Engels e la condizione operaia
di Salvatore Bravo
F. Engels nel 1845, a soli 24 anni, descrisse la condizione di sfruttamento della classe operaia in Inghilterra con un testo La situazione della classe operaia in Inghilterra che nel nostro tempo andrebbe riletto per la sua attualità. L’indagine empirica e razionale coniuga l’oggettività dei dati con il giudizio etico. L’indagine di Engels è oggi, ancora viva e vera, poiché lo sfruttamento generalizzato è tornato a essere l’ordinaria normalità del nostro quotidiano. Il capitalismo neoliberale, mentre volge lo sguardo verso il transumanesimo e l’I.A, mostra il “suo cuore di pietra”, senza equivoci e fraintendimenti come nell’Ottocento. Lo sguardo libero dagli abbagli degli slogan ci restituisce la verità sulla condizione lavorativa e umana di tanti. Contingenze storiche e una sinistra liberale complice consentono al capitale di mostrarsi nella sua verità regressiva e disumana senza infingimenti: lo sfruttamento è diventato un “dato di fatto” ormai naturalizzato, per cui lo si accetta al punto che, malgrado la sua evidenza, non pochi lo ignorano. Vi è un nucleo del capitalismo che resta sempre eguale nella sua lunga storia, esso resta inalterato, poiché è la sostanza che lo muove e lo nutre. La descrizione-denuncia di Engels lo mostra con rara chiarezza e, pertanto, il tempo che ci separa dal pensatore tedesco, ci permette di ritrovare ciò che nel nostro tempo il capitale in modo sempre più manifesto produce con i suoi effetti letali. Il capitalismo non è semplice sfruttamento, ma esso disumanizza lo sfruttato riducendolo a mezzo per la produzione del plusvalore. Allora come oggi i nuovi proletari vivono processi di alienazione che li offendono nella psiche come nel corpo. La violenza è il carattere dominante ed eterno del capitalismo; è la sua verità che Engels visse e denunciò , ed è ancora fra noi in forme antiche e nuove. Allo sfruttamento di tanti corrisponde una ristretta oligarchia che governa con la violenza legalizzata. La legalità scissa dalla giustizia è il volto “legale” del capitalismo che convive con forme di illegalità, sempre più diffuse e ignorate, orientate verso il “consumo di esseri umani e di risorse”:
“Già abbiamo sopra osservato come l'industria centralizzi la proprietà nelle mani di pochi. Essa esige grandi capitali con cui innalza colossali stabilimenti e perciò rovina la piccola borghesia artigiana e con cui si fa soggette le forze della natura per cacciare dai mercati i singoli operai. La divisione del lavoro, l'utilizzazione della forza-idraulica e specie del vapore e della meccanica, sono le tre grandi leve, con cui l'industria, dalla metà del secolo passato, lavora a scardinare il mondo. La piccola industria creò la classe media, la grande industria creò la classe lavoratrice e portò sul trono i pochi predestinati della classe media, ma solo per rovinarli un giorno con tanta maggior sicurezza. Frattanto, nondimeno, è un fatto non negabile e facilmente spiegabile, che la numerosa piccola classe media del «buon tempo antico» è distrutta dall'industria e disciolta da una parte in ricchi capitalisti e dall'altra in poveri lavoratori. Ma la tendenza centralizzatrice dell'industria non si ferma a ciò. La popolazione si centralizza tanto come il capitale; naturalmente, poiché nell'industria l'uomo, il lavoratore, viene soltanto considerato come una parte del capitale a cui il fabbricante per compenso, poiché il lavoratore gli si dà da sfruttare, concede interessi sotto nome di salario1”.
