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Coordinamenta2

Il neoliberismo espropriativo della morte e della vita

di Elisabetta Teghil

tecnologia 1024x709Lì si era rivelato un sistema di classe così perfettamente a punto che era restato per lungo tempo invisibile.

Colette Guillaumin

Si fa un gran parlare della GPA, la così detta gravidanza per altri, come se fosse un problema a sé stante e viene affrontato dal punto di vista morale, etico, religioso, politicamente corretto, o dal punto di vista dello sfruttamento di classe e di quello neocoloniale…c’è chi si batte in maniera agguerrita per la famiglia tradizionale e chi per le famiglie arcobaleno, chi tira in ballo la sacralità della maternità, chi lo vuole affrontare dal punto di vista giuridico e creare una legislazione ad hoc per tutelare la donna che porta avanti la gravidanza e/o i diritti del nascituro e/o per definire contratti che tutelino quelle che vengono chiamate parti in causa…

Ma ci si dimentica sempre che la questione è politica e come tale va affrontata e quindi bisogna andare qualche anno indietro.

Il sistema di potere si è appropriato ormai da tempo della morte con la così detta morte cerebrale, una morte dichiarata a tavolino, dallo Stato, per Legge.

Il concetto di morte cerebrale è stato introdotto nel mondo scientifico in contemporanea ai primi espianti-trapianti di organi nella storia della medicina. Chiaramente travestito come da copione da eccellenti motivazioni, per salvare vite umane, per il bene comune. La maggior parte degli organi non può essere prelevata da cadavere, per cui i criteri di accertamento della morte non consentivano questo tipo di interventi. L’introduzione del concetto di morte cerebrale forniva una legittimazione scientifica per poter effettuare i trapianti.

Nella legislazione italiana la materia è regolata dalla Legge 29 dicembre 1993, n.578 (norme per l’accertamento e la certificazione di morte), dal Decreto 22 agosto 1994, n.582 del Ministero della Sanità (regolamento recante le modalità per l’accertamento e la certificazione di morte) e dal Decreto11 aprile 2008 (G.U. n.136 del 12/06/2008, ‘Aggiornamento del decreto 22 agosto 1994, n. 582).

Di fronte a questo colpo di mano del potere quasi tutti sono stati zitti/e se non addirittura compartecipi, sinistra di classe compresa, lasciando lo spazio dell’opposizione alla destra reazionaria, bigotta, integralista che si è messa a pontificare se l’essere umano nella così detta morte cerebrale sia mezzo morto o mezzo vivo, più morto che vivo o più vivo che morto. Gli psicologi/ghe si sono messi a studiare se trasferire il cuore di una persona in un’altra possa avere risvolti negativi sull’equilibrio psichico e gli attivisti della sinistra si sono messi a denunciare il commercio degli organi che proveniva/proviene guarda caso dai paesi poveri. Ora lo Stato sta pensando di introdurre anche la dichiarazione di morte precoce in arresto cardiaco. Sempre per Legge.

Da questa impostazione deriva poi il disprezzo, la pretesa di delega, l’arroganza dello Stato verso la morte degli esseri umani per cui si arriva alla condizione di totale appropriazione che si è manifestata nel periodo della così detta pandemia.

Perché il problema era ed è strettamente politico. La morte si osserva, non si decreta. Non si può mettere nelle mani dello Stato il potere di decretare la morte a tavolino dato che questo è un sistema basato sul profitto, sull’oppressione e sullo sfruttamento.

