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tempofertile

Alcune questioni circa la Cina, confronto tra universalismi

di Alessandro Visalli

WhatsApp Image 2025 04 27 at 16.25.02.jpegIn vista di un dibattito sulla Cina, organizzato dalla redazione de L'Interferenza per il 17 maggio, al quale parteciperò, pubblico la prima parte di tre di una riflessione sull'universalismo cinese nelle sue differenze con l'universalismo occidentale e nel quadro del progetto strategico della "Comunità umana dal futuro condiviso". Lo sforzo è duplice: da una parte contrapporre al suprematismo occidentale di marca americana un progetto di contropotere fondato sul reciproco riconoscimento concretizzato intorno al Brics; dall'altra fare da barriera selettiva alla modernità occidentale che rischia di corrodere dall'interno la Cina tanto più quanto più procede sulla via di una "moderato benessere" (Xiao Kang). Il tentativo è di governare sul piano strategico la modernizzazione del paese, ormai alla frontiera su molti livelli, senza con ciò dissolvere l’identità collettiva o cadere in una subordinazione epistemica con l’Occidente.

Quella di Xi Jinping è dunque una modernizzazione selettiva e centrata, che mira a produrre una soggettività collettiva “armoniosa”, in cui convivano un’identità culturale riconoscibile, un’economia aperta e una capacità di intervenire nel discorso globale da una posizione non subalterna. Un compito di enorme difficoltà e importanza.

Al contempo una prospettiva altamente delicata e critica, schematizzabile nella sintonia/opposizione tra dialettica e conflitto, da una parte, e armonia nel tianxia, dall'altra.

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Il matrimonio di interessi tra Stati Uniti e Cina è saltato

di Giacomo Gabellini

Dalla Chimerica alla competizione globale: si rompe l’asse economico che ha segnato un’epoca

nixon mao meeting stampL’idillio è finito. Per decenni Washington e Pechino avevano condiviso un rapporto di interdipendenza economica senza precedenti, fondato sulla delocalizzazione produttiva e sul finanziamento del debito americano. Ma l’era del matrimonio di interessi volge al termine. Le recenti dichiarazioni di J.D. Vance, le tensioni commerciali e l’ascesa tecnologico-industriale della Cina raccontano la fine di un equilibrio che ha dominato la globalizzazione post Guerra fredda. Ecco la prima puntata di una serie di approfondimenti di Krisis dedicati all’ascesa e al declino della Chimerica.

 

Parte I – Ascesa e declino di Chimerica

«Prendiamo in prestito denaro dai contadini cinesi per comprare i beni che quegli stessi contadini cinesi producono». Con questa sintesi, il vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance ha spiegato le conseguenze, per gli Stati Uniti, della cosiddetta economia globalista. Lo scorso 10 aprile, nel corso di un’intervista rilasciata a Fox News, Vance ha difeso strenuamente la decisione del presidente Donald Trump di imporre dazi (quasi) a 360 gradi, e sferrato un attacco frontale all’assetto liberoscambista in vigore ormai da diversi decenni. Vance ha spiegato che la globalizzazione si è tradotta nel «contrarre un debito enorme per acquistare beni che altri Paesi producono per noi».

La reazione cinese è giunta pressoché istantaneamente. Il portavoce del Ministero degli Esteri Lin Jian ha dichiarato che «è allo stesso tempo sconcertante e deplorevole sentire questo vicepresidente fare commenti così ignoranti e irrispettosi». Hu Xijin, ex caporedattore del quotidiano Global Times, ha invece alluso alle origini che Vance, un hillbilly (contadino montanaro, ndr) ha sempre rivendicato per affermare che «questo vero “contadino” venuto dall’America rurale sembra mancare di prospettiva. Molte persone lo stanno esortando a venire a visitare la Cina di persona».

