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“Guerra di movimento” e costruzione del partito comunista

di Fosco Giannini

raised fists 8512417 1280Tra la terza guerra mondiale già in corso, la crisi sistemica dell’Ue, la torsione in senso fortemente reazionario del capitalismo italiano e la totale assenza di un’opposizione politica, sociale e sindacale, cresce in Italia l’esigenza della costruzione di un’avanguardia comunista, di un partito comunista di classe, unitario, di quadri, con una linea di massa.

Riarmare politicamente la “classe” – oggi disarmata, muta, inane –, l’intera “classe politecnica” del lavoro, il movimento operaio complessivo attraverso la messa in campo di un partito comunista, rivoluzionario, d’avanguardia, di lotta, di quadri, con una linea di massa. Questo è l’obiettivo che le forze comuniste che si vanno unendo (Movimento per la Rinascita Comunista, Resistenza Popolare, Patria Socialista, Costituente Comunista) vogliono, in modo risoluto, perseguire – assieme ad altre soggettività comuniste che vorranno condividere il cammino – e hanno “proclamato”, pubblicamente e di fronte ad un vasto “pubblico” di compagne e compagne, di lavoratori e intellettuali, nell’ultima e importante giornata, nel dibattito finale (“Verso la costruzione del partito comunista”) della Festa nazionale del MpRC tenutasi a Castelferretti (Ancona) dal 13 al 15 settembre scorsi.

La messa in campo di una forza comunista e rivoluzionaria è un progetto che fa tremare le vene dei polsi. Ne siamo consapevoli. Ma la determinazione a proseguire l’impegno e la lotta per cogliere questo obiettivo acquisiscono a mano a mano più forza in relazione alla razionalità degli argomenti che sono alla base dello stesso progetto strategico. È una ratio politica e ideologica, un’interpretazione materialistica della fase, internazionale e nazionale, a guidarci, non il cuore, non un’idealità immateriale, non un sogno.

Siamo carne, ossa e “spirito” (per superare la tautologia gramsciana della carne e delle ossa) e con questo bagaglio di materia e principi intellettuali e morali vogliamo perseguire l’obiettivo della costruzione del partito comunista.

Qual è la ratio politica e ideologica che ci guida? Da quale interpretazione dello stato presente delle cose e da quale lettura dei moti carsici politici e sociali proviene la nostra determinazione a perseguire l’obiettivo della costruzione di un’avanguardia comunista e rivoluzionaria, di un partito di classe e di popolo, come fortemente lo vogliamo?

Nello spazio di un editoriale ci prefiggiamo di mettere in luce i punti centrali, prosciugando l’analisi.

La terza guerra mondiale, che ha in grembo la guerra nucleare come le nubi hanno in grembo la pioggia, non è un’ipotesi, non è un pericolo, ma è già iniziata, ed è sì a pezzi, ma va unendo i suoi “ritagli” come in una trapunta patchwork. Ed è una guerra che gli Usa e la Nato hanno scientificamente ordito, sistematicamente preparato e infine pubblicamente dichiarato a partire dal Documento di Carbis Bay licenziato dal summit G7 tenutosi in Cornovaglia (sul Mare d’Irlanda) nel giugno 2021, un Documento attraverso il quale si chiamano a raccolta, attorno agli Usa e alla Nato, tutti i Paesi dell’Ue, il Regno Unito, il Canada, il Giappone, l’Australia, la Corea del Sud, per un progetto di attacco militare contro la Russia e la Cina. Un Documento strategico e sanguinoso voluto da Biden (appena eletto), firmato da tutto il G7 (compresa la Merkel, mai così genuflessa agli Usa) e che se la terza guerra mondiale a pezzi si unirà in un’unica trapunta patchwork di morte e distruzione, di questa guerra il Documento di Carbis Bay sarà riconosciuto come la base primaria e ufficiale. Il colpo di Stato a conduzione Usa e Nato a Kiev del 2014, volto a trasformare l’Ucraina in una base Nato ai confini della Russia attraverso un nuovo potere fascista costruito a tavolino dai servizi segreti angloamericani, altro non è stato che l’oggettivazione del Documento uscito in Cornovaglia nel 2021. Come la sua messa in pratica è, oggi, il piano di bombardare, colpire duramente la Russia attraverso i missili angloamericani lanciati dagli ucraini, attirando così la Russia nel conflitto mondiale (che “sinistra” è questa italiana, così felice della vittoria, lo scorso luglio, dei laburisti inglesi guidati da quel Keir Starmer che, come primo ministro, ha incontrato in questi giorni di metà settembre, a Roma, Giorgia Meloni, “promettendo” che la Gran Bretagna lancerà contro la Russia i famigerati missili da crociera “Storm Shadov”, capaci di eludere le difese nemiche?).

