Qualche appunto sul 30 novembre di questo 2024 e dintorni
di Algamica*
Come sempre cerchiamo di essere chiari a qualunque costo, e ci riferiamo alla contraddizione palesatasi in piazza Vittorio su chi avrebbe dovuto tenere la testa del corteo. Che si sia trattato di una ingiustificabile bagarre è fuori discussione, ma chi ragiona di cose sociali non si può accontentare di una presa d’atto e magari condannare, no, perché si impone di ragionare sulle cause che generano certi comportamenti sia individuali che di gruppi.
Che vuol dire prendere la testa di un corteo come quello di sabato 30 novembre 2024 a Roma? Stabilire chi aveva per primo prenotato la piazza o la data? Suvvia, non scherziamo, non ci nascondiamo dietro i formalismi per nascondere le ragioni teoriche e politiche che marciano fin dal 7 ottobre 2023 all’interno delle formazioni politiche di sinistra italiane (più o meno estremiste) per un verso e dei gruppi dei palestinesi che in Italia, in Europa, negli Usa e nel mondo intero cercano faticosamente di far valere le loro ragioni.
Entriamo perciò nel merito della contraddizione che in Italia si va sempre di più aggrovigliando e sabato 30/11 ha rischiato qualcosa di molto sgradevole. Mettiamo senza pudore i piedi nel piatto e diciamo che è ragione di buon senso rispettare l’ospite, anzi in Italia (ma crediamo un po’ dappertutto) è abitudine ripetere che l’ospite è sacro, un principio di buona educazione, di civiltà, di galateo o di bon ton come si usa dire nei tempi moderni.
Se quel principio è valido in generale, a maggior ragione dovrebbe essere valido per un ospite di riguardo che sta subendo un genocidio da parte di un nemico cui il nostro paese, cioè il paese ospitante ha qualche responsabilità in maniera diretta e indiretta perché sta sostenendo senza condizione il genocidio sia attraverso il proprio governo che con gran parte dell’opposizione parlamentare democratica.
Quale occasione migliore per separare le nostre responsabilità genocide tanto del governo che della sua opposizione democratica se non quella di dimostrare in piazza il rispetto per chi sta subendo il genocidio e che a testa alta resiste? Dunque non c’è ragione che tenga che ci si dimeni a voler contendere la testa del corteo: andrebbe data senza nessuna esitazione ai palestinesi.
D’altra parte le formazioni politiche che si richiamano agli ideali del comunismo e quelle resistenzialiste antifasciste italiane dovrebbero ricordare che da sempre ai cortei veniva data la testa ai gruppi operai che in quel momento erano sotto attacco delle ristrutturazioni capitalistiche. Come mai quel principio viene invalso proprio oggi nei confronti dei palestinesi?
Entriamo più nel merito senza lasciare nulla fra le righe (come amava dire Marx). Conosciamo molto bene l’obiezione alla tesi che cerchiamo di esporre, da parte di quelle componenti politiche che hanno rivendicato la testa del corteo: «si ma anche fra le formazioni politiche di sinistra italiane che rappresentiamo ci sono palestinesi che si battono contro il genocidio, dunque state sollevando una obiezione priva di senso». Il che è vero, e dunque se esistono due tendenze, per così dire, rappresentate da due gruppi di palestinesi, diviene l’obbligo di decidere quale posizione condividere e quale no. Di qua non si scappa.
Stabilito che tentare di far svolgere manifestazioni separate da parte delle due fazioni e di chi in Italia sostiene l’una o l’altra, è veramente imbarazzante cerchiamo di definire allora i criteri politici di quale delle due posizioni dovrebbe avere la preminenza e perché, da parte di chi si richiama ancora aglio ideali del comunismo.
La domanda delle domande è: è sufficiente dichiararsi «contro il genocidio e per la pace» come atteggiamento politico per quello che la fase storica ci sta mettendo sotto il naso? Altrimenti detto: è sufficiente la tesi «non in mio nome»? Perché il punto teorico e politico è questo e da questo discende tutto il resto, compresi certi atteggiamenti che sfiorano lo sciovinismo.
Dunque per non girare troppo intorno al palo siamo chiamati a dichiararci al sostegno delle resistenze antioccidentali senza troppo tergiversare. E’ questa la questione. Di fronte a questo aut aut che le resistenze antioccidentali ci pongono avanzano due tesi o posizioni politiche e comportamentali su cui è necessario riflettere:
- Prima tesi: (che per comodità espositiva definiamo “estremistica”) supportare in modo incondizionato ogni resistenza degli oppressi dal colonialismo, contro il genocidio che sta perpetrando lo Stato sionista di Israele per conto dell’insieme dell’Occidente;
- Seconda tesi (che per comodità definiamo non estremistica): abbassare il livello sia della denuncia, ma ancor di più delle rivendicazioni, per aggregare quanta più gente è possibile contro la guerra.