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sollevazione2

Il vero piano di Trump

di Maurizio Novelli*

PHOTO 2025 04 11 09 38 17.jpg“Gli Stati Uniti hanno introdotto una forma di controllo della curva dei rendimenti e da questo momento i tassi sui Treasuries decennali sono di fatto “amministrati”. Il ministro del Tesoro Bessent ha dichiarato apertamente che i tassi a breve sono un problema della Fed ma quelli a lunga sono un problema che riguarda il Tesoro degli Stati Uniti. Da questo momento è stato quindi introdotto un cap sui tassi a 10 anni e l’America si appresta a utilizzare l’Exchange Stabilisation Fund, che è un fondo speciale d’intervento gestito dal ministero del Tesoro, per controllare il livello dei tassi a lungo termine.

Ulteriori provvedimenti, totalmente taciuti dalla ricerca di mainstream, sono stati mirati a svuotare la Fed di ogni competenza sulla vigilanza bancaria, che ora compete anche questa al ministero del Tesoro. Il sottosegretario al Tesoro Kevin Hasset è ora il “capo” di Powell per tutto quello che compete alla vigilanza bancaria e il ruolo delle Fed in tale campo è ormai totalmente ridimensionato.

Alla luce di tali provvedimenti, le principali banche americane hanno quindi rigettato la richiesta della Fed sul dettaglio delle esposizioni di oltre 1,5 trilioni di dollari di crediti erogati a Private Equity e Private Credit. Nel recente rapporto sul sistema bancario americano fornito da BankRegData, il principale punto di riferimento per l’analisi del settore bancario Usa, si evince che l’attività di erogazione del credito è in contrazione in tutti i principali settori dell’economia (Real Estate, Commercial Real Estate, Consumers, Commercial & Industrial), ma è in netta espansione (+28% Q/Q) nel settore dello Shadow Banking System (Private Equity e Private Credit).

Com’è possibile? Molto semplice: dato che le banche sono infarcite di crediti inesigibili, stanno mettendo fuori bilancio tali crediti allo Shadow Banking System, finanziando poi la detenzione di tali posizioni.

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Allarme dell’intelligence Usa: la Russia sta vincendo in Ucraina

di Giacomo Gabellini

Il rapporto 2025 dei servizi segreti statunitensi avverte che l'alleanza anti-Occidente si consolida. Ma l’Iran (per ora) rinuncia all'atomica

edvard khopper 1950 cape cod morningL’Annual Threat Assessment, redatto dall’ufficio diretto da Tulsi Gabbard, dipinge un mondo ad alta tensione. Russia, Cina, Iran e Corea del Nord si saldano in un’alleanza sempre più solida contro l’Occidente. Pechino resta la minaccia maggiore, con ambizioni militari, tecnologiche e globali. Mosca, nonostante le sanzioni, ha ribaltato le sorti della guerra in Ucraina e condivide il know-how militare con gli alleati. L’Iran rallenta (per ora) sul nucleare, ma investe su droni e missili. Pyongyang riduce la dipendenza da Pechino grazie al sostegno di Mosca. Mentre l’asse si consolida, Washington rischia di essere trascinata in una spirale di conflitti.

* * * *

«Un insieme eterogeneo di attori stranieri sta prendendo di mira la salute e la sicurezza degli Stati Uniti, le infrastrutture critiche, le industrie, la ricchezza e il governo». Con queste parole allarmanti esordisce l’Annual Threat Assessment, la valutazione annuale statunitense delle minacce nazionali per l’anno 2025 pubblicata a marzo. Redatto dall’Office of the Director of National Intelligence, diretto da Tulsi Gabbard, individua e valuta l’entità delle minacce ai cittadini, allo Stato e ai suoi interessi economici e di sicurezza. Il rapporto, realizzato con la collaborazione dell’intera comunità d’intelligence statunitense, sottolinea che «gli avversari statali e i movimenti non governativi a essi riconducibili stanno cercando di indebolire e sostituire il potere economico e militare degli Stati Uniti in tutto il mondo».

Per quanto concerne alle organizzazioni non statali, l’attenzione si concentra sui cartelli della droga messicani, colombiani e centroamericani, oltre che sui gruppi dell’integralismo islamico, sui pirati informatici e sugli organismi di intelligence para-statali.

