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manifesto

Spagna, due minoranze sull’orlo del precipizio

Massimo Serafini, Marina Turi

La minaccia indipendentista è diventata il nemico perfetto di cui aveva bisogno il governo per continuare indisturbato il massacro sociale e ambientale e le sue politiche di corruzione. L’esile speranza di fermare questa corsa verso il precipizio è legata alla capacità di variare gli obiettivi e l’orientamento delle mobilitazioni

A seguito della dichiarazione della Repubblica Catalana il consiglio comunale di Girona si è riunito e ha dichiarato il re Felipe VI persona non grata. Mentre il consiglio generale della Valle di Arán – diecimila abitanti che parlano occitano – si riunirà lunedì per decidere l’indipendenza dall’indipendenza, perché la maggioranza della valle vuole rimanere in Spagna.

Intanto Pablo Iglesias affida a tre tweet le sue considerazioni sulle dichiarazioni di Rajoy e la convocazione delle elezioni in Catalogna: 1) si deve garantire che il processo elettorale si svolga senza repressione e con il coinvolgimento di tutte le opzioni politiche presenti.

2) continueremo a difendere l’idea che la Catalogna resti in Spagna per contribuire ad un progetto di paese plurinazionale, solidale e fraterno. 3) continueremo a difendere il dialogo e la proposta di un referendum legale e concordato come migliore soluzione alla crisi catalana.

L’indipendenza è il bene. Insomma nulla di nuovo. Anche la sindaca Ada Colau non si stanca di ripetere che è un errore rinunciare a quell’80% a favore di un referendum concordato, per un 48% a favore dell’indipendenza. E dichiara di stare dalla parte di chi costruisce nuovi scenari di autogoverno che diano più democrazia, non meno.

Ripete che lei lavora per una femminilizzazione della politica che vuole l’empatia come pratica per costruire consensi in cui le diversità siano un valore aggiunto.

In dissonanza con le scelte prese da due minoranze che precipitano la Spagna al bordo di un abisso, proprio spaccando la convivenza tra le diversità.

L’avventura secessionista catalana per ora è un grande regalo a Rajoy, capo del partito politico più corrotto dell’Ue, ma che invoca sempre il rispetto della legge. E che la farà rispettare a qualsiasi costo, ripristinando il suo ordine e la sua legalità. E che nessuno si illuda, l’applicazione del 155 non si fermerà alla Catalogna, ma si estenderà ad altre autonomie, come già invocano dal Pp per le regioni di Euskadi, Navarra e Castilla-La Mancha.

Per riformare sì la costituzione del ’78, ma secondo il disegno che hanno in testa il Partito Popolare e le destre. Che potrebbe essere quello di incorporare e attuare anche l’articolo 116 che parla di poteri eccezionali e il coinvolgimento dei militari per garantire l’ordine costituzionale.

Un aiuto agli indipendentisti l’ha dato il Psoe. Poteva, appoggiando la piattaforma di Zaragoza, dare un corso diverso alle cose e sfiduciare il Pp e le destre, dando forza all’idea della Spagna plurinazionale attraverso un referendum concordato. Invece no, ma anche peggio.

Perché nella stessa seduta del congresso che, tra applausi e grida di giubilo, ha deciso di avviare l’applicazione del 155, è stata votata – con l’astensione dei socialisti, come da accordi – l’approvazione del trattato Ceta, l’accordo commerciale liberista tra la Ue e il Canada.

E se la ride Rajoy ora che la notizia dell’anno, l’implicazione del suo Pp nella più grande opera di corruzione europea, è stata eclissata dalla Repubblica Catalana e volutamente dimenticata dai principali mezzi di comunicazione.

La minaccia indipendentista è diventata il nemico perfetto di cui aveva bisogno il governo per continuare indisturbato il massacro sociale e ambientale e le sue politiche di corruzione. Politiche a favore delle loro vere patrie, quelle off-shore ed esentasse.

È indispensabile una nuova ondata di indignazione che non lasci le strade delle città a chi verrà mobilitato in difesa della Dui, cavalcando l’odio sociale contro i Borboni, o da chi lo farà in difesa della unità di Spagna, su cui non può che crescere la peggiore destra fascista.

L’esile speranza che ancora c’è di fermare questa corsa verso il precipizio è legata alla capacità di variare gli obiettivi e l’orientamento delle mobilitazioni. O se ne conquista l’egemonia, togliendola alle forze indipendentiste da un lato e alle destre dall’altro, o la sconfitta sarà inevitabile.

Spazio per riuscirci c’è. Si è visto nello sciopero generale, autoconvocato da una rete di organizzazioni sociali, sindacati, imprenditori e collettivi di base, per manifestare contro la repressione del referendum. C’è spazio per una mobilitazione per una Catalogna sovrana che si riconnetta con la Spagna del 15M che ha sempre gridato per la democrazia a Madrid, per cacciare gli autoritari e i corrotti dal palazzo della Moncloa.

Una opportunità per lottare contro la finanza illegale, l’applicazione selvaggia dell’articolo 155, contro i lacchè di banche europee che hanno distrutto la sanità e l’istruzione spingendo la Catalogna in una avventura senza legittimità democratica. Questa è la sfida per Unidos-Podemos e la sua rete di alleanze e per Sí que es pot, il partito di Ada Colau. Così le elezioni catalane potrebbero essere un boomerang per chi le ha imposte.

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