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labottegadelbarbieri

L'arma più letale della Nato? L'informazione di guerra

di Giorgio Ferrari

centrale zaporizhzhia ftg 1 640x427 1La campagna di disinformazione sui danneggiamenti alle infrastrutture civili presenti in territorio ukraino non conosce sosta da parte di quasi tutti i paesi aderenti alla Nato, con l’Italia in testa. A tenere banco sono, ancora una volta, la diga di Kakhovska e la centrale nucleare di Zaporizhzhia per le quali si addebita ai russi ogni responsabilità per quanto già accaduto o che potrebbe ancora accadere.

 

Diga di Kakhovska

A dare manforte all’accusa di ecocidio verso la Russia per aver distrutto la diga di Kakhovska, sono recentemente intervenuti il New York Times e Greta Thunberg.

Il più noto quotidiano del mondo si è spinto a scrivere un articolo dal titolo “Perché le prove suggeriscono che la Russia abbia fatto saltare in aria la diga di Kakhovka”1, dove invece che delle “prove” si esibiscono una serie di congetture che dovrebbero avvalorare l’assunto del titolo.

Si comincia con l’affermare che la diga in questione, essendo stata costruita dall’ Urss nel periodo della guerra fredda, fu concepita per resistere a qualsiasi attacco esterno: ergo nessun bombardamento avrebbe potuto abbatterla.

Conseguentemente la sua distruzione non può che essere avvenuta con delle mine appositamente collocate nei punti deboli della diga e siccome il progetto originario era russo, solo i russi possono sapere dove si trovano questi punti deboli che l’articolo del NYT individua nel cunicolo di ispezione del basamento della diga.

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lantidiplomatico

Hanno mentito sull'Afghanistan. Hanno mentito sull'Iraq. E stanno mentendo sull'Ucraina

di Chris Hedges - ScheerPost

5259bb92b8ceac22060944111e437ba4 XLIl manuale che gli sfruttatori della guerra usano per attirarci in un fiasco militare dopo l'altro, che include Vietnam, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e ora Ucraina, non cambia. La libertà e la democrazia sono minacciate. Il male deve essere sconfitto. I diritti umani devono essere protetti. È in gioco il destino dell'Europa e della NATO, nonché di un "ordine internazionale basato sulle regole". La vittoria è assicurata.

Anche i risultati sono gli stessi. Le giustificazioni e le narrazioni vengono smascherate come bugie. Le previsioni ottimistiche sono false. Coloro per conto dei quali si suppone che stiamo combattendo sono tanto venali quanto quelli contro cui stiamo combattendo. 

L'invasione russa dell'Ucraina è stata un crimine di guerra, anche se provocato dall'espansione della NATO e dal sostegno degli Stati Uniti al colpo di Stato "Maidan" del 2014, che ha spodestato il presidente ucraino democraticamente eletto Viktor Yanukovych. 

Yanukovych voleva l'integrazione economica con l'Unione Europea, ma non a spese dei legami economici e politici con la Russia. La guerra si risolverà solo attraverso negoziati che consentano all'etnia russa in Ucraina di avere autonomia e la protezione di Mosca, nonché la neutralità ucraina, il che significa che il Paese non può entrare nella NATO. Più questi negoziati verranno ritardati, più gli ucraini soffriranno e moriranno. Le loro città e infrastrutture continueranno a essere ridotte in macerie.

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lacausalitadelmoto

Minneapolis chiama Nanterre, la Francia risponde: il caos e l’onda

di Alessio Galluppi

nanterreNanterre, sobborgo di 90 mila anime a Nord Ovest di Parigi, iper marginalizzata, povera, violenta, criminosa, precaria. Roccaforte per anni del Front National (ora Rassemblement National) di Le Pen. Sempre meno “Francia Europea” e sempre più Francia variegatamente Africana. Nanterre e la Francia in una mattina di fine giugno diventa improvvisamente Atlanta, Chicago, Ferguson, Minneapolis.

