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machina

Alla ricerca di nuove soglie: il senso politico del pensiero di Romano Alquati

di Veronica Marchio

0e99dc 6b925c288f3a45ccb4afeaa25a2d19b5mv2Continuiamo ad approfondire il rapporto tra le nuove generazioni militanti e il pensiero di Romano Alquati. Un pensiero incarnato in un metodo, un metodo incarnato nelle trasformazioni della composizione di classe e della specifica civiltà capitalistica. È quanto sostiene Veronica Marcio, autrice di questo prezioso contributo. L’autrice ipotizza dunque cosa può voler dire mettere collettivamente a verifica alcune categorie e questioni proprie di un discorso teorico incompleto. È esattamente l’incompletezza delle sue ipotesi, tuttavia, che può divenire per noi oggi griglia di lettura e valutazione della realtà contemporanea, invece che repertorio di risposte certe su di essa.

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Alla domanda sul perché riprendere in mano il pensiero e gli scritti di Romano Alquati oggi, si potrebbe rispondere in tanti modi. Anzitutto ricostruendo una bibliografia dei suoi lavori, passaggio decisamente necessario al fine di collocarne storicamente le riflessioni. Non è però compito di questo scritto elencare o soffermarsi su tutti i testi che compongono l’enorme quantità di riflessioni alquatiane, perlopiù inesplorate. Mi limiterò a ipotizzare cosa può voler dire provare collettivamente a incarnare alcune categorie e questioni proprie di un discorso teorico incompleto, almeno quello che è legato alla sua produzione teorica dagli anni Ottanta in avanti. È esattamente l’incompletezza delle sue ipotesi che può divenire per noi oggi griglia di lettura e valutazione della realtà contemporanea, invece che repertorio di risposte certe su di essa. 

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bollettinoculturale

Introduzione al concetto di "capitalismo di stato" in Charles Bettelheim

di Bollettino Culturale

capitalismo socialismo finanziario 1200x675L’analisi del carattere della formazione sociale sovietica è stata ed è oggetto di accesi dibattiti tra intellettuali dalle più diverse sfumature teoriche e politiche. Questo lavoro si propone di analizzare un'interpretazione secondo la quale la formazione sociale sovietica sarebbe un tipo particolare di capitalismo, il capitalismo di stato, come proposto dall'economista francese Charles Bettelheim.

Bettelheim iniziò a utilizzare il concetto di capitalismo di stato alla fine degli anni '60, tuttavia, ricevette una spiegazione più dettagliata in “Le lotte di classe in URSS”. Quest'opera, composta da tre volumi (di cui solo i primi due sono disponibili in italiano), rappresenta uno sforzo dell'autore per "riesaminare" il passato dell'URSS, analizzando i momenti decisivi che ha attraversato questa formazione sociale. Cercherò di analizzare il concetto di capitalismo di stato proposto da Bettelheim nei primi due volumi de Le lotte di classe in URSS.

Bettelheim propone un'analisi che ha come argomento centrale la natura dei rapporti di produzione e il carattere delle forze produttive generate nell'ambito di queste relazioni, concentrandosi, allo stesso tempo, sui processi della lotta di classe che hanno configurato questo specifico assetto sociale. Per Bettelheim, sotto la copertura della proprietà statale, furono mantenuti nell'URSS rapporti di produzione simili a quelli dei paesi capitalisti. Il carattere limitato delle trasformazioni nei rapporti di produzione sarebbe l'origine di processi che cumulativamente sfociano nel fallimento del processo rivoluzionario e nella riproduzione dei rapporti capitalistici sotto forma di capitalismo di stato.

