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Rivolta sociale?

di Vladimiro Merlin*

minatori disegno.jpgUn’ipotesi plausibile, viste le condizioni del lavoro in Italia ma, più che evocata, la rivolta sociale andrebbe praticata.

Il segretario della Cgil, Landini, l’ha evocata in relazione alla situazione che ha portato la Cgil e la Uil a proclamare lo sciopero generale per il 29 novembre.

In effetti, la condizione dei lavoratori italiani è tragica da tutti i punti di vista.

Gli stipendi, dal 1990 al 2020, in Italia sono diminuiti del 2,9%, in tutta Europa si è registrata una crescita, la più bassa, in Spagna, è stata del 10%.

Su 17 milioni di lavoratori del settore privato 7,9 milioni sono lavoratori discontinui, 2,2 milioni sono part-time, assieme sono il 60% dei lavoratori privati.

A questi lavoratori con redditi stabilmente bassi andrebbero aggiunti tutti quelli in cassa integrazione, che hanno uno stipendio ridotto tra il 50 e il 60% del normale.

Ma, come abbiamo già visto, anche ai lavoratori stabili non è andata bene, in questi ultimi 30 anni il loro stipendio non solo non è cresciuto ma si è ridotto del 3%.

Da anni, varie fonti, dai sindacati alla Caritas, ma anche l’Istat, registrano un aumento progressivo della povertà anche tra persone che hanno un lavoro.

Una progressiva povertà che i ceti popolari misurano ogni giorno quando fanno la spesa.

Sulla situazione già tragica dei salari si è innestata l’impennata inflazionistica di questi ultimi anni, impennata che, nonostante i dati ufficiali manipolati, continua; infatti, i rincari dei generi di prima necessità, in primo luogo gli alimentari, sono ancora attorno al 9/10%.

Dall’abolizione della scala mobile, avvenuta molti anni fa, i salari sono rimasti completamente indifesi rispetto all’inflazione. Questo anche a causa di rinnovi contrattuali che sono stati realizzati con anni di ritardo e con aumenti stipendiali che non coprivano neppure l’inflazione pregressa.

Ho accennato alla situazione dei lavoratori privati, ma anche quelli pubblici sono nelle stesse condizioni.

Questo quadro evidenzia che i redditi da lavoro in Italia stanno sempre più scivolando verso la miseria.

Ma non c’è solo il macigno del salario a pesare sulle spalle dei lavoratori, e delle loro famiglie, ci sono anche le condizioni concrete di lavoro che sono diventate insopportabili, i ritmi di lavoro, l’organizzazione dei processi produttivi, le esternalizzazioni, i subappalti, la precarietà, che stanno portando a un aumento non solo dello sfruttamento ma anche dei morti sul lavoro, degli invalidi e delle malattie professionali. Queste tragedie non sono fatalità, sono il risultato del sistema capitalistico che subordina tutto alla crescita del profitto, senza curarsi della salute, e persino della vita, dei lavoratori, e tutto ciò alla faccia dell’innovazione tecnologica che, nelle mani del padronato, anziché migliorare le condizioni di lavoro le rende sempre più disumane.

E non finisce qui, perché, accenniamo solo di sfuggita, a peggiorare ulteriormente le condizioni di vita dei lavoratori e dei ceti popolari ha contribuito pesantemente la distruzione dello Stato sociale: della sanità, dell’istruzione, dell’assistenza agli anziani, della politica sociale sulla casa, ecc.

A questa tremenda situazione come risponde il governo di destra della Meloni?

Nella legge finanziaria e nelle varie misure che ha già attuato aumenta le spese militari e per la guerra, e su questo i miliardi li trova, e tanti, spende altri miliardi per il ponte sullo stretto e altre opere inutili e dannose, ma molto lucrose per le grandi aziende che le realizzano, come la diga del porto di Genova.

Si rifiuta di tassare i superprofitti realizzati dalle banche, dalle aziende energetiche, dalla finanza e da altri settori economici che, anche grazie a manovre speculative, oltre che ingigantire i dividendi degli azionisti, hanno generato la grande inflazione che ha colpito, e ancora colpisce, le condizioni di vita dei ceti popolari.