Nahel, 17 anni, viene ucciso con spietata freddezza a un posto di blocco della polizia. L’omicidio ha tutte le sembianze di una esecuzione: stop del veicolo da parte di poliziotti in motocicletta; pistola alla tempia di Nahel alla guida; le grida dei poliziotti; prima un colpo alla testa con il calcio della pistola; Nahel sbatte contro lo sterzo, il piede scivola via dalla frizione, l’auto già ferma si impenna di quel poco; un secondo colpo, ma dal lato della canna della pistola viene sparato per fermare la fuga del pericoloso ragazzo francese dalla faccia poco Europea e troppo Algerina; Nahel colpito al petto muore.

Nahel Francese figlio di discendenti Algerini, ammazzato come tanti giovani afroamericani dalla polizia in America. La Francia si infiamma e soprattutto si lacera profondamente come stiamo assistendo in questi giorni.

Il solo razzismo sistemico capitalista dell’Occidente colonialista e imperialista non basta a spiegare questa esecuzione a morte sul posto. Così come l’improvvisa ribellione che ne è seguita solo in parte trova la sua radice nella materialità di un futuro precario per le nuove generazioni di francesi figli della immigrazione extra europea.

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contropiano2

Prigožin e la “Wagner”: fu vero golpe?

di Fabrizio Poggi

prigozin vero golperLa situazione verificatasi con la sollevazione dei caporioni della “Wagner” è intricata. Inutile e controproducente azzardare ipotesi: di regola, non ci si azzecca mai. Più prudente attenersi ai fatti. E i fatti sono ormai a conoscenza di tutti, mentre sui media liberal-atlantisti si sprecano le “interpretazioni”, tutte giocate sul tema “la fine di Putin”.

Per quanto ci riguarda, però, molto ma molto rimpiattato in un angolino della mente, risuona un qualcosa di déjà vu: per la precisione, l’agosto del 1991. Trentadue anni fa, nei tre giorni che l’acume liberale continua tutt’oggi a definire “golpe”, non venne sparato un solo colpo.

A quanto pare nemmeno il 24 giugno 2023, se si escludono gli episodi di scontri tra “wagneriani” e esercito nel periodo precedente la “sollevazione”. Sicuramente, così come nel 1991 si venne a sapere del “gioco delle parti” tra Mikhail Gorbačëv e gli otto “gekačepisti” soltanto diversi mesi dopo le giornate d’agosto, anche questa volta la realtà dei fatti farà capolino solo tra un po’ (o molto) di tempo.

Nessun fatto testimonia della verosimiglianza di una tale ipotesi; e, però, è dura da scacciare la sensazione che Evgenij Prigožin abbia reso un servizio a Vladimir Putin e il presidente, che ancora al mattino prometteva una «dura punizione» per i rivoltosi, nel pomeriggio ha consentito all’uscita indisturbata del wagneriano verso la Bielorussia.

Un po’ presto anche per definire con esattezza quali diverse cordate del capitale russo (e non solo) siano dietro agli uni e agli altri protagonisti delle attuali vicende e quali obiettivi strategici perseguano.

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sinistra

Sembrava un trono

di lorenzo merlo

 bvjkleTaci stupido! Non sai chi sono io.

Amazzonia

In seguito a un recente incidente aereo (1), quattro bambini tra i tredici e un anno sono sopravvissuti quaranta giorni da soli nella giungla amazzonica. A chi li ha trovati hanno raccontato che si sono nutriti secondo quanto aveva insegnato loro la nonna.

Ecco, per adesso, tenere a mente la nonna.

 

Russia o Tronista 1

C’è chi la nonna non l’ha avuta. Al suo posto gli è capitato una specie di algoritmo, una di quelle cose o bianche o nere, un codice binario dove la via dello stampino è segnata, dove l’arlecchino della vita prende bastonate di santa ragione, con somma soddisfazione dei proboviri – individui dal nullo eros – che, armati del nerbo intrecciato di scientismo e diritto, ci vengono a dire come stanno veramente le cose. Lo fanno con la tranquillità che il sapere tecnico, scambiato per conoscenza superiore, credono permetta loro.