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lafionda

La Comune di Parigi e il problema della rivoluzione

di Marco Montelisciani

[Estratto della prefazione al volume La Comune di Parigi. Raccolta di otto conferenze di Arturo Labriola]

Comune di Parigi 1 800x534 1Il volume che viene qui pubblicato raccoglie la trascrizione di otto conferenze tenute da Arturo Labriola nel 1906, in occasione del trentacinquesimo anniversario della Comune di Parigi. Per chi, come gli uomini e le donne di questa nostra contemporaneità, ha avuto in sorte di vivere in un tempo post, in un «tempo senza epoca»[1], nel quale si presentano «davanti a noi solo avvenimenti, niente eventi»[2], può risultare persino spiazzante l’approccio all’insieme degli avvenimenti di cui questo libro tratta e al modo politico, parziale, partigiano, ma non per questo privo di rigore, in cui l’autore ne dà conto. Appunto, perché l’insieme degli avvenimenti qui narrati, analizzati e commentati costituisce un evento, inteso come un fatto nel quale e attraverso il quale si esprime una forza capace di dire l’epoca. Un evento che si frappone nel preteso continuum della storia, per sostituire alla consolatoria apparenza di uno scorrere la realtà conturbante di un irrompere. In questo irrompere che dice l’epoca, che impone un ritmo nuovo e diverso al movimento che gli esseri umani compiono nel terreno discreto e nient’affatto fluido della storia, risiede l’arcano della Comune di Parigi, del suo fascino, della persistenza del suo mito, dell’interesse e dei dibattiti che, dopo centocinquanta anni, ancora oggi suscita.

Il bagno di sangue proletario riservato a Parigi dalla reazione del governo repubblicano di Thiers chiude il secolo breve delle rivoluzioni in Francia.

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machina

Alquati, «meglio parlarne applicandolo»

di Francesco Bedani e Francesca Ioannilli

0e99dc 925117f30f164d77a90714d64be53a20mv2Come è noto, Romano Alquati è stata una figura centrale dell’operaismo politico italiano; meno noto il percorso successivo, negli anni Settanta e poi negli Ottanta e Novanta, in cui continua e approfondisce la sua elaborazione e modellizzazione del capitalismo contemporaneo. Comunque, nonostante la notevole produzione teorica, la centralità politica delle lotte che hanno investito la società nella seconda metà del Novecento e le avanzate analisi sul passaggio dal ciclo produttivo al ciclo riproduttivo, la figura di Alquati sconta a oggi alcuni limiti. La complessità delle sue elaborazioni da una parte e la scarsa diffusione dei suoi scritti dall’altra, lo mantengono confinato entro poche e ristrette cerchie di studiosi e militanti. Ostile se non dichiaratamente nemico tanto dell’attivismo politico in senso volontaristico quanto dell’opinionismo, il suo è un pensiero radicale, difficilmente circoscrivibile a una particolare disciplina.

Combattendo sia il rifiuto della sua complessa ricchezza in nome di un nuovismo superficiale e sradicato, sia la tentazione del culto della marginalità, dell’agiografia o dello specialismo per piccoli circoli, in questo articolo Francesco Bedani e Francesca Ioannilli – militanti delle nuove generazioni – spiegano con chiarezza teorica e politica perché Alquati va conosciuto, studiato e utilizzato. 

Per approfondire si veda il volume curato da Bedani e Ioannilli Un cane in chiesa. Militanza, categorie e conricerca di Romano Alquati (collana Input di DeriveApprodi, 2020). A giugno DeriveApprodi avvierà la pubblicazione o ripubblicazione dei principali testi alquatiani a partire da un inedito, l’ultimo suo testo: Sulla riproduzione della capacità umana vivente. L’industrializzazione della soggettività. 

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cumpanis

Pasolini, “Le ceneri di Gramsci”

di Laura Baldelli 

“Di quel Gramsci, che negli anni ’40 era stato figura centrale nella sua formazione e punto di riferimento, specie riguardo al ruolo dell’intellettuale nella creazione e valorizzazione di una cultura popolare e nazionale; e del quale, appunto, non rimangono che ceneri”

Pasolini GramsciPasolini si conferma sempre più tra i più grandi intellettuali del’900, di respiro europeo, un artista fuori del tempo per le sue intuizioni artistiche e sociali; un autore prolifico dalla produzione poliedrica, originale nei vari generi e linguaggi: saggistica, letteratura, cinema, pittura, teatro. Lavori che hanno origini e spinte autobiografiche, ma anche sostenute da un’ideologia forte e da un’intenzione pedagogica.

