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Nichilismo fase suprema del servilismo

di Fulvio Bellini

1024px dean franklin 06.04.03 mount rushmore monument by sa.jpgPremessa: non esistono presidenti americani buoni

In questo articolo non faremo un’analisi delle elezioni americane vinte da Donald Trump simile a quelle che vengono pubblicate copiosamente in questi giorni, ne faremo una da un particolare punto di vista, quello di eminenti esponenti della sinistra neoliberale italiana. Nonostante pronostici e sondaggi, per chi ancora non ha compreso che sono solo strumenti di propaganda e che tutto fanno tranne rilevare le reali tendenze di voto, Trump ha letteralmente trionfato su Kamala Harris, che invece veniva data in leggero vantaggio fino alla vigilia delle elezioni. In questo articolo non si prenderanno le parti di Donald Trump il quale, semplificando eccessivamente perché il comportamento dei tre poli elitari americani, bostoniani, texani e californiani, non è tema di questo scritto, è un oligarca destrorso che rappresenta se stesso, la sua cerchia e altri oligarchi ancor più potenti di lui, e ogni riferimento a Elon Musk è puramente voluto. Tantomeno si piangerà la sonora e meritata sconfitta di Kamala Harris, un burattino di poca qualità politica che sarebbe stata nelle mani di altri oligarchi che abitano Wall Street, il New England e i prestigiosi quartieri ebraici di New York. Abusando delle categorie morali “buoni” e “cattivi” che tanto piacciono ai propagandisti occidentali, con le loro doppie misure, e con la larghezza colla quale affibbiano aggettivi di fascista e nazista oppure democratico e liberale a vanvera e in evidente contrasto colla realtà, dobbiamo solo ricordarci che dal 1789, nomina di George Washington, non sono mai stati eletti presidenti americani “buoni”. Utile alla nostra analisi possono essere alcune osservazioni sulla tornata presidenziale americana. Donald Trump ha il merito di aver semplificato e chiarito cosa siano gli Stati Uniti oggi: una palese plutocrazia, dove un gruppo di oligarchi ben più potenti e privi di scrupoli dei famigerati colleghi russi, pagano milioni di dollari per mettere un loro rappresentante alla Casa Bianca. A differenza dell’Europa, dove la condizione di province imperiali impedisce di avere alternative politiche a neoliberismo e atlantismo, da qui il fenomeno del Partito unico evidente in molti Paesi della Ue, nella metropoli imperiale vi sono reali strategie diverse e poderosi scontri d’interessi.

Va notato che la Costituzione americana è ancora più vecchia di quelle “ottriate” concesse da vari ex sovrani assoluti come Luigi XVIII, Carlo Alberto e Francesco Giuseppe. Questa Carta concede al presidente americano poteri da monarca quasi assoluto, più simile ai sovrani del XVIII secolo che ai presidenti del XXI; i poteri dell’inquilino della Casa Bianca sono enormi: egli è capo monocratico di un esecutivo dove non esistono ministri, ma segretari e sottosegretari di Stato; egli è, inoltre, comandante in capo dell’esercito più grande del mondo; nomina i componenti della Corte suprema, influenzando indirettamente l’interpretazione della Carta fondamentale. Il suo contrappeso costituzionale è il parlamento, ma anche il famigerato Kaiser Guglielmo II, raffigurato come un autocrate militarista, ha dovuto avere a che fare con cancellieri del calibro di Otto von Bismarck e parlamenti all’interno dei quali primeggiava l’originale Partito socialdemocratico di Germania, il cui programma di Gotha fu criticato nientemeno che da Karl Marx in persona; contrappesi ben più seri di quelli che hanno operato nei confronti dei presidenti Usa. Ecco perché per gli oligarchi e per le élite americane la possibilità di controllare il presidente vale le folli cifre spese per farli eleggere, per queste elezioni si sono calcolati 14 miliardi di dollari1. L’eletto può essere un oligarca in prima persona, che non riceve ordini ma che è in grado di confrontarsi in modo eguale con i suoi pari: questo è il significato politico di Maga (Make America Great Again) e il ruolo che “The Donald” intende esercitare una volta seduto nella stanza ovale. Oppure, può essere eletto un terminale esecutivo che, tuttalpiù, si rivela più o meno accondiscendente alle direttive, ma che alla fine si piega a esse: lo è stato Joe Biden prima, lo sarebbe stata Kamala Harris poi.

