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Le banche creano moneta ogni giorno: chi si preoccupa della monetizzazione lo sa?

di Lorenzo Di Russo

La monetizzazione del deficit consiste nel finanziamento diretto dei disavanzi statali da parte della banca centrale, tramite l’emissione di nuova moneta. Chi avversa questa soluzione prefigura come conseguenza della sua applicazione scenari iperinflazionistici da Repubblica di Weimar, sostenendo che qualora la BCE, previa una modifica dei trattati, “stampasse moneta” da destinare alle casse dei governi europei, l’aumento diffuso dei prezzi sarebbe inevitabile.

Rimandiamo per adesso l’analisi sulla dubbia fondatezza economica della suddetta ipotesi, in questa sede si vuole semplicemente evidenziarne l’incoerenza. Difatti è difficile comprendere la ragione per cui questi timori inflazionistici si manifestino esclusivamente quando a creare moneta sia la banca centrale per finanziare deficit pubblici, e non quando a fare ciò siano le banche commerciali per finanziare deficit privati.

 

Le banche non prestano il denaro dei depositi…

Il fatto che le banche abbiano facoltà di creare moneta può sembrare strano non solo a chi non è avvezzo alle dinamiche economiche, ma anche a coloro i quali si sono formati su manuali universitari di economia, che a volte propongono descrizioni imprecise sulla materia, sminuendo il grado di autonomia delle banche e attribuendo al loro operato una funzione meramente “moltiplicativa” dello stock monetario.

L’opinione comune è che le banche svolgano una semplice attività di “intermediazione” creditizia, ovvero che si limitino a favorire l’incontro di unità in surplus (i risparmiatori) con unità in deficit (coloro i quali necessitano di risorse). Esse presterebbero dunque una certa quantità di liquidità dei correntisti a soggetti terzi che ne fanno richiesta, ponendo a riserva un determinato quantitativo di moneta con lo scopo di fronteggiare un’eventuale ondata di ritiri simultanei di denaro (la cosiddetta “corsa agli sportelli”). I depositi presso la banca si dividerebbero così tra riserve e prestiti, sui quali ottenere profitti grazie ai tassi d’interesse.

Questa concezione dell’attività bancaria è anacronistica ed inesatta. Come esaustivamente spiegato da Jakab e Kumhof [1], il malinteso origina dall’adozione di un approccio microeconomico per analizzare una questione “macro”. La loro tesi è facilmente comprensibile tramite un esempio: se una banca A deve aumentare l’entità dei depositi per concedere prestiti, è necessario che alcuni dei suoi clienti aumentino le cifre presenti sui loro conti correnti. Questo potrebbe verificarsi qualora i correntisti ricevessero dei bonifici da terzi (ad es: un datore di lavoro) o facessero un giroconto di risorse detenute presso un’altra banca B. Si esclude l’ipotesi di ingenti cifre depositate in contanti, poiché in un’economia sempre più cashless si tratterebbe di un caso marginale.

L’incremento di depositi per la banca A risulterà però essere pari al decremento di quelli della banca B, così che a livello di sistema bancario come aggregato non si sarà verificato alcun cambiamento: se la prima potrà concedere più prestiti, la seconda ne potrà erogare di meno.

Si potrebbe sostenere che le riserve aggiuntive ora detenute dalla banca A presso la BCE, ottenute in seguito al regolamento dell’operazione sul sistema interbancario dei pagamenti, le permettano di concedere più credito, ma anche questo sarebbe un errore: le riserve acquisite da A sono quelle perse da B, e comunque esse non possono essere prestate al di fuori del circuito interbancario, così come già chiarito da Paul Sheard [2].

La realtà è che la crescita dei depositi, nell’aggregato del sistema bancario, può essere determinata solo dai deficit pubblici o dall’erogazione di prestiti.

 

…le banche creano moneta tramite l’erogazione del credito

Numerosi paper pubblicati nell’ultimo decennio da autorevoli centri studio, quelli della Bundesbank e della Bank of England su tutti, hanno dimostrato che le banche creano moneta, non prestano le risorse raccolte dai risparmiatori [3][4]. Come?