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volerelaluna

L’economia di guerra non salverà il capitalismo europeo

di Riccardo Barbero

timothy dykes dEXFa9qJeRM unsplash 290x220.jpgPoco tempo fa Mario Draghi, rivolgendosi ai commissari dell’UE, ha lanciato un grido d’allarme – fate qualcosa! (https://volerelaluna.it/commenti/2025/02/28/draghi-noi-e-langoscia-quotidiana-che-ci-pervade/) – di fronte alle prospettive inquietanti dell’economia europea.

Il rapporto sulla competitività, che era stato redatto sotto il suo coordinamento, indicava tre prospettive di rilancio: provare a colmare il divario nella ricerca tecnologica nei confronti di USA e Cina, in particolare rispetto all’intelligenza artificiale; costruire un piano congiunto per la decarbonizzazione, da un lato, e la crescita della competitività, dall’altro, in modo che uno sviluppo troppo rapido e rigido della prima non andasse a impattare negativamente sulla seconda; e, infine, finanziare un imponente riarmo, definito diplomaticamente difesa, per attivare una forte domanda pubblica. La debolezza delle proposte era tutta nel fatto che i capitali privati europei da molti anni non vengono investiti nell’industria del continente, ma migrano, nella misura di 500 miliardi di euro nel solo 2024, oltre Atlantico nel paradiso valutario, finanziario e fiscale del dollaro.

La Commissione europea, stimolata a fare qualcosa purchessia, ha agito sull’unica leva che può in qualche misura controllare: togliere i vincoli sul debito pubblico – quelli fissati dal trattato di Maastricht – per permettere una forte spesa in campo militare ai diversi stati che formano l’Unione (150 miliardi di euro che possono essere attinti dai fondi comuni e altri 650 miliardi di possibile debito pubblico nazionale). Ora sorprendentemente tutti scoprono che le nazioni europee si muovono in ordine sparso per potenziare i loro eserciti senza costruire una improbabile difesa comune: in primo luogo la Germania ha ottenuto con un artificio istituzionale di far approvare dal Parlamento della scorsa legislatura, ormai sostanzialmente decaduto, una modifica costituzionale che ha rimosso il vincolo del debito pubblico e permetterà un gigantesco piano di riarmo (circa 400 miliardi di euro) e un forte investimento nelle infrastrutture (altri 500 miliardi di euro).

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seminaredomande

L’Armata Brancaleone europea dopo la mascherina indossa l’elmetto per salvare la finanza con i nostri risparmi

di Francesco Cappello

photo 2025 03 12 19 10 16 1 720x641.jpgQualunque cosa si faccia per abbassare la spesa pubblica è ben fatta eccetto che per alcune spese molto selezionate come quelle per la difesa militare di cui abbiamo reale necessità” M.F.

Questa affermazione è di Milton Friedman, definito “l’eroe della libertà” consigliere delle politiche economiche dello stato minimo del dittatore Pinochet ed evidentemente ispiratrice delle politiche della Ue.

La loro reale emergenza è, come vedremo, la minaccia di crollo del sistema finanziario speculativo occidentale. Per rinviare il collasso hanno bisogno di disinnescarlo dando in pasto al mostro finanziario bolle su bolle. A questo fine viene dirottato il risparmio dei piccoli privati, per alimentare l’ennesima bolla finanziaria, quella degli armamenti, costruendo titoli ad hoc in grado di attrarre gli investimenti dei piccoli privati a favore dei grandi privati della finanza di guerra.

Rearm Europe è un piano di 800 miliardi che dovrebbe servire per la difesa comune europea già passato a larga maggioranza nel Parlamento italiano. Se si considera che nel 2024 l’Unione Europea ha destinato complessivamente 400 miliardi di dollari al settore della Difesa (senza contare il trilione di dollari statunitensi in spesa militare) e che, nello stesso periodo, la Russia ha speso poco più di 140 miliardi di dollari per la difesa si comprende come Rearm Europe abbia tutt’altri fini rispetto a quelli dichiarati.

Dal punto di vista narrativo, per imporre il riarmo ai paesi dell’Unione si utilizza il tradimento di Trump e il fantomatico pericolo dell’imminente invasione russa. Si ricorre poi all’art.122 del Trattato europeo che prevede misure per affrontare situazioni di emergenza economica e calamità naturali bypassando il Parlamento [5].