I partiti repubblicano e democratico hanno dimostrato di avere un’importanza del tutto marginale: il primo si è sostanzialmente dissolto nel progetto Maga, costretto ad abbandonare la sua tradizione “conservatrice” per approdare ai lidi tempestosi del populismo sopra le righe del tycoon newyorkese; il secondo ha definitivamente negato le sue radici, diventando espressione delle élite finanziarie, speculatrici, guerrafondaie, sioniste che abbiamo visto all’opera durante il mandato di Joe Biden. Il Partito democratico si è talmente trasformato nel suo contrario da ricevere da un lato l’apprezzamento e l’appoggio niente meno di neocon del calibro di Dick Cheney, John McCain e Mitt Romney, e dall’altro indurre leader democratici come Robert Kennedy e Tulsi Gabbard ad appoggiare Trump. Sullo sfondo di questa lotta di potere si possono intravedere gli americani sull’orlo di una crisi, per ora, solo di nervi. Fermiamoci qui perché non faremo un’analisi delle votazioni americane; anzi, le faremo attraverso gli occhi degli esponenti della sinistra “alla moda” (Sahra Wagenknecht copyright) italiani, ovvero gli esponenti della sinistra neoliberale, nella speranza di ricordare a tutti noi che i neofascisti meloniani sono solo esecutori di rango basso, sono alla base della catena alimentare del potere, sono coloro che impugnano il manganello, che fanno la faccia truce in televisione. Un gradino sopra di loro vi sono gli esponenti della sinistra “alla moda” appunto, cinghia di trasmissione del potere imperiale americano e dei suoi valori: atlantismo, neoliberismo, sionismo. I primi sono i burini d’assalto, coloro che tentano invano di arraffare qualcosa in cambio della loro subalternità all’Occidente collettivo; i secondi sono depositari dei valori occidentali: spirito elitario, disprezzo per le classi subalterne, intolleranza ideologica, malcelato odio per i “resistenti”: siano essi riuniti a Kazan oppure tra le macerie di Gaza.

 

La crisi di nervi della “sinistra alla moda”

