo e non lo riveliamo».

Senza citare fonti, la testata tedesca ha riferito che sia la Merkel sia il Ministro delle finanze Wolfgang Schaeuble avrebbero telefonato al numero uno dell’Eurotower, la scorsa settimana, per chiedergli chiarimenti riguardo il suo intervento fatto a Jackson Hole la scorsa settimana.

In quell’occasione Draghi aveva sostenuto che sarebbe «utile» che la politica monetaria della Bce fosse fiancheggiata anche da «un ruolo maggiore della politica fiscale» nel quadro di importanti riforme strutturali. In particolare, Draghi aveva detto: «Nessuna quantità di aggiustamenti fiscali o monetari può sostituire le necessarie riforme strutturali: la disoccupazione strutturale era già molto alta nella zona euro prima della crisi e le riforme strutturali nazionali per affrontare questo problema non possono più essere ritardate».

Print Friendly, PDF & Email
sinistranoeuro

Come unirsi contro l’Unione?

Mimmo Porcaro

Immagine4Uno dei principali problemi di chi vuole uscire dall’Unione europea e dall’Euro è quello di costruire una grande alleanza sociale e politica capace resistere alla dura reazione che i grandi poteri nazionali (ma soprattutto internazionali) non mancherebbero di scatenare di fronte a questo “inaccettabile” gesto di autodeterminazione. Un’alleanza capace, quindi, non solo di guadagnare il consenso politico e morale di milioni di cittadini ed elettori, ma anche di metter mano ad un concreto programma alternativo di rilancio dello sviluppo del paese, base materiale della resistenza contro le iniziative ostili che, almeno in un primo momento, si concretizzerebbero proprio nel tentativo di strangolamento economico. Una simile alleanza non può non prevedere un riavvicinamento di ciò che in questi anni è stato (a volte artificiosamente) separato: e quindi una riunificazione dei diversi spezzoni in cui si è frammentato il lavoro dipendente, ed una nuova relazione tra l’intero mondo del lavoro dipendente ed una parte significativa delle piccole e medie imprese. Questo riavvicinamento si presenta indubbiamente come cosa assai difficile, e richiede decisi mutamenti di atteggiamento sia agli uni che agli altri. Proprio per questo conviene parlarne da subito, e con franchezza, precisando che quanto dirò vale sia nell’ipotesi di una rottura prodotta dal nostro paese che nell’ipotesi di una rottura subita: le turbolenze ed i rischi di regressione in questo secondo caso non sarebbero inferiori (anche per la presenza di una ormai innegabile tendenza alla guerra) alle conseguenze di un nostro scatto di dignità nazionale.

Print Friendly, PDF & Email
goofynomics

QED 37 - La Germania: riassunto per i politici

di Alberto Bagnai

(...cari lettori, questo post sarà pieno di ovvietà. Non vogliatemene: sto cercando di ampliare la platea degli interlocutori)

2317176Fin dall'inizio della mia attività di divulgazione ho insistito sul fatto che quello che rendeva certa la fine dell'euro non era il fatto che esso danneggiasse i paesi deboli, quanto che danneggiasse anche quelli forti. Faccio solo due esempi:

1) il 23 agosto del 2011: "la Germania segherà il ramo su cui è seduta"

2) il 23 luglio del 2013: "il menù dei prossimi mesi sarà il crollo dei 'virtuosi'"

Oggi sono uscite stime pessime sul Pil tedesco, e quindi scrivo l'ennesimo QED di questo blog, ma tengo a precisare che alla Germania non sta andando male perché io porto sfiga, ma perché l'economia è una scienza, una scienza che per bocca dei suoi esponenti più qualificati aveva chiarito che le cose dovevano andare come stanno andando.

Due atteggiamenti mentali errati hanno impedito al vasto pubblico, ma anche a molti colleghi, di capire il senso e la fondatezza di queste mie osservazioni.

Il primo è mutuato dalla "cultura" calcistica. Chi ha capito cosa sta succedendo in Europa lo vive come Italia-Germania 3 a 4, cioè come una situazione nella quale siccome noi stiamo perdendo, allora la Germania sta vincendo. Ma l'economia non funziona così: l'economia esiste perché esiste lo scambio, e il creditore che strozza il debitore non risolve nulla.

Il secondo è mutuato dalla "cultura" geopolitica, in versione vagamente complottarda.