Così, dal trono della ragione e del diritto dileggiano chi riconosce le ragioni di Putin e la causa Natorale della guerra – oltre due terzi del mondo –, e comunque quelli che non ne possono più delle esportazioni in doppio petto e armi in pugno di qualunque merda si voglia.

Rivolgendosi a questi, il tronista, inetto a cogliere l’humus d’insieme, prodromo del presente, non esita sarcasticamente a sostenere pochezze, come se il tempo fosse iniziato il febbraio scorso:

  • dunque, chi provoca – a insindacabile giudizio dell’aggressore Putin – merita una reazione anche violenta. E se l’aggredito reagisce, è terrorismo;

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alternative

Realismo utopico: un ossimoro per ricostruire la sinistra

di Alfonso Gianni

9788869440588 0 536 0 75Eppur si muove! Il Dragone cinese che pareva sornionamente adagiato in disparte in attesa degli andamenti della guerra russo-ucraina, ha affondato una zampata che ha messo in agitazione il quadro politico internazionale. Il tutto a poche settimane di distanza dal Summit del G7 che si terrà ad Hiroshima il 19 maggio e che, secondo i bene informati1, si dispone a redigere un documento assai severo contro le mire di Pechino su Taiwan. Da qui anche l’importanza che viene attribuita alla missione navale italiana negli Stretti di Taiwan, chiesta dagli Usa e che il governo Meloni si sta preparando ad esaudire. “Washington chiama, Roma risponde”, scrive compiaciuto un organo online delle nostre forze armate e di polizia.2 Al contempo la scelta della sede del prossimo G7 è emblematica e testimonia quanto il pericolo di una precipitazione nucleare del conflitto in corso in Europa aleggi sopra la testa dei grandi della terra, anche se i loro atti si muovono esattamente nella direzione opposta ad evitarlo.

La mossa cinese è consistita in una telefonata definita “lunga e significativa” fra Xi Jimping e Volodymir Zelensky. L’evento era atteso e promesso. Tuttavia non ha mancato di originare reazioni irritate e sollevare diversi interrogativi. La tesi secondo la quale si sia trattato di una semplice conversazione telefonica che non si nega a nessuno non regge al più superficiale esame delle circostanze. Come è del tutto inconsistente l’interpretazione che si tratterebbe di un gesto riparatore di Pechino, dopo lo scivolone di Lu Shaye, ambasciatore cinese in Francia, il quale si sarebbe lasciato andare, durante un’intervista alla televisione francese Lci verso la fine di aprile, a dichiarazioni effettivamente imbarazzanti come sostenere che "i Paesi dell'ex Unione Sovietica non hanno uno status effettivo ai sensi del diritto internazionale, perché non esiste un accordo internazionale per concretizzare il loro status di Paese sovrano".3

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contropiano2

“Ingerenza liberale”, autodeterminazione e realismo nelle relazioni internazionali

di Redazione Contropiano - Domenico Caldaralo*

ingerenza autodeterminazione realismoSiamo sempre alla ricerca di qualche bagliore di intelligenza in questi tempi cupi. Una guerra che rischia in ogni momento di diventare mondiale e nucleare (i due termini sono ormai sinonimi) ci viene “narrata” dal sistema dei media – con poche e dunque lodevolissime eccezioni – come uno scontro biblico tra “democrazie” e “autocrazie”. Mettendo decisamente sotto il tappeto sia gli interessi economici, sia le palesi incongruenze di queste definizioni.

Senza alcuna voglia di scherzarci sopra, bisognerebbe ricordare che l’”autocrazia” russa tiene regolarmente elezioni a tutti i livelli (da quelli federali a quelli locali), è presente un largo numero di partiti concorrenti (tra cui anche alcuni partiti comunisti), anche se – certamente – il vincitore da oltre venti anni (Putin, insomma) esercita il suo potere con un notevole autoritarismo. Si voterà l’anno prossimo, per esempio, e non è detto che Putin vinca ancora una volta…

Ma bisognerebbe anche ricordare che la “democratica” Ucraina attuale viene invece da un golpe (Majdan, 2014) che ha rovesciato il governo democraticamente eletto, permesso massacri come quello nel Palazzo dei Sindacati ad Odessa, e messo fuorilegge tutti i partiti di opposizione (dodici!).