In compenso, il governo riduce la spesa per la sanità, non investe sull’istruzione, enfatizza i pochi euro per le famiglie (100 all’anno, con almeno un figlio a carico), per le pensioni minime (3 euro al mese) e altre misure simili che, più che misere, sono delle vere e proprie elemosine.

Una politica, questa, ferocemente di classe, sostenuta e richiesta anche dalla Ue, che richiede una risposta forte da parte dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali.

Tornando alla gravissima situazione in cui si trovano i lavoratori e i ceti popolari, dobbiamo chiederci: è solo colpa del padronato, dei governi di destra e di centrosinistra (e di quelli finti “tecnici”)?

Dove erano e cosa facevano i sindacati, non mi riferisco a quelli filopadronali, tra i quali metto anche la Cisl che è sempre stata il sindacato del governo di turno, che fossero democristiani, di centrosinistra o, come ora, di destra, ma, prima di tutto, i grandi sindacati la Cgil e la Uil?

Correvano dietro e incensavano la cosiddetta concertazione.

Dopo oltre 30 anni si può fare un bilancio dei risultati della concertazione.

In parte lo abbiamo già fatto nelle righe precedenti, ma non si limita a quanto già detto.

La concertazione ha portato al disastro della attuale legge pensionistica che non è un modo per “salvare” le pensioni del futuro è un modo per rubare una parte (consistente) dei contributi versati dai lavoratori nella loro vita lavorativa, tanto più che, dal 1995, il sistema pensionistico è diventato, falsamente, “contributivo”; se fosse veramente così la pensione erogata dovrebbe corrispondere, in base all’aspettativa di vita, a quanto il lavoratore ha versato, già ora non è così, le pensioni erogate sono inferiori ai contributi versati ma, nonostante ciò, si vorrebbero ancora ridurre e si vorrebbe alzare ulteriormente l’età pensionabile.

La concertazione ha portato agli accordi sulle leggi che limitano fortemente il diritto di sciopero nel nostro Paese, limiti che, in questi termini, non esistono in nessun altro dei grandi Paesi europei, e che hanno in larga misura indebolito, in Italia, il principale e più efficace strumento di lotta che hanno i lavoratori per ottenere dei risultati e, infatti, le conseguenze sono quelle che abbiamo evidenziato finora.

Non c’è un solo aspetto che riguardi le condizioni dei lavoratori che sia stato migliorato con la concertazione, sarebbe ora che si ammettesse il suo fallimento e si dichiarasse chiusa, invece, ancora meno di un mese fa, la Cgil e la Uil chiedevano ripetutamente al presidente del consiglio Meloni di essere ricevuti, di essere “ascoltati”, quasi chiedessero l’elemosina.

Allora, in base a quanto detto finora: rivolta sociale?

Magari, dico io, anche se più che il termine rivolta sociale, che evoca quasi una esplosione di rabbia, mi sembrerebbe più appropriato parlare di una fase di lotta dura e generalizzata, fino all’ottenimento di obiettivi che sarebbero da fissare in modo chiaro ed esplicito e, vista la situazione, non possono certo limitarsi a qualche modifica della legge finanziaria.

Perché, al di là di una grande riuscita dello sciopero generale che tutti ci auguriamo, o meglio degli scioperi generali, perché ci sono anche altri sindacati che scioperano, ma di questo parlerò più avanti, il punto è: cosa si farà dopo lo sciopero generale?

Perché credo che nessuno si illuda che basti uno sciopero, anche il meglio riuscito, a modificare significativamente la situazione tragica in cui si trovano, oggi, i lavoratori e le lavoratrici italiani.

Dato che la situazione, che ho sommariamente descritto prima, riguarda tutti i lavoratori pubblici e privati, anziani e giovani, stabili e precari, dato che riguarda quasi tutte le categorie per i rinnovi dei contratti e in particolare anche il settore dell’auto che rischia di essere sostanzialmente smantellato nel nostro Paese, per dare forza e continuità allo sciopero generale sarebbe necessario farlo seguire da una stagione di lotte e di scioperi programmati che, categoria dopo categoria e sugli obiettivi comuni, dia vita a un periodo di lotte e di scioperi che restituisca ai lavoratori la fiducia in questo strumento per migliorare la loro situazione.