 

Armarsi a debito

La Commissione Europea fornirà una garanzia solo su 150 miliardi di questo totale (debito comune europeo 150 miliardi di euro). I restanti 650 miliardi di euro dovranno essere raccolti dai singoli stati.

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poliscritture

Trump e la struttura del potere

di Paolo Di Marco

Nat Cohn, Generoso Pope, Frank Costello, Bonanno, Gambino…una infanzia interessante

DI MARCO TRUMP POTEREPremessa

C’è un vecchio film di Rossellini ‘La presa del potere di Luigi XIV’ che è assai istruttivo: ci mostra come la corte di Versailles, lo sfarzo e i suoi eccessi, tutte le manfrine di balli e intrighi non fossero semplici decadenza e corruzione ma strumenti di un disegno preciso: costringere i veri detentori del potere, i nobili e proprietari terrieri, che generavano e controllavano ricchezze e soldati, a venire a corte per ottenere i ‘favori’ del re e nel contempo dissanguarsi a suo favore, travasandogli ricchezze e creando una reale centralità di potere.

Anche nel caso di Trump non conviene fermarsi alle apparenze buffonesche del personaggio. La presa del potere di Donald II è altrettanto abile e decisa.

1- le elezioni

Anche se il margine di vantaggio di Trump nel voto popolare è stato relativamente piccolo (come si consolano gli opinionisti dem) di fatto è la continuazione di una tendenza in atto da tempo (come avevano avvertito i sondaggisti più attenti) che ha portato i Maga-repubblicani a conquistare percentuali sempre maggiori degli immigrati latini di seconda generazione e anche ad aumentare la quota di neri e asiatici; che hanno votato anche in modo apparentemente paradossale per il blocco delle nuove immigrazioni.

La ragione è semplice: queste nuove generazioni hanno tutte un interesse principale, ed è il denaro; sono diventati americani completi, dove tutte le complessità culturali e di sangue vanno in secondo piano rispetto alla motivazione dominante: avere successo/soldi.

Ed è questo grande corpo con un solo parametro di controllo, quindi facilmente influenzabile e controllabile, che ha portato Trump alla vittoria, e ce lo lascerà a lungo.

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lantidiplomatico

"Eurogermania" scassata ma armata: così la Bundeswehr ritorna Wehrmacht

di Fulvio Grimaldi

omvpòmoxSe ne sono dette di tutte sulle elezioni tedesche. Perlopiù a partire da un presupposto dato come marmoreo e perenne. Qui si prova a uscire un po’ dal coro e non me ne abbia a male il lettore.

Sarà perché ho un antenato francese, il Capitano Pierre François De Gerbaulet che, scampato alla Notte di San Bartolomeo e alla strage degli ugonotti ordinata da Carlo IX, si rifugia in Germania, Vestfalia, e i suoi discendenti vi rimangono fino ai giorni nostri. Sarà perché ho passato la parte più cruda della guerra in Germania, da ragazzino quasi adolescente, e vi ho anche sparato contro gli angloamericani. Peraltro senza prenderci. E non mi è venuto neanche difficile, dopo aver visto a Germania ormai rasa al suolo, a Francoforte, Colonia, Coblenza, svuotare i palazzi dei loro abitanti a forza del fosforo di Churchill e Roosevelt. O dopo aver raccolto un mio compagno di classe, sfollato dalla Ruhr incenerita, sventrato dalle mitragliatrici degli Spitfire.

Sarà perché a Monaco e a Colonia, con Thomas Mann, ho studiato Germanistica… Ma, pur guardando il mondo, e agendovi, da sinistra estrema, non concordo con quasi nessuno degli analisti che della Germania si dicono esperti (escluso Vladimiro Giacché). Tanto meno ora, viste le valutazioni che si vanno facendo delle recenti elezioni.

