Cosa ci dice l’incontro Putin Trump
di Nico Maccentelli
Come comunista, se devo analizzare gli esiti dell’incontro in Alaska tra Trump e Putin, ovviamente parto da due dati di fatto.
Un dato è sovrastrutturale: entrambi sono rappresentanti di oligarchie capitalistiche dentro un quadro di democrazia parlamentare borghese.
Un altro è politico, poiché tra potenze capitalistiche c’è differenza. Mentre Trump esprime gli interessi di un imperialismo unipolare in declino e per questo più aggressivo nelle sua frazioni di potere (oggi concentrate come deep state nella roccaforte europea, e ciò pone contraddizioni interne col MAGA non da poco…), Putin, ossia la Federazione Russa è di fatto il braccio militare delle potenze emergenti che si sono coagulate attorno ai BRICS e che hanno attratto altre potenze regionali che sono ancora oggi alleate dell’atlantismo a dominanza USA.
In questo incontro aleggia la presenza della Cina, mentre è out la cordata di volonterosi UE e GB in testa, il che dimostra una frattura non da poco nel fronte atlantista stesso e dall’altra una coesione attorno all’asse Russia-Cina.
Non sappiamo cosa si siano dette le due delegazioni in Alaska e certamente la questione ucraina è ancora lontana dal risolversi. Tuttavia si può pensare a due aspetti: uno tattico e uno strategico.
Tatticamente la questione da risolvere ruota attorno all’elemento principale che ha scatenato l’operazione speciale russa: la sicurezza, ossia un’Ucraina cuscinetto, che sia realmente indipendente con le dovute garanzie russe, ma anche con la non adesione alla NATO. Qui è inutile girarci intorno, al di là delle questioni territoriali, la Russia vuole questo, non certo andare a Lisbona o papparsi l’Ucraina.
Ma la questione tattica è legata a un aspetto strategico dirimente per gli USA, poiché la posta in gioco è: o proseguire il gioco al massacro e tra stragi, stermini, colpi di mano e rivoluzioni colorate che ritardano il declino ma non lo fermano, o il rischio tutt’altro che belluino di portare al collasso una grande nazione già fortemente divisa e in odore di guerra civile. Cosa che invece non è per la Russia, la cui popolazione nella stragrande maggioranza mostra consenso verso la politica estera del proprio paese e l’operazione speciale.
Nel processo di aggregazione del resto del mondo e disgregazione interna e interimperialista dell’Occidente atlantista, si comprende la posta in gioco di questa partita. E si comprende perché l’UE è considerata un orpello per il gruppo dirigente trumpiano. Per Trump la guerra è uno strumento tattico, per il deep state i suoi vassalli che albergano nelle euroburocrazie e nelle cancellerie del nostro continente è un elemento esistenziale, quindi strategico, giunti al punto di frizione nell’economia mondiale con le potenze asiatiche in particolare. In gioco ci sono tecnologie, risorse, accesso ai mercati e Trump mette in campo mille tatticismi senza una strategia unitaria: dai dazi ai resort a Gaza, mentre il deep state gioca la carta del riarmo verso una guerra imperialista contro la Russia, che oggi significa contro il resto del mondo, dato che la Federazione Russa è tutt’altro che isolata e che ha incrementato relazioni e transazioni commerciali negli ultimi tre anni.
Pertanto, nel dopo Brezinsky, la mossa più logica, di cui il meeting in Alaska può essere il primo tassello, è il riposizionamento degli USA dentro questo nuovo quadro di relazioni mondiali e rapporti di forza, facendo saltare il banco atlantista e ponendo il paese dell’aquila dentro i nuovi equilibri come una delle potenze dominanti.
Dalle dichiarazioni emerse: devo parlare con l’UE detto da Trump e l’Europa non deve ostacolare il processo di pace dichiarato da Putin, la direzione può essere questa, da non intraprendere ovviamente velocemente, ma comunque guardando al primo passaggio nell’ostico terreno della questione ucraina. Del resto già la politica trumpiana dei dazi non è altro che un distacco nei fatti dal monolitismo atlantista per porre gli Usa su un terreno autonomo, fatto di una politica economica più attenta alla questione nazionale, a detrimento anche di alcuni interessi finanziari che ruotano attorno alla politica monetaria centralizzata del dollaro.
Ogni ridefinizione ha dei costi e Trump che non è uno stupido lo sa. Ma dal connubio con la Russia può sicuramente trarre non pochi vantaggi. Già un assaggio lo abbiamo visto con il controllo del passaggio del nordstream verso l’UE concordato con i russi, nel caso di una ripresa delle relazioni diplomatiche e commerciali tra Occidente e Russia stessa. Ma avere risorse russe a prezzi concorrenziali riporterebbe gli USA a dei livelli egemonici dentro il nuovo quadro internazionale non indifferenti. Un presidente imprenditore lo vede bene, insieme alla sua corte dei miracoli di finanzieri e tycoon vari. Altro che le terre rare ucraine, già in parte nelle mani della Russia!
Si pensi anche solo alle rotte dell’Artico e ai rompighiaccio russi che gli USA non hanno. Si pensi all’opportunità (nei pensieri dell’amministrazione USA) di incunearsi tra Russia e Cina che darebbe un rapporto ristabilito e addirittura di partenariato con la Federazione Russa. Suggestioni? Certamente cambia il corso politico della storia di questo inizio millennio. È un giro di boa che ridimensiona gli USA nella diplomazia (il trattamento a tappeto rosso è emblematico… alla faccia della narrazione russofobica di eurodem…enti e guerrafondai come quella della vicepresidente del parlamento UE e del minculpop che ha messo in piedi) dopo che ciò sta avvenendo irreversibilmente sul campo. E che li riposiziona. Per questo il problema è questo riposizionamento che nelle intenzioni trumpiane deve essere il più morbido e vantaggioso possibile.
Pertanto se si pensa che la partita geopolitica riguardi la questione ucraina (che non è il fine, ma il mezzo e non da oggi, solo cambiando i posizionamenti degli attori principali), ci si sbaglia di grosso. La questione è economica, con un’amministrazione USA che scarica la zavorra per volare più in alto grazie ai nemici di ieri.
Ovviamente si parla di una proiezione politica che ha i suoi tempi e che deve scontare il forte conflitto interno alle frazioni imperialiste occidentali. Per quanto riguarda le masse popolari europee, questo quadro di irriducibile continuismo alla guerra dell’UE, potrà portare nello stravolgimento della realtà sociale e politica dei paesi europei come il nostro a situazioni gravide di tensioni sociali. Ed è precisamente su questo terreno sociale che dobbiamo lavorare per il cambiamento.