La società civile sta ora discutendo in materia di suicidio assistito (che peraltro mi troverebbe anche d’accordo) ma penso sia il caso di riflettere attentamente prima di aprire questa ulteriore possibilità per lo Stato di mettere le mani sulla morte. Quanto pensate che ci metterebbe il sistema di potere a convincere vecchietti e vecchiette che è meglio il suicidio in condizioni sicure e tutelate piuttosto di una vita piena di malanni e incognite? o a convincere i familiari che i loro cari ad un certo punto hanno fatto il loro tempo? Meno pensioni, meno cure sanitarie…non è forse stata Christine Lagarde a dire che siamo troppi? Noi siamo troppi, loro no…

E ora passiamo alla vita. Parliamo del lavoro riproduttivo. Il femminismo ormai da tempo ha portato allo scoperto che il lavoro riproduttivo è un vero e proprio lavoro, estorto gratuitamente dal patriarcato, strutturazione socio-economica che il capitalismo ha sempre usato a mani basse e con cui ha avuto un feeling particolare. D’altra parte il patriarcato non è altro che un modello economico basato sulla divisione e specializzazione gerarchizzata dei ruoli sessuati per un’ottimale resa degli individui messi al lavoro.

Nella società del capitale il corpo delle donne è merce, tutti i rapporti uomo-donna sono improntati ad uno scambio sessuo-economico come ci dice Paola Tabet, tutti i rapporti con il sistema di potere sono di sfruttamento, quindi perché meravigliarsi tanto riguardo alla GPA? la gravidanza per altri è uno sfruttamento più che evidente di genere e di classe, sono e saranno tra l’altro le donne povere a vendere in questa maniera la capacità riproduttiva. E’ in atto una trasformazione dei rapporti di riproduzione, dall’appropriazione privata da parte di un singolo uomo della capacità riproduttiva di una donna che avveniva nella forma matrimoniale si sta passando all’appropriazione sociale collettiva tramite la presa in carico del lavoro riproduttivo da parte della donna sola o la messa in vendita della donna del lavoro riproduttivo come “operaia salariata” seppure per un tempo definito, senza allo stesso tempo nessuna presa in carico da parte dello Stato del supporto di servizi. Due piccioni con una fava.

La meraviglia riguarda piuttosto le soggettività che sanno che cos’è lo stigma sociale, che sanno cosa vuol dire per averlo provato sulla loro pelle, che sanno cosa vuol dire essere sfruttate e/o condannate e/o stigmatizzate e si mettono a comprare e sfruttare a loro volta corpi di donne o si affidano alle strutture biotecnologiche facendosi medicalizzare e diventando strumenti vivi di sperimentazione.

Questo momento di passaggio è pieno di contraddizioni all’interno dello stesso patriarcato. Da una parte le donne hanno esplicitato il loro peso e la loro presenza sociale attraverso anni di lotte, dall’altra il patriarcato ha portato a casa un risultato ottimale, quello di caricare le donne del lavoro riproduttivo e del lavoro salariato e di coinvolgerle nelle sorti del potere.

Le domande da porsi sono quindi chi trae profitto da questa trasformazione, chi ne porta il carico, qual è lo scopo ultimo del sistema di potere?

Per affrontare la GPA, con le compagne della coordinamenta, abbiamo studiato il baliatico. Le contadine povere, qui da noi fino agli anni cinquanta del novecento, accettavano il lavoro di balia nelle case dei ricchi perché era l’unico modo per portare del denaro alla famiglia. Era proprio la famiglia a spingerle. Lasciavano a casa il loro figlio/a nato da poco per allattare un bambino/a altrui. Spesso il loro bambino moriva perché veniva svezzato precocemente con latte vaccino annacquato. Allo stesso tempo entravano a far parte di un mondo che non conoscevano, in cui venivano trattate bene, chiaramente per ovvio interesse dei datori di lavoro, i coralli e i granati erano i gioielli delle balie, spesso imparavano a leggere e a scrivere e non tornavano nella famiglia di origine, rimanevano a fare le balie asciutte.

Quando è finito il fenomeno del baliatico? Quando negli anni cinquanta, con il boom economico, le contadine povere hanno preferito andare a lavorare in fabbrica. La chiesa ha sempre condannato fortemente il baliatico facendone un problema morale, ma è necessario sempre rifuggire dai discorsi moralistici e stigmatizzanti e chiedersi perché succedano le cose. Chi siamo noi per decidere cosa è bene e cosa è male per una donna che decide di vendere la propria capacità procreativa facendo tra l’altro un lavoro pesante, coinvolgente e pericoloso? Quindi nessuno può proibire niente a nessuno ma è necessario capire le ragioni per cui questo sistema di potere spinge verso questa modalità e non solo.

