Non c’è posto in Alaska per le follie “europeiste”
di Redazione Contropiano
Non c’è nulla di più complicato delle trattative per metter fine a una guerra, a meno che una delle due parti non abbia raggiunto una situazione schiacciante sul campo. Il che sicuramente non è, nel caso del conflitto in Ucraina, per l’alleanza occidentale che supporta Kiev, ma neanche per Mosca, che pure appare in vantaggio strategico molto consistente.
L’ormai prossimo vertice in Alaska tra Putin e Trump, come abbiamo già detto, può avvenire solo perché – senza che siano emersi contenuti concreti sul possibile accordo – le due diplomazie principali hanno evidentemente raggiunto risultati sufficienti a garantire che l’incontro tra i due presidenti possa essere rivenduto come un “successo”. Altrimenti non si farebbe neanche…
Le ulteriori complicazioni arrivano dalla qualità non eccelsa dei negoziatori statunitensi – l’incaricato principale, Witkoff, è un immobiliarista miliardario a digiuno di diplomazia istituzionale – e quindi dalla possibilità che da quel lato non si comprendano a fondo le conseguenze concrete di quel che si discute.
E’ l’ipotesi avanzata ad esempio dalla tedesca Bild, molto “governativa”, secondo cui Witkoff avrebbe scambiato la proposta di “ritiro pacifico” delle truppe ucraine dalle porzioni degli oblast di Kherson e Zaporizha ancora sotto il loro controllo (circa un quarto dei due territori) per il ritiro unilaterale dell’Armata russa dalle due regioni, costate sicuramente molto in termini di mezzi, uomini e investimenti.
Un “qui pro quo” di queste dimensioni, ovviamente, sancirebbe il fallimento completo dell’appuntamento. Ma proprio per questo – se lo sanno tutti in redazione, lo sanno anche a Washington e Mosca – il fatto che l’incontro si farà sembra la garanzia che a capire male (o sperare peggio) siano stati i tedeschi e dunque tutti i nanerottoli europei.
Che ovviamente in queste ore starnazzano molto per avere uno strapuntino nelle trattative, sia per sé che per il loro protegé Zelenskij, affastellando frasi gonfie di retorica apparentemente di buon senso ma praticamente destituite di fondamento (“Non può esserci un percorso di pace senza l’Ucraina”, “No a modifiche dei confini di Kiev con la forza”, e via titolando…).
Stiamo parlando di trattative “tra Stati”, non di un conflitto sociale o di una guerra rivoluzionaria, in cui oltre agli “interessi” entrano in gioco anche i “valori”. E a questo livello le cose vanno purtroppo così: si pone fine a una guerra con una trattativa che prevede per i perdenti la cessione di territori (specie se abitati da popolazioni di diversa nazionalità etno-linguistica), accordi esigibili e controllabili per garantire la reciproca “sicurezza” e quant’altro venga posto sul tavolo.
La situazione sul campo non lascia molto spazio alle fantasie: la Russia è in vantaggio e ogni giorno che passa il vantaggio cresce, più velocemente di prima.
Anche per la popolazione ucraina la situazione è tale da rovesciare completamente gli orientamenti prevalenti all’inizio del conflitto: Nell’ultimo sondaggio Gallup, condotto all’inizio di luglio 2025, il 69% si dichiara favorevole a una fine negoziata della guerra il prima possibile, rispetto al 24% che sostiene di continuare a combattere fino alla vittoria.
Ciò segna un’inversione di tendenza quasi totale rispetto al 2022, quando il 73% era favorevole a che l’Ucraina combattesse fino alla vittoria e il 22% preferiva che l’Ucraina cercasse una conclusione negoziata il prima possibile. Ma soprattutto indica che il tempo a disposizione della junta Zelenskij per arrivare a una pace è ormai pochissimo. Nessun esercito può sostenere una guerra se il popolo vuole il contrario…
Ciò nonostante sia Zelenskij che l’Unione Europea sembrano volersi mettere di traverso a una trattativa che esplicitamente li esclude, sia come partecipazione che addirittura come “location” (per vedersi in Alaska sia Putin che Trump non hanno bisogno di trasvolare territori “neutri” od ostili, e quindi non hanno bisogno di “chiedere permesso”).
Se dovessimo analizzare le dichiarazioni tonitruanti, come fanno i media di casa nostra, dovremmo dire che “la trattativa non può arrivare a nessun risultato”. Ma siccome preferiamo usare la logica e la conoscenza arriviamo a una conclusione opposta, anche se ovviamente non è affatto detto che quella trattativa produrrà risultati decenti in tempi rapidi.
I problemi principali sono almeno due.
1) L’Ucraina è militarmente, economicamente e politicamente a pezzi. Anche Zelenskij è ormai esplicitamente messo in discussione e si stanno facendo avanti i possibili sostituti (Zaluzhny in pole position, pare). Tutte le alternative politiche, a parte i neonazisti “duri e puri”, sono pronte a firmare una pace anche con perdite significative di territorio.
2) L’Unione Europea e la Gran Bretagna, fin qui, hanno scelto la via della continuazione della guerra a oltranza. In preda al delirio di onnipotenza sono arrivate a esplicitare nero su bianco che un “cessate il fuoco” (quello stesso che ancora ieri ponevano come premessa a qualsiasi dialogo) era necessario per consentire alla Nato non solo di ricostituire le riserve di armi per Kiev, ma addirittura per inviare truppe europee in Ucraina.
Di fatto un suicidio politico, prima che militare, visto che impedire la presenza di qualsiasi contingente Nato in Ucraina – come anche l’adesione di Kiev all’alleanza – è proprio tra le ragioni della guerra, al punto che la “neutralità” strategica dell’Ucraina futura è tra le condizioni poste da sempre dalla Russia sul tavolo.
Una considerazione finale sulla “credibilità” della posizione guerrafondaia europea a questo punto.
La UE, solo pochi giorni fa, ha alzato bandiera bianca nelle trattative con il solo Trump rispetto ai dazi. Un insieme bislacco, che non riesce a trovare una sintesi neanche sulle “dichiarazioni” (a costo zero, insomma) sulla prossima invasione di Gaza City da parte di Israele (la Francia e altri paesi vanno al riconoscimento della Palestina, Germania e Italia sono andati a cercare le firme di Australia e Nuova Zelanda – non propriamente vicini all’Europa – per redigere una tenue critica a Netayahu)…
Come si può pensare che questa ameba priva di strategia e senso storico possa “impedire” che un percorso di pace venga individuato e imposto dall’”alleato” americano e dal “nemico” russo? Ossia: cosa pensano di fare? Andare in guerra da soli (e sicuramente neanche tutti…) contro una superpotenza con 6.000 testate nucleari? E di farlo scontando la contrarietà dell'”alleato” che li strapazza finanziariamente e rappresenta pure il loro leader militare?
Magari quel percorso finirà comunque nel disastro. Ma non saranno Bruxelles e Kiev a portarlo lì.