Troppi scioperi pro forma, simbolici, o a “babbo morto”, come dicono in Toscana, hanno convinto i lavoratori, in Italia, che questo strumento non sia più efficace ma, prima di tutto, si è dimostrato che non ce n’è un altro che lo può sostituire, in secondo luogo in altri Paesi europei (Francia, Germania, Gran Bretagna, ecc.) ha dimostrato di essere ancora valido.

Anche in Italia, pochi giorni fa, abbiamo visto che lo sciopero dei trasporti, fatto senza fascia di garanzia, come avviene negli altri Paesi europei, ha subito sortito l’effetto di portare il governo ad aprire il tavolo della trattativa.

Per questo non si deve sprecare l’occasione di questo sciopero generale lasciandolo cadere, ancora una volta, nel vuoto, ma occorre da subito prevedere una continuità e una articolazione nelle lotte e negli obiettivi.

Questo aspetto è molto importante perché se è vero, da un lato, che i lavoratori e le lavoratrici non ne possono più della situazione in cui sono, d’altro canto, hanno maturato una sfiducia sull’efficacia degli scioperi, accentuata dall’affermazione di una egemonia cresciuta sempre di più, da diversi anni in qua, in tutti i settori della nostra società, di un individualismo che ha distrutto, anche tra i lavoratori, il senso e il valore della collettività come strumento per migliorare la condizione di ognuno.

In sostanza, in larghi settori di lavoratori si è persa la coscienza di classe e solo riuscendo a rilanciare il valore e l’efficacia delle lotte e dello sciopero come strumenti validi e concreti per migliorare la propria condizione si può riuscire a ripristinarla.

Noi del Movimento per la Rinascita Comunista è da tempo che diciamo che per risolvere le questioni di cui abbiamo parlato finora, è necessario che tutti i lavoratori e tutti i sindacati mettano in campo tutte le forze possibili, come è stato nello sciopero per il settore dell’auto, dove tutti i sindacati hanno scioperato pur, ovviamente, su piattaforme diverse e, anche, magari in manifestazioni diverse.

Riteniamo che sia positivo che nella giornata del 29 anche la Cub e altre sigle sindacali di base abbiano indetto lo sciopero generale, con una piattaforma che è diversa da quella di Cgil e Uil e che esprime anche delle critiche rispetto ai sindacati confederali ma che, in questo modo, contribuisce a dare più forza alla mobilitazione complessiva dei lavoratori.

Purtroppo, dal nostro punto di vista, la Usb aveva già proclamato lo sciopero generale per il 13 dicembre, su una sua piattaforma, anch’essa più chiara e precisa nel delineare gli obiettivi e le proposte, di quella di Cgil e Uil, ma se avesse potuto anche essa proclamare lo sciopero per il 29, la riuscita della mobilitazione dei lavoratori poteva essere ancora più ampia e l’effetto sulla controparte sarebbe stato ancora più forte.

Noi del Movimento per la Rinascita Comunista ci auguriamo che per i prossimi appuntamenti di lotta sui temi che abbiamo affrontato in queste pagine i sindacati di base sappiano utilizzare questa modalità che, da una parte, non necessita di nessun compromesso sui contenuti, e tanto meno una messa in discussione della loro autonomia, ma che può giovare al complesso del movimento dei lavoratori e permettere, lo speriamo, di ottenere migliori risultati.

I nostri compagni, nei sindacati in cui militano, daranno il massimo contributo, sia nel loro luogo di lavoro che nelle mobilitazioni, per la migliore riuscita degli scioperi generali.


*Responsabile commissione lavoro del Movimento per la Rinascita Comunista
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Comments

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Aniello
Sunday, 01 December 2024 17:48
Quindi il sindacato lamenta aumento della povertà... e come andavano
inquadrati i lavoratori a cui era stato tolto il lavoro perché non volevano
sottostare al ricatto tampone-vaccino ? Visto che dopo l'intero impianto è stato smantellato.Alle multe non è stato dato corso , poi la Russia ha invaso l'Ucraina....
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