L’imperialismo nordamericano prepara criminalmente la terza guerra mondiale, e dunque la guerra nucleare, e ciò sembra accadere nell’inconsapevolezza spensierata del popolo italiano. Il governo Meloni apparecchia giorno dopo giorno il sistema di guerra, che vuol dire un imponente spostamento di risorse verso la militarizzazione totale (il nuovo Documento programmatico della Difesa che è arrivato in questi giorni in parlamento prevede un aumento della spesa militare di 1,6 miliardi di euro rispetto alla precedente spesa, che ora arriva, nella sua totalità, a 32,7 miliardi di euro), con conseguente distruzione finale della sanità pubblica e dell’intero welfare, con annessa repressione sociale preventiva, mirata e strategica, e nel Paese non vi è nessun movimento significativo contro la guerra imperialista e contro la Nato, per l’uscita dell’Italia dalla Nato, scelta di lotta ineludibile, visto che la permanenza del nostro Paese nella Nato vorrà dire guerra mondiale e nucleare sicura, distruzione e morte di massa per il popolo italiano. Qui prende forma la nostra prima domanda: dov’è l’attuale movimento comunista partitico italiano di fronte a tanto pericolo? Semplicemente non c’è, è assente, ed è assente perché è inesistente. Da questa, drammatica quanto realistica, veritiera, non provocatoria ma incontestabile costatazione, muove il nostro progetto strategico di mettere in campo un partito comunista, innanzitutto per l’organizzazione della lotta antimperialista e contro la Nato, un partito comunista capace di offrirsi come cardine per un più ampio arco di forze, di massa e di popolo, contro la guerra amerikana. Costruire il partito comunista risponde, dunque, a questa prima, enorme, necessità razionale e materiale, non a una nostra volontà soggettiva staccata dal reale.

