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Elon Musk e l’Appello del capitalismo contro la scienza e contro la Cina

di Fosco Giannini

Immagine per interno editoriale Giannini.jfif Nel marzo 2023 il “Future of Life Institute” lancia un Appello attraverso il quale oltre mille accademici, intellettuali, tecnici e imprenditori delle tecnologie digitali, in buona parte nordamericani, denunciano, per ciò che specificatamente riguarda l’Intelligenza Artificiale (Ai), “seri rischi per l’umanità”.

Innanzitutto: che cos’è il “Future of Life Institute”? È “un’associazione di volontariato impegnata a ridurre i rischi esistenziali che minacciano l’umanità, in particolare quelli che possono essere prodotti dall’Intelligenza Artificiale”. Un’associazione molto americana e con sede a Boston, e la doppia notazione potrà essere utile in sede di analisi dell’Appello che lo stesso “Future of Life Institute” ha lanciato.

L’Appello, all’interno della propria denuncia generale, chiede una moratoria di sei mesi per ciò che riguarda la ricerca relativa al sistema di Ai denominato Gpt4, un sistema ancor più sofisticato e potente rispetto al già rivoluzionario sistema ChatGpt. Quest’ultimo, acronimo di Generative Pretrained Transformer, è sinteticamente definito, dagli scienziati, come “uno strumento di elaborazione del linguaggio naturale che utilizza algoritmi avanzati di apprendimento automatico per generare risposte simili a quelle umane all’interno di un discorso”. Nell’essenza: il ChatGpt è definibile come un mezzo tecnologico dell’Ai volto alla costruzione di una relazione più attiva tra macchina ed essere umano. Mentre il nuovo Gpt4 è definito sinteticamente dalla letteratura scientifica come “un modello linguistico multimodale di grandi dimensioni, un modello di quarta generazione della serie GPT-n”. Un modello creato da OpenAi, un laboratorio di ricerca sull’intelligenza artificiale con sede a San Francisco, con Elon Musk come co-fondatore.

E attraverso questa puntualizzazione (Elon Musk come co-fondatore del Gpt4) si può iniziare a decodificare “politicamente” il senso ultimo di quest’Appello lanciato dagli oltre mille “addetti ai lavori” – “addetti” sia sul piano scientifico che imprenditoriale – che getta allarme sull’Ai e sullo stesso Gpt4, chiedendo addirittura di sospendere per almeno sei mesi la ricerca scientifica su questo modello di ultima generazione.

Perché si può iniziare a leggere politicamente (ed economicamente) l’Appello attraverso il fatto che Elon Musk sia co-fondatore del Gpt4? Perché Musk è anche, e in apparenza surrealisticamente, anche il primo firmatario e “capocordata” dell’Appello. Un Appello contro se stesso?

Ma chi è Elon Musk?

Elon Reeve Musk, probabilmente l’uomo più ricco del mondo, è un imprenditore sudafricano con cittadinanza canadese e naturalizzato statunitense. È – come si può leggere dalla sua biografia ufficiale – “fondatore, amministratore delegato e direttore tecnico della compagnia aerospaziale SpaceX, fondatore di The Boring Company, cofondatore di Neuralinik e OpenAi, proprietario e product architect della multinazionale Tesla e proprietario e presidente di Twitter”. Sta, inoltre, lavorando ad una compagnia mondiale per un sistema di trasporto ad altissima velocità denominato Hyperloop.

Un protocapitalista, se mai ve n’è stato uno. Un imprenditore su scala mondiale che incarna in sé l’essenza imperialista. Un ricercatore strenuo e senza scrupoli di profitto, come dimostra il fatto che è stato, e molto probabilmente lo è ancora, un venditore privato di droni da guerra e altri sistemi bellici ad altissima densità scientifica a Zelensky per il conflitto contro la Russia. Un imprenditore contemporaneo che “santifica” le proprie merci (spesso in verità diaboliche, come quelle militari) attraverso l’aureola dell’iper modernità “positiva” e “liberatrice” dell’individuo.

Immagine per home articolo Giannini

A knight in a full suit of armour, and tabard kneeling with one hand on knee and other resting on sword. The warrior is on rocky high ground surround by small fires of burning debris., with medieval battle flag in the ground behind him, under a dramatic, dark, stormy evening sky.

Dunque, Elon Musk (che al contrario di quel Lorenzo Valla del quale, incongruamente, pare indossare sui “media” l’immagine umanista, è piuttosto l’esatta proiezione contemporanea di quell’agente del capitalismo belga (Kurtz) che nel “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad semina l’orrore imperialista in Congo per poi riconoscere il proprio assassinio e il proprio abominio pronunciando le parole finali, “Quale orrore! Quale Orrore!”) è il capofila dell’Appello critico verso l’Ai e il Primo Crociato, in apparenza, in difesa di un’umanità minacciata dalla tecnologia digitalizzata. Ancora: in difesa – vestito da filosofo umanista – da se stesso imprenditore imperialista?