Print Friendly, PDF & Email
marx xxi

Le larghe intese provocano il crollo dell'economia italiana

di Pasquale Cicalese

deflazione-300x252La menano con lo 0,2% (e con ulteriori rischi al ribasso..), come se questo fosse il problema. Leggono le intro del Bollettino Economico e nessuno che si degni di leggerlo interamente. Il giorno dopo editoriali di un’ovvietà disarmante e tutti a parlare di “riforme” per uscire dalla “crisi”. Ma non è una crisi, è un vero crollo capitalistico, quello certificato dai tecnici di Palazzo Koch.  Dopo tante pagine in cui si articolano le misure messe in campo da governi e banche centrali di tutto il mondo, ecco arrivare il paragrafo riguardante l’economia italiana. Potrà crescere solo se ritornano gli investimenti. Sta qui il problema, non ritornano da decenni, figurarsi oggi. Ma perché puntare sugli investimenti e non magari su altre voci? La risposta è insita in un rigo della pagina 36 del Bollettino economico: il tasso di accumulazione nel biennio 2012-2013 è crollato del 13%. Non si è arrestato, il tasso, semplicemente è crollato a livelli mai visti dalla storia dell’unità d’Italia. Ma non è finita qui: gli investimenti potrebbero ulteriormente decelerare a causa della persistente sovracapacità produttiva.

Insomma si è perso il 25% della produzione industriale, ma potrebbe non bastare, un nuovo ciclo di investimenti si avrebbe, a questo punto, con la perdita di almeno il 40% della capacità produttiva e a quel punto addio prodotto potenziale, ci vorrebbe un’arma atomica economica per ripartire.  Di chi è la colpa di questo disastro? Il Bollettino informa che l’arco temporale è il 2012-2013, ma nemmeno in questo semestre le cose sono migliorate. Chi c’è stato al governo? Sono gli anni delle larghe intese, di Monti, Letta e Renzi con i mass media che bombardavano gli italiani sulla necessità delle riforme. Chi li ferma più questi autori del disastro più epocale che l’Italia abbia mai avuto?

Print Friendly, PDF & Email
inchiesta

Gli ultimi tre anni di un euro in bilico

Bruno Amoroso

Per la nuova edizione del libro di Bruno Amoroso L’euro in bilico, Castelvecchi 2014 l’autore ci ha inviato la sua nuova prefazione dal titolo  Tre anni dopo che traccia uno scenario delle politiche europee che tiene conto di quanto avvenuto negli ultimi tre anni

il-crollo-delleuroSe otto ore vi sembran poche
provate voi a lavorare
e sentirete la differenza
di lavorar e di comandar.
[Canzone popolare]

La prima edizione di questo testo risale al 2011, tre anni che per il dibattito politico e gli eventi che sono seguiti appare come un’era geologica. Il testo fu accolto, salvo alcune generose eccezioni che fecero risaltare ancora di più le regole del gioco, con il silenzio degli accademici che vedevano con fastidio che un tale prodotto fosse partorito dall’interno del loro sistema, e dei giornali e dell’informazione in generale poiché ne metteva in luce la parzialità del loro ruolo.

I più infastiditi furono gli amici e i colleghi di ‘sinistra’ che vedevano giustamente in una mina vagante di questo tipo il rischio del diffondersi del grido ‘il re è nudo’, il re inteso sia l’euro sia la sinistra.

Sugli alti colli del potere nessuno si preoccupò. A Bruxelles erano confidenti che le grandi somme investite per la ‘ricerca europea’ avrebbero garantito la fedeltà delle call girl dell’accademia e del giornalismo europeo al loro piano, e prodotto tranquillamente il frutto dell’euro-dogmatismo.

Print Friendly, PDF & Email
clashcityw

Chi è Juncker, il nuovo presidente della Commissione Europea?

Una breve nota su crescita e austerity

Clash City Workers

homo-sapiensJean Claude Junker, politico e avvocato lussemburghese, è stato nominato Presidente della Commissione Europea, con ben 422 voti favorevoli (per la maggioranza assoluta erano necessari 376 voti su 751), 250 contrari e 47 astensioni. Ma cos’è la Commissione? E chi è Junker? Di quali equilibri è frutto la sua nomina? Cosa ci dice questa notizia a noi proletari, studenti, disoccupati, lavoratori? Cerchiamo di rispondere a queste domande.