Seconda questione: siamo di fronte a una Unione europea che tanto più finge spudoratamente di essere un “soggetto” storico e politico razionale, tanto più mostra la propria fatiscenza e la propria natura “fantastica” e irrazionale, una pseudorealtà in esplosione. Gli Stati Uniti d’America (disgraziatamente per i popoli del mondo) si costituiscono come tali nel 1776, sulla scorta di una lotta di liberazione dal dominio inglese che unisce davvero, attraverso la concretezza della guerra di liberazione,i primi tredici Stati americani. E un segno che quella unità fosse concreta e vera fu dato dal fatto che gli Stati Uniti, appena nati, si dotarono di un sistema fiscale unico e nazionale. Al contrario, nessuna spinta oggettiva, storica, sta alla base della costituzione dell’Ue: l’unica spinta è stata quella del capitale transnazionale europeo che, per entrare da protagonista nella lotta interimperialista che si scatenò, dopo l’autodissoluzione dell’Urss, per conquistare gli immensi nuovi mercati internazionali, aveva bisogno – al fine di favorire il profitto, garantire una nuova accumulazione capitalista capace di rafforzare il sistema produttivo generale, assicurare l’abbattimento del costo delle merci destinate a conquistare i mercati internazionali – di abbattere salari, diritti e welfare su scala europea, continentale, e per giungere a ciò necessitava di un governo “Quisling” che permettesse tutto il liberismo possibile e desse tutte le certezze per la liberazione degli spiriti animali capitalisti europei. È l’Ue del Trattato di Maastricht, dell’Euro al servizio della “germanizzazione” dell’intera Ue, della Banca centrale europea e di Bruxelles. Ma una finzione storica rimane tale anche di fronte alla tanto materiale ferocia della ricerca del profitto, l’integrazione dei Paesi europei nell’Ue non avviene mai, la “Creatura” cucita assieme dal capitale transnazionale/dottor Frankenstein non diviene mai un’entità compiuta ma, al contrario, le economie dei vari Paesi europei rimangono tra loro competitive; le industrie belliche europee acutizzano la loro lotta interimperialista per la conquista dei mercati mondiali di guerra; il sistema fiscale unico viene sempre rifiutato in funzione della difesa delle economie maggiori (a partire da quella tedesca); i sistemi capitalisti dei vari Paesi dell’Ue mantengono e persino aumentano la competitività tra di essi per la conquista dei mercati mondiali, a partire da quelli dell’Est Europa; il problema dell’immigrazione viene, con un cinismo proveniente soprattutto dall’asse franco-tedesco e che da solo basterebbe a smascherare la finzione dell’unità europea, tutto scaricato sull’Italia e sui Paesi del Mediterraneo. Una sola linea unisce i Paesi dell’Ue: un neoliberismo dai tratti selvaggi, per una sorta di importazione di quel nuovo, crudele, modello di “africanizzazione” capitalista che produce, da una parte, un profondo distacco dei popoli europei dall’Ue e, dall’altra, un “sovranismo” di destra ed estrema destra che ridà voce a forze neofasciste di massa (un orrido fantasma nazifascista si aggira, peraltro, per l’Italia: il generale Vannacci, che a partire dalla grande adunata di camerati che sta preparando a Viterbo, partirà per la costruzione di un partito “nero” già, potenzialmente, del 10 o 15% in Italia). Un “sovranismo” ambiguo e sostanzialmente finto, in Italia, Francia, Spagna, Germania, tenuto in piedi dalla spina dorsale di un nazionalismo invece vero e incline alla sola difesa del capitale nazionale, che nulla ha del patriottismo rivoluzionario che i comunisti dovrebbero praticare in difesa dei loro popoli. La stessa fatiscenza e la stessa falsità storica dell’Ue, peraltro, si offrono come basi materiali per la completa trasformazione dell’Ue in soggetto totalmente subordinato all’imperialismo Usa e alla Nato. Tutto ciò porta a una ormai evidentissima crisi sistemica dell’Ue (che lo stesso, recente, Documento Draghi riconosce come tale, sino al punto di evocare un crollo dell’intero sistema Ue, da evitare, secondo Draghi, innanzitutto attraverso un gigantesco keynesismo di guerra) di fronte alla quale occorrerebbe una linea rivoluzionaria, una proposta strategica di patriottismo e di indipendenza nazionale che le residue, caduche (ancora fortemente segnate persino da ambigui “europeismi”) e presenti ormai solo sulla carta organizzazioni comuniste italiane non possiedono. Altro motivo di straordinaria entità e peso politico che ci spinge ad affermare convintamente che è il tempo della costruzione di un partito comunista dal carattere, appunto, fortemente anti-Ue, anti-Euro, patriottico, decisamente volto a liberare il movimento operaio dalle inclinazioni anarchiche contrarie alla Patria e, con una nuova natura decisamente rivoluzionaria, comunista e patriottica, per strappare alle destre il vessillo della difesa della Nazione, col quale quelle stesse destre, pronte a difendere, in verità, il grande capitale della Nazione, ingannano i lavoratori e i popoli.