Tutta l’opera di Pasolini nelle sue varie forme artistiche, ordinata cronologicamente, racconta la storia d’Italia, soprattutto dagli anni ’50 ai ’70, i decenni della rivoluzione antropologica: il passaggio da popolo a massa.

Pasolini riconobbe però nell’espressione lirica il suo canale privilegiato e la sua produzione poetica addirittura fu concepita come “letteratura espressione di appassionata testimonianza di vita” e veicolo d’idee; proprio in un momento storico-letterario in cui invece il successo era tutto per la lirica ermetica, post-ermetica e nuove avanguardie emergevano.

Infatti, con “Le ceneri di Gramsci” scelse contro corrente “la poesia civile” e la tradizione nella forma metrica, recuperando le terzine di enjambement, di endecasillabi con la ricerca della rima incatenata come Dante e Pascoli, considerandola il metro narrativo per eccellenza (non a caso la Divina Commedia fu scritta così) e soprattutto la forma migliore per esprimere la passione.

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machina

Ripartire dall’alto

di Mario Tronti

0e99dc ac32e0149b37454e9c79d54d98515f20mv2Venerdì 22 aprile 2016, alla mediateca Gateway di Bologna, si è svolta un’intensa e articolata giornata seminariale con Mario Tronti. Per la prima volta pubblichiamo la trascrizione della sua relazione, rimasta finora inedita. Era da poco uscito Dello spirito libero (il Saggiatore, 2015), libro di straordinaria ricchezza e radicalità, che offre molteplici spunti di discussione, decisive tesi e ipotesi di ricerca teorico-politica. Il seminario ha focalizzato in particolare tre grandi questioni: la critica del moderno, della democrazia e della tecnica. Qui Tronti affonda la lama politica del suo pensiero, ancora una volta senza lacrime per le rose. Perché, come scrive nel libro, «il pensiero è nemico mortale dell’opinione. L’opinione, infatti, lo odia. Arriva, ma lo devi meritare per averlo, uno stato d’eccezione del discorso, dove sovrano è chi pensa. Poi, dopo il lampo abbagliante, devi di nuovo abituarti alla normalità grigia o oscura».

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Per la critica del moderno 

Il libro è di frammenti, è molto scomposto nella sua articolazione, quindi ognuno ci trova qual è il suo problema. Credo sia giusto così, perché un libro deve suscitare problemi, non deve tanto risolverli. Deve richiamare i problemi che hanno in corpo e nella testa le persone che leggono, soprattutto le persone impegnate in questa forma anomala di amicizia. Amicizia è un termine ambiguo, è molto esposto alla pappa del cuore.

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perunsocialismodelXXI

Politicamente corretto

Un'ideologia autoritaria e violenta

di Carlo Formenti

george orwell origNel momento in cui la pandemia sta provocando centinaia di migliaia di morti e milioni di disoccupati e nuovi poveri, per tacere della sospensione della democrazia decretata dalla nomina di Mario Draghi a proconsole della provincia italiana da parte delle oligarchie occidentali che preparano una nuova guerra mondiale per uscire dalla crisi, la sinistra non trova niente di meglio che eleggere a proprio eroe un giullare di regime come il rapper e influencer Fedez, o spendersi per l’approvazione di una legge (presentata dal Pd Alessandro Zan) che andrebbe a rafforzare la rete di lacci e laccioli con cui l’ideologia del politicamente corretto imbriglia la libertà di espressione. Opporsi volta per volta alle mosse di questa politica che conduce a piccoli passi verso l’instaurazione di un regime al cospetto del quale i cosiddetti “totalitarismi”, contro i quali veniamo quotidianamente sollecitati a protestare, ci sembreranno modelli di libertà, non basta più: è il momento di lanciare una controffensiva sistematica e, visto che le forze politiche che dovrebbero condurla sul terreno politico e istituzionale sono al momento deboli, soverchiate dal rumore mediatico, il fronte principale su cui combattere è quello della lotta ideale, a partire dalla decodificazione dei legami che unificano le varie manifestazioni di questa offensiva “libertaria”, dietro alla quale si celano in realtà precisi interessi di classe ed esplicite mire autoritarie.

