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L’Occidente nella gabbia del nichilismo

Marco Dotti intervista Miguel Benasayag

Due movimenti guidano la nostra società: da un lato, la promessa si vivere una condizione post-mortale, priva di doveri e confini; dall’altro, l’assoluta impotenza di quella promessa, che cade davanti alla complessità del reale. I giovani sono le prime vittime del sogno fallito dell’Occidente: irrisi nella loro ricerca di fede, derisi quando chiedono ordine e forma, si vedono negare il conflitto, unica, vera risorsa per uscire dalla brutalità dei nostri tempi tristi. Ne parliamo con lo psicoanalista argentino Miguel Benasayag.

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Abbiamo negato il conflitto ma non abbiamo eliminato brutalità e violenza…

Penso che ogni compressione innaturale della conflittualità ogni ricerca di cancellare i conflitti conduce inevitabilmente allo scontro. Viviamo nel mezzo di due culture che hanno una struttura speculare. In Occidente e nella sua banlieue, siamo circondati da un movimento che tende a dire “tutto è possibile, tutto è lecito, ogni frontiera va abolita, bisogna godere senza limiti, l’immortalità è qui, l’uomo biologico è superato”. A questo sogno -o incubo – di superare ogni limite o frontiera, si accompagna una realtà di impotenza assoluta. Questo è il paradosso di ciò che chiamiamo “Occidente”

 

Come se le promesse venissero fatte al solo fine di non vederle realizzate…

Noi che viviamo in un sogno fatto di promesse di potenza assoluta, viviamo al contempo in una realtà fatta di assolute impotenze.

 

Questo fatto ha comportato conseguenze radicali…

Ha comportato una disciplina totale: la gente non solo ha paura, ma ha paura di tutto. Ha paura della minaccia ecologica, di quella democratica, della minaccia alla salute con l’emergere di vecchie e nuove malattie, ha paura di perdere il lavoro e persino di trovarlo. L’Occidente è preso tra due forze opposte, da un lato le promesse di onnipotenza sott0 condizione di obbedire e dall’altro la realtà di impotenza che genera paura. Questa pervasività di minaccia e impotenza, di delirio di onnipotenza e di asservimento volontario è una caratteristica delle nostre società. Tutti parlano di minacce, ma nessuno conduce la propria vita come se queste minacce fossero davanti a lui.

 

Un ruolo cruciale nella costruzione di questa tenaglia post-ideologica è svolto dai mezzi di comunicazione…

Infatti siamo tutti sovra-informati sulle minacce che ci sovrastano, ma tutti siamo incapaci di reazione. Siamo come bambini paralizzati dalla paura

 

In forma speculare abbiamo la rinascita del fanatismo pseudoreligioso…

L’integralismo, in particolare quello dell’Isis, è una forma speculare rispetto alla promessa dell’Occidente, perché in maniera simmetrica afferma che non tutto è possibile, l’uomo deve obbedire a leggi sacre, eterne, immutabili. Viviamo in una realtà molto dura, nel cuore di un confronto manicheo tra due visioni assolutiste e pericolose.

 

I giovani sembrano le vittime designate di questa logica perversa…

Gli vengono lasciate due opzioni: la prima, essere disciplinati e cercare di avere un posto al sole, senza pensare ad altro che a quel posto al sole; l’altra è ribellarsi contro questa forma di nichilismo, ma con un impegno che li spinge in un nichilismo fanatico complementare al primo. Entrambi i nichilismi, indicano nell’altro il regno della barbarie e del caos. Sono due lati di uno stesso specchio: se ci guardi attraverso, vedi dall’altra parte dei barbari. Ma se ti sposti dall’altro lato e guardi verso questo, che cosa vedi? Altri barbari.

 

Torniamo al conflitto…

La questione del conflitto è l’unica possibilità che due blocchi, che si confrontano in forma manichea e chiusa, possano divenire molteplicità. Il conflitto ci permette di dire che ci sono molti “occidenti” in Occidente e molti “orienti”, in Oriente. La molteplicità è conflittuale, e sviluppare la conflittualità è l’unica strada per uscire dal manicheismo guerriero. In questo senso, penso che il nostro lavoro di adulti, ossia di persone che hanno responsabilità tra i giovani, sia quello di aiutare non a obbedire, ma ad assumere la sfaccettata, multiforme, conflittuale realtà della vita.

 

Bisogna evitare che il conflitto cada in una zona oscura e che le domande vere, anziché esprimersi o trovare risposte, siano accolte con disprezzo o sufficienza…

Io lavoro molto nella banlieue, con ragazzi musulmani. Questi giovani hanno dentro di loro una domanda vera, una questione che si muove attorno e contro questo nichilismo e contro questo mondo che schiaccia la vita. Da un punto di vista psicoanalitico e psichiatrico, il delirio è una risposta sbagliata a una vera questione. La domanda è vera e la sfida anche, ma la risposta è più che sbagliata. Ma d’altro canto, l’alternativa del “divertitevi, divertitevi e non pensate a niente” è inefficace. Tanto più lo è quando l’alternativa è possibile solo per alcuni, ossia per coloro che varcano i confini col lasciapassare del denaro senza problemi di sorta…

Molti giovani di orgine straniera sono portatori di una domanda di fede. La risposta che viene loro data è di disprezzo e irrisione. Non dobbiamo deridere la richiesta di senso di questi ragazzi, dobbiamo assumerla come sfida e come risorsa o affonderemo in un nichilismo senza fine

L’Europa sembra si voglia rapportare con l’Altro solo in termini di assimilazione….

Questo è un problema enorme, soprattutto in Francia, mentre in Italia lo è leggermente meno. In Francia esiste una credenza alla laicità. Ogni francese si pensa cartesiano e si crede illuminista, quindi guarda con sufficienza ogni esperienza di religiosità. Per il francese medio, chi è religioso è automaticamente un oscurantista quindi la reazione del francese medio diventa brutale. In generale, anche dove è meno dura questa tendenza – come in Italia – c’è l’idea che ogni chiamata all’integrazione sia un ordine di disintegrazione. “Disintegrati! Rifiuta le tue origini, rifiuta la tua cultura e quando non sarai più niente io integrerò i frammenti che rimangono”. Questa è la logica del discorso sull’integrazione, che apparentemente è molto umanista, ma è in realtà violenza allo stato puro.

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