Sarà anche perché sono pochi i nostri storici e analisti che concentrano le loro attenzioni sulla Germania. Preferiscono Francia, Gran Bretagna, Spagna, Giappone. Forse perché non abbiamo ancora metabolizzato del tutto il risentimento covato per come ci avevano ridotto i barbari. E poi gli imperatori del Sacro Romano Impero.

Al pur ottimo liceo che ho frequentato, ci parlavano di Montaigne, Hugo, Voltaire, un po’ di Fitzgerald, un accenno a Joyce. Mai una parola su Hoelderlin, Heine, Kleist. Un fugace accenno a Goethe e al suo Faust. E pensare che i germanofoni, più ancora degli inglesi, hanno rivolto a noi la loro massima passione per l’esplorazione storica: Theodor Mommsen su Roma e il suo diritto, Jacob Burckhardt e il Rinascimento, Ferdinand Gregorovius e il nostro Medioevo, lo stesso Goethe…

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lantidiplomatico

Sovrastare il sovrastato

di Carla Filosa

nvoaeuuutdreL’ingiustizia oggi cammina con passo sicuro. Gli oppressori si fondano su diecimila anni. La violenza garantisce: com’è resterà. Nessuna voce risuona tranne la voce di chi comanda. E sui mercati lo sfruttamento dice alto: solo ora io comincio. Ma fra gli oppressi molti dicono ora. Quel che vogliamo non verrà mai. Chi è ancora vivo non dica: mai. Quel che è sicuro non è sicuro. Com’è così non resterà. Quando chi comanda avrà parlato Parleranno i comandati. Chi osa dire: mai? A chi si deve se dura l’oppressione? A noi. A chi si deve, se sarà spezzata?Sempre a noi. Chi viene abbattuto, si alzi! Chi è perduto, combatta! Chi ha conosciuto la sua condizione, come lo si potrà fermare? Perché i vinti di oggi sono i vincitori di domani E il mai diventa: oggi!

Bertolt Brecht, “Lode della dialettica”.

Non spaventi subito il ricorso, qui sotto proposto, a un recupero storico di ciò che sta accadendo in questo presente e che forse riguarderà anche un prossimo futuro. L’obiettivo è solo quello di collocare, senza l’emotività e lo sconcerto che caratterizza l’attualità (il video farlocco “Trump Gaza”, per esempio), una comprensione che sappia diluire le apparenti “novità” nel percorso lento e continuo che invece ha preordinato, in questa fase più favorevole, il consolidarsi di vecchi rapporti di forza trasferitisi soprattutto in moderne tecnologie. L’esteriore “tirannide” trumpiana può essere sciolta da un connotato politico preoccupante, quando, al contrario, se ne veda una sorta di mimetismo per il solito ricorso al protezionismo, alternato sempre alla libera circolazione poi di merci e capitali. Inoltre, la brutalità degli insulti alle persone da parte del presidente Usa, è solo espressione del rapporto di capitale che implica la rozzezza dell’arbitrio del potere, mai mancato, intento a svuotare di contenuto strutturale ogni relazione estrinseca, “differente” o “oppositoria”. Le offensive bordate di pochi giorni fa all’indirizzo di Zelensky, ad esempio, possono essere lette non solo come il passo più breve per conquistare appetibili terre rare, ma anche con la sapienza cinese che avverte che “se non si è al tavolo si è nel menu”.