La questione deve essere necessariamente affrontata in maniera materialista, dialettica e sostanzialmente politica.

Il neoliberismo ci vuole convincere che i prodigi della scienza e della ricerca possono esaudire i desideri delle donne, e con loro di tutti gli esseri umani, che possono essere liberate dalla difficoltà della gravidanza e del parto e che anche chi non può partorire può avere figli, che tutto è lecito ma soprattutto semplice e gratificante per tutti, per chi da e per chi riceve: inseminazione artificiale, banche del seme e degli ovuli, sperimentazioni genetiche, modificazioni del DNA, GPA …tutto portato avanti con nobili principi e migliori fini come diceva Totò, tutto mascherato dal bene per l’umanità mentre l’obiettivo inconfessabile ma allo stesso tempo molto manifesto è appropriarsi della capacità di fare gli esseri umani ad uso e consumo e su misura per i desiderata del potere. E’ questa la linea di tendenza del capitalismo neoliberista insieme ad un’altra linea di tendenza estremamente marcata che è quella della guerra, linee che camminano intrecciate perché le sperimentazioni sui corpi che vengono fatte dall’industria di guerra mirano a costruire soggetti resistenti alla guerra biologica, alle trasformazioni ambientali sempre più devastanti, a produrre un essere umano su misura del capitale che possa essere usato e gettato dopo aver assolto la funzione che gli è stata assegnata.

Il vero obiettivo è costruire la gravidanza in provetta e proseguirla in incubatrice dopo aver modificato le caratteristiche del DNA giudicate negative e/o pericolose. Chiaramente l’opinione pubblica verrà convinta che i nuovi bambin* saranno sanissimi, perfetti e intelligenti, mentre di fatto l’obiettivo è avere esseri umani obbedienti, disponibili e felici del loro asservimento. Non è poi così difficile, lo stanno già sperimentando. Non è molto lontano il giorno in cui fare i figli come si faceva prima (mi astengo dall’usare il termine naturale perché è estremamente fuorviante e apre a impostazioni pericolosamente moralistiche. Di naturale a questo mondo non c’ è niente, neanche la natura) diventerà reato perché i figli potrebbero nascere difettosi e quindi chi lo farà sarà colpevolizzat* e stigmatizzat* nel plauso generale. Non è molto difficile da credere visto quello che è successo durante il periodo pandemico. O ce lo siamo dimenticato? Il pensiero del nemico è fortemente introiettato.

È veramente paradossale che come femminista che ha vissuto gli anni settanta, che ha gridato nelle piazze donne partoriamo idee, non figli, che ha sempre pensato che per una donna il lavoro riproduttivo fosse deleterio perché estorto, gratuito, un regalo di tempo e di vita al patriarcato del tutto immotivato, sia costretta a battermi contro lo scippo della maternità che vogliono farci. Perché una cosa è rifiutare il lavoro riproduttivo altra cosa è farsi scippare la possibilità procreativa.

Gli sviluppi di questa tendenza sono imprevedibili e anche se la pretesa del capitale di appropriarsi dei meccanismi della vita e della morte è fin troppo chiara, nessuna di noi ha la sfera di cristallo. C’è un posizionamento che ci può aiutare. Il capitale ha occupato ogni interstizio del nostro vivere e in ogni momento mette in atto un’egemonia culturale fortissima e pervasiva quindi abbiamo se non altro un metro per regolarci: essere contro e rifiutare qualsiasi cosa dal capitale ci venga proposta come buona, utile, moderna, all’altezza dei tempi e dei desideri, che sia per realizzarci o per salvare il pianeta, per rendere migliori le comunicazioni o per mantenerci in salute, per abolire il contante o salvare le nostre democrazie…la risposta è NO! E non si devono chiedere leggi, non si devono mettere altri strumenti di repressione nelle mani del nemico, serve chiarezza politica.

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