Questa sinistra ha avuto recentemente una pubblica crisi di nervi che vale la pena raccontare. Non solo per la crisi in sé, rivelatrice di quanto scritto in premessa, ma anche perché in questa crisi sono venute alla luce interessanti metodi di mistificazione della realtà da parte di una piccola comunità di membri della nostra “intellighenzia”. La crisi di nervi è andata in scena durante la trasmissione televisiva Otto e Mezzo, che insieme alla lettura di «Limes» mi permette di seguire opinioni e propagande dell’upper class nostrana in un modo sopportabile: per intenderci, non nel modo cialtronesco della tv pubblica e della stampa oppure in quello volgare e sguaiato delle televisioni berlusconiane. La7 è la piccola televisione elitaria dove i valori della sinistra “alla moda” sono pubblicamente propagandati, generalmente ispirandosi allo stile del loro vate, Mario Draghi, e a volte perdendo le staffe come accaduto durante Otto e Mezzo del 5 novembre scorso2. In questa disamina apprezzeremo una serie di “trucchi” comunicativi che non necessariamente sono voluti, ma che possono anche essere dettati da profonde convinzioni ideologiche, il che li rende ancora più inquietanti. La trasmissione si apre con una Lilli Gruber sinceramente preoccupata per l’andamento delle elezioni e per la situazione nella metropoli imperiale: “elezioni presidenziali cruciali… un’America probabilmente mai così divisa”. A questo punto la conduttrice pone a Marco Travaglio la domanda provocatrice: “Se tu fossi negli Stati Uniti voteresti per Trump o Kamala Harris?”. Per essere maggiormente precisi: la domanda cela l’atto di omaggio che l’ospite apparentemente meno “alla moda” deve rendere alla trasmissione. La risposta del direttore del «Fatto Quotidiano» è stata un capolavoro di equilibrismo, riuscendo però a far passare alcuni messaggi corretti che probabilmente hanno innervosito la conduttrice e gli ospiti già vittime di cattivi presagi. Travaglio risponde come non avrebbe potuto fare altrimenti: “Non voterei perché non posso dire di nessuno dei due è il mio presidente” e giustifica il non voto: “Trump perché è un delinquente, perché è un bugiardo… Kamala Harris perché è bugiarda come lui, è pure ipocrita che è un’aggravante, e ha sulla coscienza alcune migliaia di morti per avere fomentato anziché spegnerla l’escalation in Ucraina e per aver fornito insieme a Biden le armi a Israele per massacrare le migliaia di palestinesi e libanesi e gli abitanti dei paesi circostanti”. Replica ovviamente condivisibile ma che cela un primo apprezzabile “trucco”, si pongono alla stessa stregua due candidati che hanno avuto responsabilità ben diverse: il primo è stato accusato di raccontare generalmente balle, di avere guai colla giustizia e di essere il mandante morale dell’assalto a Capitol Hill coi suoi 5 morti; la seconda è stata corresponsabile di una guerra per procura in Ucraina che, stando allo Stato maggiore di Kiev, ha già mietuto quasi 470.000 russi3, mentre ovviamente dei morti ucraini non si sa nulla, e quindi la loro cifra è sicuramente ben più alta; sempre la Harris è altrettanto responsabile nell’invio di armi e munizioni a Israele, dando, inoltre, quella copertura politica necessaria per poter portare avanti il suo progetto genocida in Palestina. Due carichi pendenti ben diversi: il primo è probabilmente meritorio di un tribunale distrettuale di New York, cosa del resto già accaduta; la seconda del tribunale internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità, cosa che non accadrà mai. Marco Travaglio, forse infastidito dal clima generale d’ipocrisia nei confronti della Harris, fornisce la corretta chiave di lettura delle elezioni americane: “Io penso che il rischio più mortale che corre l’Europa in questo momento è quello della terza guerra mondiale nucleare in Europa e, quindi, mi auguro che vinca quello che allontana questo rischio e purtroppo devo dire che chi lo avvicina di più è Kamala Harris per le sue politiche guerrafondaie… Mentre Trump, nei quattro anni di orrenda presidenza, almeno ci ha risparmiato nuove guerre e ne ha chiuse anche due… Penso che a noi europei convenga un isolazionista che toglie mano dalle guerre a casa nostra invece di crearne di nuove”. Fa impressione il giudizio di “orrenda presidenza” per Trump, cioè rivolto a un presidente che non ha intrapreso nuove guerre e che invece ne ha concluse un paio: se il mondo nel quale viviamo non fosse distopico, il tycoon meriterebbe l’iperbole di un premio Nobel per la pace, visto che è stato dato ad autentici guerrafondai come Harry Kissinger nel 1973 e Barack Obama nel 2009. Tuttavia, Travaglio si accorge di aver passato il limite di verità somministrabile senza conseguenze e teme la reazione della sempre più spazientita Gruber: “I miei auguri non si avverano mai, quindi non vi preoccupate, le mie sono posizioni sempre minoritarie”. Quindi, sappiamo che Travaglio sa, e conosce anche le opinioni dei suoi interlocutori. Quali sono queste opinioni? La misura è ormai colma, e ci pensa Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, a restituire l’ortodossia della sinistra neoliberale alla trasmissione: “Io direi di non avere dubbi su chi non votare, cioè non potrei certo votare per Trump. Churchill diceva che la democrazia è il peggior sistema di governo tutti gli altri esclusi e non c’è dubbio che la democrazia americana dia uno spettacolo terribile, si parla di postdemocrazia”. Avendo appena udito l’intervento di Travaglio, ci si attenderebbe di sentire il nome di Kamala Harris a causa delle sue gravi responsabilità di governo; invece no, l’ineffabile rettore afferma: “E tuttavia Trump non si riconosce nella democrazia, diciamo che sta programmaticamente, nella descrizione Churchill, tra tutti gli altri, ha le idee del Ku-Klux Klan, razzismo, suprematismo bianco, ha detto che gli immigrati avvelenano il sangue dell’America…”. Bontà sua, Montanari afferma di non gradire nemmeno Kamala Harris, ma è interessante annotarne le ragioni: “La Harris come Biden e come Obama, come Clinton appartiene a una élite che in realtà non persegue realmente il disegno di cambiare radicalmente le cose, come bisognerebbe fare, sul piano sociale ma di governarle come le hanno trovate: dalla diseguaglianza alla guerra… Se Trump ha vinto una volta e può rivincere ancora è colpa loro, come in Italia per la destra di Meloni, le responsabilità sono di chi non ha fatto la sinistra e neanche il centrosinistra”. La critica a Trump è su quello che si dice in campagna elettorale e non su quello che ha fatto realmente, mentre per la Harris si accenna alla classica favola di colei che è arrivata alla corsa elettorale ignara e impotente, in altre parole, Kamala Harris è stata vicepresidente degli Stati Uniti a sua insaputa. Degna di nota, come spia del fanatismo di questi esponenti di una sinistra che andrebbe definita correttamente neocon, è la chiusura dell’intervento di Montanari: “Noam Chomsky che è un lucido novantacinquenne intellettuale americano ha detto una cosa terribilmente giusta, che le cose in queste elezioni non possono cambiarle in meglio, possono però cambiarle in peggio, e lui ha detto: dedicate dieci minuti della vostra giornata ad andare a votare contro Trump, non perché dalla Harris arriverà un cambiamento positivo, ma perché Trump potrebbe essere davvero un pericolo letale per la democrazia”.