Oltre, come tutti sanno – persino Emanuele Parsi (vedi l’incipit di un suo articolo pre-guerra, quando era solo il Donbass sotto le bombe) – a promuovere i nazisti in ogni ambito della vita nazionale (dal governo parsi ucraina 2015all’esercito).

Ma chi lo ricorda ora viene immediatamente indicato come “putiniano”, anche se magari (come noi) ha passato gli ultimi decenni a denunciarne le malefatte, fin da quando – nominato da Eltsin – contribuì alla dissoluzione dell’Unione Sovietica.

Un briciolo di intelligenza, e quindi di riconoscimento/indagine della realtà oggettiva, è invece assolutamente necessario se si vuole almeno provare a capire qualcosa di come sta andando il mondo di questi tempi.

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lafionda

Verso l’economia di guerra

di Alessandro Somma

russia ukraine warLe conseguenze della guerra non sono solo quelle visibili a occhio nudo, quelle denunciate dalle innumerevoli immagini che raccontano la tragica quotidianità di chi sopravvive e muore sotto le bombe. Non sono da meno gli effetti su chi viene apparentemente risparmiato dal conflitto perché vive in Paesi non direttamente coinvolti nei combattimenti. Semplicemente sono meno riconoscibili, sebbene coinvolgano il complessivo modo di stare insieme come società e in ultima analisi i fondamenti di quanto siamo soliti chiamare Occidente.

A mutare profondamente è l’ordine politico: la guerra richiede decisioni rapide e unanimi, a monte processi deliberativi opachi, e questo incide profondamente sulla qualità della democrazia, che vive al contrario di conflitti, di tempi scanditi dai ritmi della partecipazione e soprattutto di trasparenza. E anche l’ordine economico viene travolto: la produzione di armamenti e altri beni funzionali al conflitto deve procedere con modalità per certi aspetti incompatibili con il capitalismo, che tra i propri fondamenti vanta l’avversione verso il dirigismo e la pianificazione, utile invece a concentrare lo sforzo produttivo.

La guerra introduce insomma uno stato di eccezione, a ben vedere incrementando dinamiche che hanno preceduto il conflitto in corso[1]. Questo incide invero su un ordine politico e un ordine economico già pregiudicati dalla pandemia, e ancora prima dalle crisi economico finanziarie che hanno scosso il pianeta a partire dal 2008. Forse la novità dell’attuale stato di eccezione si coglie al meglio considerando una deriva che non era finora emersa con la stessa nettezza con cui si sta mostrando ora: la transizione verso l’economia di guerra, ovvero «un sistema di produzione, mobilitazione e allocazione di risorse finalizzate al sostegno della violenza»[2].

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cumpanis

Relazione introduttiva all’Assemblea di costituzione del Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”

di Alessandro Volponi*

LOGO LOSURDO 1024x320Si svolge questo nostro incontro sullo sfondo di un Paese segnato da una decadenza pluridecennale, nel corso della quale conformismo e opportunismo sono dilagati ben oltre l’orto della politica politicante. Non mancano, però, focolai di rivolta o movimenti monotematici che perseguono obbiettivi sacrosanti, episodi straordinari di protagonismo operaio (GKN) e minuscoli partiti antisistema invisibili e immobili, insomma “non tutto è di plastica, qualcosa ancora freme, frigge” per dirla con Paolo Volponi, ma il panorama è desolante e, apparentemente, senza via d’uscita. Costituire un Centro Studi intitolato a un grande del marxismo, fondato su inequivocabili premesse teoriche, mirato a socializzare conoscenze, a proporre temi di ricerca e a preparare, in definitiva, un programma di alternativa di società, è un progetto ambizioso e impegnativo che va realizzato con umiltà e tenacia.