Entriamo, allora, per la questione dirimente che affronta, densa di contenuti per il futuro dell’umanità, del proletariato mondiale e per la lotta di classe a livello planetario, nel cuore dell’Appello lanciato dal “Future of Life Institute” di Boston.

La prima questione da enucleare è quella che lo stesso Massimo Gaggi, giornalista del “Corriere della Sera”, evidenzia nel suo articolo di giovedì 30 marzo sul quotidiano di via Solferino, dal titolo “Perché l’intelligenza artificiale spaventa i re della tecnologia”.

Scrive Gaggi, riferendosi all’Appello: “Suscita qualche sospetto: ad alcuni il messaggio appare troppo enfatico, altri sottolineano come sia impensabile fermare il lavoro dei ricercatori. Non sarà che si vuole semplicemente rallentare l’integrazione della tecnologia degli scienziati di OpenAi nei prodotti Microsoft in attesa che gli altri concorrenti recuperino il gap? Nel mondo della Silicon Valley il buonismo delle origini è stato da tempo travolto dalla logica della massimizzazione del profitto importata da Wall Street… E gli scettici sottolineano il fatto che Sam Altam, fondatore di OpenAi e padre di ChatGpt, non abbia firmato la lettera…”.

Gaggi, da una postazione non certamente anticapitalista, come quella del “Corsera”, mette tuttavia il dito nella piaga. L’Appello capeggiato dal pirata capitalista Elon Musk ha, innanzitutto, tutti i crismi di un documento politico atto alla lotta inter-capitalista, inter-imperialista, per la conquista dei mercati: Musk, co-fondatore di Gpt4, in ritardo tecnologico rispetto al sistema ChatGp, chiede alla OpenAi di Sam Altman (OpenAi della quale, nella sua versione di capitalista tentacolare, Musk fa parte), produttrice di ChatGp, di fermarsi. Per sei mesi, ma di fermarsi, gettando ombre inquietanti sullo stesso sistema ChatGp.

Ma è del tutto evidente che l’attacco di Musk e della frazione capitalista e imperialista che questo corsaro nero del capitalismo mondiale rappresenta, nei mercati internazionali e nell’Appello, non è diretto solo contro la OpenAi guidata da Sam Altman (che infatti non firma l’Appello), non è diretta solo contro la Microsoft di Bill Gates (che come Altam non firma l’Appello),ma soprattutto, con lo sguardo visionario del grande imperialista, è diretta contro i sistemi produttivi, ormai ad altissimo tasso tecnologico, della Cina e dell’India.

In Cina, l’utilizzo – in ogni segmento del sistema produttivo generale, in ogni area dell’attività sociale e nel campo militare – delle tecnologie digitali e dell’Ai è un obiettivo da tempo messo a fuoco e ritenuto centrale per lo sviluppo generale cinese, un obiettivo strategico che molto ha preso slancio sin dal “Piano di attuazione triennale Internet+ e Produzione intelligente 2025” che dal “Piano di sviluppo dell’industria robotica 2016-2020″, per essere poi rilanciato con forza anche dall’ultimo Congresso del Partito Comunista, il XX°, celebrato nell’ottobre del 2022.

In seguito a questa “pianificazione” politico-economico-tecnologica, oggi la Cina va decisamente superando gli USA anche nel campo tecnologico avanzato e specificatamente in quello dell’Ai. Dalle università e dalle aziende ad altissimo tasso tecnologico di Pechino la nuova frontiera dello sviluppo tecnologico va rapidamente irradiandosi in tanta parte delle università e delle fabbriche cinesi: università, aziende e fabbriche sotto il segno della tecnologia digitalizzata e dell’Ai e in grandissima parte sotto il controllo pubblico. E ciò proprio perché, per la Cina socialista, l’intelligenza artificiale riveste un ruolo di fondamentale importanza, non solo come cardine per una vincente competizione mondiale sui mercati d’avanguardia, ma anche come motore centrale per un nuovo ciclo – ritenuto imprescindibile dalla Cina di Xi Jinping – di rivoluzione scientifica e industriale nazionale.

Oggi, in seguito al fortissimo impulso dell’ultimo ventennio operato dal socialismo cinese e ai suoi titanici investimenti sul campo della tecnologia digitalizzata e dell’Ai, anche l’intera intelligenza artificiale cinese sta vivendo uno sviluppo senza paragoni sul piano mondiale. Progressi enormi e persino inaspettati nella loro grandezza ottenuti sui diversi campi big data, cloud computing, internet, robotica, tecnologia dell’informazione, auto elettriche, tecnologia aerospaziale e, appunto, Ai. Con una conseguente e alta discussione filosofico-politica in relazione al rapporto uomo-macchina, uomo-macchina intelligente, macchina intelligente-macchina intelligente.