Occorre aiutare chi tende a formarsi un’opinione su questa o quella singola questione a cogliere il quadro d’assieme, a capire le dimensioni e la pericolosità di un’operazione di indottrinamento di massa in corso a livello mondiale (sia chiaro che non alludo a un oscuro “complotto”: a creare le condizioni che consentono a interessi, aspirazioni, ideologie e progetti politici di convergere, fino a generare uno “spirito del tempo”, sono precisi processi di trasformazione materiale).

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tempofertile

Nancy Fraser, “Capitalismo. Una conversazione con Rahel Jaeggi”

di Alessandro Visalli

capitalismoPer i tipi di Meltemi, collana Visioni Eretiche, diretta da Carlo Formenti, è uscito nel 2019 questo impegnativo libro, sotto la poco usuale forma di un dialogo tra le due autrici. Il testo affronta l’ambiziosa impresa di fare il punto su come si possa sviluppare oggi una descrizione generale ed una critica al capitalismo. Le due autrici hanno una formazione piuttosto diversa: Nancy Fraser, settantadue anni, insegna scienze politiche e sociali e filosofia alla New School di New York, è Presidente della divisione est dell’American Philosophical Association, è stata a lungo condirettore di Constellations[1]. Dal punto di vista accademico e della influenza editoriale è certamente una donna di potere. Laureata nel 1969 e dottorata nel 1980, attraversa biograficamente tutta la parte ascendente del movimento libertario americano. Si specializza nel corso degli anni novanta nell’articolazione del concetto di “giustizia”, per il quale distingue due dimensioni reciprocamente separate, ma correlate: la giustizia distributiva e la giustizia del riconoscimento. Seguendo la traccia di questa concettualizzazione la Fraser è giunta al termine a sostenere che i movimenti identitari, concentrati sul riconoscimento di diverse identità di gruppo all’interno della società, hanno compiuto l’errore di trascurare l’altra dimensione correlata della distribuzione. Di qui è passata a criticare il femminismo liberale, come abbiamo visto in alcuni suoi recenti articoli[2], come in un libro del 2013[3] e nel recente manifesto “Femminismo per il 99%[4].

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la citta futura

Lenin e il taylorismo proletario

di Marco Beccari e Domenico Laise

Lenin mostra, già prima della rivoluzione, un interesse per l’organizzazione scientifica del lavoro di Taylor, mettendo in guardia i bolscevichi dal non commettere l’errore, simile a quello dei luddisti, di combattere il taylorismo in quanto tale e non il suo uso capitalistico

5d7d2a237a4683e5c45b021802a448c4 XLQuesto articolo trae spunto dal seminario “L’organizzazione del lavoro nella fabbrica capitalistica” tenuto da Domenico Laise per l’Università Popolare A. Gramsci nell’anno accademico 2018-2019. [1]

Nel 1913 Lenin partecipa a un convegno sul taylorismo a San Pietroburgo. Nello stesso anno scrive un primo articolo, molto critico, comparso sulla “Pravda”, dal titolo: Il sistema scientifico per spremere sudore [2]. Tale sistema è quello elaborato e sperimentato da Taylor, con il quale: “si spreme il sudore secondo tutte le regole della scienza”. Lenin si domanda innanzitutto: ”In che cosa consiste questo sistema scientifico?” La risposta è: “Nello spremere dall’operaio tre volte più lavoro in una eguale giornata lavorativa”. Precisa inoltre che “il progresso della tecnica e della scienza significano nella società borghese il progresso nell’arte di spremere il sudore”.