“Solo da un lavoro comune e solidale di rischiaramento, di persuasione e di educazione reciproca nascerà l’azione concreta di costruzione”, questa asserzione, contenuta in un articolo intitolato “Democrazia operaia” apparso ne L’ordine nuovo del 21 giugno 1919, ci ricorda lo straordinario esordio di un intellettuale collettivo formato da giovani eccezionali studiosi e da addetti alla produzione, l’avanguardia operaia torinese, che insieme progettarono di governare le fabbriche e lo Stato.

Potrà sembrare stravagante, a questo punto della relazione, un panegirico della memoria finché non si consideri che la memoria è un nemico giurato del trasformismo, del malgoverno, della criminalità organizzata, del fascismo e dell’imperialismo ed è chiaro che la Storia e il suo uso pubblico sono un grande, importante, terreno di lotta tra progresso e reazione.

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kamomodena

Appunti contro il destino. Militanti e ribelli nel Novecento

di Franco Milanesi

wenbvcerfgCosa accomuna il rapinatore bolscevico Kamo, l’operaio nero delle Pantere Nere che difende il quartiere, la studentessa negli anni Settanta che occupa la scuola o l’università? Cosa condividono la staffetta partigiana che sfida gli infami repubblichini, la miliziana nordirlandese che prepara i Troubles contro gli inglesi, il conricercatore degli anni Sessanta che inchiesta la fabbrica per sovvertirla?

La militanza: una forma totale di guardare al mondo e agire al suo interno, per ribaltarlo. Punto di vista, parzialità, conflitto, odio per il nemico, fratellanza con i propri compagni. Baricentro tra spontaneità e organizzazione, il militante si colloca lì dove l’azione modifica la teoria e la teoria indirizza l’azione.

Ripercorrendo la storia e le lotte di questa figura chiave del Novecento, cosa rimane del militante oggi? Quali ricchezze e limiti ha espresso? Che tipo di militante potrà raccogliere le sfide ancora aperte?

Sono queste le domande che ci siamo posti e abbiamo condiviso con Franco Milanesi, autore di un vecchio libretto molto interessante poiché inattuale (Militanti. Un’antropologia politica del Novecento, edito nel 2010 da Punto Rosso) e ospite del primo appuntamento di MILITANTI, ciclo di incontri sulla militanza di ieri e di oggi.

Quelli che seguono, in forma di appunti, sono alcuni dei nodi e delle categorie di riflessione teorico-politica toccati da Franco nella discussione, che ha visto anche confliggere punti di vista ed esperienze di militanza differenti, perfino opposti – compresi i nostri, soprattutto per quanto riguarda i potenziali terreni del conflitto e le ambivalenze dei soggetti sociali che la nostra idea, e prassi, di militanza vuole inchiestare, presidiare, scomporre e ricomporre.

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lantidiplomatico

"La vecchia Europa ha perso la sua sovranità"

Thomas Röper intervista Maria Zakharova

Pubblichiamo alcuni, importanti, estratti dall'intervista con Maria Zakharova - condotta da Thomas Röper per il suo sito ANTI-SPIEGEL e per il suo canale YouTube. La traduzione è stata effettuata da Nora Hoppe.

720x410c50mjuyhbeRöper: Grazie per il tempo e l'opportunità di parlare con lei. Vorrei iniziare con la questione del confronto tra Occidente, Russia, Ucraina e così via. I media occidentali molto spesso ritraggono tutto questo come se Putin si svegliasse un giorno di cattivo umore e decidesse di attaccare l'Ucraina. Forse, dal suo punto di vista, come portavoce del ministero degli Esteri e del governo russo, può spiegare al pubblico tedesco, che non ne sa molto, i retroscena di questo conflitto: perché è nato, come si è sviluppata questa situazione.

Zakharova: Se uno vuole solo capire questa parte della nostra storia, il nostro rapporto con l'Occidente, e "perché è iniziata l'operazione militare, come è successo?"… vorrei precisare che dal 2014 c'è stato un continuo spargimento di sangue, per otto anni, nel Donbass – quella regione che faceva parte dell'Ucraina dopo gli anni '90 e ora fa parte delle nuove regioni russe.