 

1. Che cos’è e a che serve la Commissione Europea

Si tratta di uno degli organi più importanti dell’Unione, secondo solo al Consiglio Europeo - che, essendo composto dai Governi dei singoli paesi, e fissando le priorità generali dell’UE, mantiene una sua premazia -. La Commissione, che è formata da 28 commissari, serve ad armonizzare gli interessi delle differenti borghesie continentali, a rappresentare questi interessi nel suo insieme e a renderli attuativi. Il suo stesso nome ci dovrebbe far capire molto di quello che è: come ci ricorda l’etimologia della parola - e di parole analoghe come “commissariato” - indica qualcosa di ben poco democratico: un ristretto numero di persone specializzate in una data materia, deputate a speciali operazioni, che agevolano le procedure decisionali.

Print Friendly, PDF & Email
scenari globali

Il debito pubblico dell’eurozona (e soprattutto dell’Italia) va ristrutturato

Ecco perché

di Thomas Fazi

big-debtOggi in Europa, in ambito mainstream, esistono fondamentalmente due approcci al problema del debito pubblico, perlomeno in Europa: quello rigorista e quello pseudo-keynesiano (vedremo poi perché “pseudo”). Il primo – che dal 2010 in poi ha monopolizzato il discorso pubblico europeo e fornito il necessario sostegno teorico, ideologico e mediatico al “regime di austerità” – afferma che uno stato è come una famiglia o un’impresa: quando si accumulano troppi debiti, l’unico modo per ridurli è tagliare le spese. In sostanza, considerando che il rapporto debito/Pil è costituito da un numeratore (debito) e un denominatore (Pil), l’approccio rigorista interviene sul numeratore, aumentando l’avanzo primario dello stato (l’eccedenza delle entrate rispetto alle uscite, escludendo gli interessi sul debito) con l’obiettivo di liberare risorse da destinare al servizio del debito. Ovviamente ci sono solo due modi per ottenere un maggiore avanzo primario: o si taglia la spesa pubblica o si aumentano le tasse. Il problema di questo approccio (a prescindere dalle implicazioni sociali) è che aumentando l’avanzo primario si riduce il Pil, a causa del cosiddetto moltiplicatore fiscale, e dunque il rapporto debito/Pil aumenta. Il motivo è che un paese che registra un avanzo primario sta di fatto levando risorse all’economia reale per destinarle ai creditori, nazionali ed esteri.

Print Friendly, PDF & Email
micromega

La Sinistra e l’Unione antieuropea: la fine delle illusioni

di Enrico Grazzini

Morte BruegelLa sinistra sembra illudersi che la Ue possa cambiare all'interno dell'attuale quadro istituzionale, politico e monetario. Bisogna invece rivendicare la sovranità nazionale e disobbedire al Patto di Stabilità imposto dalla Troika

Occorre una rottura, un bagno di realismo e uno scatto di coraggio di fronte a questa crisi e a questa Unione Europea che opprime e disunisce i popoli europei. La sinistra italiana ed europea guidata da Alexis Tsipras dovrebbe prendere atto della cruda realtà politica di questa UE appena rieletta e modificare la sua politica pro UE e pro euro nutrita di buone e nobili illusioni. L'ideologia dell'europeismo a tutti i costi rischia infatti di diventare inconcludente, inefficace e impopolare verso la politica economica imposta dalla UE, che è senza dubbio la principale causa della crisi senza fine che affligge drammaticamente l'Europa e l'Italia. Anche considerando che, dopo le elezioni europee, l'opinione pubblica, delusa dalla mancanza di tangibili cambiamenti positivi, diventerà prevedibilmente sempre più anti-Unione Europea.

Matteo Renzi chiede di realizzare gli Stati Uniti d'Europa e reclama la fine dell'austerità senza crescita. Renzi in questo senso è molto più coraggioso e innovatore di Enrico Letta e di Pier Luigi Bersani, il quale, quando ancora sperava di diventare premier italiano, nelle sue interviste al Wall Street Journal rassicurava sul rispetto integrale di tutte le politiche d'austerità.

Print Friendly, PDF & Email
goofynomics

Facciamo un referendum sul cancro?

