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La misura della Catalogna

di Stefano G. Azzarà

Il governo spagnolo doveva fare - in maniera intelligente, però, e in modo da evitare vittimismi - ciò che da comunisti avremmo chiesto a qualunque governo italiano, in caso di imminente pericolo di secessione ovvero di attentato verso la democrazia moderna.

Il colore politico contingente delle forze in campo (che comunque non è univoco) non conta nulla, come nulla conta a legittimare quanto accade oggi ciò che accadde quasi un secolo fa. Contano soltanto la situazione concreta e le tendenze storico-politiche reali in atto.

All'estremo della reazione si collocano le forze secessioniste, e anche per quelle per le quali è più facile, il richiamo alla Guerra civile spagnola rimane solo un orpello retorico che rovescia il significato di quegli accadimenti. Un ruolo oggettivo di progresso incarnano invece le forze che difendono lo Stato nazionale, con tutti i limiti e le contraddizioni di questo Stato, persino al di là della loro consapevolezza e volontà.

La frantumazione regionale (che cavalca le forme ideologiche più varie) e la formazione di assetti geo-economici a geometria variabile sono parte integrante della distruzione delle istituzioni democratiche. Essi non conducono affatto a una riproposizione del processo democratico su scala continentale ma impediscono semmai di pensare ad un processo di costruzione del Grande Spazio europeo che salvaguardi l'equilibrio nei rapporti di forza politico-sociali e costruisca nuove forme di redistribuzione del potere e della ricchezza.

Siamo di fronte a un'irruzione della storia che - come sempre accade - ci obbliga al giudizio politico e che sul terreno politico, oltre che su quello teorico, ci prende le misure e opera selezione.

In questo senso, la brillante e chiarissima posizione di Podemos e dei comunisti spagnoli sulla Catalogna - alla quale si accodano i comunisti in Italia per paura di prendere posizione e di scandalizzare i benpensanti o per non perdere due o tre pezzi che te li raccomando -, è come se di fronte a una provocazione secessionista della Lega noi avessimo chiesto federalismo, che già di per se è secessione fiscale ovvero l'unica cosa che vogliono e che realmente conti.

Questa è invece, come dicevo, una occasione di selezione.

Non solo è impossibile l unità della sinistra, ma anche quella dei comunisti è una chimera per il prossimo secolo.

P.S.

Tutti voi, del resto, recandovi in vacanza a Barcellona, avete potuto constatare di persona il profondo stato di oppressione e umiliazione nazionale dei catalani di oggi.

Sono persino costretti da leggi autoritarie e razziste a contribuire alla fiscalità generale della Spagna, sebbene con importanti eccezioni. E si vedono così espropriata una quota importante delle loro tasse, nonostante la profonda differenza etnica che distingue queste tasse repubblicane e anarchiche - ingiustamente sottoposte a deportazione di massa - da quelle, chessò, della miserabile e monarchica Estremadura, o dell'Andalusia franchista.

Come definire se non fascista, allora, la Spagna del 2017?

Comments

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Emilio Palacios
Tuesday, 10 October 2017 12:41
Sóc federalista catalano. Credo che gli indipendentisti catalani partono da due apriorismi non dimostrabili: (1) lo Stato spagnolo non ha soluzione possibile, e (2) una Catalogna indipendente sarebbe una conquista "progressista" che potrebbe praticamente garantire la parità e il benessere sociale, indipendentemente da chi governa e senza considerare enorme potere di condizionamento delle grandi società finanziarie e commerciali. Che cosa perseguono realmente gli indipendenti? Convertire la Catalogna in un paradiso fiscale. Sarà l'unico modo per mantenere uno stato al di fuori dello spazio europeo.
D'altra parte, la classe operaia non viene presa in considerazione in qualsiasi momento. Solo le classi medie urbane (funzionari e piccoli commercianti) e quelli rurali sono il sostentamento dell'indipendenza.
A proposito, voglio ricordare all'autore dell'articolo che sono vietati insulti e accuse non motivate da commenti su articoli. Mi libera di usare insulti come la tua dedicata a Extremadura e Andalusia. Tuttavia, voglio dire che l'autore dell'articolo è un immorale a causa dei suoi insulti.
Una Catalogna indipendente sarebbe immediatamente integrata nell'ordine globale neoliberale e chi crede diversamente non saprà quale sia la reale correlazione delle forze europee e internazionali. Infine, non si vede come la giustizia sociale possa essere garantita in una Catalogna indipendente con il personale politico molto mediocre esistente oggi e con il potere dell'oligarchia finanziaria e commerciale assolutamente intatto.
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Eros Barone
Sunday, 08 October 2017 13:10
Giusto: "Contano soltanto la situazione concreta e le tendenze storico-politiche reali in atto". E' il criterio leniniano dell'analisi concreta della situazione concreta.
Semmai, dal punto di vista storico, sarebbe un utile elemento di riflessione, per calmare il delirio avventuristico di coloro che a sinistra sostengono acriticamente un movimento borghese basato sul privilegio economico e sul fondamentalismo etnico, quale è, in buona sostanza, il secessionismo catalano, ricordare l’ammonimento che l’irlandese James Connolly (1868-1916), sindacalista e rivoluzionario di orientamento marxista fucilato dagli inglesi per il ruolo dirigente da lui svolto nella Rivolta di Pasqua del 24 aprile del 1916, indirizzava ai suoi compagni indipendentisti: “Se cacciate l’esercito britannico domani e issate la bandiera verde sul castello di Dublino senza però creare una repubblica socialista, tutti i vostri sforzi saranno stati vani, e l’inghilterra continuerà a dominarvi attraverso i latifondisti, i capitalisti e le sue istituzioni commerciali”.
Nel frattempo, la classe operaia catalana, gran parte della quale proviene dalla Spagna, parla spagnolo e rifiuta la secessione (non la borghesia catalana che egemonizza quel movimento, non la borghesia castigliana che si appresta a reprimerlo ‘manu militari’), sta subendo, ad opera dei secessionisti di quella regione, una delle più nefaste operazioni di divisione che siano mai state poste in atto. In Italia vi è, rispetto al processo innescato in Catalogna, solo una differenza di grado ma non di qualità, poiché lo scopo finale del referendum del 22 ottobre promosso dai caporioni leghisti Maroni e Zaia è, dal punto di vista politico-propagandistico, lo stesso. Si tratta, cioè, di un progetto cripto-secessionista, i cui effetti divisivi colpiscono, in prima istanza, la classe operaia italiana, anche se, a causa dei bassi livelli di coscienza politica e delle politiche concertative dei sindacati collaborazionisti, non sembrano risultare sgraditi, per via dei localismi manifatturieri, a buona parte delle sue frazioni lombarda e veneta.
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