Una vasta discussione filosofico-politica su questi temi che si inserisce all’interno di quella vera e propria “effervescenza culturale” (“wenhua re”, ossia “febbre culturale”, “frenesia culturale”) che contraddistingue non solo l’attuale mondo accademico e intellettuale cinese, ma che si popolarizza attraverso una grande e positiva grancassa di dibattiti sostenuta anche da una sempre più vasta rete editoriale di stampo filosofico, letterario e culturale. Un fenomeno, peraltro, che contraddice platealmente e sonoramente quell’immagine di Paese chiuso e autocratico che l’Occidente affibbia alla Cina attuale. Una Cina odierna che vede la presenza di almeno una settantina di diverse riviste di filosofia – in discussione dialettica tra loro – a fronte delle quattro riviste che vi erano prima della fase Deng e, solo in apparenza paradossalmente, nella stessa fase della Rivoluzione Culturale.

I progressi tecnologici sono stati naturalmente messi a valore anche sul versante militare, in grande, e necessitato sviluppo di fronte alla crescente aggressività bellica USA e Nato, a partire dal progetto secessionista per Taiwan sostenuto dagli USA. Le aziende cinesi di intelligenza artificiale detengono il 70% delle quote mondiali del mercato dei velivoli senza pilota. Imprese colossali come Tencent, Alibaba, TikTok e Jingdong sono stabilmente piazzate ai primi posti, a livello planetario, nel mercato degli algoritmi, registrando ogni anno il maggior numero di brevetti. Ed è tutto questo che allarma il capitalismo mondiale e quello nordamericano, con Elon Musk in testa.

Un progetto generale di informatizzazione e automazione del Paese che trova, in Cina, un terreno già reso fertile dalle grandi “riserve intellettuali” del popolo cinese, nel senso che l’inclinazione alla matematica e alla scienza applicata fa parte del senso comune di massa del popolo cinese, nasce da testi antichissimi come “Il libro dei procedimenti matematici”, dalla stessa vocazione alla scienza e alla tecnologia delle grandi dinastie Han e Tang (la prima inizia nel 206 a.C. e la seconda finisce nel 907 d.C.) ed è ispirato da grandi matematici come Qin Jushao (1202-1261 circa). La stessa inclinazione cinese verso il marxismo scientifico e non verso “il marxismo esistenzialista” (come il grande filosofo marxista Domenico Losurdo notava) trova, forse, le sue basi materiali anche in questa antica “riserva intellettuale scientifica” del popolo cinese.

Ma anche l’India, scegliendo la strada obbligata (al fine di evitare una colonizzazione tecnologica e dunque economico-politica da parte di altre potenze) del pieno sviluppo informatico e legato all’Ai, sta bruciano le tappe al fine di potersi presentare, entro un decennio, come una delle grandi nazioni tecnologiche del pianeta e malgrado possibilità, disponibilità e asset per ora diversi da quelli di Usa e Cina, anch’essa va rapidamente attrezzandosi per essere protagonista della quarta rivoluzione industriale a livello mondiale. Peraltro, il già significativo e oggettivo sviluppo strutturale indiano nel campo informatico e dell’intelligenza artificiale (basti pensare a quanta sia vasta “l’esportazione”, negli USA, dei tecnici e degli ingegneri informatici indiani) è totalmente funzionale – e dunque assolutamente necessario – al progetto volto a trasformare stabilmente l’India in un polo manifatturiero globale (“make in India”) integrato nelle catene mondiali del valore e volto a conquistare sia l’autosufficienza (“atmanirbhar bharat”), che ad aprire il proprio, sterminato, mercato interno.

Anche lo sviluppo indiano, dunque, popola gli incubi delle multinazionali nordamericane dell’informatica e dell’intelligenza artificiale. Anche Nuova Delhi ha spinto Musk e i mille firmatari dell’Appello del “Future of Life Institute” a chiedere che le aziende produttrici del sistema avanzato Gpt4 sospendano le ricerche. E non certo per “i rischi esistenziali che minacciano l’umanità”, ma ben più banalmente e prosaicamente per i rischi di perdere. In un periodo medio-lungo, profitti e leadership mondiale nel campo dell’informatica e dell’Ai.

L’Appello dei mille accademici, intellettuali, tecnici e imprenditori, con il suo carico di critica ombrosa ed equivoca nei confronti del sistema di Ai Gpt4 (come se il sistema ChatGpt, in sé e nel suo intrinseco e inevitabile sviluppo, non ponesse le stesse questioni relative al rapporto uomo-macchine) evoca essenzialmente la questione della concezione filosofica della scienza.

È del tutto evidente che la richiesta di sospensione della ricerca scientifica in relazione al sistema Gpt4 espressa dall’Appello sia segnata da una disarmante quanto volgare (innanzitutto sul piano filosofico) pulsione idealistica. Essa somiglia, nella sua totalità idealistica, al tentativo di ratifica della “fine della storia” che venne tanto disinvoltamente quanto infantilmente lanciato da Francis Fukujama un poco prima (1989, di fronte ad un’era Gorbaciov in evidente e gravissima crisi) e subito dopo l’autodissoluzione dell’Unione Sovietica.