Ora, che dietro le motivazioni della posizione non estremistica, senza voler fare dietrologia, ci sia anche la volontà di aggregare quanta più gente è possibile per dare una mano ai palestinesi e alle loro mobilitazioni, può apparire del tutto naturale e politicamente “corretto”, altrimenti detto: estendere il fronte per togliere sostegno al nemico e indebolirlo.
Ma a quale prezzo questo è possibile? Al duplice prezzo di rinunciare ai risultati prodotti dalla vasta mobilitazione internazionale di un anno appena alle spalle: a) quello della riduzione ai minimi termini della denuncia che è emersa dalla vasta mobilitazione internazionale nell’arco di un intero anno che lo Stato di Israele, quale cane da guardia degli occidentali nell’area per il controllo delle materie prime e degli scambi commerciali e fondato sull’apartheid e la pulizia etnica non merita di esistere; b) che va messo alla berlina o silenziato il rifiuto di prendere le distanze dal 7 ottobre 2023 che viceversa è stato largamente ritenuto e rivendicato come atto necessario della lotta di liberazione degli oppressi dal colonialismo occidentale.
Cerchiamo allora di mettere le carte in tavola e di parlare un linguaggio privo di politicismo: organizzazioni e aree politiche della sinistra italiana che si richiamano alla resistenza democratica antifascista a che titolo indicono una manifestazione per sostenere la causa palestinese? In nome di una resistenza che fu, contro il fascismo, oppure per sostenere la resistenza dei palestinesi per come si sta dando in questa fase? Usciamo dagli equivoci e diciamo a chiare lettere che la pretesa di queste organizzazioni chiama in causa la natura della resistenza che è iniziata il 7 ottobre 2023. Per quale motivo non si sposa fino in fondo la resistenza palestinese? Per la sua direzione, quella di Hamas ferocemente attaccata da Netanyahu.
Sia chiaro: non è un metodo corretto fare paragoni di fatti accaduti in tempi diversi, proviamo a fare una eccezione e diciamo che c’è una certa differenza tra la resistenza antifascista – di cui ancora gli ultimi epigoni rivendicano chissà cosa - sorta in Italia dopo l’intervento angloamericano, dunque una resistenza protetta da forze certamente democratiche, ma soprattutto da una potenza economica, politica e militare e di potere complessivo il cui caporione Usa prometteva di inondare l’Italia di dollari, come poi fece, insieme a basi missilistiche. Vinse la “democrazia“ imperialista contro il “male assoluto”, cioè il fascismo e il nazismo.
E la democrazia poté vincere, contro il nazifascismo per il contributo straordinario di uomini che combatterono in nome del comunismo, per il principio, illusorio, teorico e politico che avrebbe fatto avanzare la condizione generale per la rivoluzione.
Con quale coraggio tutti quelli che si richiamano a quell’esperienza storica ora si permettono di criticare Hamas e pretendere che i palestinesi si diano una resistenza diversa da quella che hanno avuto e continuano ad avere nonostante il genocidio e l’uccisione di alcuni suoi più importanti dirigenti? Quanto sarebbe durato lo Stato sionista di Israele privo del sostegno economico, politico e militare degli occidentali con in testa gli Usa?
Signori: ma c’è o non c’è differenza tra la resistenza sostenuta dagli imperialisti come quella antifascista del passato e quella ucraina di oggi e quella dei palestinesi? E se c’è, di grazia, qual è la natura? Questa domanda la rivolgiamo a quanti si pongono “interrogativamente” di fronte ai fatti, a quanti si fanno venire i dubbi, a quanti amano la “pace”, cioè la nostra pace delle agiate nostre metropoli.
Il 30 novembre abbiamo verificato come organizzazioni, partiti(ni) e gruppi della sinistra italiana ed europea, che pretendono di imporre una linea politica ai giovani palestinesi in Italia che si stanno mobilitando in questa fase, abbiano preteso la testa del corteo, organizzando un cordone come servizio d’ordine contrapposto alla parte cospicua della manifestazione unificata che vedeva la parte combattiva composta da giovani palestinesi, giovani arabi e lavoratori immigrati della logistica. Che senso voleva avere quel servizio d’ordine se non quello di farsi garanti nei confronti della questura e del potere politico della nostra Italia imperialista che la lotta a fianco della resistenza palestinese non dovrà persistere nella sua sfida alle democrazie occidentali che sull’oppressione anche della Palestina e del Medio Oriente si sono sviluppate?