Non si trattava qua di morti isolate, sporadiche. Questo è stato un massacro incentrato su civili, cioè gente comune: donne, bambini e persino uomini… che avrebbero dovuto andare al lavoro, a scuola. Sono stati tenuti in ostaggio da questa situazione politica, e per 8 anni sono state uccise tante persone lì.

Lei conoscerà molto bene le statistiche… Non so se la gente in Occidente lo sappia, ma nel corso degli 8 anni, secondo stime diverse, 11.000, 13.000, 15.000 persone sono state uccise da entrambe le parti. Questi erano rappresentanti del regime di Kiev e residenti del Donbass e anche quelli che sono venuti al popolo del Donbass dalla Russia che erano volontari. E a proposito, ci venivano persone non solo dalla Russia.

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machina

Macron e la guerra civile in Francia

di Pierre Dardot, Haud Guéguen, Christian Laval, Pierre Sauvêtre

0e99dc ab2c4bc16f8346aaa1fb079196c6ffe2mv2Nell’articolo che pubblichiamo, i quattro autori ricostruiscono la parabola di Macron all’interno del più ampio contesto di imposizione della «rivoluzione neoliberista» in Francia, di cui il Presidente francese è espressione. La peculiarità del macronismo, ci dicono gli autori, è «quella di radicalizzare la logica neoliberista nel momento sbagliato, in un periodo in cui tutti i segnali sociali, politici ed ecologici sono in rosso, così da non poter che aggravare tutte le crisi latenti o aperte.

A settembre è prevista l’uscita per DeriveApprodi di «Dominare», l’ultimo testo scritto da Dardot e Laval.

Qui è possibile trovare la versione in francese https://diacritik.com/2023/05/01/pierre-dardot-haud-gueguen-christian-laval-et-pierre-sauvetre-macron-et-la-guerre-civile-en-france/ . La traduzione in italiano è a cura di Davide Blotta.

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La recente approvazione forzata della riforma delle pensioni non è avvenuta senza critiche. Di Macron si dice quanto sia egoista, arrogante e tutt'altro che intelligente. Ma dimentichiamo che è l'uomo giusto, la cui funzione storica oggi è quella di portare avanti un progetto che va al di là della sua persona. È infatti necessario uscire dalla piccola analisi «psicologica» per considerare con obiettività una politica che, per quanto brutale e a volte tragicamente irrazionale, ha un significato preciso nella storia delle nostre società. Le caratteristiche personali e persino sociologiche di un individuo contano ovviamente, ma solo per aver fatto di Macron questo «signore della guerra» che ammiriamo o odiamo. L'odio, persino la rabbia, che egli ispira in molti, si spiega con l’astuzia delle motivazioni e gli effetti delle sue azioni politiche. Certamente Macron non è Napoleone, e nemmeno Putin. Questa guerra non mobilita aerei o carri armati, è silenziosa, diffusa, a lungo termine, politica e di polizia, ideologica e di bilancio, parlamentare e fiscale.

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contropiano2

La riproduzione perenne delle guerre

di Salvatore Palidda*

Guerra bella e drammatica 720x300Premessa

Come suggeriscono alcuni autori, tutta la storia dell’umanità è innanzitutto storia di guerre; i periodi di pace sono sempre stati più brevi di quelli delle guerre. La pace nei paesi dominanti è sempre stata pagata con le guerre esternalizzate nei paesi dominati, spesso camuffate come “guerre etniche”, “guerre tribali”, “guerre di religioni”.

Si è sempre avuta una costante riproduzione delle guerre e questo corrisponde alla costante riproduzione del dominio di pochi sulla maggioranza degli umani dominati e vi è sempre stata la disperata sopravvivenza di questi ultimi spesso attraverso resistenze inevitabilmente reiterate e brutalmente represse.

La contro-rivoluzione del capitalismo liberista mondializzato ha accentuato questo fatto politico totale, perché pervasivo innanzitutto per opera dell’intreccio delle lobby dominanti (quella della produzione e commercio degli armamenti anche per le polizie, quella delle nuove tecnologie, quelle delle energie basate sull’estrattivismo -carbone, petrolio, gas ecc.).