A volte si ha l’impressione che il servilismo intellettuale di questi signori, che si esprimono in modo piacevole, corretto e forbito, sia l’autentico sonno della ragione: si cita un prestigioso membro della comunità ebraica, Noam Chomsky, che invita a votare Harris perché si ha la certezza che nulla cambierebbe nella politica americana, e di non votare Trump perché qualcosa potrebbe invece mutare, secondo lui in peggio. Tuttavia, una domanda sorge spontanea: cosa potrebbe cambiare in peggio per un palestinese oppure per un libanese in caso di vittoria di Trump? Tale dimenticanza è ovvia, perché nella testa di questi signori, al di là di scaltre dichiarazioni sulla crisi mediorientale, palestinesi e libanesi semplicemente non esistono, alla faccia del suprematismo bianco imputato a Trump. Altra classica tecnica mistificatoria è quella di descrivere uno scenario politico da una data precisa, fingendo che nulla sia accaduto fino a un minuto prima, per esempio, nei rapporti tra Stati Uniti ed Europa. L’intervento di Mariolina Sattanino è da manuale sotto questo profilo: “Trump sicuramente farebbe molto male all’Europa perché ha già detto che metterebbe dei dazi su tutti i prodotti europei”, scordandosi che la guerra economica al vecchio continente è già stata dichiarata imponendo alle provincie imperiali europee di applicare le sanzioni suicide alla Russia, e colpendo militarmente la Germania per procura con i sabotaggi dei gasdotti North Stream. Tuttavia, sempre la Sattanino dimostra di conoscere le cose, e dà un’interessante interpretazione della profonda spaccatura della società americana: “Trump non ha diviso l’America, Trump è il risultato di un’America che è stata spaccata da una parte dall’ideologia woke di cui Kamala Harris era una signora rappresentante, perché lei ha dovuto riposizionarsi al centro in questi cento giorni, però non ci dimentichiamo che era una rappresentante di quella ideologia democratica che ha fatto pensare alle persone normali che ai democratici non interessassero più, focalizzati com’erano su minoranze, immigrati, su l’ambientalismo ideologico, il terzomondismo che dava tutte le colpe all’Occidente. Dall’altra parte c’era il movimento che nasce dai Tea Party americani, tutto Bibbia e fucile, che ha trovato in Trump il suo messia. A questo punto si è inserito anche Covid, inflazione che ha tagliato il reddito soprattutto della classe media”.

