Lo scacco a BlackRock a Panama è una sconfitta anche per Donald Trump
di Giuseppe Gagliano
Il progetto di BlackRock di acquisire porti strategici a Panama si è concluso con un nulla di fatto. Il veto di Pechino, che ha rifiutato qualsiasi accordo senza la partecipazione di capitali cinesi, ha messo fine a mesi di trattative e speranze a stelle e strisce. È un episodio simbolico, ma potentissimo: dimostra come gli Stati Uniti, anche nella loro dimensione finanziaria e commerciale più aggressiva, non siano più in grado di imporsi da soli in zone che un tempo consideravano cortile di casa.
Il ritorno di Trump e il mito del “piccolo impero”
Alla vigilia del secondo mandato, Donald Trump ha rilanciato il suo disegno geopolitico: un’America meno globale ma più coesa, che rinuncia all’universalismo interventista per consolidare un nucleo imperiale compatto. Da qui l’ambizione di rimettere le mani sul Canale di Panama, nodo strategico per il commercio mondiale, già al centro delle tensioni USA-Cina da oltre un decennio. Lo stesso Trump, nel suo stile provocatorio, aveva persino evocato l’annessione del Canada e del Groenlandia, segnando un ritorno a un imperialismo esplicito ma selettivo.
BlackRock, un braccio armato troppo fragile
Nel tentativo di realizzare questa visione, Washington si è affidata a uno dei suoi attori più potenti: BlackRock.
Ma la finanza, da sola, non basta più. L’idea di penetrare in America Centrale con strumenti privatistici si è scontrata con la nuova realtà multipolare: la Cina non è disposta a farsi da parte, nemmeno nei territori dove un tempo Washington esercitava il proprio dominio incontrastato. In questa partita, Pechino ha semplicemente alzato il prezzo politico: nessun accordo senza compartecipazione cinese. BlackRock ha dovuto piegarsi, e con essa l’intera strategia americana.
Geoeconomia e multipolarismo: l’ordine cambia
Il caso panamense riflette una trasformazione strutturale dell’ordine mondiale. La globalizzazione finanziaria a trazione americana, che per anni ha guidato acquisizioni, aperture di mercati e flussi di capitali, è ora ostacolata da logiche di potenza. Le infrastrutture strategiche non sono più in vendita a chiunque, e la concorrenza non è solo commerciale ma anche geopolitica. In un sistema multipolare, chi controlla i nodi logistici esercita influenza politica. La Cina lo sa bene e non ha alcuna intenzione di arretrare.
L’ambiguità strategica di Trump
Nel suo tentativo di riplasmare il ruolo globale degli Stati Uniti, Trump oscilla tra due impulsi contraddittori. Da un lato, vuole ritirarsi dal mondo per concentrarsi sulla ricostruzione interna e sulla sicurezza dei confini. Dall’altro, tenta operazioni di recupero imperiale in spazi strategici come Panama, l’Artico o i Caraibi. Questa ambivalenza lo espone però a fallimenti strutturali: senza una chiara strategia multilivello, ogni incursione rischia di rivelarsi un boomerang.
Panama: laboratorio del nuovo equilibrio globale
Il rifiuto cinese di lasciare campo libero a BlackRock rappresenta molto più di una battaglia commerciale. Panama è oggi un microcosmo della transizione in atto: un’area dove interessi americani, cinesi, latinoamericani e perfino europei si incrociano e si neutralizzano a vicenda. Chi controlla i porti, controlla i flussi, e chi controlla i flussi può esercitare un’influenza politica su intere regioni. La geopolitica si è fatta infrastrutturale e i giganti finanziari non bastano più a garantirne il dominio.
Conclusione: la fine dell’unilateralismo americano
La vicenda di Panama mostra quanto l’America fatichi a navigare in un mondo che non le appartiene più per diritto divino. Le mosse di Trump, che pure rispondono a una logica di contenimento e riorientamento imperiale, sono spesso rese inefficaci da un contesto che richiede strumenti nuovi: coalizioni, diplomazia economica, intelligenza strategica. La forza bruta del dollaro o delle promesse non basta più. Il potere si esercita oggi anche sapendo accettare la coesistenza e gestire l’interdipendenza. Un’arte che Washington, a quanto pare, deve ancora imparare.
Comments
Il capoverso potrebbe essere l'epigrafe sulla tomba del "destino manifesto".
Grazie. Giorgio Stern