In verità, esattamente come per la storia, il processo di sviluppo della scienza non è arrestabile. E tale asserzione nulla ha a che fare – chi scrive sente la necessità di affermarlo – con quella concezione feticista dello “sviluppo delle forze produttive” che nella vastissima ala storica del movimento operaio e socialista, da Kautsky a Turati sino alla versione socialdemocratica del PCI, sfociava in quel pigro accomodamento positivista svuotato di pulsione e prassi rivoluzionaria in nome di un comunismo immanente allo stesso sviluppo capitalistico: se il comunismo è immanente e sarà lo sviluppo delle forze produttive capitalistiche a deciderne la genesi, perché anticipare “maldestramente” la storia? Perché immettere una soggettività rivoluzionaria nel fluire predeterminato del divenire?

A questa distorsione, come sappiamo, risposero Lenin, Gramsci, Mao Zedong, Fidel Castro, Ho Chi Minh attraverso la riproposizione dell’elemento soggettivo nella storia, attraverso la rottura dell’anello debole della catena.

Nemmeno vogliamo affermare la neutralità della scienza e del suo impiego nella produzione di merci (da quelle che ingolfano e deturpano la nostra vita, automobili e cellulari, alle armi da fine mondo).

Ciò che vogliamo affermare, rimarcando l’impossibilità oggettiva della fine dello sviluppo scientifico, della sua “sospensione”, come chiedono ambiguamente Musk e i suoi “mille”, è che in questo modo di approcciarsi alla scienza riappaiono sia la deleteria superstizione mistico-religiosa tendente a consegnare a Dio i misteri della vita e dell’energia, che un neo luddismo ingannatore del movimento operaio complessivo e antirivoluzionario.

Proponiamo qui, poiché ci sembrano molto utili alla nostra riflessione, alcune righe del primo capitolo (“La cassetta degli attrezzi”), facente parte dell’ultimo libro di Carlo Formenti “Guerra e Rivoluzione”. Scrive Formenti, dopo aver elencato i primi punti relativi ad una certa e vasta superfetazione dello sviluppo delle forze produttive: “infine la fede nel potere di emancipazione delle forze produttive, che ha impedito a Marx (ma anche a Lenin e Gramsci) di cogliere appieno il carattere distruttivo della tecnologia al servizio del capitale”.

Appunto, sottolineiamo noi: quella al servizio del capitale, non della tecnologia in sé, non dello sviluppo della ricerca scientifica in sé.

Oggi sappiamo che la fusione nucleare (quella auspicata dalla grande astrofisica – comunista – Margherita Hack) sarebbe la positiva risposta planetaria all’esigenza di energia. L’energia che scaturisce dalla fusione nucleare, la stessa prodotta dal sole e dalle stelle, essendo priva di scorie radioattive, superando il problema della temporalmente lunghissima e devastante decantazione degli isotopi radioattivi liberati, sarebbe la risposta all’esigenza di energia dei popoli e degli Stati poveri del mondo, che potrebbero dotarsi di una grande, infinita energia pulita funzionale al loro sviluppo economico e sociale liberandoli dal giogo imperialista.

Oggi, la scienza si sente vicina alla possibilità di produzione di energia (infinita e possibile per tutti i popoli del mondo) attraverso la fusione nucleare positiva, cioè priva di scorie radioattive.

Ma come si è giunti a questa, ancora in fase di studio ma ormai quantomeno fortemente verosimile, fusione nucleare?

Attraverso la scoperta della fissione nucleare, la stessa che portò alla costruzione della bomba atomica e al suo criminale sganciamento, da parte degli USA – ancora unico e solo Paese al mondo ad aver distrutto intere città e intere popolazioni con l’arma radioattiva – su Hiroshima e Nagasaki.

Quando Otto Hahn e Fritz Strassmann, il 6 gennaio del 1933, documentarono sulla rivista “Die Naturwissenschaften” la scoperta della fissione dell’uranio, i grandi fisici del mondo, da Niels Bohr ad Enrico Fermi, compresero immediatamente l’immensa portata, ai fini dello sviluppo umano, ai fini della liberazione dell’umanità dal lato oscuro della Natura, che la scoperta recava in sé. Compresero immediatamente quanto fosse liberatoria, per l’umanità, la possibilità di produzione infinita di energia.

Ci furono, naturalmente, anche scienziati, fisici, come l’ungherese Leó Szilárd, che riuscirono sin da subito a mettere a fuoco la dialettica dai caratteri anche nefasti e “demoniaci” insita nella scoperta della fissione dell’uranio: la possibilità, cioè, che assieme a tanta energia elettrica si potesse giungere anche a produrre la bomba atomica per uso militare. Di straordinario valore scientifico ed etico, a questo proposito, fu il carteggio tra Szilárd ed Einstein, il quale, pur apprezzando la scoperta dal punto di vista scientifico, metteva anch’egli in rilievo le possibilità nefaste della fissazione dell’uranio. E la sorprendente spregiudicatezza anti umanistica e il cinismo delle classi dirigenti americane gli dettero ragione.