Al momento della concessione di un prestito le banche inseriscono due voci di pari importo nello stato patrimoniale: una nella colonna delle attività e una nelle passività. Questo perché il credito verso il cliente è per la banca una voce con segno positivo, mentre i depositi sono una voce con segno negativo, ed è proprio lì che la cifra appena prestata viene versata. Le due registrazioni si compensano, permettendo alla banca di erogare discrezionalmente prestiti, senza strette limitazioni contabili come la supposta necessità di accumulare una determinata quota di risparmi.

“La realtà di come la moneta è creata oggi è diversa dalla descrizione che si trova in alcuni manuali di economia: invece di ricevere depositi quando le famiglie risparmiano e poi prestare questi depositi, le banche creano depositi nel momento in cui erogano prestiti”.

Banca d’Inghilterra, 2014

Il nesso di consequenzialità che avevamo all’inizio individuato si è totalmente ribaltato: ciò che emerge è che non sono i depositi a permettere di erogare i prestiti, anzi sono proprio i prestiti a creare parte dei depositi. Se si considera che quest’ultimi sono una componente assai più considerevole dell’aggregato monetario rispetto alle banconote, è facile intuire il ruolo fondamentale svolto dalle banche nei meccanismi di creazione monetaria [5].

Non è necessario procedere oltre nel confutare la tesi che la banca centrale disponga del monopolio decisionale in merito ad aumenti dello stock monetario, molto ci sarebbe da aggiungere scendendo maggiormente nel dettaglio, ma per questo si rimanda alle fonti in fondo all’articolo [6].

Resta però da rispondere al quesito iniziale: perché le banche che creano moneta per finanziare deficit privati non sono un problema e la banca centrale quando monetizza il deficit pubblico sembra esserlo?

È ragionevole ricercare la risposta nella vulgata neoliberista e anti-Stato della scarsa efficienza del settore pubblico. Si pensa che le banche siano in grado, alla ricerca di un profitto, di disporre meglio di questo “potere generativo” rispetto alla banca centrale in accordo con i governi nazionali, secondo la narrazione per cui il privato è razionale e il pubblico è spendaccione; poco importa se il primo persegue interessi individuali e il secondo interessi collettivi.

Se queste sono le premesse, se lo Stato è concepito dogmaticamente come soggetto malato da limitare piuttosto che come potente agente da utilizzare, resta poco spazio per la discussione. Prima di avventurarsi in disperati tentativi di persuasione bisognerebbe, sin da subito, sradicare questa convinzione. Un’opera certamente complessa, forse disperata, ma necessaria per tornare a parlare di Economia.


Fonti:
[1] Zoltan Jakab and Michael Kumhof, Bank of England, Working paper n.529 May 2015, Banks are not intermediaries of loanable funds — and why this matters
[2] Paul Sheard, Standard & Poor’s (2013). Repeat After Me: Banks Cannot And Do Not “Lend Out” Reserves
[3] Deutsche Bundesbank, Monthly Report April 2017. The role of banks, non-banks and the central bank in the money creation process
[4] Michael McLeay et al. Quarterly Bulletin 2014 Q1 Bank of England. Money creation in the modern economy
[5] Ciò non significa che le banche esercitino questa facoltà senza vincolo alcuno: sono sottoposte ad una serie di limitazioni sostanziali e normative, si vedano ad esempio gli accordi di Basilea III, che ne costringono il grado di autonomia. Questi limiti però, come anche gli strumenti in mano alla BCEper influenzare le dinamiche del mercato creditizio – molto più efficaci in ottica restrittiva che espansiva – non privano affatto le banche del potere di creare moneta tramite l’erogazione del credito.
[6] La teoria della moneta endogena, a cui si fa implicitamente accenno in questo articolo, è riconosciuta valida da numerosi banchieri centrali.

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