La nuova schiavitù
Gli irlandesi emigravano nell’Inghilterra con il consenso della politica e delle classi dirigenti. Erano in tal maniera usati per abbassare i salari degli inglesi, i quali erano costretti a remunerazioni funzionali ai bisogni dei capitalisti. Il tenore di vita si abbassava per gli aggiogati, mentre l’aristocrazia del capitale affondava nel lusso e nel privilegio. L’emigrazione massiccia reintroduceva la schiavitù in modo informale. Migranti e operai minacciati dalla servile competizione erano costretti ad accettare condizioni di vita inaudite e insostenibili. Assistiamo oggi a un fenomeno simile. I migranti sono accolti in nome di un falso umanesimo per essere sfruttati e per essere usati come arma di ricatto salariale contro i lavoratori indigeni. La sinistra liberal, ancora una volta, è complice dello sfruttamento indifferenziato: inneggia all’emigrazione e usa i diritti civili come sovrastruttura per celare la verità che tutti conoscono e vivono: il lavoro è sfruttamento. I tagli sociali spingono verso la povertà anche la classe media e nel contempo si afferma una nuova e perversa definizione dell’umanità: il denaro fa l’essere umano. Coloro che non hanno risorse ragguardevoli sono disumanizzati e sono offerti al cannibalismo del mercato. Ancora una volta F. Engels ci fa cogliere la verità del nostro tempo mediante lo sfruttamento spietato degli irlandesi:
“Per divenire meccanico (mechanic è in inglese ogni lavoratore occupato alla fabbricazione delle macchine) e operaio industriale, l'irlandese dovrebbe in primo luogo accettare la civiltà inglese e i costumi inglesi, in breve, divenire inglese. Ma dove si tratta di un lavoro semplice e poco esatto, che dipende più dalla forza che dall'abilità, in tale caso l'irlandese è capace quanto l'inglese. Perciò pure questi rami di lavoro sono abbandonati dagli inglesi; i tessitori a mano, i manuali, i facchini, gli artigiani, sono nella massima parte irlandesi, e l'affollarsi di questa nazione ha contribuito moltissimo all'abbassamento del salario e della classe lavoratrice. E se anche gli irlandesi, penetrati nelle altre branche di lavoro, dovessero divenire più civilizzati, rimarrebbero tuttavia sempre abbastanza dipendenti dalla vecchia economia per influire — accanto all'influenza che sarebbe prodotta dalla vicinanza degli irlandesi — in modo degradante sui compagni di lavoro inglesi. Poiché, se quasi in ogni grande città un quinto o un quarto degli operai sono irlandesi o figli di irlandesi cresciuti nella sporcizia irlandese, non farà meraviglia che la vita dell'intera classe operaia, i suoi costumi, la condizione intellettuale e morale, tutto il suo carattere abbiano preso una parte importante di questa natura irlandese; si potrà intendere come la condizione del lavoratore inglese deplorevole per l'industria moderna e per le sue conseguenze, sia divenuta ancor più degradante2”.
La sostanza storica del capitalismo
Il sistema si regge e sopravvive, poiché la competizione e la lotta di tutti contro tutti, è lo strumento egemonico che le classi dirigenti usano non solo per favorire la produzione, ma anche per frammentare i sussunti nella disperazione competitiva. Se pensiamo al nostro tempo il linguaggio come i comportamenti rientrano nella categoria della selezione continua. L’odio è diventato il sentimento che brucia l’Occidente. Si odia il collega come il migrante; si compete con il vicino di casa e con il compagno di sempre. Il sistema capitalistico lavora per neutralizzare sul nascere la coscienza di classe e ogni forma di solidarietà e di pensiero. La guerra sociale è la normalità del male dell’occidente. Il saccheggio reciproco è l’ovvio non pensato e non compreso che infetta le relazioni:
“Da ciò ne viene pure, che la guerra sociale, la guerra di tutti contro tutti, è qui apertamente dichiarata. Come il singolo Stirner, le persone si considerano a vicenda come soggetti da usare, ognuno sfrutta l'altro, e ne viene che i più forti calpestino i più deboli, e che i pochi potenti, cioè i capitalisti, attirino tutto a sé, mentre ai molti deboli resta appena da vivere. E ciò che vale per Londra vale anche per Manchester. Birmingham e Leeds, vale per tutte le grandi città. Dappertutto barbara indifferenza, durezza egoistica da una parte e miseria senza nome dall'altra dappertutto guerra sociale, la casa d'ognuno in istato d'assedio, dappertutto reciproco saccheggio sotto la protezione della legge, e tutto ciò così impunemente, così manifestamente, che ci si spaventa innanzi alle conseguenze del nostro stato sociale, come appare qui scopertamente e ci si meraviglia solo che continui ancora tutta questa vita folle. Siccome in questa guerra sociale, il capitale, il possesso diretto o indiretto dei mezzi di sussistenza, sono l'arma con la quale si lotta, è evidente che tutti gli svantaggi di un tale stato ricadono sul povero. Nessuno si cura di lui; spinto nel confuso turbinio, egli si deve aprire una via come può. Se è così fortunato da trovar lavoro, cioè se la borghesia gli fa la grazia di permettergli di arricchirla, riceverà un salario che gli permetterà appena di tener l'anima unita al corpo; se non trova lavoro, può rubare se non teme la polizia o soffrire la fame, e anche in questo caso la polizia curerà che morendo d'inedia non disturbi troppo la borghesia. Durante il mio soggiorno in Inghilterra, da venti o trenta persone sono morte precisamente di fame nelle circostanze più rivoltanti, e alla visita dei cadaveri di raro si trovò un giuri che avesse il coraggio di constatar ciò in modo chiaro. Le testimonianze potevano essere le più decisive, la borghesia, tra la quale si sceglieva il giuri, trovava una scappatoia per poter sfuggire al terribile verdetto «morto di fame». In tali casi la borghesia non può dire la verità; essa pronuncerebbe la propria condanna. Inoltre molti muoiono di fame indirettamente — molto più direttamente — poiché la mancanza di sufficienti mezzi di sussistenza produce malattie mortali, poiché la detta mancanza produce in coloro che ne sono vittime un indebolimento tale del corpo, che malattie le quali per altri sarebbero leggere, divengono per essi gravissime e mortali. Gli operai inglesi chiamano ciò un omicidio sociale e accusano la società intiera di commettere tale delitto. Hanno essi torto?3”.
La descrizione della concorrenza effettuata da F. Engels non può lasciare indifferenti, in essa echeggia la solitudine senza speranza del nostro presente. I grandi proclami con annesse campagne pubblicitarie contro la violenza servono a celare soltanto l’ordinaria brutalità del capitalismo. La violenza è lo spirito del capitalismo, essa è la sua sostanza storica senza la quale il capitalismo non esisterebbe. Il capitalismo non è riformabile, vi sono modulazioni diverse della violenza, ma essa rimane e permane sempre, perché è la sua perversa natura:
“La concorrenza è l'espressione più completa della guerra dominante di tutti contro tutti nella moderna società borghese. Questa guerra, guerra per la vita, per l'esistenza, per ogni cosa, quindi in caso di necessità una guerra per la vita e la morte, non esiste soltanto tra le classi diverse della società, ma inoltre tra i singoli individui di queste classi; ognuno è sulla via dell'altro e ognuno cerca quindi di soppiantare tutti coloro che sono sul suo cammino e di porsi al loro posto. I lavoratori si fanno concorrenza tra loro, i borghesi fanno altrettanto. I tessitori meccanici concorrono contro i tessitori a mano, il tessitore occupato o mal pagato contro quello occupato o meglio pagato e cerca di soppiantarlo. Ma questa concorrenza dei lavoratori, degli uni contro gli altri, è per essi il lato più triste delle odierne condizioni, l'arma più acuta contro il proletariato nelle mani della borghesia. Quindi gli sforzi dei lavoratori per sopprimere con le associazioni questa concorrenza; quindi il furore della borghesia contro queste associazioni e il suo trionfo per ogni sconfitta toccata a esse. Il proletario è senza appoggio: egli non può vivere da se stesso un solo giorno. La borghesia si appropria il monopolio di tutti i mezzi di sussistenza nel significato più esteso della parola. Il proletario può solo ricevere quello che gli abbisogna da questa borghesia, la quale per la forza dello stato viene protetta nel suo monopolio. Il proletario è adunque legalmente e di fatto lo schiavo della borghesia; essa può disporre della vita e della morte di lui. Gli offre i mezzi d'esistenza, ma per un equivalente, per suo lavoro; gli lascia ancora persino, l'apparenza, come se egli trattasse per sua libera volontà, con consenso libero, senza restrizioni, come se l'uomo maggiorenne concludesse con essa un contratto4”.