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sinistra

Il MAGA di Trump e la deregulation

di Michael Roberts

A cura di Antonio Pagliarone

npsedodiebvnivTrump considera gli Stati Uniti solo come una grande corporation capitalista di cui è amministratore delegato. Proprio come quando era il capo nello show televisivo The Apprentice, pensa di gestire un'azienda e quindi può assumere e licenziare persone a suo piacimento. Ha un consiglio di amministrazione che consiglia e/o esegue i suoi ordini (gli oligarchi americani e gli ex presentatori televisivi). Ma le istituzioni dello stato sono un ostacolo. Quindi il Congresso, i tribunali, i governi statali ecc. devono essere ignorati e/o gli si deve dire di eseguire le istruzioni dell'amministratore delegato. Come un buon (sic) capitalista, Trump vuole liberare la plc statunitense da qualsiasi vincolo nel realizzare profitti. Per Trump, la corporation e i suoi azionisti, hanno come unico obiettivo i profitti, non le esigenze della società in generale, né salari più alti per i dipendenti della corporation di Trump. Ciò significa niente più spese inutili per mitigare il riscaldamento globale ed evitare danni all'ambiente. La corporation statunitense dovrebbe semplicemente realizzare più profitti e non preoccuparsi di tali "esternalità". Come l'agente immobiliare che è, Trump pensa che il modo per aumentare i profitti della sua azienda sia fare accordi per acquisire altre aziende o fare accordi su prezzi e costi per garantire i massimi profitti per la sua azienda. Come ogni grande azienda, Trump non vuole che nessun concorrente guadagni quote di mercato a sue spese. Quindi vuole aumentare i costi per le corporate nazionali rivali, come Europa, Canada e Cina. Lo sta facendo aumentando le tariffe sulle loro esportazioni. Sta anche cercando di convincere altre corporate meno potenti a concordare termini per acquisire più beni e servizi delle imprese statunitensi (aziende sanitarie, cibo OGM ecc.) negli accordi commerciali (ad esempio il Regno Unito). E mira ad aumentare gli investimenti delle imprese statunitensi in settori redditizi come la produzione di combustibili fossili (Alaska, fratturazione idraulica, trivellazione), tecnologia proprietaria (Nvidia, AI) e, soprattutto, nel settore immobiliare (Groenlandia, Panama, Canada Gaza).

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analisidifesa

Ucraina: con gli USA o con la Ue? Il dilemma dopo la rissa alla Casa Bianca

di Gianandrea Gaiani

1439637.jpgIl tragicomico epilogo della visita alla Casa Bianca del presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha riaperto il dibattito in Europa e in Italia circa il posizionamento del governo italiano nel contesto del conflitto in Ucraina.

Da un lato gli USA di Donald Trump intenzionati a concludere il conflitto, ormai perduto sul campo dagli ucraini, per riprendere strette relazioni economiche e politiche con la Russia necessarie a gestire con successo altri scenari di crisi falla Cina all’Iran alla Crea del Nord, come abbiamo illustrato in un editoriale precedente.

Dall’altro un’Europa decisamente schierata a favore di una “pace giusta” in cui l’Ucraina non perda territori che vuol dire in concreto una guerra a oltranza che nessuno in Europa è disposto a combattere, che nessuna forza armata in Europa sarebbe in grado di sostenere, che nessuna nazione europea è in grado di sostenere con adeguate forniture militari all’Ucraina e che vede l’opinione pubblica in tutta Europa nettamente contraria.

A queste valutazioni aggiungiamo che sono ben poche le nazioni europee disposte a schierare proprie truppe i Ucraina (ipotesi su cui Mosca ha già posto il suo veto) senza il supporto di un’America determinata a sganciarsi da questo conflitto e dal confronto militare con Mosca.

 

La rissa

In questo contesto di alta tensione il dibattito nello Studio Ovale, cominciato in modo garbato e diplomatico ma poi degenerato, ha acceso le polveri, almeno a parole, anche in Europa.

“Abbiamo capito molte cose che non avremmo mai potuto capire senza una conversazione così tesa: ho stabilito che il presidente Zelensky non è pronto alla pace con il coinvolgimento statunitense”, ha scritto Trump su Truth Social, aggiungendo che Zelensky ha mancato di rispetto agli Usa e che “può tornare qui una volta che sarà pronto alla pace”.