L’ineffabile Lilli Gruber, compreso che tra le righe i suoi ospiti, tranne il Montanari, non la seguono più di tanto sul terreno della demonizzazione di Trump, tira fuori il trito argomento dell’accostamento con Silvio Berlusconi, non solo sul terreno dei problemi giudiziari ma soprattutto sul rapporto maschilista nei confronti delle donne. Dopo aver toccato un tema fondamentale ma scivoloso come la spaccatura nella società americana, che riflette quella tra i tre gruppi di élite che avrebbe spiegato maggiormente la vittoria di Trump, si sposta ad arte l’attenzione sul giudizio morale del tycoon, paragonato alla sempre utile figura di Berlusconi, ancora una volta tirato per la giacchetta dall’oltretomba. A metà trasmissione, quando la Gruber comprende che, sostanzialmente, i suoi ospiti non credono nella vittoria della Harris, ancorché l’auspicano, la conduttrice promuove la recita di un rosario di “complimenti” nei confronti di Trump da parte sua e dei suoi ospiti: “Quello che ha fatto col microfono, cioè le oscenità in pubblico” … “Da malato mentale” … “Pericoloso” … “Avete ricordato alcune frasi, alcuni pensieri di Trump che fanno accapponare la pelle”. A questo punto il custode dell’ortodossia della sinistra “alla moda”, Tomaso Montanari, non riesce più a trattenersi e racconta di una ipotetica internazionale nera formata da Giorgia Meloni, Donald Trump e l’immancabile Viktor Orbán, dove quest’ultimo sarebbe assurto a modello sociale e politico non solo per l’Italia ma soprattutto per gli Stati Uniti attraverso una misteriosa fascinazione nei confronti del vicepresidente eletto J. D. Vance, il quale ha più probabilmente una vaghissima idea di dove si trovi l’Ungheria sul mappamondo, concludendo colla consueta definizione indistinta di fascisti per tutti. Marco Travaglio, che evidentemente non gradisce di essere associato al solito teatrino, puntualizza: “Non penso che nessuno dei due c’entri niente col fascismo, l’ho studiato a sufficienza per sapere che il fascismo è un unicum, Trump è soprattutto un fenomeno americano, Meloni è un fenomeno italiano”, e anche la Gruber è costretta a rettificare Montanari ammettendo che, “nessuno qui a Otto e Mezzo pensa che stia tornando il fascismo del ventennio, che torniamo agli anni Trenta, stiamo parlando di spinte illiberali”, puntualizzazione utile a comprendere che sotto sotto, se non sei un democratico liberale, non sei un democratico tout court, e non conta nulla se indici elezioni e se le vinci regolarmente, come nei recenti casi di Putin in Russia e di Maduro in Venezuela: è la sinistra neoliberale che decide se sei un vero democratico oppure se sei un biasimevole autocrate, e alla fine sempre un fascista. Travaglio cerca di rientrare nell’opinione “mainstream” accusando il mondo politico meloniano di essere cialtronesco, ignorante ma non pericoloso, come può essere invece il messaggio sicuritario, pistole alla mano, espresso sia da Trump che dalla Harris durante la campagna elettorale. Il duo Gruber e Montanari, tuttavia, non demorde, apre la giornalista altoatesina: “Dice Travaglio che sono due fenomeni molto diversi, il melonismo e il trumpismo e che per quanto riguarda Giorgia Meloni e il suo governo sono un branco di analfabeti, quindi incompetenti ma non pericolosi o illiberali”, che per la conduttrice sono evidentemente sinonimi. Replica del rettore: “Ma le due cose non si escludono affatto, anche i pagliacci sono pericolosi, il ventennio fascista ci ha offerto uno spettacolo indecoroso di buffoni pericolosi, di buffoni mannari”. La trasmissione si chiude con la fosca preveggenza della vittoria di “The Donald” sulla Harris, introducendo un altro cavallo di battaglia della sinistra neoliberale: l’elettore ignorante che, a causa della sua dabbenaggine, vota in modo sbagliato perché non sa quello che fa. L’abile Gruber introduce il tema citando la nomina a vicesindaco di Lucca di un membro di Casa Pound; replica del serafico Travaglio: “Il problema non è che quello diventa vicesindaco, è che ha preso dei voti, quindi c’è un problema di grave ignoranza, di grave incultura, di grande smemoratezza storica…”. Questo era il pegno che il direttore del «Fatto Quotidiano» doveva pagare alla conduttrice, dopodiché aggiunge un’osservazione che dovrebbe essere anche monito per tutti noi, che rischiamo di cadere nello stesso errore “alla moda”: “Non credo che si eviterà che la gente voti a destra continuando a insultarla”, aggiungendo per l’ennesima volta che se la gente vota dei mostri politici è a causa delle politiche sbagliate di coloro che hanno governato fino a oggi. Mentre Travaglio chiude il suo intervento con una domanda corretta: “Sono diventati tutti nazisti gli elettori?”. La Gruber gli toglie la parola, ed enumera lei stessa le ragioni del voto di protesta, facendolo però con il tono di chi non ne dà nessuna reale importanza: “Sono tantissimi fattori a cominciare dal ruolo dei media, dei social, delle politiche superdivisive, la vera benzina di tanta politica oggi sembra essere il rancore, la cattiveria, la paura, andiamo verso società atroci”.