Ma la storia ha assodato almeno tre questioni cardinali:

– primo: solo a partire dalla scoperta della fissione nucleare – in un tutt’uno dialettico – la scienza oggi può concretamente giungere alla fusione nucleare, priva di rischi e capace di produrre, a costi possibili per tutti, energia pulita per ogni popolo del mondo, liberando gli stessi popoli dal potere dei detentori e dei produttori di gas e petrolio, dal potere imperialista delle compagnie petrolifere e dall’intera “governance” imperialista;

– secondo: il flusso della scienza, come quello della storia, non è sospendibile da un decreto politico, da un ordine umano di qualsiasi natura: ciò evocherebbe soltanto, assieme al risultato che la scienza proseguirebbe comunque il suo inevitabile corso, un regime dittatoriale oscuro e folle, antistorico e antiumano;

– terzo: che il vero problema, come insegna storicamente il fatto che l’atomica è stata usata solo dall’imperialismo americano, è quello di quale ordine politico, sociale, morale gestisce, padroneggia, mette a valore la scienza. O un ordine volto ad uno sviluppo sociale egualitario e alla fine del dominio di una parte ristretta dell’umanità sulla sua parte immensamente più grande, un ordine che sulla struttura materiale del socialismo proietti una sovrastruttura etico-morale fortemente umanistica e antitetica alla guerra; oppure un ordine segnato dall’“esigenza” strutturale del profitto e della spoliazione mondiale, del loro mantenimento e dunque della guerra e dell’uso – legittimato e consentito dalla stessa “morale” capitalista – di sempre più orrendi ordigni bellici (chissà cosa, oltre il nucleare) per vincere la guerra di classe mondiale.

La certezza dell’esistenza del rapporto dialettico tra fissione nucleare e fusione nucleare (senza la prima non potrebbe, non potrà esserci la seconda), come del rapporto dialettico, per ciò che riguarda l’intelligenza artificiale, tra il sistema ChatGpt e il sistema Gpt4, rimanda direttamente al problema della concezione filosofica della scienza, che in Elon Musk e i suoi seguaci imperialisti sembra piuttosto essere una sorta di materia inerte, indipendente dalla storia, dallo spazio e dal tempo, subordinabile al profitto e plasmabile, a loro piacimento, dai padroni della terra.

In verità, l’insopprimibile natura dialettica della scienza, che un potere umanamente “giusto” (e quello più giusto che oggi storicamente conosciamo è il potere politico socialista) può piegare agli interessi dei popoli ma che anch’esso non può fermare, è stato chiarito in modo insuperabile da Ludovico Geymonat, non per niente il più grande filosofo italiano della scienza e tra i più grandi filosofi europei. Marxista, peraltro, col marxismo che segna il suo intero pensiero.

In un’estrema e rozza sintesi possiamo affermare che tutta la lotta filosofico-politica di Ludovico Geymonat è diretta a battere quel positivismo filosofico e politico che, in Italia, lungo l’asse crociano-gentiliano, riduce, ossifica la storia e la scienza attorno ad “assoluti” tanto idealisti quanto irrazionali che “dettano”, nel processo storico, tutti i tempi del divenire dogmatico (prima il pieno sviluppo capitalistico e poi la rivoluzione, che tanto serve ai Turati al fine di non fare mai la rivoluzione…), rimuovendo ogni azione soggettiva della “classe”, delle avanguardie, dei popoli, e nella scienza fissando gli “assoluti” – o, nella migliore ipotesi, il nocciolo duro degli “assoluti” – di ogni tempo presente. Mentre Geymonat, rimarcando le fasi a strappi della scienza, le sue crisi violente, i suoi cicli di continua negazione di sé e di una continua e nuova riproposizione di sé, immette la stessa scienza nel fluire della dialettica storica, del materialismo dialettico, negando così ogni “assoluto” della scienza, come della storia. Non per niente Geymonat prende chiaramente a supporto delle sue tesi anche il Lenin di “Materialismo ed empiriocriticismo”, quel Lenin inevitabilmente non compreso da quel marxismo occidentale ancora malato di “hegelismo di sinistra”, quel Lenin che, strapazzando Ernst Mach, ricolloca al centro il materialismo dialettico.

Una riproposizione della scienza come un fluire vivo e inarrestabile nel suo svolgersi dialettico che, se ve n’era bisogno, ridicolizza la richiesta di Musk e dei seguaci imperialisti di “sospensione” (per ordine politico? Per ordine giuridico? Per uno stesso – contraddittorio – ordine “scientifico”?) della ricerca scientifica, richiesta tanto malmostosa poiché dietro essa, come abbiamo visto, si nasconde un’altra e indicibile verità: la paura storica di perdere la partita del secolo, innanzitutto a favore della Cina, sulla tecnologia digitale e sulla Ai e con essa perdere profitto ed egemonia imperialista. Le stesse paure che spingono gli Usa e la NATO, peraltro, alla guerra contro la Cina attraverso, per ora, la guerra contro la Russia.