Il comunismo è l’uscita dalla violenza. Rileggere F. Engels e i classici del comunismo è gesto con cui ritrovarsi già nel presente nel tempo nuovo della speranza; leggere e ascoltare le parole di Engels è uno dei modi possibili per rientrare nella nostra storia e pensare all’alternativa. Il capitalismo è fenomeno storico, tramonterà, ma sta a noi dare la direzione verso cui riorientarci. Ciascuno di noi può contribuire a tenere accesa la fiaccola del comunismo e della critica sociale. Non ci sono solo i gesti eroici, ma vi è anche l’impegno quotidiano, affinché “il male” non conquisti ogni spazio al punto da oscurare la prassi della speranza. In un momento critico della nostra storia, in cui il neoliberismo sembra aver vinto e omologato ogni prospettiva politica, sta a noi dimostrare che la “sinistra comunista c’è”.
Note
1 Friederich Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, Tradotto direttamente dall'originale tedesco da Vittorio Piva (†1907) e trascritto da Leonardo Maria Battisti, giugno 2018, II. Il proletariato industriale.
2 Ibidem. V L’immigrazione irlandese
3 Ibidem. III Le grandi città
Comments
finalmente una domanda - come dire - pertinente, ovvero che ruolo possono giocare quegli individui che si sentono attratti dagli ideali del comunismo. Se la domanda è così posta, è giusto discutere, altrimenti è del tutto inutile.
Ho militato in più di un gruppo dell'estrema sinistra ed ho dovuto trarre un bilancio: non negativo, né positivo, ma sono stato sollecitato dai fatti a riflettere, a interrogarmi, e innanzitutto a studiare, studiare, studiare e ancora studiare.
Ciò detto, oggi ritengo che ci sia da sviluppare ancora - partendo dall'ultimo Marx (ripeto dall'ultimo Marx) - una critica radicale al Modo di Produzione Capitalistico. Dunque non una critica valoriale - come in tanti hanno fatto e fanno - per cercare di trovale "la leva per sollevare il mondo", cioè come correggere o - peggio ancora - dirigere le leggi del MdPC.
Dunque solo studio? Assolutamente NO!, mille volte No.
L'azione politica, ovvero di propaganda, deve cogliere il nucleo centrale contro cui indirizzare la propaganda che oggi passa NECESSARIAMENTE per una denuncia dell'Occidente e la sua liberaldemocrazia che ha rappresentato il risultato di oltre 500 (cinquecento) anni di dominio coloniale e imperialista.
In televisione una volta mi fu posta la domanda: ma Hamas è un gruppo terrorista? Risposi senza mezzi termini: "è il riflesso di un terrorismo maggiore, lo Stato sionista di Israele sostenuto dall'insieme dell'Occidente per gestire le risorse petrolifere dell'area contro i paesi dell'area Medio Orientale".
Oggi sostengo senza mezzi termini che la QUESTIONE PALESTINESE sia il centro teorico-politico coagulante per una corretta battaglia contro il l'Occidente strenuo difensore delle leggi del MdPC, perché racchiude tutte le questioni che il moto ha portato a questo punto e la storia gli sta presentando il conto.
E' necessario costituirsi in gruppo organizzato?
L'organizzazione è solo e sempre successiva all'azione - siamo all'abc del materialismo e determinismo storico -. Se poi per organizzazione intendiamo la caricatura di questa, beh, ce ne sono state e ce n'è a iosa ancora oggi ma tutte insignificanti. Ed evito di fare nomi per non fare torto a nessuna.
Ho cercato di rispondere nel modo più semplice e concentrato possibile.
Poi ci saranno altre occasioni, ma a viso aperto, guardandosi in faccia, senza tergiversare.
Sono sempre disponibile per una discussione anche de visu, sono vecchio e abbastanza conosciuto ed è sempre facile contattarmi.
Ho reso l'idea?
Michele Castaldo
è del tutto evidente che siamo su due piani teorici molto differenti
" La tesi dell'implosione del sistema è sostanzialmente indimostrabile se non altro perchè è desunta sostanzialmente dalla sconfitta storica del proletariato"? No, non la si desume dalla sconfitta definitiva del proletariato, parti col piede sbagliato perché sei (siamo stati) a pensare alla storia come scontro tra le classi come portato scientifico, una tesi che la storia ha dimostrato che era sbagliata e se ne accorsero entrambi i nostri padri Marx e Engels.