 

Conclusioni

Sono molte le differenze dei servi di destra e quelli di sinistra nei confronti della metropoli imperiale. Il servo di destra rimane comunque distante dal padrone e non gli verrebbe mai in mente di partecipare intellettualmente al processo di cambio di linea politica, di assetto di potere. Il servo di destra è infido perché opportunista, l’unico ragionamento che una Giorgia Meloni può fare è quello di capire quanto ci guadagna politicamente oppure quanto ci può perdere in un dato nuovo scenario. Questa è la ragione per la quale ha fatto una corte serrata a Elon Musk nei mesi prima delle elezioni americane. I servi di destra, soprattutto se di origine culturale fascista, e quindi latina e cattolica, non sono nichilisti perché sono cinici: morto un papa se ne fa un altro. I servi di sinistra, che si possono vedere e ascoltare tutte le sere su La7, essendo a più stretto contatto con l’egemone e i suoi rappresentanti locali, credono di poter partecipare intellettualmente al suo “regime change”, di poterlo influenzare prima e giudicare poi. È una pia illusione, e loro lo sanno. Tuttavia, questa sinistra è idealista e non opportunista: non può esistere un sistema politico al di fuori della democrazia liberale, lo ha insegnato Churchill; non esiste nessun mondo libero e civile al di fuori dell’Occidente collettivo; non esiste nessun politico “buono” se non è di sinistra “alla moda”: non contano le gravi complicità di Kamala Harris nella criminale conduzione della politica estera americana, il pericolo per la democrazia e per il mondo libero (per chi?) rimane Donald Trump, che è volgare, che è bugiardo, che è delinquente. Se il mondo si sta riorganizzando attorno ai Brics, se si è cominciato a disegnare un nuovo assetto multipolare a Kazan, dove nessun Paese occidentale è stato invitato, allora l’esponente della sinistra neoliberale si convince definitivamente che: “… la vera benzina di tanta politica oggi sembra essere il rancore, la cattiveria, la paura, andiamo verso società atroci”. Per la sinistra neoliberale il mondo non può riorganizzarsi attorno a Paesi canaglia come la Russia e la Cina, non vi può essere un mondo non basato sulle “regole”, non vi può essere un mondo che non sia guidato dagli Stati Uniti. Non contano nulla le guerre per procura in Ucraina oppure i manifesti genocidi in Palestina: se il mondo non è come lo vuole la sinistra neoliberale tanto vale distruggerlo.


Note:
1 https://www.thegoodlobby.it/comunicato-stampa/14-miliardi-per-un-presidente/

2 https://www.youtube.com/watch?v=yJUgvhjzndE

3 https://war.ukraine.ua/it/faq/qual-e-il-bilancio-delle-vittime-russe-e-delle-altre-perdite-in-ucraina/

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Comments

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attilio
Monday, 25 November 2024 13:18
In questo mondo dove nel dominio dei mezzi di comunicazione, il segno della televisione è certamente protagonista della informazione e della formazione delle anime e di conseguenza dell'annichilimenti delle anime, citare Masino Montanari per quanto detto mi sembra almeno alquanto eccessivo e fuorviante.
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Roberto
Wednesday, 20 November 2024 15:19
Ottima analisi, la condivido pienamente
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Franco Trondoli
Wednesday, 20 November 2024 10:34
Al Gentile estensore dell'articolo mi permetto di fare questa osservazione.
Scriverei " Giornale del movimento per la
NASCITA Comunista", in quanto il "Comunismo" non è mai realmente esistito sulla faccia della terra. Se in intendono per "Comuniste" tutte le realizzazioni effettuate in suo nome , allora non si è capito niente. Si vorrebbe ripartire , questo si, in modo del tutto sbagliato. Con il vecchio e sconfitto modo di agire e pensare, che non era altro che una forma di riproduzione dialettica negativa di quello che si pensava di criticare. Insomma non c'è il sapere culturale sufficiente per porsi un quesito e un compito di questa grandezza. Invertire il corso della storia del capitalismo.
Buona Fortuna
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