Ma vi è un’altra questione dirimente, nella medioevale richiesta, da parte di Musk e dei suoi “mille”, di critica – da postazioni oscure che sfruttano la superstizione – alla scienza e nella conseguente richiesta di sospendere il fluire della scienza: la paura, pienamente consapevole o meno, ma comunque politicamente agente, di non poter controllare il prodotto sociale dello sviluppo scientifico, di non poterlo più subordinare al profitto capitalistico.

È del tutto evidente, infatti, che lo sviluppo pieno dell’intelligenza artificiale – oltre i problemi oggettivi che potrà produrre nel rapporto tra macchina e uomo, problemi affrontabili e risolvibili solo da un potere rivoluzionario e antitetico ai disvalori anti umanistici capitalisti – produrrà un contesto sociale nel quale la richiesta di forza-lavoro tenderà sempre più a ridursi, sino alla fuoriuscita, in un mondo ancora capitalista, di centinaia di milioni di esseri umani dalla produzione, sostituiti da robot sempre più intelligenti e capaci. In questo contesto si porrà la questione, che già segna il presente e ancor più segnerà il futuro, della riduzione secca dell’orario di lavoro a scapito del profitto capitalista. Una contraddizione forse finale che difficilmente il capitalismo potrà sopportare, se non cambiando strutturalmente i propri connotati e la propria concezione del rapporto forza-lavoro/capitale, del mercato e del mondo (e una trasformazione così profonda di sé appare impossibile persino alla luce delle grandi capacità di adattamento ai tempi continuamente nuovi che il capitalismo ha sempre dimostrato).

Una contraddizione, quella capitalistica, che potrebbe essere segnata da una ciclopica crisi di sovrapproduzione inevitabilmente prodotta dal dispiegamento globale dell’Ai, probabilmente impossibile da portare a sintesi, comunque di difficilissima soluzione per il capitale, quanto densa di spinta rivoluzionaria per la “classe”, per il mondo del lavoro e del non lavoro, per le avanguardie. Una contraddizione nefasta e infelice per il capitalismo quanto felice per “la classe”, per il proletariato, per l’umanità nel suo insieme, se è vero, come è vero, che “il lavoro è la lotta dell’uomo contro la natura” (Marx) e, come ogni lotta, ha in sé una dose massiccia di sofferenza da cui liberarsi. Lo sviluppo della scienza, al di là di ogni superstizione pseudofilosofica e nichilista, è anche liberazione dell’uomo e della donna dal lavoro. La gestione della dialettica della scienza da parte di un potere rivoluzionario vorrà dire rendere la scienza funzionale alla liberazione umana. Non più, com’è inscritto nell’Appello di Elon Musk, al profitto capitalista.

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Comments

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Alfred
Saturday, 15 April 2023 21:37
Consiglio anche questa lettura
https://www.wired.it/article/chatgpt-openai-sam-altman-scenario-terminator-lungotermismo/
...
....Tutto ciò non basta però a rassicurare Sam Altman, uno degli esponenti maggiormente in vista di quella corrente di pensiero – a volte più simile a una setta – nota come “lungotermismo”, che da sempre pone massima attenzione al “rischio esistenziale” che l’intelligenza artificiale costituirebbe.....ecc

....Nello stesso post, Sam Altman spiega anche di aver “posto un limite ai ritorni economici che i nostri investitori possono ottenere, per non essere incentivati a cercare guadagni anche a costo di dispiegare qualcosa che potrebbe potenzialmente essere catastroficamente pericoloso. […] Una Agi superintelligente non allineata ai valori umani potrebbe provocare atroci danni al mondo”.
In mezzo queste parole, degne più di un profeta dell’apocalisse che dell'ad di una società scientifica, compaiono anche le (presunte) ragioni per cui OpenAI ha rinunciato alla sua natura open source, decidendo invece di far calare il segreto sul suo operato: “Pensiamo adesso […] di dover prima capire come condividere in maniera sicura l’accesso al sistema e ai suoi benefici”....

Non è ipocrita che questa affermazione giunga da parte di chi, come detto, non ha finora mostrato nessuna cautela di questo tipo? È altrettanto difficile non sospettare che la decisione di rinunciare alla natura open di OpenAI sia in realtà legata a ragioni di carattere esclusivamente commerciale, mascherate però da senso di responsabilità.

In effetti, tutta la narrazione impostata da Sam Altman si può anche interpretare come un’elaborata operazione di marketing, in cui OpenAI viene raccontata come una sorta di baluardo scientifico: l’unica realtà in grado di sviluppare in sicurezza una tecnologia altrimenti potenzialmente catastrofica. Una chiave di lettura che fornisce un’aura quasi salvifica, messianica, a quella che invece è sotto ogni punto di vista una normale società di sviluppo di (potenti) software tecnologici....ecc
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omphalos
Sunday, 16 April 2023 01:57
Wow, hai scoperto una "fanatica utopia" della Silicon Valley; a quando la scoperta di trans-umanesimo, malthusianesimo e connessi. Ah no, attento quelli sono complotti rosso-bruni, buuh.