In discussione dunque non è la sconfitta "storica" o "meno" del proletariato classe operaia, ma le leggi impersonali del moto e Marx si sforza di chiarirlo in modo mirabile prima nei Grundrisse e poi nel Capitale.
Nei nostri scritti (Alga-Mica, Alessio Galluppi e Michele Castaldo, come l'ultimo sulla Resistenza)) cerchiamo di mettere in evidenza come esso, il proletariato è costretto a comportarsi continuamente come i girasoli rispetto al sole, ovvero a guardare al capitale, al capitalista e al capitalismo ed a relazionarsi ad esso. Cos'è se no il nazionalismo?
E' il risultato di uno studio approfondito nei confronti del proletariato occidentale prima e cinese oggi.
Per non dire della Russia, su cui, siamo sinceri, si è studiato molto ma molto poco assumendo slogan e parole d'ordini ideologiche senza collocazione storica. Tanto per essere chiari: ci siamo riempito il cervello assumendo i Soviet come Totem rivoluzionario mentre essi furono espressione di 4 (quattro) fasi della lotta di classe rivoluzionaria in Russia: 1) Dopo la domenica di sangue del 1905 in un modo; 2) Sul finire del 1905 in modo diversi; 3) all'indomani delle mobilitazioni a seguito dell'8 marzo del 1917 fino a luglio quando il Soviet supremo asserragliato nel palazzo di Tauride fu preso d'assalto dai soldati e dagli operai e Trocky, ancora menscevico, organizzò il servizio d'ordine in difesa di Kerensly. Mentre grazie alla lotta dei contadini 4) sorsero altri soviet fino a tutto l'ottobre, novembre e così per tutto il resto del 1917.
In dicembre - caro Raffaele e carissimi compagni ci furono le elezioni e FUMMO SCONFITTI COME BOLSCEVICHI perché i contadini - anche poveri e poverissimi - votarono contro i bolscevichi. Al punto che il grande Lenin dovette abolire, in gennaio l'Assemblea Costituente non ostante l'avesse in un primo momento invocata. E' chiaro? E fu criticato - sbagliando - dall'aquila reale Rosa Luxemburg, e molti fessi - liberaldemocratici - la impugnano contro Lenin. Che poveri uomini di spirito! Rosa L. aveva contemporaneamente ragione e torto; altrettanto Lenin. Come distinguere le ragioni e i torti? In base a quale criterio? Lascio a voi riflettere se volte. Se no mi chiedete e rispondo (come sempre) con calma.
Buona fortuna
Michele Castaldo
Pertanto banda alla superficialità: c'è da riflettere e studiare senza esaltarsi con gli slogan
Fu Lenin - carissimo Raffaele - il più grande personaggio della Rivoluzione russa a saper dire eravamo su un binario unico e obbligato della storia.
Se i compagni si sono appassionati solo sul libro romanzo di Trocky La rivoluzione russa non possono capire che una rivoluzione romanzata modifica la storia, non rende fino in fondo ad essa onore.
A distanza di oltre cento anni e con un moto di produzione i crisi irreversibile, continuare a ripetere le giaculatorie ideologiche non serve a niente.
Chiaro?!
Buona fortuna
" La trasformazione ha bisogno di fondazione metafisica per dimostrare che [...] il sistema non è conforme alla natura umana la cui eccellenza è di ordine solidale ed etico " e che di conseguenza necessita del "La trasformazione di fondazione metafisica per dimostrarlo"?
Ma si rende conto di cosa scrive?
Peggio che andar di notte quando poi cerca di ripetere goffamente il concetto di Marx "Comunismo o barbarie" scrivendo " Ora, è possibile certo, che il capitalismo possa cadere per implosione (nella storia vige la possibilità), ma se ciò avverrà senza idee e senza uomini e donne con una progettualità forte sarà la barbarie".
Gli uomini sono determinati dai rapporti di produzione e non possono essere determinati diversamente prima.