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fuoricollana

C’era una volta in Germania

di Antonio Cantaro

9788822053367 0 500 0 0.jpgSollecitata dal sudafricano Elon Musk a fornire risposte emotive e avventate e dalla velenosa provocazione britannica sul “malato d’Europa”, la Germania ha reagito con un’altissima partecipazione al voto (84%) e una indicazione di stabilità. Ma il neomercantilismo tedesco è comunque finito. A volte un sigaro è solo un sigaro, ma qualche volta è qualcos’altro, ha detto un giorno Sigmund Freud. A volte un risultato elettorale è solo un risultato elettorale, ma il voto tedesco di domenica 23 febbraio, svoltosi esattamente a distanza di tre anni dall’inizio della “operazione militare speciale” di Vladimir Putin, è molto di più. È qualcos’altro. Ed è di questo qualcos’altro che si occupano, da diversi punti di osservazione, i diversi e ricchi contributi di questo numero di fuoricollana. Della caduta di un modello politico, economico, sociale, costituzionale. Fine ancora più esemplare in quanto coincide (ma non si tratta di mera coincidenza) con il definitivo esaurimento fine dei due ordini – l’ordine del New deal e l’ordine neoliberale – che hanno retto nell’ultimo secolo gli Usa e grande parte del mondo occidentale. Il nuovo ordine sta nascendo sulle ceneri dei due precedenti ed è per questa ragione che non troviamo ancora la parola giusta per definirlo, se non quella approssimativa di “ordine del caos”. Un ordine del caos – la cui icona è Trump – che ci parla di una epocale crisi della funzione progressiva storicamente svolta dal capitalismo neoliberale.  Quel mondo è finito, ma senza mettere a tema virtù e i vizi di quel vecchio mondo capiremo poco di quanto sta accadendo nel nuovo. Per questo ci riguarda non solo quanto è avvenuto con le ultime elezioni americane e subito dopo, ma ci riguarda anche quanto accade (e quanto non accade) nel Vecchio mondo europeo e, soprattutto, in Germania. In primo luogo, perché la Germania, ancora la prima potenza economica e demografica dell’Ue, è una dei principali bersagli della guerra commerciale e tecnologica tra Cina e Usa. Bye Bye Germany. In secondo luogo, perché il ruolo della Germania, da sempre decisivo per il processo di integrazione sovranazionale, era stato sino a pochi anni fa rafforzato dall’allargamento. Es war einmal in Deutschland. In terzo luogo, perché parlare della Germania significa parlare – per evidenti ragioni storiche, politiche, economiche – anche dell’Italia. C’era una volta in Germania.

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lantidiplomatico

Come il comunismo sta surclassando il capitalismo

di Indrajit Samarajiva*

vjcpoingbpxNon è ironico? Non credete? Un centinaio di aziende di veicoli elettrici sono fiorite sotto il comunismo, mentre il capitalismo sovvenziona uno spaccone che produce quattro veicoli e un fermacarte. Una start up ha addestrato un'intelligenza artificiale per 5,5 milioni di dollari sotto il comunismo, mentre l'intelligenza artificiale del capitalismo richiede 500 miliardi di dollari di aiuti governativi. Tutto ciò che i capitalisti vi hanno detto sul capitalismo erano solo stronzate per vendervi altro capitalismo. Il comunismo è in realtà molto più innovativo del capitalismo. Fanno di più con meno, e per scopi migliori.

 

Lunga e forse inutile digressione storica

La grande potenza tecnica del comunismo era in realtà nota fin dall'inizio. Russia e Cina si sono industrializzate nel giro di una generazione. Nessuna nazione si è mai sviluppata più velocemente o in misura maggiore, un miracolo economico che la maggior parte degli economisti occidentali ha ignorato, perché il comunismo è un male, STFU [zitto, stronzo!]. La capacità produttiva del comunismo è stata screditata perché l'intera faccenda sembrava crollare con la fine dell'Unione Sovietica, ma non era tutto. Come ha detto Xi Jinping nel 2018:

Lo sviluppo storico non è mai rettilineo, ma pieno di colpi di scena. Alla fine degli anni '80 e all'inizio degli anni '90, il crollo dell'Unione Sovietica, la caduta del Partito Comunista dell'Unione Sovietica e i drammatici cambiamenti nell'Europa dell'Est non solo hanno portato alla scomparsa dei primi Paesi socialisti e dei Paesi socialisti dell'Europa dell'Est, ma hanno anche avuto un grave impatto sul gran numero di Paesi in via di sviluppo che aspiravano al socialismo, e molti di loro sono stati costretti a prendere la strada di copiare il sistema occidentale.