Dunque quello nel tentativo di sabotare una resistenza, sottraendo una parte dei palestinesi per sostenerne un’altra, come è stato fatto anche in occasione del 5 ottobre ed è stato un tentativo sconfitto.
La manifestazione del 5 ottobre 2024 fu grande nonostante il divieto della prefettura, della questura, dei riconoscimenti da parte della polizia e la minaccia che sarebbero stati denunciati per aver partecipato a una manifestazione non autorizzata.
Dopo il 5 ottobre 2024 si sono fatti più pressanti i tentativi per spostare l’asse delle mobilitazioni su un terreno meno “estremista”, per «coinvolgere più gente », ci mancherebbe e noi crediamo alla buona fede di quanti si prodigano per estendere il fronte della mobilitazione. Ma perché avere la pretesa della testa del corteo se la mobilitazione è di sostegno alla resistenza dei palestinesi? Perché si ha dalla loro parte una parte dei palestinesi che moderano sia la critica che le rivendicazioni? Se non è questo, di grazia, perché? Per dare forza a parole d’ordine generiche come «Israele ci porta alla guerra» «non in mio nome» e «più aule e meno bombe»? A chi si vuole parlare? Che tipo di interlocuzione si vuole costruire col potere e a che prezzo? O forse proprio perché il 7 ottobre ha rappresentato una sfida all’intero ordine occidentale, esso rappresenta anche una sfida proprio alle condizioni materiali che hanno consentito alla sinistra europea e italiana – grande e piccola - di rappresentare il conflitto e la concertazione col potere ottenendo nelle stagioni passate più aule e anni di incontrastata pace, dunque alle condizioni della nostra agiatezza privilegiata?
Cari compagni ci sono momenti della storia dove non è possibile traccheggiare ma si è chiamati al dunque. Questo non vale soltanto per le organizzazioni di sinistra o dell’estremismo comunista italiano, ma vale a maggior ragione anche per i palestinesi, sapendo bene che per loro è molto più complicato che per i militanti italiani.
Usciamo allora dalle secche e poniamoci questa domanda: che risvolti può avere il genocidio in Palestina? Altrimenti detto: ci potrà essere una tregua, una ricostruzione a Gaza, un ritorno dei profughi e uno Stato? Se la risposta dovesse essere «SI», allora si dovrebbe dar credito alla proposta millantata di «due popoli due Stati» da parte dei Democratici occidentali e degli Usa in primo piano.
Se – viceversa – non si crede a quella ipotesi, perché in questione è la crisi economica, politica e sociale dell’insieme del sistema capitalistico che in Medio Oriente e in Palestina in modo particolare esprime la punta dell’iceberg per il controllo di materie prime da parte dell’Occidente attraverso lo Stato sionista di Israele, allora non possiamo vendere fumo, altrimenti ci candidiamo a svolgere il ruolo di utili idioti della storia.
Pertanto la difesa dei palestinesi, per chi si pone coerentemente« Contro l’Occidente», passa non per la riduzione dei livelli di resistenza da parte degli oppressi dal colonialismo e imperialismo, ma per la sua estensione per i livelli possibili che le varie situazioni permettono.
Questo vuol dire che a nessuno viene detto in Italia o altrove in Occidente di emulare Hamas e costruire intorno a essa una Nuova Internazionale, non in questi termini si pone all’oggi la questione. Ma non abbiamo alcun diritto di indicare come comportarsi a chi è sotto oppressione e sta subendo ogni sorta di dominio e di martirio da parte degli occidentali e soprattutto di imporre alla nuova gioventù di arabi e palestinesi in occidente di fare un passo indietro perché prioritaria sarebbe la democrazia in occidente, negli Stati Uniti e le condizioni materiali e politiche che consentono la contrattazione con il potere e l’establishment occidentale.
Dal momento che riteniamo che la resistenza palestinese lungi dall’essere vinta o anche fatta momentaneamente rifluire per le reali condizioni sul campo, a Gaza e non solo, è auspicabile che, per quel che ci compete in Italia e in Occidente, le formazioni politiche che hanno a cuore veramente le sorti degli oppressi del Medio Oriente coalizzati intorno alla causa palestinese si diano un contegno diverso, che lavorino sempre a promuovere mobilitazioni unitarie e si preoccupino anche di cedere onorevolmente la testa del corteo ai palestinesi sotto genocidio e alle necessità che la loro mobilitazione riflette della rivoluzione in marcia. Ne va del prestigio storico del Comunismo come movimento reale.
Roma 2 dicembre 2024