Terza questione: il capitalismo italiano. Esso, in relazione alle altre formazioni capitaliste avanzate europee ed extraeuropee si è sviluppato in ritardo, in forme convulse e contraddittorie. Così che un’atavica, mai superata, debolezza ha sempre segnato la borghesia italiana e i suoi apparati produttivi generali, una debolezza dai caratteri “originari” alla quale si sono aggiunti il peso enorme delle rendite parassitarie e l’inefficienza degli apparati statuali, sempre segnati dalla subordinazione e il servilismo verso il capitale e, insieme, dall’incapacità di essere agenti razionali dello sviluppo. Una stessa, tipica e anch’essa mai superata, contraddizione dello sviluppo capitalistico italiano – quella dell’oscillazione continua tra concentrazione e decentramento capitalista – ha dato vita a un fenomeno non registrabile, in questa forma così macroscopica, in altri Paesi capitalisti: dalla forte concentrazione capitalista degli anni ’60 e ’70 (base materiale della stessa “concentrazione operaia” in grandissime fabbriche nazionali e, conseguentemente, della costruzione di una forte coscienza operaia di classe che, assieme alla presenza di un grande Pci e a una Cgil di classe e di lotta, dette vita alle grandi lotte di quella fase storica) si è passati a un ancor più forte decentramento del capitale (la lunga fase del “piccolo è bello”), fenomeno tanto indotto, dallo steso capitale, quanto deleterio sia per il rilancio “intellettuale” e tecnologico capitalista che per la classe operaia, che nella sua nuova condizione di polverizzazione sociale ha a mano a mano perduto (attraverso altri, decisivi fattori, quali l’involuzione ideologica progressiva e poi il suicidio del Pci e la trasformazione della Cgil in sindacato dal forte carattere “giallo”) coscienza di classe e spirito rivoluzionario e di lotta. Un’oscillazione strutturale storica del capitalismo italiano che l’ha portato, oggi, alla condizione, già altrove descritta, di “capitalismo ibrido e infelice”. Ibrido, perché a metà del guado strutturale tra quel capitalismo nordamericano basato prevalentemente sul capitale azionario (attraverso il quale la crescita dimensionale delle imprese è favorita dalla presenza interattiva di diversi proprietari, forma che garantisce, tra l’altro, una maggior difesa dalle crisi cicliche) e quel capitalismo tedesco che trova grande conforto da un potente sistema bancario e da una cultura statuale calvinista storicamente volti a sorreggere lo stesso sviluppo capitalista. È del tutto evidente come l’estrema fragilità strutturale del capitalismo italiano renda, specie in questa fase di massima globalizzazione dei mercati, questo stesso capitalismo particolarmente “infelice”, e ciò in relazione alla propria consapevolezza di essere impossibilitato a praticare la lotta intercapitalista per la conquista dei mercati internazionali. Quali ripercussioni produce questa debolezza della borghesia italiana sulle sorti della classe operaia e sull’intero movimento dei lavoratori? La difficoltà a praticare quella, seppur minima, redistribuzione del reddito che sono in grado di garantire le formazioni capitaliste più avanzate e più dense di profitto imperialista spinge la borghesia italiana a un’azione di estrazione ancor più profonda di plusvalore dal lavoro, lanciando, insieme, contro la classe operaia e l’intero mondo del lavoro, una ancor più dura lotta di classe. Un intero disegno capitalista dal quale prende corpo, peraltro, l’idea di una svolta reazionaria, dai caratteri neofascisti, che si avvale, come sempre è stato, delle nuove formazioni politiche di destra e di estrema destra (attenzione a Vannacci quale nuovo “Attila” – ricordate Novecento di Bertolucci? – del fascismo italiano), emergenti nel contesto dato e che crescono anche e soprattutto (in uno spazio che dovrebbe essere quello dei comunisti e delle forze antimperialiste e rivoluzionarie) nella ricerca di rottura nazionalista, e non rivoluzionaria e patriottica, con l’Ue.

La guerra imperialista in corso, la crisi sistemica dell’Ue e la dura svolta a destra del capitalismo italiano (anche come prodotto della propria, intrinseca, fragilità e incapacità di “stare” sui mercati della mondializzazione) sono le tre essenziali basi materiali del pieno ritorno, in Italia, della “guerra di movimento”, quella fase mirabilmente descritta da Antonio Gramsci che, in alternativa alla “guerra di posizione” quale prodotto della stasi politica e sociale, può sfociare (sempre Gramsci) o in una fase rivoluzionaria o in una torsione duramente reazionaria e fascista. Una “guerra di movimento”, quella in cui siamo già immersi, che richiede oggettivamente e con forza un partito comunista d’avanguardia e di popolo, che chiede questo partito che non c’è e che dobbiamo consapevolmente, assieme, costruire.

Rispetto al nostro progetto di ricostruzione del partito comunista si sollevano domande, dall’esterno e dal nostro stesso interno, verso le quali bisogna avere rispetto, che dobbiamo ascoltare e alle quali dobbiamo rispondere.

Quattro, essenzialmente, sono queste domande: “Ma la forma-partito non è superata? Ma il comunismo non è storicamente morto? Il contesto internazionale non è particolarmente sfavorevole per il progetto di costruzione del partito comunista? Ma in Italia non vi sono già trenta partiti comunisti?”

Per rispondere esaustivamente a queste quattro domande occorrerebbe un intero saggio, ma ci obblighiamo a essere stringati, pagandone un po’ il prezzo sul piano espositivo.