Un anno dopo, nel 1914, Lenin ritorna sul tema e scrive un altro breve articolo dal titolo: Il taylorismo asserve l’uomo alla macchina [3].

Lenin, in questo nuovo articolo, premette che “il capitalismo non può segnare il passo nemmeno un istante … La concorrenza … costringe … ad inventare sempre nuovi mezzi di produzione per ridurre i costi di produzione. E il dominio del capitale trasforma tutti questi mezzi di produzione in strumenti per opprimere ancora di più l’operaio”. Il taylorismo è simile, cioè, alle altre innovazioni scientifiche. Esso è, difatti, una innovazione scientifico-organizzativa che accresce la forza produttiva del lavoro sociale, vale a dire è un veicolo che accresce la produttività del lavoro sociale.

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carmilla

Ignoranza della storia e assenza di futuro

di Armando Lancellotti

Adriano Prosperi, Un tempo senza storia. La distruzione del passato, Einaudi, Torino, 2021, pp. 128, € 13.00

art gaudio copertina 1L’ultimo libro di Adriano Prosperi – professore emerito presso la Scuola Normale Superiore di Pisa – è la lezione magistrale di uno storico di grande spessore che, in un intreccio di riferimenti che spaziano dalla storiografia alla filosofia, dalla sociologia all’antropologia e all’analisi economico-politica, affronta, in poco più di cento pagine, una materia oltremodo complessa e magmatica, quella delle intricate relazioni tra tempo, memoria, storia, realtà presente e prospettive future. Si parla di memoria, quindi, che innanzi tutto è una funzione psichica umana, incerta e fragile per la sua limitatezza soggettiva, ma è anche la memoria collettiva, fatta di ricordi ed esperienze comuni, di un canone da tramandare alle generazioni successive e poi, ancora, è la memoria del testimone, materia preziosa su cui lo storico è chiamato ad esercitare il proprio accorto lavoro di comprensione e conoscenza, così come sulla memoria intesa come immenso accumulo di dati e documenti che le istituzioni preposte selezionano, archiviano e conservano, salvandolo dagli abissi dell’oblio. Perché il ricordare è sempre necessariamente connesso al dimenticare ed è proprio nell’equilibrata e corretta interazione tra memoria ed oblio che si costruisce un buon rapporto col passato e con la storia. Quella storia – spiega Prosperi – che per lo storico è innanzi tutto historia rerum gestarum, storiografia, ossia narrazione delle vicende umane, che è altra cosa dalla storia intesa come l’insieme di quelle stesse concrete vicende umane, che a loro volta si distinguono dalla realtà naturale del mondo in cui sono sempre collocate, nonostante gli uomini, soprattutto i contemporanei, tendano a dimenticarlo e a trascurarne l’importanza, con conseguenze che la pandemia che stiamo vivendo dimostra al di là di ogni dubbio.

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ilpedante

L'afasia e l'ultramondo

di Il Pedante

ultram181.

Rincasavo a notte fonda dopo una serata con gli amici. Camminando notai un uomo inginocchiato sul marciapiede, con la fronte che toccava terra. Da un certa distanza, sembrava quasi un fedele prostrato alla Mecca. Mi avvicinai e vidi che muoveva la testa ansimando. Mi avvicinai ancora e capii che non stava pregando, ma leccava forsennatamente l'asfalto, come un morto di fame. Mi rivolse uno sguardo allucinato. Io abbassai il mio e mi allontanai in fretta senza voltarmi.

2.

«Il monito del vescovo: dire no al vaccino significa non essere cristiani».

3.