Un velo pietoso sul "quasi mistica"; mistico è una parolaccia per voi, no? Come tutto quello che non capite. No, non mistico, lettore di wired ma para-religioso. Queste sono alcune delle attuali para-religioni; dovreste saperne qualcosa dell'argomento, guardandovi allo specchio. O vi pietrifichereste? Mh? Ma sì dovreste saperne qualcosa, un piccolo esempio:

"Una contraddizione nefasta e infelice per il capitalismo quanto felice per “la classe”, per il proletariato, per l’umanità nel suo insieme, se è vero, come è vero, che “il lavoro è la lotta dell’uomo contro la natura” (Marx) e, come ogni lotta, ha in sé una dose massiccia di sofferenza da cui liberarsi. Lo sviluppo della scienza, al di là di ogni superstizione pseudofilosofica e nichilista, è anche liberazione dell’uomo e della donna dal lavoro. La gestione della dialettica della scienza da parte di un potere rivoluzionario vorrà dire rendere la scienza funzionale alla liberazione umana."

Vedi? Ecco un esempio squisito di para-religione, ammira l'appello all'auctoritas, godi della riduzione della estremamente complessa questione della tecnologia alla liturgia del sol invictus dell'avvenire, esaltati alla formula augurale "gestione della dialettica della scienza da parte di un potere rivoluzionario", sbrodolati per l'avvento de “la classe”. Amen e così sia, brothah. Ammira ma attento alle pietrificazioni sistah Medusa.
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Alfred
Monday, 24 April 2023 09:54
Certo, che diamine, della realta' mi sorprendo e anche del misticismo (che e'parte della realta'), quindi ne parlo, da ignorante qual sono.
Forse domani scopriro' altre stranezze, anche scientifiche. Chi lo sa.
Considerare le conseguenze e gli usi (tutti i tipi di uso) di quello che si vede, si impara, ci sbatte contro la capoccia mi sembra un esercizio costante delle menti umane e spesso neanche volontario.
Non mi spaventa il misticismo, neanche quando presente come messianesimo in pensieri politici o altro. Mi interessa discuterne e le discussioni possono essere animate (provviste di anima? ... chi lo sa). Trovo interessante e da meditare la sua risposta. Grazie
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Alfred
Saturday, 15 April 2023 14:17
Mi chiedo se le ragioni dei ricchi e potenti Usa che hanno firmato siano solo frutto di una capitalistica mossa ecc ecc
Perche' mi sono simpatici?
No, li odio assai e li odio sempre piu da quando ho scoperto che al capitalismo molti uniscono una visione quasi mistica e delirante e che ... non sono pochi e che stanno invadendo molti spazi decisionali.
Se pensate che sia un pesce di aprile fuori tempo massimo, leggetevi la sovrastruttura che molti dei giovani rampanti capitalisti di ventura dell'AI e non solo (ci sono nomi anche di firmatari dei sei mesi di sospensione), hanno costruito intorno ai loro business e quali sogni (soprattutto sociali di controllo e sul lungo periodo) albergano. Non vogliono i sei mesi solo per le ragioni di concorrenza, hanno visioni complessive .... peggiori.
Poi vomitate pure, ne avete diritto

L'articolo e' lungo, qui solo stralci, credo sia importante da leggere anche per sola curiosita' intellettuale

https://www.iltascabile.com/scienze/lungotermismo/&ved=2ahUKEwjj8pS55av-AhViRvEDHT_2AGEQFnoECAkQAQ&usg=AOvVaw0GMeFCY47qxDcfJEQ2MsQz

Da: il tascabile
Titolo:
Cos’è il lungotermismo, la nuova fanatica utopia della Silicon Valley

...La scuola di pensiero del lungotermismo nasce dall’idea di massimizzare i benefici globali delle nostre azioni – e quindi di accordare massima urgenza ai rischi esistenziali di medio-lungo termine.
Le condivisibili premesse dell’effective altruism furono però da subito oggetto di aspre critiche, che lo descrivevano non come una vera teoria morale ma come un pensiero contiguo alle realtà sociali ed economiche responsabili di alcuni dei danni che si proponeva di affrontare. È una delle critiche più concrete – ....
.....E lo si vede anche nel recente rapporto delle Nazioni Unite che propone la creazione della figura di inviato speciale delle Nazioni Unite per le Generazioni Future e di una Dichiarazione sulle Generazioni Future che garantisca alle persone del futuro uno status legale”. Tutto bene, allora? No, perché qui cominciano le complicazioni, e l’effetto domino che dicevamo.....