In relazione alla prima domanda: la forma-partito non vi è sempre stata, essa è una forma storicamente giovane, moderna, nata tra i fuochi della rivoluzione industriale inglese e della rivoluzione francese. Sorse dal ventre della storia per dare organizzazione al nascente movimento operaio e, per tale motivo, fu duramente attaccata, demonizzata, ideologicamente e politicamente, dalle aristocrazie e dalle neoborghesie inglesi e francesi, che rovesciarono sulla forma-partito un impressionante e temporalmente lungo fuoco di fila. Lo stesso fuoco di fila che, oggi, per gli stessi motivi ideologici di fondo, la cultura dominante scaglia contro la forma-partito e che impressiona tante nuove forze politiche che, subendo l’attacco ideologico del potere, rinunciano a priori, spaventate, al termine e alla concezione stessa di partito: M5S, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Potere al Popolo, Sinistra Italiana ecc. Tutte forme, nominalmente ma spesso concretamente (nel senso che finiscono poi, in mancanza della democrazia di partito, per essere guidate da piccole dittature interne o persino da “Elevati”) non partitiche. Mentre per i comunisti la forma-partito rimane la forma organizzativa assolutamente prioritaria e decisiva per la lotta rivoluzionaria, con quegli elementi interni che solo un partito comunista può dare: coscienza di classe, coesione, disciplina, centralismo democratico come forma massima della democrazia interna, organizzazione per la lotta, trasformazione del partito in un’anticipazione della democrazia rivoluzionaria e del socialismo per cui si combatte.

Risposta alla seconda domanda: è il movimento comunista italiano, non quello mondiale, a vivere una grande crisi e ciò per ragioni legate alla storia stessa del movimento comunista del nostro Paese, che dobbiamo indagare profondamente e sinceramente anche per trasformare la risposta in un ulteriore strumento della nostra cassetta degli attrezzi; crisi del movimento comunista italiano che, in estrema e rozza sintesi può essere, tuttavia, così descritta: la grave involuzione ideologica e politica del Pci storico e il vuoto lasciato dalla sua scomparsa non è stato mai colmato, né da Rifondazione Comunista, che non è stata in grado di “rifondare” nulla, che ha trasformato il proprio, iniziale e importante progetto comunista in un caravanserraglio ideologico tanto enfaticamente “rivoluzionario” sul piano parolaio quanto moderato sul piano della prassi politica, né dai piccoli partiti comunisti nati, tutti, per “gemmazioni progressive” (o scissioni continue) dalla stessa Rifondazione Comunista. “Gemmazioni” che, proprio per la loro natura progettualmente non autonoma, ma scissionista, hanno prodotto (piccoli) partiti comunisti ideologicamente e progettualmente spuri e deboli, impossibilitati infatti, come la realtà delle cose ha dimostrato, a crescere. Ma mentre il movimento comunista italiano è davvero in grande crisi, quello mondiale (ecco la risposta alla seconda domanda) è in grande spolvero e in continua crescita: circa 200 sono i partiti comunisti nel mondo, presenti in tutti i continenti e i più grandi di essi, da soli o assieme ad altre forze antimperialiste e rivoluzionarie, governano, oggi, circa un quinto dell’intera umanità. E nei Paesi in cui non sono al governo o sono chiaramente all’opposizione (Russia, India, Giappone, Portogallo, Grecia, Francia, Spagna, Cipro e tanti altri Paesi, in America Latina e in Africa) svolgono un’azione che, sul piano generale, influenza fortemente la vita di circa due miliardi di esseri umani. Se tutto ciò rappresenti una crisi del movimento comunista mondiale lo giudichino i lettori e le lettrici.

Risposta alla terza domanda: mai come in questa fase il contesto internazionale è favorevole alla ripresa, nei Paesi ad alto sviluppo capitalistico, della lotta comunista e rivoluzionaria. Dal tentativo di ratifica della “fine della storia”, successivo alla scomparsa dell’Unione Sovietica, un immenso fronte dal carattere antimperialista (che ha come cardine la Cina socialista e come “forma organizzata” i Brics, alleanza, peraltro, in forte espansione planetaria) ha alzato la testa cambiando profondamente i rapporti di forza a livello internazionale, cambiandoli a netto sfavore del fronte imperialista (base materiale, questa, del progetto di una terza guerra mondiale diretta a uno “stato quo ante” da parte degli Usa e della Nato). È questo, odierno, contesto mondiale (forse persino più favorevole al movimento operaio e comunista di quello del 1917, della fase iniziale dell’Ottobre) che offre una nuova “liceità” rivoluzionaria alle forze comuniste e antimperialiste che operano all’interno delle cittadelle capitaliste, a condizione che esse abbandonino il positivismo e l’attendismo meccanicista che tanto ha segnato il marxismo occidentale (e quello italiano, ricaduto nel positivismo del Partito Socialista di Turati appena spentasi la spinta rivoluzionaria e antipositivista del pensiero di Gramsci) e recuperino in pieno lo spirito leninista e gramsciano dell’azione rivoluzionaria soggettiva, qualità non presente nelle estenuate formazioni comuniste italiane odierne e che ci spinge alla costruzione di un partito comunista, appunto, dallo spirito leninista e gramsciano.