Guerre, in quanto “consumo” o smaltimento di armi, sono una delle prima cause del degrado ambientale: uccidono due volte sia sui campi di battaglia sia con l’inquinamento tossico che producono e lasciano nei territori delle operazioni militari.

Le guerre di oggi sono palesemente la scelta di governi che si configurano come una sorta di “fascismo democratico” poiché sono a sprezzo della volontà di pace delle popolazioni, si impongono con la minoranza del voto degli elettori aventi diritto (vedi infra).

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blackblog

Fine della corsa...

di "Temps critiques"

172528621 513e70dd 3321 4e91 b422 b6057463694aContinuità e discontinuità

Come si è detto nei nostri precedenti opuscoli, la lotta contro il decreto pensioni - così come il movimento dei Gilet Gialli, o le lotte contro i cosiddetti «grandi progetti» - rappresenta un imbarazzante ritorno della «questione sociale», e lo fa in un momento in cui i «problemi della società» vengono posti - da parte poteri forti, dai media e da alcuni gruppi di opinione - come se fossero le questioni più urgenti da risolvere. Ma questa riapparizione, oggi sta avvenendo in forme nuove e più varie, e contrariamente a quanto pensano alcuni, queste varie forme di protesta, o movimenti, non costituiscono affatto delle «sequenze» (una parola, che in questo momento sembra essere di moda) in un processo lineare che, da un lato, andrebbe in maniera unilaterale verso un «sempre più»: vale a dire, sempre più sfruttamento e sempre più dominio sugli esseri umani e sulla natura, e verso sempre più repressione (ma anche sempre più «resistenze»); mentre dall'altro andrebbe invece verso un «sempre meno»: sempre meno diritti, sempre meno progresso, sempre meno uguaglianza... A tal punto che – se davvero così fosse - è inevitabile chiedersi cosa mai riesca a far stare in piedi un «sistema» talmente apocalittico. La risposta - per cui si finisce per vedere questa situazione solo come nient'altro che il risultato di un potere che si basa esclusivamente sulla forza delle baionette («lo Stato di polizia») - appare assai povera, politicamente. E di fatto, una simile risposta si riesce a imporre solo se accettiamo il rischio di non tener conto delle situazioni concrete, e di quelle che sono le reali differenze di trattamento da parte delle autorità.

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domenico de simone

Grande è la confusione sotto il cielo: possiamo essere ottimisti?

di Domenico De Simone

confucio11In questi tempi oscuri, la confusione regna sovrana e forse aveva ragione Confucio, che nella confusione vedeva sempre la possibilità per nuove idee di germogliare e crescere rapidamente e nella società umana di progredire verso nuove forme di convivenza. La confusione genera grandi discussioni, scontri, conflitti, contrapposizioni, nelle quali le strutture più solide vengono messe in dubbio e vacillano, e questa è sempre una grande opportunità.

In Occidente da oltre un anno ci raccontano e ci raccontiamo una storia. Il conflitto in Ucraina viene presentato come uno scontro tra la democrazia e l’autocrazia e ci viene detto che è nostro dovere supportare le aspirazioni degli ucraini a far parte del mondo occidentale e ad instaurare una piena democrazia nel loro paese.

E questo supporto si traduce in fornitura di armi e di intelligence contro l’esercito russo che ha invaso l’Ucraina e che, per il solo fatto di averlo invaso, è dipinto come il male assoluto, il nuovo fascismo o peggio il nuovo nazismo, proposto da una dittatura sanguinaria e feroce che ha in animo la restaurazione dell’impero russo e il progetto di dominare su tutta l’Europa, da Vladivostok a Lisbona. Tutti i leader europei ripetono lo stesso racconto che è giusto e legittimo aiutare i resistenti ucraini perché il loro paese è stato invaso dal mostro russo, e che chi invade ha comunque sempre torto e deve essere abbattuto e distrutto. Il Presidente della Repubblica Italiana ripete come un mantra ad ogni occasione che quella russa è stata un’invasione “brutale e non provocata”, contro la quale è giusto difendersi per tutelare i nostri valori democratici.