«Quell'essere senza occhi seduto al tavolo di fronte se l'era bevuta con l'entusiasmo del fanatico e avrebbe snidato, denunciato e vaporizzato come una furia chiunque avesse fatto notare che fino alla settimana precedente la razione di cioccolato era stata di trenta grammi».

4.

Il Partito vi diceva che non dovevate credere né ai vostri occhi né alle vostre orecchie. Era, questa, l'ingiunzione essenziale e definitiva.

***

Per quanto siano distanti, le opinioni possono solo confrontarsi su un terreno comune e ancorarsi a un denominatore che definisca il quadrante dello scontro.

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operaviva

Nuovi bisogni emancipativi

Hans-Jürgen Krahl (1943-1970)

di Massimiliano Tomba

KXJJXN 1ok 1628x1089Movimenti antiautoritari nella società tardocapitaliste

Il nome di Hans-Jürgen Krahl è indissolubilmente legato al ’68 tedesco. La sua morte, in seguito ad un incidente stradale nel febbraio 1970, fu sentita come una indubbia perdita per il movimento di emancipazione nelle metropoli. “La breve biografia politica di Hans-Jürgen Krahl, la cui attività di agitatore e il suo lavoro teorico hanno contribuito significativamente a determinare la politica del movimento di protesta, riflette il processo di formazione di molti giovani della sinistra che non ritrovano più un nocciolo razionale in un partito comunista rivoluzionario e che intrapresero un lungo tragitto di tradimento nei confronti della loro classe borghese rifuggendo le garanzie del potere ricevute in eredità”1. Allievo di Adorno, con il quale si addottora con una Dissertazione dal titolo Naturgesetz der kapitalistischen Bewegung bei Marx (La legge naturale del movimento di capitale in Marx), Krahl si confronta costantemente con la riflessione della Scuola di Francoforte e la tradizione della filosofia classica tedesca, cercando di ripensarne i fondamenti nella direzione di un percorso teorico intrecciato alla prassi politica. Al centro di questa riflessione c’è l’analisi dei rapporti economici e sociali dei sistemi di dominio tardocapitalistici. Un tema presente nelle discussioni dei movimenti antiautoritari della fine degli anni Sessanta.

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perunsocialismodelXXI

Bordiga, ovvero il ritorno del rimosso

di Carlo Formenti

bordigaPerché parlare di Amedeo Bordiga? Lo spunto mi è venuto dalla lettura di un’antologia di testi del primo leader del Partito Comunista d’Italia, tradotti in inglese e pubblicati da un editore di Boston a cura di Pietro Basso: The Science and Passion of Communism. Selected Writings of Amedeo Bordiga (1912-1965). Anche se, a dire il vero, era da tempo che mi tentava l’idea di ragionare su questa ingombrante figura storica del marxismo italiano, sia perché la mia prima esperienza di militanza politica (parlo del 1962-63, anni in cui ero poco più che adolescente), fu in una formazione bordighista; sia perché ho sempre pensato che la damnatio memoriae alla quale Bordiga è stato condannato dal Partito Comunista Italiano sia stata un grave sbaglio, da un lato perché i suoi errori teorici e politici non furono tali da giustificare questa rimozione totale, dall’altro perché proprio analizzando quegli errori – invece di rimuoverli -, assieme ad alcuni suoi illuminanti contributi sulle tendenze del capitalismo dopo la Seconda guerra mondiale, si sarebbe potuto arricchire il patrimonio teorico del marxismo contemporaneo.

Il lavoro di rimozione è stato molto accurato, per cui immagino che moltissimi compagni (soprattutto se al di sotto dei cinquanta - sessant’anni) non sappiano nemmeno chi fosse. Perciò credo sia prima di tutto il caso di tracciarne un sintetico profilo biografico. Nato a Ercolano nel 1889, Bordiga ha compiuto il suo apprendistato politico nella federazione giovanile del Partito Socialista, a partire dal 1910. In quegli anni i socialisti erano in grande crescita: nelle varie leghe erano inquadrati più di un milione e mezzo di lavoratori, e il partito controllava la CGIL, nata nel 1906.