..Un pericoloso effetto domino
Finché si tratta di salvaguardare le generazioni future, il lungotermismo sembra a tutti gli effetti un pensiero ragionevole, quasi inattaccabile dal punto di vista logico e morale. Il problema è che adottare questa visione in maniera freddamente razionale porta, quasi inevitabilmente, gli adepti di questa scuola di pensiero ad abbracciare le pericolose estremizzazioni già insite in un approccio filosofico di questo tipo. Cosa succede infatti se iniziamo a prendere in considerazione le conseguenze delle nostre azioni politiche e sociali non tanto o non solo sulle prossime tre o quattro generazioni, ma su quelle che verranno migliaia se non milioni di anni?..
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Nonostante sia balzata agli onori delle cronache solo negli ultimi mesi, non è difficile trovare tracce della già notevole e crescente influenza di questa scuola di pensiero: il lavoro di Toby Ord, per esempio, è stato citato dall’ex primo ministro britannico Boris Johnson, mentre il think tank Center for Security and Emerging Technologies di Washington è stato fondato da Jason Matheny (già consigliere per la tecnologia e la sicurezza nazionale di Joe Biden) con l’obiettivo di collocare dei seguaci del lungotermismo nelle istituzioni statunitensi. Lo stesso Ord è stato consigliere dell’OMS, della Banca Mondiale, del World Economic Forum e di parecchie altre istituzioni.
Da qualche tempo – e senza dare troppo nell’occhio – il lungotermismo si sta insomma infiltrando nelle istituzioni che hanno concretamente il potere di plasmare il nostro futuro. E così potrebbe direttamente influenzarne l’azione, magari finanziando chi studia come evitare che l’intelligenza artificiale sfugga al nostro controllo (che è un classico tema lungotermista, su cui torneremo più avanti) anche a costo di sottrarre fondi alla campagna vaccinale contro la malaria nelle zone più povere del mondo.
.....Per i lungotermisti, d’altra parte, la povertà di un Paese o le malattie circoscritte ad alcune zone del mondo non sono priorità, perché non rappresentano un rischio esistenziale totale, e persino la globale crisi climatica è derubricata a problema minore perché potrebbe essere più logico, seguendo il pensiero lungotermista, investire piuttosto nella ricerca di un “pianeta B” da colonizzare (e qui riecheggia un altro imprenditore vicino a questa corrente come Elon Musk).

.....“Allo scopo di valutare le azioni da compiere, prima di tutto possiamo semplicemente ignorare tutti gli effetti che si verificheranno nei prossimi 100 (o anche 1000) anni, concentrandoci invece sugli effetti più di lungo termine. Le conseguenze di breve termine possono al massimo servire per capire dove far pendere la bilancia”, scrivono MacAskill e Greaves in un loro paper del 2019 (nella versione del 2021 questo passaggio è stato eliminato). La logica alla base è tanto semplice quanto feroce: se nel giro di 150 mila anni Homo sapiens ha 8 miliardi di esemplari, tra mille anni potremmo essere 500 miliardi. Un calcolo che fa capire come la nostra priorità debba di conseguenza essere di assicurarci che questi esseri umani del futuro siano in vita, in buona salute e possibilmente anche in ricchezza. Ma, ancora una volta, ....

.).Questo tipo di considerazioni sul medio termine (senza poter porre un confine preciso) sembrano a tutti gli effetti tenere insieme buon senso e logica. Ma quando le si porta alle loro estreme conseguenze, tutto ciò che rimane è un elemento logico-matematico che diventa via via più astruso e scollegato dalla realtà. E così, si arriva fino alle valutazioni deliranti di Jaan Tallinn, fondatore di Skype e cofondatore del think tank lungotermista Future of Life Institute (collegato al Future of Humanity Institute), secondo cui il cambiamento climatico non rappresenta un “rischio esistenziale”, poiché non compromette il futuro di una specie umana destinata a colonizzare lo spazio...

..L’ideologia più pericolosa del momento
Sono affermazioni di questo tipo che hanno portato Émile P. Torres a definire il lungotermismo l’ideologia più pericolosa del momento: “Elevare il compimento del presunto potenziale umano al di sopra di qualunque altra cosa rischia di aumentare in maniera non trascurabile la probabilità che delle persone vere e proprie – quelle vive oggi e nel futuro vicino – subiscano gravi danni, compresa la morte. (…) ...
..... E oggi come oggi (e per il futuro a venire), temere che sorga una superintelligenza artificiale non è più razionale di preoccuparsi dell’avvento di un demone sterminatore. Il problema è che le fantasie pseudo-razionali lungotermiste hanno ricadute concrete: un personaggio controverso come Peter Thiel ha per esempio donato imponenti somme al Machine Intelligence Research Institute, il cui scopo è salvare l’umanità dalle macchine superintelligenti. Dal momento che, come abbiamo visto, esponenti del lungotermismo stanno iniziando a farsi largo tra le istituzioni, il pericolo è che risorse da impiegare contro rischi concreti e immediati vengano invece dirottate per scongiurare timori paranoici e immag....

Il “destino manifesto” dell’essere umano ecc ecc ....
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