Risposta alla quarta domanda: in Italia non vi sono già trenta partiti comunisti, ma purtroppo non ve n’è nessuno, nessuno degno, a partire dalla prassi e dalla lotta reale, di essere definito compiutamente partito comunista (e ciò non è certo un giudizio morale, ma tutto politico). In Rete, certo, fioriscono gruppi che si autodefiniscono “partito comunista”. Ma nulla è ingannevole come la Rete e questi gruppi si presentano e sfioriscono in un battere di ciglia. Per ciò che riguarda, invece, le tre, minuscole, formazioni politiche più conosciute (Prc, Pci, Pc), esse, purtroppo, vivono una crisi ideologica e organizzativa (e a volte le due crisi assommate) profonda e terminale. Tutte e tre assieme (lo asseriamo con dolore politico e non con sciocco compiacimento) possono contare su tre o quattromila iscritti e, dunque, con ogni probabilità, tutte assieme, poche centinaia di militanti, ma l’uno contro l’altro armati. Ciò che si evince, peraltro, è che nessuna di queste tre formazioni sembra poter avere minimi segni di ripresa e di espansione, ma, al contrario, ciò che le loro pratiche politiche rimandano sono, piuttosto, segni chiari di fine percorso. Anche da ciò, anche da questa loro condizione drammatica, oltreché dall’intero quadro internazionale e nazionale che abbiamo tentato di delineare sopra, ci poniamo il problema della costruzione, in Italia, del partito comunista. Auspicando che le stesse tre formazioni comuniste che abbiamo citato siano disponibili a un confronto e a un processo unitario. Ma lavorando, soprattutto, per riorganizzare e riportare alla militanza la grande diaspora comunista italiana oggi senza organizzazione, senza partito. Una vasta diaspora comunista, operaia e intellettuale, atomizzata e dispersa nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, nelle accademie e nelle università, che esiste come “prodotto” sociale e culturale della stessa, grande storia comunista mondiale e italiana e cerca un intellettuale collettivo (il partito comunista) per riaggregarsi e superare la propria condizione di “somma di solitudini”; una diaspora profondamente delusa dallo scioglimento del Pci storico, dall’esaurirsi del movimento comunista e rivoluzionario italiano esterno allo stesso Pci storico e dal sostanziale fallimento dei tentativi di colmare il vuoto lasciato dal Pci portato avanti dalle piccole formazioni nate per “gemmazione” o continue scissioni dal Prc. Noi (il MpRC, Costituente Comunista, Resistenza Popolare, Patria Socialista, con attorno già tanti compagni e compagne senza organizzazione) ci poniamo da tempo la questione della mancanza, in questo Paese, di un forte partito comunista. E assiduamente e con vasto spirito e sguardo unitario vogliamo lavorare per dare risposta a questo problema.

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Comments

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Tse bong
Sunday, 29 September 2024 22:45
La cgil di berlinguer e di Lama? Quella nemica dei lavoratori? O il PCI del tradimento di Togliatti verso la rivoluzione socialista? Capisco la necessità del partito, ma il partito non è l ennesimo contenitore riformista con forme di vetero comunismo che serve solo ai nostalgici per tirar giù qualche lacrimuccia, il partito deve costruire la società del futuro, deve essere rivoluzionario perché deve prendersi il potere, e non certo aspettare che gli sia concesso da qualche istituzione borghese o da elezioni democratiche-borghesi.
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Michele castaldo
Friday, 27 September 2024 18:35
Povero Fosco Giannini e quanti (quanti?) blablaiscono sul partito e sul programma del partito e che (ohj mamma) si lamentano per la mancanza "del" partito.
Compagni il partito vuol dire SOLO che una parte della società, cioè una classe sia in piedi e sia organizzata in partito.
Oggi non c'è niente di organizzato e il proletariato, al quale i comunisti pensano di fare riferimento, GUARDA AL CAPITALISMO COME I GIRASOLI GUARDANO IL SOLE.
Sicché un partito operaia/comunista oggi non potrebbe che essere la sua negazione.
Voi, caro Fosco Giannini, siete rimasti ancora alla ideologia, ovvero alla possibilità che un programma e un partito possano influenzare la classe e aiutarla a lottare. Siete rimasti alla metafisica del primo Marx, quello del Manifesto. Mentre il barbone di Treviri ne fece, eccome!!!!, di strada e voi siete rimasti alla partenza.
SVEGLIA!!!!! RAGAZZI!!!!
Michele Castaldo
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