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contropiano2

L’oracolo di Essen. Per un esercizio di militanza rivoluzionaria

di Filippo Violi

oracolo essenSillogismi, ragionamenti contrapposti, contraddittori (antilogia), vogliono provare che le stesse cose possono essere buone o cattive, giuste o ingiuste. Ad esempio che le navi si scontrino, per l’armatore è male, ma per i costruttori è bene. Che un prezzo di un bene prodotto dalla terra aumenti per l’agricoltore è positivo per il commerciante è negativo. E si possono mettere giù milioni e milioni di esempi a tal proposito.

Attraverso questa tesi, Protagora (in ragionamenti demolitori) cercava di allenare i discepoli alla discussione. E questa potrebbe essere una delle tante linee di pensiero (o di fuga) che percorrendola incontra, su un avamposto militante, il manoscritto “Servire Dio e Mammona”, di Leo Essen, edito da L’Antidiplomatico 2021.

Ma ce ne sarebbero tante altre, come ad esempio la tendenza a cercare nell’uomo – e non fuori – i criteri del pensiero, lo studio, l’analisi razionalistica e allo stesso tempo antiaccademica che mette tutto in discussione e non accetta nulla se non attraverso il vaglio critico, e quindi lo scontro, o la discussione in senso agonistico per dirla ancora con Protagora.

Oppure, l’inclinazione verso la dialettica e il paradosso tipica dei sofisti, col tentativo però di andare oltre lo sterile relativismo conoscitivo e morale, semplicemente seguendo la passione incondizionata per la verità e il rifiuto di ridurre la filosofia a retorica fine a se stessa.

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materialismostorico

Crisi storiche e naturalismo capitalistico 

di Stefano G. Azzarà (Università di Urbino)

Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0

82188faf8d5e66960e5623c9fbe4ab28 XLLe crisi acute mettono in evidenza le contraddizioni, le fragilità e linee di faglia di ogni società storica come di ogni sistema politico e economico. In tutte le epoche, guerre su vasta scala, cadute repentine della produzione, eruzioni rivoluzionarie, terremoti, carestie ma anche epidemie hanno interrotto il normale funzionamento della vita delle nazioni e hanno sottoposto a stress imprevisti i loro assetti, conducendole a volte anche al collasso quando queste tensioni superavano il livello di soglia e in particolare quando potevano far leva su fratture profonde pregresse che sino a quel momento erano rimaste più o meno celate o erano state in qualche modo suturate. Così che sarebbe interessante completare l’indagine di Walter Scheidel sull’impatto livellatore e redistributivo dei «Quattro Cavalieri» – «guerre di massa, rivoluzioni trasformative, fallimenti degli Stati e pandemie letali» – indagando «se e come» la presenza di gravi forme di disuguaglianza sociale o altre asimmetrie abbiano potuto «contribuire a generare questi shock violenti»1.

Sotto questo aspetto, le società capitalistiche, e tanto più quelle avanzate come la maggior parte dei paesi appartenenti alla civiltà occidentale, dovrebbero comunque dimostrarsi in linea di principio avvantaggiate rispetto alle società tradizionali o a quelle improntate a una diversa organizzazione della produzione e della riproduzione. Per quanto certamente più complesse delle formazioni sociali precedenti o di quelle concorrenti, come già Gramsci aveva compreso nel cartografare la loro «robusta catena di fortezze e di casematte»– una complessità che per il suo pluralismo, oltretutto, viene di solito fatta valere anche come una caratteristica positiva di fronte a possibili configurazioni alternative e più centralizzate del legame sociale –, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra queste società hanno in gran parte superato il problema della sussistenza e dei bisogni primari su scala di massa.