Parli di quel che sa, lasci perdere il determinismo storico, è un'arte che non le compete. Questo non lo affermo per amor di polemica ma leggendo le cose che scrive. Questa non è la fase del parlare a vuoto ma ci sta ponendo dinanzi a un BILANCIO STORICO DI NATURA TEORICO, POLITICA E PRATICO.
Capisco che dopo duecento anni dobbiamo ripartire da zero, ma proprio per questo si tratta di masticar granito.
Capito mi ha? egregio Salvatore Bravo
saluti
il testo di F. Engels sulla classe operaia in Inghilterra è - come tu scrivi, giustamente - del 1845, e di lì a tre anni dopo - 1848 - viene pubblicato Il Manifesto da Marx e Engels.
Ma qualche tempo dopo i due hanno l'umiltà - una qualità rara in modo particolare al giorno d'oggi - di scrivere CI SIAMO SBAGLIATI SULLA TENUTA DEL MODO DI PRODUZIONE CAPITALISTICO.
Ora se loro due capirono i limiti del loro lavoro e lo denunciarono e noi a distanza di circa 200 anni riprendiamo quel lavoro per rivalorizzarlo, cioè per denunciare la cattiveria del capitalismo, vuol dire che non abbiamo capito la lezione che i due grandi idealisti del comunismo intesero trasmetterci.
Il proletariato è una classe fra le classi e non ha poteri taumaturgici grazie alla presa di coscienza di essere sfruttati e fare la rivoluzione.
Tanto è ciò vero che quell'aquila reale che va sotto il nome di Rosa Luxemburg, circa il "rinnegato" Kautski, seppe dire SI, LA SOCIALDEMOCRAZIA HA TRADITO, MA ESPRIMEVA IL PROLETARIATO TEDESCO.
Come la mettiamo la questione? Tu (come tanti) denunci la sinistra liberale, ma é espressione del proletariato occidentale, si o no?
Il Manifesto definiva la storia come lotta di classe, la borghesia come classe rivoluzionaria rispetto al Feudalesimo. La Socialdemocrazia fu coerente a questa tesi e sostenne la necessità di mandare al potere in Russia la borghesia perché PROGRESSIVA, dunque propedeutica per la rivoluzione proletaria.
Oggi scontiamo che il fondamento della nostra teoria era sbagliato e lo era a tal punto che come movimento ideale del comunismo ci ponemmo alla coda della Liberaldemocrazia e ci siamo ESTINTI come movimento storico e ideale.
Dunque a che pro riproponiamo dopo 170 anni una tesi risultata sbagliata?
Per denunciare la natura criminale del capitalismo? Ma lo facciamo da oltre due secoli senza approdare a nulla. E allora perché, quale sarebbe la novità se non c'è una novità?
Diciamoci allora che non siamo in grado di cogliere la novità teorica, politica e pratica: essa consiste nel fatto che la storia non è fatta di lotta tra le classi ma dal RAPPORTO IMPERSONALE DEGLI UOMINI CON I MEZZI DI PRODUZIONE INCENTRATO SULLO SCAMBIO, che - perciò - il capitalismo risulta essere UN TEMPO STORICAMENTE DETERMINATO, in quanto tale - perciò - FINITO.
Dunque non poteva essere sconfitto da una classe che lo conteneva ma che avrebbe dovuto percorrere il suo corso e IMPLODERE CAUSA LE SUE STESSE LEGGI. E il grandioso Lenin lo seppe capire s rivendo: ERAVAMO SU UN BINARIO OBBLIGATO DELLA STORIA.
Oggi siamo a un punto cruciale: il modo di produzione capitalistico si avvia verso l'implosione.
Tutto il resto - caro Bravo - sono chiacchiere da bar dello sport.
Michele Castaldo
La situazione della classe operaia in Inghilterra di Engels è un testo di facile lettura che può ancora istruirci e farci capire in che razza di società siamo reclusi.
Negli ultimi anni si sono accresciuti e accentuati gli sforzi di buoni intellettuali umanisti per cercare di capire il perchè nei nostri tempi siamo precipitati tanto in basso; ritengo questo articolo del compagno Bravo sia il punto di partenza fondamentale, basilare per procedere nella ricerca di una soluzione adatta ai nostri giorni per il condivisibile obiettivo di ricostruire quella sinistra comunista organizzata che ancora oggi non c'è.