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lantidiplomatico

Perché riarmo?

di Carla Filosa

jfociaebhfyIn questi ultimi tempi siamo entrati nell’ottica di un necessario riarmo europeo, introdotti qualche settimana fa dal “Meno Europa più libertà” di Matteo Salvini al raduno dei “patrioti” alla periferia di Madrid. Sono gli stati dunque a legittimare l’Europa, (quale Europa per altro?) e non quest’Europa indeterminata, o meglio invocata dall’estrema destra, a legittimare gli stati, peraltro profondamente ineguali che la compongono?

L’attualità sembra richiedere lo smantellamento delle istituzioni sovranazionali, se si tifa per l’Occidente, e quindi ci si predispone “liberamente” a un procedere in ordine sparso verso accordi bilaterali, che l’imperialismo del dollaro sta richiedendo con un comando sempre più legato alla persuasione delle armi. Per l’Europa in questione non c’è problema, dato il suo stato ectoplasmatico buono solo a garantire l’uso di superiore e indiscutibile richiesta di leggi essenzialmente atte all’erosione del salario sociale di classe, nella cosiddetta sovranità appartenente al popolo. L’Europa riunita in questa settimana invece a Parigi, e non a Bruxelles, deve decidere se diventare maggiorenne dal tutorato Usa ed entrare nell’ottica bellicista alla pari con i massimi imperialismi mondiali, o relegarsi definitivamente nella subalternità non solo difensiva, ma soprattutto nell’ulteriore sviluppo produttivo in un asfittico mercato mondiale, in cui l’esportazione di capitali dev’essere pilotata dalla politica dell’alleato sovrastante.

Le recenti dimissioni dall’OMS, invece, e dagli ultimi accordi di Parigi sul cambiamento climatico da parte Usa, l’attacco ai giudici italiani promosso da Musk, seguito da quello del governo italiano alla Corte penale internazionale comunitaria hanno già trascinato il nostro stato – da tempo colonia statunitense – nell’obbedienza all’indebolimento di un’Europa mai nata politicamente, ma da usare in modo surrettizio nelle forme servili di capitali da fondere o acquisire da parte dei monopoli più forti.

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giubberosse

Il Nord Stream e il fallimento dell'amministrazione Biden

di Seymour Hersh

9079f806 32d3 450b 9f5d 5ecf9da6ad59 3000x2001 2048x1366.jpg“Un presidente addormentato al volante ha portato disastri al mondo e Trump è tornato alla Casa Bianca, questa volta con Elon Musk”, scrive Seymour Hersh. A distanza di due anni dal primo esplosivo articolo sul sabotaggio dei gasdotti Nord Stream, che per la prima volta chiamò in causa gli Stati Uniti citando informazioni di intelligence, Hersh torna sulla vicenda confermando nella sostanza la sua teoria iniziale e aggiungendo alcuni dettagli: l’operazione, pianificata dagli USA ancor prima dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022 anche se realizzata sette mesi dopo, fu resa possibile dalla decisiva collaborazione della Norvegia: le mine furono innescate da “un aereo della Marina norvegese che volava a poche centinaia di metri sopra le onde. L’aereo sganciò il sonar a bassa frequenza e la connessione funzionò”.

Siamo ormai a tre settimane dall’inizio della seconda presidenza di Donald Trump, che ha praticamente consegnato il Dipartimento del Tesoro e più di una dozzina di altri dipartimenti e agenzie del Gabinetto a Elon Musk e al suo team di giovani avvoltoi digitali. Sono in procinto di calpestare la Costituzione mentre raccolgono dati economici e intelligence su tutto ciò che vedono, presumibilmente inclusi i dettagli sui vasti rapporti commerciali di Musk con Washington dall’interno del governo. Trump, che ha settantotto anni, ha persino parlato della sua ricerca di un terzo mandato. Eppure, molti in America e persino al Congresso plaudono il caos.

La chiave del successo di Trump, come tutti sappiamo, è stata la vera e propria scomparsa di Joe Biden, i le cui défaillances fisiche e mentali sono state tenute nascoste al pubblico americano per (a quanto ne so oggi) due anni prima del suo disastroso dibattito con Trump lo scorso giugno.