Alberto Bagnai

oo 475919Su Twitter intravedo tracce di un referendum non capisco bene se sull'austerità o sul Fiscal compact, che porrebbe non so bene quale quesito, con non si sa bene quale scopo. La democrazia diretta, per carità, è una bellissima cosa. L'uso che se ne fa ultimamente suscita qualche perplessità, ma non vorrei entrare in un campo che non è il mio. Quanto a questo referendum, i promotori, va da sé, sono illustri o meno illustri ma comunque ottimi colleghi, tutte brave persone, ovviamente, tutte bene intenzionate, si capisce, e, non occorre dirlo, tutte animate dal desiderio di fare qualcosa. Mi spingo oltre (senza chiedere il permesso): sono animati, gli illustri e meno illustri ma sempre ottimi colleghi, da qualcosa di più di un desiderio. Quello che li anima è la smania ideologica di fare qualcosa, il qualcosismo, l'ideologia velleitaria e perdente dalla quale questo blog si è distanziato fin dall'inizio, per due ben precisi motivi che occorre ricordare a chi è appena arrivato: il primo è che la cosa più importante da fare, ora come sempre, è capire, e per capire non occorre scrivere il proprio nome su una qualche lista, occorre viceversa leggere i tanti bravi autori che da decenni ci hanno avvertito del vicolo cieco nel quale ci stavamo mettendo. La seconda è che, per chissà quale motivo, capita che i fanatici del qualcosismo, ancorché tendano a vedersi e presentarsi come persone pure, animate dal nobile e disinteressato movente di fare qualcosa (“qualsiasi cosa!”) pur di “risolvere” la situazione, poi, quando vai a grattare, sotto sotto hanno sempre un interessante network di affiliazioni politicanti cui far riferimento, o hanno ambizioni politiche, sempre tutte legittime in quanto tali, ma non sempre molto condivisibili per il modo nel quale vengono portate avanti.

Print Friendly, PDF & Email
inchiesta

Il cammino di una Europa da ri(costruire)*

di Riccardo Petrella

europa-11Breve premessa personale

E’ stata per me la prima volta che, in quasi cinquantanni di “militanza” civile e cittadina, ho partecipato ad una elezione politica, per di più come candidato. Una bella esperienza di vita. Non perchè tutto sia stato gradevole,   corretto, senza delusioni, ma perchè per due mesi ho vissuto in uno stato di entusiasmo e di convinzione di partecipare ad un lavoro collettivo di grande rilievo l’obiettivo essendo quello di far rieleggere al Parlamento europeo (PE) (da cui erano stati cancellati nel 2009) dei rappresentanti della “sinistra italiana”. E cio’per “cambiare l’Europa”, per un’Altra Europa ! Non fa mica parte di ogni giorno il pensare di trovarsi impegnato in uno sforzo pubblico di trasformazione della società! Quest’esperienza è un privilegio raro, come lo è diventare membro del Parlamento europeo per rappresentare, insieme ad altri  750  eletti, un popolo di 509 milioni di persone! Non sono  diventato europarlamentare. Direi una bugia se non riconoscessi che sono un po’ dispiaciuto. Sono pero’ contento di aver contribuito , con tante migliaia di altri militanti e simpatizzanti in Italia, al raggiungimento dell’obiettivo predetto. Per quanto piccola sia la sua pattuglia, la “sinistra italiana” è di nuovo rappresentata al PE. Si tratta ora di ripartire per un (lungo) cammino di trasformazione radicale dei processi d’integrazione europea.

Print Friendly, PDF & Email
lantidiplomatico

"La fine dell'euro avverrà nel caos più totale per l'accanimento ideologico della classe politica"

"L'élite al potere oggi è più rappresentativa dell'epoca feudale che della modernità"

Alessandro Bianchi intervista Brigitte Granville

Cost-euro-populistCon le elezioni europee del 25 maggio scorso, le popolazioni hanno inviato un messaggio chiaro a Bruxelles: gli europei non sono più disposti a rinunciare ulteriormente a quote della loro sovranità e vogliono rinegoziare le concessioni fatte in passato. La nuova Commissione e il nuovo Parlamento europeo ascolteranno questa volontà di cambiamento? 

Certamente no, il loro comportamento sarà tale da rendere inutile il voto dato agli anti-euro, i quali costruiranno una minoranza che sarà ignorata completamente. In funzione del mandato democratico, l'élite politica considera che nulla è cambiato e che, proprio per questo, ha tutto il diritto di continuare ad agire come se nulla fosse accaduto.

 

La propaganda pre-elettorale dei governi al potere e di Bruxelles ha voluto rassicurarci sulla situazione economica attuale della zona euro, anche se le economie italiane di Italia, Olanda e Portogallo sono tornate a contrarsi e la Francia è in una situazione di stagnazione.

Inoltre, l'area monetaria è in una situazione di inflazione molto bassa – deflazione per diversi paesi – che rende sempre meno sostenibile la traiettoria debito/Pil di diversi paesi. In un tale contesto, ritiene che la zona euro rischia una nuova crisi che potrebbe rimettere in discussione gli strumenti creati o davvero « il peggio è dietro di noi » come ci hanno detto?